Pur tra alti e bassi, invenzioni e stereotipi, rimane uno dei più aguzzi, impietosi (ma anche spiritosi) film di Hollywood su Hollywood. Nel disegno del suo personaggio d'alcolista L. Sherman tenne d'occhio suo cognato John Barrymore e la Bennett è assai brava. (A che prezzo Hollywood?; 2000, p. 15)
Visibile come documento d'epoca, per il garbo recitativo dell'intero cast, per la finezza della regia. (Addio, giovinezza!; 2000, p. 18)
Pur non volendo Agostino come un protagonista tradizionale, Rossellini (1908-77) non ha saputo farne il testimone convincente di un'epoca di transizione. Non mancano i momenti eloquenti (la decisione sull'eredità tra i due fratelli Sisto e Papirio; il rifiuto dell'offerta di Siriaco; il discorso finale) né le pagine in cui la disadorna semplicità del suo linguaggio trova le sue illuminazioni (la visita in carcere e l'uccisione di Marcellino). Invece di essere epica (nel senso di Brecht), la rappresentazione dei fatti e dei personaggi risulta generica. È probabilmente il meno riuscito tra i suoi film storico-didattici (Luigi XIV, Socrate, Pascal, Cosimo, Cartesio, ecc.). (Agostino d'Ippona; 2000, p. 28)
Scritto da Lamar Trotti e splendidamente fotografato da A. Miller, è uno dei più famosi western sociali con un preciso discorso sul linciaggio. Un po' sopravvalutato, comunque: molto parlato, non poco didattico e moralistico. (Alba fatale; 2000, p. 31)
1° lungometraggio di animazione violenta e catastrofica per adulti di K. Otomo che, con la collaborazione di Izo Ashimoto, l'ha tratto da un suo fumetto di grande successo in Giappone, servendosi di un'agguerrita squadra di tecnici tra cui lo scenografo Toshiharu Mizutano e la pirotecnica fotografia di Katsuji Misawa. “Un risultato impressionante che spesso suggerisce una bizzarra miscela espressionista di 2001: Odissea nello spazio, I guerrieri della notte, Blade Runner e Il pianeta proibito” (Geoff Andrew). Figura al 19° posto in un elenco dei 20 migliori film di science fiction (con Blade Runner, Gattaca e Matrix) secondo la rivista statunitense Wired nel 2002. (Akira; 2013, p. 34)
Solenne e sereno, grave e pur lieve come le musiche di Bach che l'accompagnano, il 9° di Olmi è – con Novecento (1976) di B. Bertolucci che è il suo opposto – il più grande film italiano degli anni '70, e l'unico, forse, in cui si ritrovano i grandi temi virgiliani: labor, pietas, fatum. Gli sono stati rimproverati, come limiti, una rappresentazione idealizzata, perché troppo lirica, del mondo contadino, la cancellazione della lotta di classe, la rarefazione spiritualistica del contesto sociale. È indubbio che al versante in ombra (grettezza, avidità, violenza, odi feroci) del mondo contadino Olmi ha fatto soltanto qualche accenno, e in cadenze bonarie, ma anche in quest'occultamento è stato fedele a sé stesso e alla sua pietas. (L'albero degli zoccoli; 2000, p. 33)
Unica regia dello stimato sceneggiatore Taradash, è il 1° film esplicitamente antimaccartista di Hollywood. Nobile tesi, pesantezza didattica, macchinoso e troppo simbolico. Un'ottima Davis non basta. (Al centro dell'uragano; 2010, p. 37)
Dramma carcerario in linea con la migliore tradizione hollywoodiana (claustrofobico, violento, garantista, liberale) con 2 novità: il tema della durata (il tempo che passa) e i connotati sociali del protagonista, direttore di banca, vittima di un errore giudiziario. Le mozartiane Nozze di Figaro in una sequenza d'antologia. (Le ali della libertà; 2000, p. 39)
Film insignificante per tutti, anche per la Lollo che, dopo 11 film, era ancora nell'anticamera del successo. (Alina; 2000, p. 40)
Dal romanzo (1929) di Erich Maria Remarque: nel 1914, istigati da un loro insegnante, alcuni studenti tedeschi si arruolano volontari, ma presto al fronte scoprono che la guerra ha poco da spartire col coraggio, il dovere o l'etica. Nessuno ritornerà. Un classico del cinema pacifista, distribuito in Italia soltanto nel 1956. Fu uno dei primi "colossi" del cinema sonoro. La sua forza e soprattutto la sua fama derivano da una sagace fusione delle sue componenti: il realismo della regia, la spettacolarità delle scene di battaglia, il lirismo dei dialoghi. (All'ovest niente di nuovo; 2010, p. 49)
Il clima del secondo Ottocento è reso con gusto e precisione, il livello professionistico generale è ammirevole. (Altri tempi; 2000, p. 48)
È una gradevole commedia americana del dopoguerra traboccante buoni sentimenti e un ingenuo moralismo. Quello che conta sono la recitazione dei 3 bravi protagonisti e l'ambientazione gustosa. (Al tuo ritorno; 2000, p. 49)
La cornice soffoca il quadro, c'è lo spettacolo, non il sentimento della passione e del desiderio, l'erotismo è verniciato, ma la rievocazione di un'atmosfera è suggestiva, i 2 protagonisti sono ben scelti, le musiche del libanese Gabriel Yared funzionano. (L'amante; 2000, p. 49)
Vent'anni dopo I vitelloni F. Fellini torna in Romagna con un film della memoria e, soltanto parzialmente, della nostalgia. La parte fuori dal tempo è più felice di quella storica. Umorismo, buffoneria, divertimento, finezze, melanconia. (Amarcord; 2010, p. 59)
Accurata l'ambientazione di un realismo morbidamente femminile: problemi di psicologia risolti, sia pure attraverso una vicenda un po' convenzionale, con notazioni umane e un'interpretazione degna di rilievo. (L'amica; 2000, p. 60)
Sullo sfondo di una Firenze granducale, Mattòli al suo 2° film ha inserito un 1848 patriottico e romantico, ma antieroico. Le situazioni sono molto teatrali ma risolte con leggerezza di mano. De Sica è godibile e la trovata del film è la dolce Milly. (Amo te sola; 2010, p. 75)
È inevitabile citare De Amicis, l'Edmondo de' Languori, e il suo Dagli Appennini alle Ande che straziò due o tre generazioni. Quando Pellegrini può appoggiarsi al paesaggio e all'ambiente, affiorano le sue qualità liriche e descrittive di buon documentarista. Quando fa agire i personaggi non c'è scampo: o melodramma o bozzettismo. (L'amore più bello - L'uomo dai calzoni corti; 2000, p. 72)
Con Desiderio, L'ottava moglie di Barbablù e Ninotchka forma un piccolo trattato di economia politica (G. Fink) e un'illustrazione della logica del capitale. È, forse, il più bello dei quattro, certamente il più impalpabile, astratto, misterioso, reticente. La scena del pranzo è un compendio del Lubitsch touch. (Angelo; 2000, p. 81)
Capolavoro del primo cinema tedesco sonoro, trasformò in star una poco nota cantante e attrice (che aveva già partecipato a 17 film dal 1923), arricchì l'immaginario collettivo di un nuovo mito di donna fatale, non lontano dalla Lulu di Wedekind, segnò l'inizio del sodalizio Sternberg-Dietrich, durato altri 7 film a Hollywood. Il turgido istrionismo masochistico di Jannings s'oppone alla pura "apparenza" quasi grafica della Dietrich. (L'angelo azzurro; 2000, p. 81)
L'angelo bianco raggiunge il suo scopo: far versare lacrime. Gli interpreti fanno del loro meglio per dare ai personaggi alquanto inverosimili qualche verosimile accento. Ma c'è anche una dimensione fantastica [...] che gli dà un tono insolito. (L'angelo bianco; 2000, p. 81)
Drammone a lieta fine al servizio di B. Davis in versione doppia. Tratto da un romanzo di Karel J. Benes, è un mélo di bassa lega migliorato dall'esperta regia. (L'anima e il volto; 2000, p. 84)
Umorismo ben mescolato alla tenerezza in un clima di sterilizzata audacia erotica. Bella coppia. C'è uno spogliarello "teologico". (L'anima e la carne; 2000, p. 84)
Diretto senza convinzione, non abbastanza riscattato da una scrittura disadorna e da un bianconero sporco da cinegiornale. (Anima nera; 2000, p. 84)
L'insegnante di Boston riesce a far passare la ribelle Helen dallo stato animale a quello umano, e a fare di lei sua figlia, nel senso più profondo della parola. [...] È la descrizione epica di una battaglia che culmina nella straordinaria scena di 9 minuti tra Annie e Helen intorno al tavolo da pranzo. Pur non trascurando la complessità sentimentale e ideologica del testo di Gibson, mette con furia l'accento sulla dimensione fisica della battaglia. Il suo vero tema non è l'handicap fisico e nemmeno l'insegnamento o la comunicazione, ma il principio stesso della vita e della liberazione: il modo con cui le energie vitali, se abbastanza tenaci, possono vincere barriere od ostacoli. Ingiustamente accusato di teatralismo, dunque sottovalutato. (Anna dei miracoli; 2000, p. 86)
In attesa di affermarsi nel genere mitologico Francisci si dedica alle vite dei santi, in bilico tra ingenuità e astuzia spettacolare. Consigliabile solo alle anime pie. (Antonio di Padova; 2000, p. 91)
Girato nei giorni bui dell'occupazione tedesca, è una novelletta piacevole, ma anemica, esitante tra il gusto francese e quello più acqua e sapone all'italiana. (Apparizione; 2000, p. 93)
Uscito dal Centro Sperimentale di Cinematografia, Calderone debutta con un film che non manca di eleganza nella sua pruriginosa volontà di far scandalo né di velleità nel descrivere le mediocri nevrosi della media borghesia italiana. Com'è giusto, diventerà uno specialista di porno soft. (Appassionata; 2000, p. 93)
Drammone sentimentale con venature gialle, macchinoso e improbabile. (Appassionatamente; 2000, p. 93)
Un gustoso film d'avventure, originale nell'impostazione, nelle trovate e specialmente nel caleidoscopico grafismo. (Arabesque; 2000, p. 97)
Giallo deduttivo-geometrico di Agatha Christie, un enigma tra un cast di tutte star messo in scena con elegante ironia e raffinata bravura. (Assassinio sull'Orient Express; 2010, p. 122)
Poteva esserci qualcosa di originale e intrigante soprattutto nello studio dei caratteri se la sceneggiatura di Anthony Shaffer non l'avesse complicato con un assassinio misterioso. (L'assoluzione; 2000, p. 113)
Questo bizzarro dramma giallo e cattolico ha zeppe, vuoti d'aria, cadute ma l'ambiente è descritto con finezza e intorno ai due fratelli protagonisti c'è un gruppetto di personaggi ben caratterizzati. (L'assoluzione; 2000, p. 113)
1° dei 3 film prodotti dalla Hammer a basso costo (ma con una dose di intelligenza), ispirati a un popolare serial TV (1953) della BBC. [...] Fantascienza a misura d'uomo. (L'astronave atomica del dottor Quatermass; 2000, p. 127)
Coraggioso nella scelta tematica, discutibile nella sua poco critica esaltazione dell'individualismo e con qualche forzatura retorica, è una macchina narrativa perfettamente oliata che non perde un colpo sino al finale che scalda il cuore, inumidisce gli occhi e strappa l'applauso. Di suo p. Weir ci mette l'abituale misticismo e la sapiente guida nella recitazione dei ragazzi inesperti tra cui spicca R.S. Leonard sebbene solo E. Hawke abbia fatto carriera. (L'attimo fuggente; 2010, p. 130)
Film eccessivo nell'azione, nella violenza, nella grandiosità delle scenografie, negli effetti speciali (Oscar per Eric Brevig), nella visibilità, nell'ideologia. Suggestiva macchina narrativo-spettacolare con una vertiginosa struttura a scatole cinesi, imperniata sull'ambiguità tra realtà e apparenza, con alleggerimenti grotteschi e parentesi erotiche. (Atto di forza; 2000, p. 118)
[...] è un buon film nero con un tema sociale in filigrana che ha al centro la psicologia tormentata del traditore (Van Heflin) e prepara con ritmo serrato il suo gesto finale d'espiazione. Ma il film conta soprattutto per l'atmosfera di disperata tensione che, con l'apporto del bianconero di Robert Surtees, il regista sa creare. (Atto di violenza; 2000, p. 118)
È una specie di romantico omaggio al "fattorino" dell'autobus con un Fabrizi divertente, genuino, convincente. (Avanti c'è posto...; 2000, p. 120)
B
Uno dei migliori film gangster del dopoguerra, scritto da B. Hecht e C. Lederer, filmato in esterni veri a New York. Memorabile esordio di R. Widmark nella parte del sadico che fa ruzzolare per le scale una vecchia paralitica. (Il bacio della morte; 2000, p. 132)
Citato da celebri scrittori (Manuel Puig), fonte di ispirazione per nuovi registi, giocato sagacemente sull'ambiguità, a mezza strada tra l'horror e il thriller, con una dimensione fantastica suggerita più che rappresentata, è una chicca per i fans del cinema fantastico, un classico del cinema americano di serie B, un prototipo più volte imitato. (Il bacio della pantera; 2000, p. 132)
Come giallo, è un film d'andazzo normale, ma ha almeno un merito: una certa cura nella descrizione dell'ambiente cinematografico. (Bacio mortale; 2000, pp. 133)
Garanti in sceneggiatura gli inossidabili toscani Benvenuti & De Bernardi, è una galleria di caricature, macchiette e macchiettoni strapaesani con il contorno di ragazze appetitose. Apprezzabile rinuncia alla volgarità con qualche punta crudele nei dialoghi. ("È la foto del nonno. Un po' mossa, ma nonno aveva il Parkinson.") (Bagnomaria; 2000, pp. 134-135)
Discontinuo fuoco d'artificio di trovate comiche. La sua debolezza deriva dal modello parodiato: Guerre stellari era già, se pur in modo latente, una parodia. (Balle spaziali; 2000, p. 138)
Il più insulso, insensato e dilettantesco film del catalano Bigas Luna, qui inetto direttore di attori, per giunta. La Marini è una bella statua inespressiva che ha due posizioni, ritta e sdraiata. Filodrammatici gli altri. Al suo confronto La donna del fiume (1954) con S. Loren fa figura di capolavoro. (Bambola; 2000, p. 139)
Un "nero" di prima classe, di taglio semidocumentaristico. Suspense, atmosfera, azione, e una suggestiva descrizione dell'ambiente portuale nello stupendo bianconero di Joe McDonald. (Bandiera gialla; 2000, p. 142)
Film neorealista sui generis: il suo neorealismo è tutto nella prima, suggestiva sequenza, ma poi si trasforma in una gangster story di modello americano sulla quale il regista innesta la sua cultura cinematografica, ma anche una robustezza narrativa e una funzionalità espressiva che saranno costanti nei suoi film successivi. È, a modo suo, un film formalista, mentre appaiono incongruenti o approssimativi, nel loro romanticismo, i contenuti etici e sociali. (Il bandito; 2000, p. 142)
Con Donzoko (I bassifondi, 1957) e Dodes'ka-den (1970) forma una sorta di trilogia sociale della miseria nell'itinerario di Kurosawa. Sul tema tradizionale del rapporto tra maestro e allievo, è la storia di una presa di coscienza, un romanzo di educazione. Di grande bellezza plastica nell'uso del grande schermo (Tohoscope), sostenuto da una solenne colonna musicale (Haydn, la Nona di Beethoven) e da una varietà di registri narrativi (tenerezza, crudeltà, due gustosi intermezzi comici), affollato di personaggi, risulta un po' programmatico e didattico nel suo assillo di essere un capolavoro umanistico. (Barbarossa; 2000, p. 145)
Vicenda, ricostruzione storico-politica e indagine psicologica dei personaggi sono secondarie rispetto alla spettacolare grandiosità delle scene di battaglia, girate con grande abbondanza di mezzi. (La battaglia dei giganti; 2010, p. 165)
Intenzioni: mostrare in luce positiva la cultura latinoamericana basata sulla famiglia. Risultato: un film generosamente didattico e commovente [...]. (Bella; 2010, p. 170)
Non è soltanto un film di propaganda. Grazie alla sceneggiatura di Ugo Betti e Alessandro De Stefani, si cerca anche una riflessione sulla guerra e il suo significato. (Bengasi; 2000, p. 158)
Influenzato dai colossi storici del cinema italiano degli anni '10 di cui riprende l'enfasi e le esagerazioni, mescolandole con un misticismo sentimentale di marca anglosassone, è un melodramma storico che conta soprattutto per 2 sequenze (la battaglia delle triremi, la corsa delle bighe) di straordinario dinamismo plastico. (Ben-Hur; 2000, p. 158)
Equivoci a non finire, ma lieta fine. Commedia modesta e anemica che si regge sulla simpatia di Fabrizi. (Benvenuto reverendo!; 2000, p. 160)
La religiosità "made in Hollywood", ridotta a merce spettacolare di grande effetto. (Bernadette; 2000, p. 161)
Attivo dal 1973, J. Woo aveva diretto una quindicina di Wuxiapian (film di cavalieri erranti) quando, grazie al famoso regista-produttore Tsui Hark, con questo film inaugurò nel cinema di Hong Kong il filone dei noir metropolitani iperrealisti e contribuì alla propria trasferta verso Hollywood, dove fu largamente imitato da Tarantino e soci. Nonostante i difetti di sceneggiatura il film ebbe un grande successo. Il suo tema centrale è ancora quello romantico dell'amicizia virile all'insegna dell'eroismo. La violenta frenesia ridondante dell'azione non nasconde le influenze occidentali nella poetica di Woo, teso a contaminare la lezione Hollywoodiana di Siegel e Peckinpah e quella europea di Melville e Leone. (A Better Tomorrow; 2013, p. 191)
Colosso mitico-religioso hollywoodiano in salsa italiana con alcune sequenze di alta suggestione spettacolare (l'arca di Noè, la torre di Babele). Non è difficile per i fan di Huston individuarvi le costanti tematiche e stilistiche dell'agnostico regista americano; agli altri basta lo spettacolo. (La Bibbia; 2000, p. 164)
Farsa per un pubblico di bocca buona, dal fine Poggioli si può pretendere di più. Nazzari e la Silvi, insieme, hanno fatto di meglio. (La bisbetica domata; 2000, p. 168)
1° film sonoro di Hitchcock che sperimenta genialmente suoni e rumori, ma non il parlato. Notevoli: la sequenza d'apertura di taglio semidocumentaristico; il delitto; il motivo del coltello; il British Museum. Opera di incipiente maturità, thriller carico di libidine. (Blackmail; 2000, p. 169)
È un rozzo film fondato sulla paura del buio, cioè dell'invisibile. Senza spargimento di sangue, senza un effetto speciale, fa paura a molti, specialmente agli adolescenti in grado di identificarsi con i tre personaggi. È un non-film di radicale inettitudine [...]. (The Blair Witch Project; 2010, p. 189)
Ventitré anni nella breve vita di Pascal [...] da quando, sedicenne, pubblica l'importante Saggio sulle coniche sino alla morte (una delle sequenze più intense), passando per la "notte di fuoco" [...] in cui, in un momento di estasi mistica, ritrova il senso di Dio. Raccontato con una semplicità di linguaggio che è frutto di lucidità e di umiltà come un "uomo esile, sofferente, che stava sempre male, ma pieno di curiosità, di interessi, di slanci, di timori", diviso tra l'ansia scientifica e la pietà religiosa. L'esordiente P. Arditi, figlio di un fornaio, sarebbe diventato uno degli attori più sensibili del teatro e del cinema d'oltralpe. (Blaise Pascal; 2000, p. 171)
Per la 2ª volta all'apice della sua fama (6 film nel 1950!) Nazzari è ottimo in questa variazione sul personaggio del fuorilegge romantico. (Il brigante Musolino; 2000, p. 183)
Commedia ferroviaria, degna del teatro di Eduardo De Filippo, sull'Italia di 3ª classe. Intorno a un grande Manfredi si muove una colorita folla di macchiette. Fa ridere, ma anche riflettere. (Café Express; 2013, p. 238)
Melodramma a lieto fine, dalle scenografie cariche di significati simbolici che sottolineano le psicologie dei personaggi. (Calafuria; 2000, pp. 198-199)
Di ambientazione insolita e di origine teatrale [...], questo giallo d'investigazione si raccomanda per la cura dei particolari, la finezza della recitazione, specialmente femminile, l'eleganza dello stile. (La campana del convento; 2000, p. 204)
Seguito di La mia via (1944), ebbe altrettanto successo [...]. Il tasso di sciroppo sentimentale è ancor più alto. Film natalizio a prova di bomba. (Le campane di Santa Maria; 2000, p. 204)
Tutto giocato sul doppio dei fratelli De Filippo (con il regista a disagio, come il solito, con la fisicità non mediata dell'attore comico), il film è svelto e divertente, con alcune cadute folcloristiche di tono, ma non tra i migliori del Camerini dell'epoca. (Il cappello a tre punte; 2000, p. 213)
Da un romanzo di Daphne Du Maurier una storia fosca, venata di acido umorismo. Con una coppia del calibro Davis-Guinness, comprimari, operatore, scenografo e Gore Vidal alla sceneggiatura, troppa intelligenza sprecata. (Il capro espiatorio; 2000, p. 214)
Testo arguto ed effervescente. Ambientazione superba e accurata. Cervi gioca in casa. (Il cardinale Lambertini; 2000, p. 216)
I personaggi umani sono graficamente tra i più inventivi e spiritosi del cinema disneyano, dalla memorabile, rapace, eccessiva Crudelia ai due gaglioffi Gaspare e Orazio e a Rudy, eccentrico compositore. La lunga sequenza della fuga dei cuccioli sulla neve – che ha il ritmo e i passaggi obbligati di un film bellico di evasione – è il pezzo forte del film, ma vanno ricordati anche il tam tam canino e i momenti di satira televisiva. (La carica dei 101; 2000, p. 217)
Da non perdere questa vetta del cinema fordiano. Un esodo epico, eppure affettuoso, tenero, divertente. Senza eroi, ma con grande humour. Considerato a torto un film minore per i pochi mezzi a disposizione rispetto ad altri suoi western e per il carattere rapsodico del suo impianto narrativo. (La carovana dei mormoni; 2000, p. 221)
Film (cast compreso) voluto dal produttore D.O. Selznick che Hitchcock diresse malvolentieri: sceneggiatura verbosa, prolissa, troppo complicata. Qualche lampo di lancinante perversità. (Il caso Paradine; 2000, p. 230)
[...] è un film di mare e solitudine diviso in 3 parti. Nella 1a c'è la formidabile e paurosa sequenza dell'incidente aereo; nella 2a sull'atollo (80 minuti circa sui 135 complessivi) il momento più poetico è l'incontro notturno con la balena; la 3a è un tiremmolla sentimentale che si può perdere. Più di una inverosimiglianza nella parte centrale (nemmeno un insetto), ma i dialoghi del nuovo Robinson con il pallone (il suo specchio, non il suo servo) e la sua lotta per sopravvivere hanno un accento veritiero. (Cast Away; 2010, p. 258)
Premiato con il Leone d'oro alla carriera, H. Miyazaki (che avrebbe dovuto limitarsi a produrre il film con il suo studio Ghibli) mescola fiaba nipponica, fantasmi d'Oriente e ambientazione da Mitteleuropa 800 in una delle più affascinanti avventure di animazione degli ultimi tempi, dove non mancano l'eterna lotta tra il Bene e il Male, la minaccia della guerra fuori dal tempo, ma anche la speranza nel futuro e il bisogno di fantasia e immaginazione. (Il castello errante di Howl; 2010, p. 259)
È un film che fece commuovere e piangere le folle all'inizio degli anni '50. Feuilleton popolare, ha anche il merito di una ambientazione e una patina neorealistica assai suggestiva. (Catene; 2000, p. 232)
Uno dei vertici del cinema noir: fatalismo tragico, impotenza dell'individuo, rapporto avvelenato tra passato e presente, la figura della dark lady (J. Greer). Scritto da Daniel Mainwaring, il labirintico intrigo è messo in immagini da J. Tourneur con stringata intensità. (Le catene della colpa; 2000, p. 232)
Difetti? Parecchi, compresi i troppi falsi finali e il triangolo amoroso Agar-Dru-Carey, ma sono i peccati minori di un film delizioso, amabile, ricco di annotazioni, fordiano a 18 carati che invecchia benissimo. L'asso nella manica è la fotografia a colori di Winton C. Hock, premiata con l'Oscar, che nello stile di Frederic Remington cattura le bellezze della Monument Valley. (I cavalieri del Nord Ovest; 2000, p. 236)
Conta per l'elegante ricostruzione della società a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, la preferenza ai toni crepuscolari piuttosto che celebrativi ed eroici, l'esaltazione del militarismo sabaudo che, se non si contrappone, si sovrappone a quello fascista. (Cavalleria; 2000, p. 236)
Versione scattante, veloce, rispettosa del famoso dramma (1909) di Sem Benelli. Oh, il niveo seno nudo e il corpo velato di C. Calamai che fecero fremere mezza Italia e indussero il Centro Cattolico a bollarlo come intreccio di libidine, brutalità e libertinaggio! C'è da ammirare anche l'insinuante, volpino Giannetto di O. Valenti. (La cena delle beffe; 2000, p. 238)
Non è il migliore dei 5 film che M. Camerini, al culmine della sua fama, diresse nel biennio 1939-40. La sceneggiatura è indirizzata sui binari della commedia un po' pazza il cui ritmo non s'addice al regista. Da gustare, comunque, come variazione sulla tematica dei "telefoni bianchi". (Centomila dollari; 2000, p. 240)
[...] è una sorta di antologia del western in negativo in cui si ricorre ai suoi più scalcinati stereotipi. 3 attori americani di scuole diverse e il più famoso dei 3 (Fonda) scelto contro la parte. Il set non è più l'Andalusia, ma la Monument Valley di John Ford. In un film ricco di trasgressioni, Leone dilata madornalmente i tempi drammaturgici, contravvenendo alla dinamica del genere. Sotto il segno del titanismo si tende al teatro d'opera e alla sua liturgia. Dall'epica del treno, della prima ferrovia transcontinentale, si passa alla trenodia, al canto funebre sulla morte del West e dello spirito della Frontiera. Come in Sam Peckinpah. (C'era una volta il West; 2000, p. 241)
L. Comencini ha lavorato con discrezione e pudore, in difficile equilibrio tra patetico e comico, ma il perno del film, e la sua forza, è Beppe Grillo, con la sua recitazione sotto le righe, al risparmio, di una sobrietà tutta genovese. (Cercasi Gesù; 2000, p. 243)
Gioco al massacro tra una vittima che diviene carnefice e un carnefice che si trasforma in vittima, in bilico tra il melodramma e l'horror, è un capolavoro del grand-guignol cinematografico, detestato da molti che lo considerano una vetta del Kitsch violento. È difficile, però, non ammirare il linguaggio rigoroso e stilizzato di R. Aldrich, la sapiente sceneggiatura di Lukas Heller (da un romanzo di Henry Farrell), la straordinaria recitazione del trio principale, la dimensione gotica dell'atmosfera narrativa. (Che fine ha fatto Baby Jane?; 2000, p. 248)
Basato su una storia vera, questo thriller è un buon esempio di quel realismo semidocumentaristico che si diffuse a Hollywood nel primo dopoguerra. Oltre all'asciutta ed efficace regia di H. Hathaway, le sue carte vincenti sono la fotografia di Joe McDonald e l'interpretazione di J. Stewart. Notevole anche K. Orzazewski nella parte di Tillie. (Chiamate Nord 777; 2000, p. 250)
Melodramma missionario che promosse G. Peck al ruolo di star. Tratto da un romanzo di Archibald J. Cronin, è dignitoso, solidamente costruito ma prolisso. (Le chiavi del paradiso; 2000, p. 251)
Ancora in doppio ruolo, B. Davis cerca di galvanizzare un dramma (già fatto nel 1946 con Dolores Del Rio) turgido, effettistico e inverosimile, ma, a modo suo, affascinante. (Chi giace nella mia bara?; 2000, p. 253)
2° film di L. Pieraccioni che l'ha scritto, diretto e interpretato: simpatico, spesso salace, quasi mai scurrile, sorretto da un'affiatata recitazione di squadra, da un'intelligente scelta dei tempi comici, girato con garbo da un principiante cha ha visto i film giusti e ha imparato la lezione. A. Haber si conferma principe dei caratteristi italiani. Campione d'incassi della stagione 1996-97. (Il ciclone; 2010, p. 291)
Neorealismo in chiave cattolica. Il film conta soprattutto per il bianconero del grande G.R. Aldo, la coerenza pittorica delle inquadrature, l'atmosfera delle paludi pontine, il clima affocato che precede lo stupro. (Cielo sulla palude; 2000, p. 260)
Tolto quello scoppiettante di W. Chiari, in chiave rivistaiola, gli episodi sono all'insegna di una comicità amara. Notevole quello di Eduardo che descrive un borgo agricolo campano senza spolveri idillici. (Cinque poveri in automobile; 2000, p. 263)
Ruvido melodramma, scritto dal futuro regista Robert Rossen, affidato soprattutto all'interpretazione di un'affiatata squadra di attori sotto contratto alla Warner Bros, casa specializzata in drammi sociali e gangsteristici. (Le cinque schiave; 2000, p. 263)
Liberamente tratto da un romanzo di John Buchan, questo film d'inseguimento all'insegna della leggerezza e dell'umorismo è, forse, l'opera più famosa dell'Hitchcock inglese, e uno dei preferiti dallo stesso regista. (Il club dei trentanove; 2000, p. 273)
Ermetico, ma abbagliante. Molte noie con la censura sovietica. (Il colore del melograno; 2010, p. 316)
Risente dell'origine teatrale, ma gli attori tengono bene anche se messi in difficoltà da dialoghi retorici. (I colpevoli; 2000, p. 280)
Tratto da una famosa commedia (1900) di Giuseppe Giacosa (già filmata nel 1916) è uno dei meno originali, ma dei più compatti e armonici film di Camerini. Riscritto completamente nei dialoghi, è fedele allo spirito. (Come le foglie; 2000, p. 286)
Tipico melodramma a sfondo sociale nella Hollywood degli anni '40 per il quale J. Ford ebbe a disposizione dalla M-G-M grandi mezzi che gli permisero di ricostruire in studio il villaggio gallese. Grande successo al botteghino, aiutato da 4 premi Oscar [...]: raramente il regista s'era tanto spinto nel territorio turgido del sentimentalismo. Edificante e pomposo, ma impeccabile nel ritmo narrativo e a livello figurativo. (Com'era verde la mia valle; 2000, p. 286)
[...] è un insieme di tableaux senza vita, resi più brillanti, talvolta, da scenografie pittoresche o espressioniste. B. Davis trabocca di manierismi. E. Flynn manca di tono e di colore. (Il conte di Essex; 2000, p. 301)
Nel suo genere – il melodramma passionale a forti tinte – è un capolavoro. Su una materia trita J.L. Mankiewicz ha costruito una galleria di splendidi personaggi dell'international set inseriti in una elaborata costruzione drammatica, costituita da 8 flashback, raccontati da 4 personaggi. (La contessa scalza; 2000, p. 302)
Assai fedele al romanzo (1897) di Bram Stoker, è una piccola chicca per gli amanti dei racconti vampireschi in cui l'intelligenza e il gusto sopperiscono alla povertà dei mezzi. C. Lee ammirevole per sobrietà. (Il conte Dracula; 2010, p. 340)
Costruito su due itinerari d'anima, affronta i temi della redenzione e della grazia con sobrio rigore. Una sommessa e dolorosa sinfonia in bianco. (La conversa di Belfort; 2000, p. 304)
Film spionistico di serie con tipici toni da guerra fredda. Ritmo alacre, una certa cura nell'ambientazione, attori efficaci. (Corriere diplomatico; 2000, p. 309)
Prodotto dalla Romana Film di F. Misiano, specializzata in cinema popolare "napoletano", è uno dei 2 film di finzione di A. Petrucci che v'immette la sua inclinazione al documentario sociologico e al racconto pedagogico edificante, un'indubbia pulizia espositiva, una certa cura psicologica. (Cortile; 2000, p. 312)
È un classico del filone storico in costume di moda in Italia negli anni '60: tra scene spettacolari di battaglia e sontuose scenografie, gli attori, beniamini del pubblico di quei tempi, se la cavano. (Costantino il Grande; 2000, p. 316)
Poliziesco ascetico che inclina al noir: più che le scene d'azione, all'inizio e alla fine, contano i personaggi e l'atmosfera. Un buon risultato nella carriera di un regista noto per le sue commedie. (Criminale di turno; 2000, p. 319)
[...] è uno dei migliori Siegel degli anni '50 con 3 o 4 sequenze magistrali e un duetto straordinario Wallach-Keith. Il cuore di questo film incompreso è nella loro caratterizzazione eccessiva e fiammeggiante. A una lettura di secondo grado i temi di fondo sono il parricidio e l'ossessione del tempo. (Crimine silenzioso; 2000, p. 319)
Data la censura dell'epoca, sarebbe stato difficile per chiunque trarre un film dal romanzo di Graham GreeneIl potere e la gloria (1940), storia di un prete ubriacone che fa un figlio con una prostituta, ma per J. Ford, buon cattolico irlandese, era impossibile. Ne ricavò, infatti, non soltanto un film pio che attribuisce tutta l'onestà al prete e tutta la corruzione all'ufficiale, ma anche pesante, prolisso, artificioso, mal recitato persino da H. Fonda che si trascina ostentando una sonnolenta santimonia, affidato a una serie di quadri statici anche se magnifici nel loro esasperato simbolismo mistico (influenza di Eisenstein e degli espressionisti tedeschi nella fotografia di G. Figueroa). (La croce di fuoco; 2000, p. 321)
[...] Dmytryk s'è cimentato con la vita del leggendario fra' Giuseppe da Copertino, ma i risultati sono ora modesti ora goffi. (Cronache di un convento; 2000, p. 323)
Coletti, cineasta in sintonia quasi perfetta con i valori patriottici deamicisiani, ha tratto un film lindo, di impettita nostalgia rétro, accurato nella rievocazione d'epoca. L'ha aiutato un'abile sceneggiatura a più mani [...]. (Cuore; 2000, pp. 325-326)
D
Forse sopravvalutato dalla critica quando uscì, oggi risulta un po' datato. Rimane, comunque, un'opera rappresentativa della sensibilità del dopoguerra, dei traumi psicologici e delle disillusioni dei reduci. (La dalia azzurra; 2000, p. 331)
La moda di questo genere è finita, ma – superata la balordaggine del soggetto e la rozzezza della regia – i film con Bruce Lee, questo Fred Astaire del kung-fu, offrono momenti gustosi, ricordando quasi il dinamismo spensierato del cinema muto. (Dalla Cina con furore; 2000, p. 331)
Poliziesco spettacolare e a tratti suggestivo ma Hill ha fatto di meglio. È stata la prima troupe americana autorizzata a fare riprese sulla piazza Rossa di Mosca. (Danko; 2000, p. 333)
Sopravvalutato, resta in ogni modo un robusto melodramma di guerra. (Da qui all'eternità; 2000, p. 335)
[...] è sicuramente il più famoso, forse il migliore, ma non il più tipico, film di Camerini negli anni '30. Influenzato più dalla commedia hollywoodiana che da René Clair e arricchito da piccole trovate quasi surrealistiche di umore zavattiniano [...]. (Darò un milione; 2000, p. 336)
Ebbe 3 nomination ai premi Oscar: Philip Dunne per la sceneggiatura (insolitamente sobria, anti De Mille), Leon Shamroy per la fotografia (sontuosa, affettata) e per le musiche di Alfred Newman. Potabile. (Davide e Betsabea, 2000, p. 337)
Commedia romantica che – dall'inizio scintillante di brio sino all'ultima parte dove il motore perde più di un colpo anche per la necessità di arrivare alla lieta fine – è segnata dallo stile inconfondibile di E. Lubitsch che ne fu produttore e supervisore. (Desiderio, 2000, p. 349)
Impossibile dare un giudizio di un film così martoriato che, distribuito nel luglio 1946, fu ritirato dalla circolazione e drasticamente ridotto dalla censura a 73 minuti. Così com'è, sembra solo una brutta copia di Ossessione di Visconti. (Desiderio, 2000, p. 350)
È un poliziesco con un sottofondo intricato di fantascienza metafisica e risvolti da melodramma romantico. (Déjà vu - Corsa contro il tempo; 2010, p. 387)
È un fantasy orrorifico che, con qualche effettaccio in meno e una maggior cura della storia e dei personaggi, poteva diventare memorabile. (Dèmoni); 2010, p. )
Interessante rivisitazione televisiva del Dracula (1897) di Bram Stoker, che Jack Palance impersona come una figura quasi patetica, vittima di un destino crudele. Atmosfera gotica sapientemente ricreata, grazie anche alla bella sceneggiatura di Richard Matheson. (Il demone nero; 2010, p. 392)
[…] è un'opera che ricorda Flaherty e Dovgenko per l'intensa, lirica, panteistica rappresentazione del rapporto tra uomo e natura. Dersu Uzala – impersonato con eccezionale mimetismo da un attore non professionista mongolo che nella vita fa il musicologo – vive in armoniosa e religiosa simbiosi con la natura, parla col fuoco e gli animali, ma ha poco da spartire con il mito del "buon selvaggio". (Dersu Uzala - Il piccolo uomo delle grandi pianure; 2000, p. 349)
Zeppa di coincidenze inverosimili, la storia di Martin Goldschmidt avrebbe potuto scivolare nel grottesco o nel ridicolo. In mano a E.G. Ulmer (1900-72), regista di serie B che fu rivalutato in Europa retrospettivamente, è diventato un piccolo noir di culto, raccontato con la tecnica del monologo interiore: un allucinato apologo sull'assurdo e sul caso. Ma è soltanto il caso che spinge Al Roberts a fare quel "detour" (svolta, deviazione)? (Detour - Deviazione per l'inferno; 2000, p. 353)
Con una prestigiosa compagnia di attori, i due registi ne hanno fatto una trasposizione forte, severa, teatraleggiante. (I dialoghi delle Carmelitane; 2000, p. 355)
Tracy gigioneggia e Sinatra gli va dietro in questo drammone quasi catastrofico dove lo zucchero del sentimento prevale sul sale dell'avventura. (Il diavolo alle 4; 2000, p. 358)
1° film sull'Italia del post-terrorismo, è un po' schizofrenicamente diviso tra un inseguimento personale di sogni e ossessioni e il bisogno di fare i conti con la realtà sociale. Avvince e convince di più sul primo versante. Disarmonico, sregolato, ricco di immagini inquietanti, con due interpreti parzialmente attendibili. (Diavolo in corpo; 2000, p. 359)
[DeMille] Spese 13 milioni di dollari (del '56!) per nominare il nome di Dio invano e ne incassò 43. Cocktail di grandiosità spettacolare e prudenti audacie erotiche. (I dieci comandamenti; 2000, p. 362)
Prodotta da M. Freeman (è costata pochissimo), uscita in sole 15 sale, ambientata in un sobborgo multietnico, è una deliziosa commedia di dialoghi – accusata in modo troppo semplicistico di retorica e moralismo – dove non succede nulla e si dicono tante cose. È un incontro tra due mondi, due sessi, due razze, due generazioni: due persone che riescono a comunicare per un giorno e si danno una mano, e ognuno dei due, alla fine, qualcosa ha imparato. Un po' melenso? Forse, ma averne! (10 cose di noi; 2010, p. 408)
Di altissima tenuta stilistica nella sua maestosità [...], di grande ricchezza psicologica e sapiente rievocazione storica, è una vetta nell'itinerario di Dreyer e nella storia del cinema. Per il regista danese – al di là delle interpretazioni che se ne possono dare – la più terrificante sequenza musicale della liturgia cristiana diventa un inno alla vita e alla libertà contro il fanatismo, l'intolleranza, la cecità spirituale degli uomini. (Dies irae; 2000, p. 363)
Uno dei più misconosciuti film americani di Lang che qui fa la spola tra Hitchcock (la suspense psicologica) e Sternberg (la profusione barocca delle scenografie). L'uso della voce off per esprimere i pensieri dei personaggi, la musica (M. Rosza), le scene, la fotografia (S. Cortez) contribuiscono a creare un'atmosfera affascinante. (Dietro la porta chiusa; 2000, p. 363)
Aperto alle influenze culturali più varie del suo tempo, Brusati si discosta volutamente dai canoni e dalle convenzioni del realismo il cui moralismo gli è indifferente ed estraneo. Sceglie i suoi personaggi alle due estremità della scala sociale dove è più facile cogliere i segni della disgregazione, scelta che gli permette una deformazione cara al suo gusto figurativo, ma che limita il significato di quel che racconta. (Il disordine; 2000, p. 369)
Maestro dell'horror, Fisher, classe 1904, ha resuscitato i vecchi mostri (Dracula, Frankenstein, l'Uomo Lupo, il dr. Jekyll) rinnovandoli con il colore. Il suo humour ha fatto il resto. Divertente. (Distruggete Frankenstein!; 2000, p. 370)
[...] è una specie di versione economica di Viale del tramonto senza finale tragico. (La diva; 2000, p. 371)
Cinema di grande sartoria. Nonostante l'elegante confezione, è una stolida e tragicomica burattinata, sontuosamente arredata, che si prende terribilmente sul serio. Antonelli inascoltabile. (Divina creatura; 2000, p. 372)
Viaggio attraverso il disgusto, cinegiornale e affresco di una Roma raccontata come una Babilonia precristiana, affascinante e turpe. Una materia da giornale in rotocalco trasfigurata in epica. Uno spartiacque nel cinema italiano, un film-cerniera nell'itinerario felliniano con la sua costruzione ad affresco, a blocchi narrativi e retrospettivamente un film storico che interpreta con acutezza un momento nella storia d'Italia. Dopo lo scandalo ecclesiastico e politico, un successo mondiale. Lanciò, anche a livello internazionale, il termine "paparazzo". (La dolce vita; 2010, p. 424)
Giallo mediocre che ricalca noti schemi. La mano di Siegel non è ancora riconoscibile, buona la fotografia. (Dollari che scottano; 2000, p. 376)
Con questo film dal taglio umoristico e sentimentale, Emmer contribuisce a un'importante tappa del cinema italiano: il trasferimento dell'esperienza neorealistica nella commedia di costume. Rivisto oggi, piace di più, forse, come testimonianza d'epoca che per le sue qualità intrinseche: come commedia è sgranato, come film neorealista anemico. Mastroianni doppiato da Alberto Sordi: allora capitava anche di peggio. (Domenica d'agosto; 2000, p. 378)
Su un sagace adattamento di Age & Scarpelli un film simpatico, agile nella regia "invisibile", apprezzabile nella descrizione ambientale e nella direzione degli attori [...]. (La donna della domenica; 2000, p. 384)
Il tema centrale è quello del doppelganger con la sua problematica del doppio, del bene e del male, dell'Ego e del Superego. Può essere interpretato come un romanzo di apprendimento il cui protagonista ha voluto dare un'occhiata dall'altra parte dell'abisso e ha imparato la lezione. Il labile confine tra innocenza e delitto e la potenziale colpevolezza di chiunque sono due temi tipici di Lang. La continuità con i suoi film tedeschi è palese. (La donna del ritratto; 2000, p. 385)
Film nero con fiocchi e controfiocchi che riesce a coniugare l'espressionismo tedesco e l'ambiente americano. Gli evidenti difetti di sceneggiatura sono riscattati dalla regia. Splendida sequenza di jazz con Elisha Cook Jr. alla batteria. (La donna fantasma; 2000, p. 387)
Ossessivamente attento alla fisicità del corpo umano, il cinema del siciliano A. Grimaldi approda qui alla sua inevitabile spiaggia: un porno-film arty dove assembla spogliarelli hard, iniezioni di un sociologismo d'accatto, un pasolinismo di terza mano, lavaggi igienici di organi sessuali, acrobatici congressi carnali subacquei, una misoginia di fondo accanitamente negata a parole. (La donna lupo; 2000, p. 388)
Soldati, scrittore e cineasta dalle molteplici risorse, offre a Nazzari l'occasione di rimettere a lucido la sua sorridente baldanza nella parte del celeberrimo Fra' Diavolo. Stringato, elegante. (Donne e briganti; 2000, p. 391)
[...] è uno dei meno noti e dei meno validi film di Sirk, un noir che appartiene al filone del thriller coniugale. Apprezzabile, comunque, per la cura dell'ambientazione, il ritmo e la finezza della suspense psicologica. (Donne e veleni; 2000, p. 392)
Gioca sui due tavoli dell'ironia parodistica e dell'erotismo romantico, puntando tutto sul fascino sparviero e l'eleganza alla Byron di F. Langella. (Dracula; 2010, p. 449)
Con La maschera di Frankenstein, è il prototipo della società britannica Hammer che influenza il cinema orrorifico degli anni '60, è il film che definisce l'aspetto moderno di Dracula (compresi i canini, invenzione di Fisher) con la sua inquietante dimensione di erotismo perverso, reso benissimo da Lee che pure è presente sullo schermo soltanto 9 minuti, resi intensamente suggestivi dal montaggio creativo e dalla musica di James Bernard. Pur con qualche variazione, la sceneggiatura di Jimmy Sangster è fedele al romanzo di Stoker e al suo spirito. (Dracula il vampiro; 2000, p. 402)
Qualche gag divertente, 2 sequenze di ballo, il fascino grifagno di Nielsen non riscattano un film parodistico che gira a vuoto o va sul facile. (Dracula morto e contento; 2010, p. 449)
Ideologicamente e figurativamente il film è in linea con l'altro, ma gli rimane inferiore. Notevole la sequenza della morte di Dracula nell'acqua gelata. (Dracula, principe delle tenebre; 2010, pp. 449-450)
In bilico tra sentimentale e comico, il film vince sul secondo versante, grazie soprattutto alla bravura dei suoi due protagonisti. Napoli contro Roma, match pari, ma entrambe hanno dato di meglio. (I due compari; 2000, p. 406)
Per il suo turgore melodrammatico è una sorta di anti-Roma città aperta in cui uno dei due maggiori registi italiani degli anni '30 cerca di mescolare il pubblico e il privato, adeguandosi all'aria neorealistica che tira. (Due lettere anonime; 2000, p. 409)
È, forse, il superwestern più costoso nella storia di Hollywood: 8 grandi attori, 50 attori medi, 6500 comparse, 6 registi (Vidor a un certo punto si ritirò per contrasti con il produttore David O. Selznick, il vero autore del film come lo era stato per Via col vento [...]). Una massiccia dose di sesso. Un fucile che spara dichiarazioni d'amore. Esaltato dagli uni per il suo barocchismo forsennato, deprecato dagli altri per la sua truculenza e i suoi eccessi che ne fanno un cartoon di passioni. (Duello al sole; 2000, p. 409)
Diretto dal realizzatore degli effetti speciali di 2001: odissea nello spazio, esordiente nella regia, (sceneggiato, tra gli altri, da Michael Cimino), è, pur con ingenuità e pesantezze didattiche, un buon esempio di cinema fantaecologico e apocalittico. Quasi un monologo per Dern, aiutato nel suo lavoro da simpatici robot. Bella colonna musicale di Peter Schickele. (2002: la seconda odissea; 2010, p. 461)
Continua a essere il film di SF più inquietante, adulto, stimolante e controverso che sia mai stato fatto, senza contare il suo fascino plastico-figurativo e sonoro-musicale. (2001: Odissea nello spazio; 2000, pp. 411-412)
Più che l'azione, piuttosto confusa e incoerente, conta l'atmosfera splendidamente resa all'insegna di un forte pessimismo ecologico sul Medioevo prossimo venturo. (2022: i sopravvissuti; 2000, p. 412)
[...] è un suspense congegnato con sagacia, calato in una coinvolgente atmosfera, girato quasi interamente in esterni a San Francisco, sostenuto dalla musica di Dimitri Tiomkin. (Due ore ancora; 2000, p. 412)
Dietro al film, scritto dal regista sulle testimonianze orali di un vero disoccupato e riscritto nei dialoghi in "napoletano universale" da Titina De Filippo, c'è una forte componente letteraria. Con Umberto D rappresenta paradossalmente, da posizioni opposte, il punto terminale della stagione neorealista: all'amaro pessimismo (e al fiasco commerciale) di De Sica-Zavattini corrispose il trionfo d'incassi e, in parte, di critica (1° premio al Festival di Cannes) del film di Castellani nel quadro di un vivace bozzettismo dialettale, di uno strenuo e accattivante vitalismo mediterraneo, di una protesta sincera e velleitaria e soprattutto di una naturale esuberanza giovanile. Sebbene la storia faccia perno sul personaggio maschile, è la donna che – come in altri film di Castellani – svolge un ruolo emblematico. (Due soldi di speranza; 2000, p. 415)
E
Una delle più classiche commedie di F. Capra, quella che gli fece vincere il 2° Oscar per la regia e l'unica in cui la lieta fine sembra completamente logica. Grazie a un'impeccabile sceneggiatura di Robert Riskin, questa favola da boy-scout non diventa una predica e non perde mai il suo swing. Una delle più divertenti scene di tribunale di tutto il cinema americano con un G. Cooper perfetto. (È arrivata la felicità; 2000, p. 419)
2 le star: il buono Damon (bravissimo, da premio) e la cattiva Foster, sobria, dura, elegante. Peccato che il film abbondi nel finale di una violenza stereotipata con troppi inverosimili corpo a corpo tra i nostri eroi e i malvagi ossequienti al potere. (Elysium[2])
Una delle carte vincenti è la sceneggiatura di Ronn Bass (Oscar per Rain Man) e William Broyles Jr. Mescola con astuzia il vecchio romanticismo delle commedie giallo-rosa su coppie in conflitto (Tracy-Hepburn, Bogart-Bacall), la strepitosa e acrobatica inverosimiglianza di James Bond e il dispiego della tecnologia digitale negli effetti speciali. Governa con sagacia, come dice il titolo ("Intrappolamento"), il tema dell'ambiguità (chi dei due imbroglia l'altro?) e amministra con pudore la latente dimensione erotica e la stoica senilità dell'eroe. Connery, anche dei produttori, rivela la sua vera età soltanto nel finale dopo aver impregnato il personaggio di umorismo crepuscolare. Ex ballerina e cantante, C. Zeta-Jones non è soltanto bella. Deboli i personaggi di contorno. (Entrapment; 2010, p. 485)
Più neocattolico che neorealista, meno abile di Il generale Della Rovere (1959) ma più autentico, il film conferma le qualità di Rossellini come poeta civile, ma è un po' prolisso ed edificante, qua e là di una simbologia grossolana. Magistrale l'uso dello zoom e una ottima Ralli. (Era notte a Roma; 2000, p. 432)
Tipica commedia degli equivoci con una vena grottesca insolita per l'epoca, almeno al cinema. Impagabile duetto Musco-Anselmi. (L'eredità dello zio buonanima; 2000, p. 434)
Non manca nessuno dei classici ingredienti del genere biblico-avventuroso: sentimenti con le maiuscole, intrighi, danze lascive, duelli e donne scoperte. C'è anche uno sforzo di analisi psicologica. (Ester e il re; 2000, p. 443)
Pur con la velleità di raccontare l'erotismo con l'ottica femminile, è un film per uomini soli. Ipocrita, fintamente trasgressivo, con qualche immagine indisponente. (Le età di Lulù; 2000, p. 444)
Film storico di indiretta propaganda antifrancese: figurativamente suggestivo (soprattutto nella battaglia finale) e narrativamente debole. (Ettore Fieramosca; 2000, p. 446)
La debolezza del film risiede nell'impossibilità di mostrare Evilenko in azione sostituita da immagini allusive o ammiccanti, mediocri, annacquate da dialoghi didattici, soltanto in parte riscattate dall'inquietante istrionismo ben temperato di McDowell. (Evilenko; 2010, p. 505)
Traducendo in film una sceneggiatura brillante e spiritosa A. Pietrangeli ha saputo narrare la sua favola surrealistica con un distacco e un'eleganza inconsueti alla commedia italiana. (Fantasmi a Roma; 2000, p. 460)
Curioso esempio dell'influenza del naturalismo francese su un melodramma italiano della gelosia. Attori efficaci, suggestiva fotografia di Aldo Tonti. (Fari nella nebbia; 2000, p. 462)
Rincorre modelli realistici francesi d'anteguerra adattandoli alla Roma minutamente cronistica e piccoloborghese del dopoguerra. (Fatalità; 2000, p. 463)
[...] esordio al cinema di K. Hepburn ancora inesperta ma già capace di dimostrare personalità, temperamento e talento. Ruba la scena al bravo J. Barrymore in una delle sue migliori interpretazioni. (Febbre di vivere; 2000, p. 468)
Accurata riduzione dell'omonimo dramma (1882) di Victorien Sardou. C. Mastrocinque, specialista di ricostruzioni ottocentesche, racconta con tempi e snodi plausibili. (Fedora; 2000, p. 468)
È un classico mélo hollywoodiano degli anni '40: perverso, affascinante, eccessivo in tutto, persino nelle scenografie. (Femmina folle; 2000, p. 470)
[...] è una commedia farsesca condotta a un ritmo accelerato che diventa precipitoso. I meglio fichi del bigoncio sono i numeri della rivista dove, oltre alla strepitosa buffoneria sicula di Musco, emerge la rumba danzata dalla Anselmi. (Il feroce Saladino; 2010, p. 534)
Sotto la scorza di un action movie si cela una commedia cerebrale, un film di idee che è anche un metafilm, una metafora del cinema. Il protagonista non vuole migliorare sé stesso né la realtà che l'ha deluso, ma adattarla ai suoi desideri. Dal romanzo (1996) di Chuck Palahniuk, sceneggiato da Jim Huhls, il 4° film del californiano Fincher conferma la sua perizia narrativa e la padronanza del mezzo, ma anche l'inclinazione a un nichilismo programmatico e a una perversa manipolazione dello spettatore. Dati i tempi, è divenuto, specialmente tra il pubblico giovane, un film di culto. (Fight Club; 2010, p. 538)
[...] un corretto film senza enfasi né inutili decorativismi ambientali. (La figlia del capitano; 2000, p. 476)
Due momenti forti in questo melodramma che fu la risposta (anticipata) della Warner a Via col vento: la scena del ballo e le sequenze dell'epidemia. B. Davis vinse il suo 2° Oscar dopo Paura d'amare (1935) e F. Bainter quello dell'attrice non protagonista. Soltanto nomination per la regia, la fotografia di E. Haller e le musiche di M. Steiner, tutte ammirevoli. (Figlia del vento; 2000, p. 477)
Con Catene e Tormento segnò l'apice del melodramma popolare strappalacrime e della coppia divistica Nazzari-Sanson. Solo i cuori di pietra non piansero. (I figli di nessuno; 2000, p. 478)
[...] parla al cuore in triplice modo: abilmente confezionato, efficacemente vivace in alcune scene, sottile in altre, furbo e accattivante. (Figli di un dio minore; 2000, p. 478)
È in assoluto il miglior film USA del 1960, e uno dei migliori di R. Brooks, romanziere, sceneggiatore e regista: un saggio inquietante e geniale sulla religiosità dell'homo americanus. (Il figlio di Giuda; 2000, p. 480)
Tratto da un dramma teatrale di Thomas Job, è un melodramma a suspense con risvolti incestuosi al quale, per ragioni di censura, fu imposta una conclusione assurda. Efficacemente fosco, fosforescente con forza. (La fine della famiglia Quincy; 2000, p. 482)
L'origine teatrale (Robert E. Sherwood, 1934) si sente: dialoghi letterari e verbosi, staticità dell'azione, recitazione sopra le righe. Ma c'è un fascino innegabile, specialmente per merito di H. Bogart nel suo primo ruolo importante. (La foresta pietrificata; 2000, p. 494)
Peripezie e pericoli a catena. Divertimento di alta classe sotto il segno di una libera e leggera fantasia ariostesca. È l'avventura allo stato puro con episodi di straordinario fascino. (La fortezza nascosta; 2000, p. 496)
Attraverso il guscio del film carcerario J. Dassin e il suo sceneggiatore Richard Brooks (da non dimenticare, però, i meriti del produttore Mark Hellinger) riescono non soltanto a rappresentare il conflitto dialettico tra la forza bruta (il capo delle guardie, ma anche il sistema carcerario) e la forza positiva (i carcerati), ma a impostare un tema sociale: quello delle energie che potrebbero essere utili alla comunità e che, invece, sono disperse o convogliate in movimenti distruttivi. Tutto concorre al forte risultato: la fotografia di W. Daniels, le musiche di M. Rosza, gli interpreti tra cui spicca H. Cronyn nella parte del sadico capo delle guardie. (Forza bruta; 2000, p. 497)
Più che personaggi i due attori sono funzioni di un programma, serviti da esecrabili e talora ridicoli dialoghi di Edith Bruck, che si muovono su uno sfondo troppo bello di Chioggia, in una villa troppo sontuosa, in un ambiente troppo raffinato, tutto fotografato con luci troppo morbide da Dante Spinotti. (Fotografando Patrizia; 2000, p. 499)
Parodia del romanzo (1897) di Bram Stoker di notevole impegno produttivo con qualche passaggio divertente. Gli autori sono passati in cineteca, le invenzioni buffe non mancano. (Fracchia contro Dracula; 2010, p. 565)
Romantico, divertente per la moltiplicazione di arrivi e entrate, la finezza delle gag, la garbata ironia sul rigido classismo britannico. (Fra le tue braccia; 2010, p. 566)
È violento e duro già nella cornice ambientale (un'Umbria umida, fosca, ventosa) cui hanno contribuito scene e costumi di D. Donati e la fotografia di G. Lanci e E. Guarnieri. Violento nella rappresentazione di guerra, prigionia, miseria, malattia, nella rievocazione della santità di Francesco, specialmente quando s'interroga, con uno strazio che sfiora la disperazione, sul silenzio di Dio. I suoi difetti sono quasi tutti per eccesso: ridondanza misticheggiante nelle musiche di Vangelis, una certa prolissità, spia di debolezza drammaturgica. (Francesco; 2000, p. 500)
Molti mezzi, scarsi risultati. Nonostante tutto, B. Dillman è un Francesco simpatico. (Francesco d'Assisi; 2000, p. 500)
[...] undici episodi [...] alcuni assai belli per la loro autenticità e la fresca ispirazione religiosa, altri un po' forzati e di religiosità troppo ufficiale, ma in sostanza l'adesione del fulmineo linguaggio rossellininiano all'interpretazione del francescanesimo imperniata sulla semplicità dà risultati straordinari. Girato con veri frati francescani e altri attori non professionisti. Il suo pregio maggiore è di aver trattato i Fioretti di San Francesco come episodi di Paisà. (Francesco, giullare di Dio; 2000, p. 501)
Prodotto da Carl Laemmle Jr. per la Universal, il film cancella quasi completamente le tracce della mediazione teatrale grazie alla sceneggiatura e soprattutto alla regia inventiva e figurativamente raffinata dell'inglese J. Whale. Oltre a lasciare il suo segno sul copione (è sua l'idea del mulino), scelse il compatriota B. Karloff per la parte del mostro e ne affidò il trucco a Jack Pierce. Il suo modo fluido di far muovere la cinepresa, insolito nel 1931 che valorizza le scenografie e i comportamenti dei personaggi e crea un'atmosfera di morbosa suggestione, impressionò il pubblico e sottrasse il film all'usura del tempo. Le sequenze da citare sono numerose: i funerali d'apertura; la nascita della "creatura" con il suo motivo ascensionale; l'incontro con la bambina; la folla dei contadini con le fiaccole; l'incendio conclusivo. Come nel romanzo di Mary Shelley, la colpa (il peccato) di Frankenstein non è di aver sfidato Dio nel creare la vita, ma nell'emularlo e nel competere con lui come padrone assoluto della "creatura". Lo dimostra la delicata sequenza in cui nella camera dove il suo creatore l'ha rinchiuso penetra un raggio di sole, accolto dal "mostro" con un mezzo sorriso. Immediatamente Frankenstein gli toglie la luce, ossia, simbolicamente, ogni conoscenza che non venga da lui. Il vero crimine di Frankenstein è contro la società. (Frankenstein; 2010, p. 568)
Tratto da una commedia (1930) di Alberto Colantuoni, risente negativamente della struttura teatrale di origine. Tuttavia in C. D'Errico c'è il puntiglio di sviluppare "cinematograficamente" la vicenda. (I fratelli Castiglioni; 2000, p. 505)
2ª regia del trentenne e raffinato A. Lattuada. Poco più di un esercizio di stile, ma l'omonimo romanzo (1913) di Luciano Zuccoli gli dà la prima occasione di esplorare la sessualità infantile e giovanile. (La freccia nel fianco; 2000, p. 508)
Tratto da un dramma (1956) di Henry Denker e Ralph Berkey, mantiene inalterata la struttura teatrale d'origine riuscendo così pesantemente verboso. Film di propaganda anticomunista? In parte, ma originale, insolito. Unica regia dell'attore K. Malden. Peccato. (Il fronte del silenzio; 2000, p. 510)
Uno dei più garbati e spiritosi film di Bragaglia, autore anche di soggetto e sceneggiatura, in quel periodo attivissimo (17 film dal 1940 al 1943). Intelligente con leggerezza. (Fuga a due voci; 2010, p. 579)
D. Siegel riscatta gli stereotipi prosciugandoli con lo stile. Fa economia di tutto, perfino della violenza, con una tensione che arriva alla suspense ma senza cercarne gli effetti. È un film da scuola del cinema, una vetta del genere carcerario. (Fuga da Alcatraz; 2000, p. 512)
Racconto di fantascienza che non lesina sul piano del meraviglioso, aiutato dalla suggestiva fotografia di Ernest Laszlo. Come dire che la cornice vale più del quadro. C'è, infatti, debolezza logica, confusione, mancanza di stile. (La fuga di Logan; 2000, p. 513)
Lacrime e vecchi merletti. Tipico dramma romantico con targa M-G-M. È uno straripamento di ricordi d'amore e nostalgie. D. Niven poco convincente, attorniato da uno stuolo di garbate interpreti. (Fuga nel tempo; 2000, p. 514)
[...] un film pulito, scorrevole, diretto con mano leggera incline al pastello più che alle forti tinte. (La fuggitiva; 2000, p. 514)
In un primo tempo doveva chiamarsi Montelepre con un preciso riferimento a Salvatore Giuliano e la sceneggiatura fu rimaneggiata più volte. Il risultato è un film inutile, superficiale e privo di drammaticità. (I fuorilegge; 2000, p. 519)
2º, e il migliore, dei 4 film tratti dal celebre giallo (1902) di Arthur Conan Doyle. Atmosfera suggestiva, suspence e un P. Cushing infalllibile come Sherlock Holmes. (La furia dei Baskerville; 2000, p. 520)
Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, J. Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell'uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò [...] il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l'ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). (Furore; 2000, p. 521)
È il film che lanciò Bruce Lee a livello internazionale. Benché approssimativo sotto molti punti di vista, è importante perché a) segna una svolta nel cinema d'azione di Hong Kong in direzione del realismo, riportando l'attore e le sue esibizioni atletiche al centro del racconto; b) apre la strada ai film di kung fu degli anni '70 anche se nella maggior parte sono di qualità mediocre o pessima. (Il furore della Cina colpisce ancora; 2000, p. 521)
G
Imperniato sul tema del dialogo e del conflitto (tra uomo di cultura e autorità; tra il credente e la Chiesa o, meglio, gli uomini che la rappresentano; tra la Curia e la chiesa conciliare), nonostante le rigidità didattiche e le secche illustrative, il film brucia quasi completamente gli schemi convenzionali del cinema biografico e trasforma la ricostruzione del passato in azione presente. È, insieme, la tragedia di un uomo in anticipo sui tempi e la storia di una ingenuità. (Galileo; 2000, p. 525)
Un film noir abbastanza insolito con due grandi interpretazioni e un finale bizzarro. La vicenda di The Racket si basa su un precedente film del '28, di Lewis Milestone, ma questo lo supera in atmosfera. (La gang; 2000, p. 526)
L'intreccio è frusto e i personaggi stereotipati nelle loro nevrosi: perciò è il più debole dei film neri del Lang hollywoodiano, ma, grazie anche alla fotografia di Pasquale Musuraca, giocata sui grigi, la firma del regista è leggibile nell'atmosfera, nei particolari, nel modo con cui segue i personaggi. (Gardenia blu; 2000, p. 529)
3ª regia di V. De Sica che s'è riservata la piccola parte di Nino Bixio, è un film medio assai piacevole che evita gli scogli del patetismo, raccontato con mano agile e leggera, molto curato tecnicamente e ben recitato. (Un garibaldino al convento; 2000, p. 529)
Tratto da un racconto di Indro Montanelli, è il meno originale degli ultimi film di R. Rossellini, girato su commissione a basso costo, ma il più efficace e accattivante, di notevole interesse tecnico-stilistico per una serie di espedienti che il regista avrebbe poi usato nel suo lavoro per la TV. V. De Sica modula da maestro il suo gigionismo. (Il generale Della Rovere; 2000, p. 533)
Nonostante i rimandi a Solaris di Stanislaw Lem e a Cronache marziane di Ray Bradbury, la sceneggiatura è una volta di più l'anello debole della catena. (Generazioni; 2010, p. 600)
È l'itinerario alla scoperta di sé stesso che porta a Dio. Il decoro, l'onestà intellettuale e le nobili intenzioni degli autori sono fuori discussione, ma in questo Jeoshua di Rossi Stuart – che non soccombe al ruolo, e non è poco – si avverte la preoccupazione ecumenica (ed economica) di non sollevare polemiche, non turbare, non offendere, evitare scorrettezze. Ne risulta una rappresentazione senza una vera forza, frenata e prudente. Anche a livello iconografico non c'è una scelta stilistica personale, ma una sintesi del cinema cristologico che sfiora e spesso scade nella galleria del "già visto". (I giardini dell'Eden; 2000, p. 540)
Film di culto per i fan di Rita, corpo d'amore ribelle al suo ruolo di oggetto, che canta meravigliosamente "Put the Blame on Mame" e danza splendidamente "Amado mio". L'assurdità dell'intrigo diventa un difetto secondario in questa miscela di noir e melodramma passionale in cui i dialoghi di Marion Parsonnet sono di un Kitsch che sfiora il sublime. La latente carica omosessuale di questa pietra miliare nella storia del divismo fu scoperta soltanto dalla critica europea. (Gilda; 2000, p. 544)
La parte telefonica è divertente, induce a pena (per i maschietti) o mette i brividi. Ben doppiata da Laura Boccanera, T. Randle è simpatica, sexy, fin troppo brava. Ma il conflitto interiore che porta la protagonista a confondere finzione e realtà è raccontato in modi stentati. Che sia un'autobiografia camuffata, quella di Suzan-Lori Parks che l'ha scritta? Ghiotte imitazioni filmiche [...]. (Girl 6 - Sesso in linea; 2000, p. 560)
Visto oggi, suscita reazioni diverse. Inferiore nelle scene di massa ai film in costume italiani di quegli anni, si distingue per il tentativo di dare una misura umana, dolente, quotidiana ad avvenimenti lontani nel tempo. Molti difetti tra cui una goffa Giuditta (B. Sweet) e la ridicola scena dei baccanali, ma almeno due sequenze notevoli: la sortita dei difensori per l'acqua e la caduta di Betulia. (Giuditta di Betulia; 2000, p. 561)
Se non lo si prende troppo sul serio, diverte. (Godzilla; 2000, p. 569)
L'attore B. Affleck, anche sceneggiatore con Aaron Stockard, esordisce in regia col romanzo La casa buia del bostoniano Dennis Lehane, autore di Mystic River, delegando la parte del protagonista al fratello Casey, che se la cava. Più adatto, forse, a stare dietro alla macchina da presa che non davanti, non riesce però a fare un film originale, a prescindere da un ingegnoso confronto col grande talento di Clint Eastwood. Racconto manicheo, personaggi inamidati, più di un finale senza vere sorprese. (Gone Baby Gone; 2013, p. 678)
Conclusione di amaro patetismo retrospettivo, ovvero: come arrivare alla verità attraverso la menzogna. Commedia agrodolce che diverte, commuove e fa pensare, grazie al personaggio della madre, meno comunista di quel che sembra. Il merito è della sceneggiatura di Bernd Lichtenberg che parte da uno spunto simile a quello di Underground di Kusturica. Al suo 3° lungometraggio per il cinema, Becker, anche cosceneggiatore, controlla il traffico, ma fa poco per evitare o coprire i passaggi cuciti col filo bianco. Grande successo in Germania. (Good Bye, Lenin!; 2013, p. 679)
Lotta di amore e odio tra due cugine sullo sfondo della guerra civile. [...] Uno dei 4 film di B. Davis del '39 e una delle sue interpretazioni migliori. Drammone coi fiocchi. (Il grande amore; 2000, p. 574)
Nonostante le apparenze, è un nero più che un poliziesco. Uno dei migliori risultati, comunque, del Lang americano, e uno dei suoi film più "politici" in forma di un'amara riflessione sulla corruzione, la vendetta, i limiti della legalità. Eccellente il reparto degli attori tra cui spicca G. Grahame: è lei la vera eroina della storia, e non soltanto per la famosa scena del caffè bollente. (Il grande caldo; 2000, p. 575)
Robusto romanzo popolare, notevole per la coesione delle sue componenti: recitazione, miscela linguistica (dialetti italiani, il castigliano), valori figurativi (fotografia di Arturo Gallea), attenzione al materiale plastico. È uno dei più interessanti prodotti del cinema del periodo fascista per il modo con cui combina i valori di un cattolicesimo arcaico, dell'ideologia ruralista e del nazionalismo. (La grande luce (Montevergine); 2000, p. 579)
R. Siodmak, prigioniero forse del proprio ruolo di regista del brivido, cerca di rinnovarsi con una ricostruzione (sfarzosamente hollywoodiana alla M-G-M) della figura di F.M. Dostoevskij e del noto romanzo (Il giocatore, 1867). Riconoscibile il suo senso della suspense nelle sequenze della roulette. (Il grande peccatore; 2000, p. 581)
Nonostante il titolo, il personaggio centrale dell'azione (Arabia romana, Galilea, Giudea, Roma) non è il pescatore Simone (Keel), destinato a diventare la kepha (roccia), dunque Pietro, del cristianesimo. L'epicentro del dramma è l'amore contrastato della principessa meticcia Fara (Kohner) e del principe Voldi (Saxon) e l'influenza che esercita su loro Simon Pietro, dissuadendo Fara dall'uccidere il padre Erode Antipa (Lom), dispotico tetrarca di Galilea, che aveva rinnegato sua madre araba Arnon per sposare la depravata Erodiade (Hyer). Nella sceneggiatura che si discosta nettamente dal mediocre romanzo di Douglas, Fara, costretta a rinunciare, in quanto meticcia, all'amore di Voldi, torna in Giudea al fianco di Simone per aiutarlo nell'opera di riconciliazione tra arabi ed ebrei. Confuso con i numerosi colossi storico-biblici prodotti alla fine degli anni '50, il film ebbe accoglienze critiche tiepide o negative, comunque superficiali. Soltanto pochi recensori francesi – tra cui Jacques Joly sui Cahiers du Cinéma – seppero coglierne i pregi, non soltanto figurativi, e la diversità. (Il grande pescatore; 2010, p. 649)
Realizzato con grandi mezzi dalla Fox, è un efficace cocktail di spettacolari effetti speciali e dolorosi sentimenti. Bravi caratteristi, un ottimo G. Brent [...] e un T. Power un po' assurdo come medico indiano. (La grande pioggia; 2000, p. 581)
Brutto film, con tre o quattro belle sequenze. Lo riconosce lo stesso regista che avrebbe voluto girarlo con pescatori veri e in bianconero. Ha le incertezze delle opere prime, ma anche l'onestà. (La grande strada azzurra; 2000, p. 584)
Sullo sfondo di un'America di carta ricostruita a Cinecittà un giallo sciattamente diretto e maldestramente recitato. Se aveva avuto successo a teatro, perché G. Giannini [...] non si è fermato lì? (Grattacieli; 2000, p. 586)
Che strazio, però, quando i personaggi parlano. (La guerra dei mondi; 2000, p. 592)
Nato da una sceneggiatura tormentata (cui posero mano una dozzina di persone di cui solo sei accreditate), è un colossal frutto di due tendenze inconciliabili: l'intenzione dei produttori Ponti-De Laurentiis di farne un grande e rutilante spettacolo di massa e l'ambizione del regista di rispettare lo spirito del testo (facendo perno sul personaggio di Pierre-H. Fonda) nell'ottica del proprio mondo. Prevalse la prima, rimangono alcune tracce della seconda. (Guerra e pace; 2000, p. 593)
H
Aldo Fabrizi – che sostituì Mario Bonnard alla regia – parte da uno dei suoi più riusciti personaggi teatrali per mettere insieme una commedia piacevole e ricca di spunti comici mescolati a momenti realistici e drammatici. (Hanno rubato un tram; 2000, p. 599)
Film di propaganda anti-americana che quasi diventa un atto d'accusa contro il razzismo dei bianchi. Rozzo, goffo, melodrammatico, ma efficace, col piede sull'acceleratore. Spiccano le sequenze pugilistiche, grazie anche all'apporto di Spalla, Carnera, Longo, Venturi, Silvestri. (Harlem; 2000, p. 601)
O sta per Obbediente, per Oca o per zero? In Francia, dove ebbe grande successo (in Italia un po' meno), offrì a molti spettatori l'alibi culturale (del "buon gusto") per fare i guardoni a pagamento, ma è un album di immagini patinate animato con uno stile da carosello pubblicitario, un prodotto in linea con l'ideologia capitalistica dominante fondata sull'avere invece che sull'essere. Non a caso la bella O fa la fotografa di moda. (Histoire d'O; 2000, p. 607)
Prodotto dal geniale Val Lewton per la RKO e basato su una sceneggiatura di Curt Siodmak e Ardel Wray, vagamente ispirata a Jane Eyre (1847) di Charlotte Brontë, è un dramma psicologico più che un horror vero e proprio, sebbene la finale sequenza notturna, il climax del film, ispiri autentico spavento. (Ho camminato con uno zombi; 2000, p. 608)
I
1° grande successo di M. Mattòli [...], 1° film importante per E. Macario, 1° vero film comico del cinema italiano sonoro. E. Almirante superlativo come presidente del tribunale. Ritmo incalzante, dialogo scoppiettante. (Imputato, alzatevi!; 2000, p. 624)
C. Gora ha diretto un film leggero che non offende i diritti dell'intelligenza. Ha una spina dorsale, situazioni azzeccate, un dialogo spiritoso e una vena satirica non disprezzabile. (L'incantevole nemica; 2000, p. 626)
Bizzarro e, forse, sottovalutato noir [...]. (Incatenata; 2000, p. 626)
[...] è un film fatto su misura per un pubblico infantile, ma che probabilmente piace più agli adulti ambientalisti (come evasione dallo stress quotidiano) che ai bambini. Troppi messaggi edificanti condensati in un prodotto che è, insieme, racconto di formazione, dramma familiare a lieta fine, apologo animalista ed ecologico, requisitoria contro la civiltà dei consumi e l'onnipotente legge del profitto. Qua e là si sentono la mano e il talento di C. Ballard (1937), ex documentarista che si è avvalso, come in Black Stallion, della fotografia di Caleb Deschanel di uno splendore cromatico incline allo stile del "National Geographic". (L'incredibile volo; 2000, p. 630)
Dal romanzo Dodsworth di Sinclair Lewis, già adattato per il teatro. In questo film, ammirevolmente recitato, c'è il romanzo, c'è la commedia, c'è soprattutto Wyler. (Infedeltà; 2000, p. 635)
Da un materiale pulp, da lui completamente riscritto in meno di un mese, Welles (1915-85) ha tratto un capolavoro del cinema nero, componendo un memorabile ritratto di "uno sporco poliziotto, ma, a modo suo, un grand'uomo": personaggio di tragica statura shakespeariana nel contesto di una miserabile cittadina di frontiera (Tijuana, filmata a Venice, California). Straordinario film (bianco e nero di Russell Metty con focali corte, inquadrature insolite, piani-sequenza vertiginosi tra cui quello celeberrimo d'apertura) per stile, virtuosismo di scrittura, invenzioni e galleria di personaggi tra cui spicca la bruna chiromante di M. Dietrich: i personaggi vi contano più dell'azione, l'atmosfera più dei personaggi. [...] È con Rapporto confidenziale la vetta del barocchismo wellesiano. (L'infernale Quinlan; 2000, p. 636)
[...] è un film francese (nell'ambientazione e nello spirito) più che italiano, immoralista più che osceno, impregnato con elegante leggerezza di succhi antiborghesi, antimilitaristi, anticlericali. Musiche valzeristiche di Nicola Piovani, luminosa fotografia di Luigi Verga, un protagonista che recita sopra le righe. (L'iniziazione; 2000, p. 640)
È un archetipo delle love-story hollywoodiane, apprezzabile per la sua concisione, la fotografia del grande Gregg Toland, la recitazione, i 22 anni radiosi di I. Bergman. (Intermezzo; 2000, p. 646)
Un convento di suore nell'Italia centrale del primo Ottocento si trasforma in una polveriera di sensualità repressa. Le giovani vi apprendono, tra le braccia di maschi gagliardi, tutte le frodi della carne sapiente o si dedicano all'autoerotismo con acconci strumenti o sublimano il desiderio frustrato in mistici deliri. Le anziane sono bigotte avvizzite o, come la badessa, impersonano l'ipocrisia organizzata e autoritaria. Alla fine la polveriera esplode in una sequenza di follia liberatrice che fa il paio con quella iniziale della chiesa trasformata in sala da ballo. Ma il film è monotono e ripetitivo come un esercizio formalistico: alla povertà dei significati fa da pendant un eccesso di scoptofilia. Fotografia raffinata di Luciano Tovoli. (Interno di un convento; 2000, p. 646)
Rispetto a Gattaca (1997), è un efficace esempio di SF d'azione, ricco di inseguimenti e sparatorie. Tra i 2 protagonisti, Bonnie & Clyde del futuro, il più incisivo è Timberlake. Tra le figure di contorno spicca Murphy nella parte di uno sbirro traditore delle sue origini sociali. Rarefatto, ossessivo e, a modo suo, dogmatico. Il neozelandese Niccol rimane un cineasta-autore da seguire. (In Time; 2013, p. 780)
Dal racconto di Richard Washburn, Il soffio dell'Eliotropio, erano già stati tratti 3 film [...]. Questo è una trasposizione sdolcinata con un buon cast. (Io la difendo; 2000, p. 655)
Da una trama così convenzionale non si poteva pretendere di più. Recitazione spesso noiosa, assediata da dialoghi logorroici. (Io, mammeta e tu; 2000, p. 655)
Decoroso melodramma per donne con una B. Davis sempre registrata come un cronometro svizzero. Qui il suo personaggio è positivo. Brevi, non grandiose ma efficaci le scene del terremoto. (Io ti aspetterò; 2000, p. 657)
J
La storia di uno dei più mitici banditi della Frontiera – rivisitata poi parecchie volte in modi diversi – è esposta in questo film Fox in cadenze storicamente improbabili, ma suggestive nel suo impasto di scene d'azione e di sequenze di vita familiare. L'asciutta e tagliente regia di H. King, in contraddizione con la moraleggiante sceneggiatura di Nunnally Johnson, ne fa uno dei pochi memorabili western degli anni '30. (Jess il bandito; 2010, p. 763)
[...] bizzarra miscela di fantasy, brivido e umorismo macabro che ha il merito di portare le sue premesse sino alle estreme conseguenze. (Killer Klowns from Outer Space; 2011, p. 778)
[...] l'australiano Beresford tenta di staccarsi dai "colossi" storico-religiosi hollywoodiani, riuscendovi soltanto in parte. Esterni in Sardegna esaltati dalla fotografia di Donald McAlpine, pregevoli i contributi di K. Adam (scene) e J. Mollo (costumi). Più che Gere, attore di medie virtù, spicca E. Woodward, re Saul di epico spessore. (King David; 2000, p. 685)
L
Riduzione di un testo teatrale, scritto e messo in scena dallo stesso R.W.F. l'anno prima, è il più autobiografico tra i suoi primi film e un ammirevole esempio di trasposizione dal palcoscenico allo schermo. Attraverso la duplice dialettica servo/padrone e amore/denaro sfocia, con la protagonista che alla fine si ritrova nella situazione di partenza, in un melodramma tipicamente fassbinderiano. (Le lacrime amare di Petra von Kant; 2000, p. 691)
[...] è – con Umberto D (1952) – il risultato più alto del sodalizio De Sica-Zavattini e uno dei capolavori del neorealismo, quello che con Roma, città aperta (1945) fu più conosciuto all'estero. L'amore per i personaggi diventa vera pietà, la poesia del quotidiano non nasconde la realtà sociale. (Ladri di biciclette; 2000, p. 692)
Poco amato dagli hitchcockiani "puri" – e dallo stesso regista a causa degli errori di costruzione drammatica, dovuti alla deliberata fedeltà ai fatti; inoltre non ebbe successo di pubblico –, è un cupo, austero apologo sui temi del falso colpevole, del doppio e dell'inconscia paura di vivere. Frutto di una visione cristiana del mondo, fondato sul peccato originale [...]. H. Fonda, così neutro, è perfetto, ma V. Miles non gli è inferiore. (Il ladro; 2000, p. 692)
Abilmente in bilico tra realismo e fantasia, è più interessante che divertente. (Un ladro in paradiso; 2000, p. 694)
Il romanzo di P. Festa Campanile (1977) non è senza meriti, ma, trasposto in film, perde in sottigliezza quel che acquista in comicità farsesca. E. Montesano s'impegna assai, C. Cassinelli fa un Cristo dignitoso. (Il ladrone; 2000, p. 694)
Da un best seller (1903) di Henry De Vere Stacpoole, già portato sullo schermo in Inghilterra nel 1949 con Incantesimo nei Mari del Sud. R. Kleiser, regista buono a poco e capace di tutto, ne ha cavato uno sciropposo fotoromanzo sentimentale, tutto imperniato sull'attesa: quando fornicheranno? Bella fotografia di Nestor Almendros. (Laguna blu; 2000, p. 695)
Fanno da traino a questa commedia toscana di caratteri la mora M.G. Cucinotta e A. Haber, prof. di filosofia e pittore della domenica, che si esibisce in una breve scena di infallibile recitazione spiritata. Commedia simpatica e fluttuante dove si colgono i debiti verso Amici miei, gli echi dell'umorismo sulfureo dei Giancattivi e le tracce del naturalismo sociale nel quale si muovono i film-maker toscani con il loro campione Giuseppe Ferlito. (I laureati; 2000, p. 700)
Singolare equazione tra l'orripilante occidentale e il sadico orientale, unisce l'horror film di vampiri più classico al genere kung-fu. Un po' gratuito a livello narrativo, ma a modo suo affascinante. (La leggenda dei 7 vampiri d'oro; 2000, p. 703)
Visionario e rarefatto, ermetico e allegorico, incline al manierismo, ma con molti momenti e immagini di solenne bellezza. (La leggenda della fortezza di Suram; 2010, p. 801)
Thriller condotto con efficacia per tenere lo spettatore in tensione fino al finale a sorpresa. (La lettera accusatrice; 2000, p. 709)
Scritto con Franco Bernini e Umberto Contarello, il 7° film di Mazzacurati è più intelligente che riuscito, ma rimane un paradosso: la più originale commedia italiana della stagione 2000-2001 non ha trovato pubblico forse perché raffinata nella scrittura registica (la dolcezza dei paesaggi veneti nelle luci dell'ottimo A. Pesci), troppo agra e ironica nel tratteggiare il triste benessere e l'arroganza aggressiva del Nordest opulento, troppo intenta nell'esprimere empatia o nel concedere simpatia ai suoi due dropout (che poi sono due mona per il loro pessimo rapporto col denaro), ma anche alla vitalità cialtrona del "rom" di Bertorelli. Insomma: troppo colto e anomalo per avere successo. Recitato bene da tutti, benissimo da Bentivoglio. (La lingua del santo; 2010, p. 815)
[...] è un film edificante che gronda di buoni sentimenti. Inutilmente M. Robson cerca di dargli il taglio di un racconto di azione avventuroso-bellica. [...] Segnò la definitiva riconsacrazione di I. Bergman dopo lo scandaloso matrimonio con R. Rossellini. (La locanda della sesta felicità; 2000, p. 718)
Poco apprezzato dalla maggior parte dei pedanti critici dell'epoca, il 1° film britannico di S. Kubrick migliora ogni anno che passa: anche a livello stilistico e drammaturgico, la scrittura filmica rivela le sue qualità, reggendo il confronto con la capziosa prosa di Nabokov. Più che un dramma, è una inventiva e persino divertente commedia nera in cui si riconoscono diversi temi del successivo cinema kubrickiano. Recitazione ad alto livello con un P. Sellers straordinario nel suo proteiforme istrionismo. (Lolita; 2000, p. 720)
2° film di Macario, restituito alle sue origini piemontesi, girato a gran velocità dopo Imputato, alzatevi!, inzeppato di riferimenti di attualità. Le connotazioni piccolo borghesi del comico cominciano ad accentuarsi. (Lo vedi come sei... lo vedi come sei?; 2000, p. 723)
È il 1° film con A. Valli-F. Giachetti, una coppia che diventerà famosa in quegli anni. Il 1° in cui M. Mattòli fa tutto da solo. Il 1° presentato con la frase di lancio "i film che parlano al vostro cuore". A. Valli e C. Calamai incredibilmente sorelle. (Luce nelle tenebre; 2000, p. 724)
[...] l'idea di origine non è male, ma A. Chiesa non ha saputo farne buon uso. Inerte e prolisso. (Luci lontane; 2000, p. 726)
Si sente la mano di Cecil de Saint-Laurent, autore di Caroline Cherie e sceneggiatore con Christian-Jaque e con Jacques Sigurd: è storia spudoratamente romanzata. Spettacolo fastoso di cartapesta. Cauto erotismo di lusso sapientemente amministrato. Lucrezia più disgraziata che colpevole. (Lucrezia Borgia; 2000, p. 726)
Sullo sfondo (allora quasi inedito per il cinema) dei monti calabresi si svolge un dramma rusticano di passioni e psicologie elementari e schematiche, ma – in coppia con S. Mangano reduce da Riso amaro – A. Nazzari dà una delle sue migliori interpretazioni. (Il lupo della Sila; 2000, p. 733)
M
Irrealista sino all'astrazione, ma con una carica critica verso la rigidità del sistema scolastico. (Maddalena... zero in condotta; 2000, p. 740)
[...] ha le ambizioni di una favola simbolica sul rifiuto di uscire dal mondo incantato dell'infanzia e sul modo con cui si avvelenano i suoi "verdi paradisi". In assenza di un linguaggio pertinente, lo scavalcamento del livello realistico per attingere i cieli alti del lirismo e della metafora si trasforma in comicità involontaria. Volonterosamente filodrammatici i 3 interpreti. (Maladolescenza; 2000, pp. 748-749)
È il 3° Frankenstein, e il peggiore, dell'onorevole Mr. Fisher, mal servito da un copione che sembra scritto in stato di ebbrezza alcolica. (La maledizione dei Frankenstein; 2000, p. 750)
R. Matarazzo (1909-66) ricalca con stanco languore temi, toni e metodi della stagione felice di Catene e Tormento, rimettendo insieme per l'ultima volta la coppia Nazzari-Sanson. È un cinema che si ripiega su sé stesso e si affloscia. (Malinconico autunno; 2000, p. 751)
È la stuzzicante commedia erotica – a Catania, anni '50, aria alla Brancati – che lanciò la farinacea L. Antonelli, splendidamente fotografata dal grande Vittorio Storaro. (Malizia; 2000, p. 751)
Curioso film, ricco di possibilità sostanzialmente non realizzate a causa di un intreccio debole e un po' confuso, ma anche di momenti interessanti e di un'ambientazione suggestiva. (La mano dello straniero; 2000, p. 758)
Un classico del genere strappalacrime-cattolico-edificante ad alto tasso di zuccheri sentimentali. (Marcellino pane e vino; 2000, p. 761)
Realizzato con mano sicura e con una grande ricchezza di mezzi, si avvale del fior fiore degli attori dell'epoca con una galleria di tipi ben caratterizzati, di una cornice decorativa di calibrata eleganza e di un adattamento, curato dal regista col commediografo Alessandro De Stefani, di apprezzabile stringatezza. È, a ritroso, l'elogio della nuova borghesia postrisorgimentale, opposta alla fatua decadenza dell'aristocrazia. Notevoli contributi di Ottavio Scotti scenografo e Maria De Matteis costumista. (I mariti - Tempesta d'amore; 2000, p. 768)
Forse il film più psicanalitico di A. Hitchcock, e uno dei più incompresi e sottovalutati, uno dei suoi pochi insuccessi di pubblico. Divise anche la critica: i più lo considerano poco riuscito, nonostante la sua inquietante intensità (vicina a quella di Vertigo), i meno lo tengono per un capolavoro per il modo con cui in questa perversa storia d'amore si alternano fiamme romantiche, misteri contorti della psiche, sospetti polizieschi. Memorabile interpretazione di T. Hedren (1935), mentre quella di S. Connery (1930) soffre dell'irrisolta duplicità con cui è scritto il personaggio: il suo atteggiamento protettivo (anche per autocensura) prevale troppo sul feticismo sadico. (Marnie; 2000, pp. 770-771)
È il 1° dei 6 film Paramount della coppia Sternberg-Dietrich. È anche il solo dove il mito di Lola-Lola è confrontato con un altro mito divistico, quello di un uomo fatale, concupito da tutte e inafferrabile. Tratto da un romanzetto di Benno Vigny, è incantevolmente e perversamente stupido. (Marocco; 2000, p. 771)
Scritto da Paddy Chayefsky, ha il respiro narrativo di un racconto e le sue origini televisive sono evidenti. Un film senza grossi drammi, senza psicanalisi, che narra una realtà che diventa verità. È il primo dei teledrammi che verso la metà degli anni '50 furono rifatti a basso costo per il cinema, portando una ventata d'aria fresca nel cinema hollywoodiano. Anche se oggi la sua novità è difficilmente riconoscibile, grande fu la sua importanza storica. (Marty, vita di un timido; 2000, p. 772)
Attraverso la finzione romanzesca Ford e il suo sceneggiatore Frank S. Nugent alludono a Custer e alla disfatta di Little Big Horn. Delizioso nella descrizione della vita in un forte, dialettico nella contrapposizione ideologica dei vari modi di concepire l'onore, la disciplina e gli altri caratteri della vita militare. (Il massacro di Fort Apache; 2000, p. 776)
[...] è sicuramente il più costoso, probabilmente il più cupo, forse il più fantasioso cyber-action movie degli anni '90. Frutto di una disinvolta ibridazione tra il cinema d'arti marziali di Hong Kong, l'ideologia violenta del videogame, la fantascienza alla P.K. Dick e la grafica dei fumetti, è un giocattolone divertente a livello figurativo e scenografico e sul piano dell'azione: sdoppiamenti, combattimenti, effetti speciali a iosa. Nel resto è un pastrocchio saccente e misticheggiante. I suoi fautori, interessati e non, sostengono che bisogna vederlo tre volte: la prima per l'impatto emotivo, la seconda per capire la storia, la terza per coglierne i significati più profondi. (Matrix; 2000, p. 780)
Guai a catena. Con la regina del melodramma italiano degli anni '50, Y. Sanson, più infelice e disgraziata che mai. Bisogna avere un cuore di pietra per non divertirsi. (Menzogna; 2000, p. 785)
Il grande impiego di mezzi, la cura per i costumi e l'ambientazione non bilanciano lo scarso approfondimento dei caratteri e il ritmo sonnolento della narrazione. (Le meravigliose avventure di Marco Polo; 2000, p. 786)
[...] 5° film di N. Moretti, il più grave e il meno nevrotico: la pena prevale sul sarcasmo, la costernazione sull'indignazione. Pur nel suo lucido laicismo di fondo, è il 1° film italiano sulla condizione sacerdotale. Nonostante una certa invadenza dell'attore a scapito del regista, Moretti ha alzato il tiro e fatto centro. (La messa è finita; 2000, p. 788)
Ispirata ai quattro Vangeli (ma in particolare a quello di Marco) con una forte componente mariana e una premeditata omissione del contesto storico-politico, questa vita di Cristo si rivolge all'umanità più che alla divinità del personaggio, espungendo gran parte dei miracoli e le profezie sulla fine del mondo e riducendo al minimo i riferimenti al soprannaturale. Esplicitamente popolare nel rispetto della tradizione iconografica, quasi da presepio, è un film tutto rosselliniano nell'illuminata indolenza, nel ritmo incalzante, nella disadorna semplicità della scrittura, nella trasparenza dello stile che può sembrare sciattezza. (Il messia; 2000, pp. 788-789)
Raccontato in tempo reale con una ingegneria narrativa che ha il suo culmine nella sparatoria finale, è una lezione di etica civile in forma di western e soffre di un certo schematismo delle psicologie e della tesi. (Mezzogiorno di fuoco; 2000, p. 791)
Campione stagionale d'incassi negli USA in guerra, questa commedia sentimentale, imperniata sui buoni sentimenti e su un'idillica visione del mondo, può apparire oggi sdolcinata e svenevole, ma i duetti tra B. Crosby e B. Fitzgerald rimangono deliziosi. (La mia via; 2000, p. 794)
Caposaldo del cinema hollywoodiano sui reduci [...]. Il lavoro del fotografo Gregg Toland su specchi, plexiglas e altre superfici riflettenti è straordinario. (I migliori anni della nostra vita; 2000, p. 798)
È un proseguimento ideale dei Trinità (manca Bud Spencer) e per molti versi è meglio dei suoi "genitori": la contrapposizione Hill-Fonda è un'invenzione furbesca che tiene in piedi un western allegro e divertente. Ideato e prodotto da Sergio Leone. (Il mio nome è nessuno, 2000, p. 807)
Tentativo, parzialmente riuscito, di uscire dalla cronaca neorealistica per la via di un surrealismo grottesco e di una tenera buffoneria, minacciati da un poeticismo fumoso. (Miracolo a Milano; 2000, p. 809)
Deliziosa commedia fantastica alla Frank Capra, forse il migliore film natalizio nella storia di Hollywood per la sapiente miscela di sentimento e umorismo; l'esaltazione della fantasia e della buona volontà si accompagna a soffici, ma precise, notazioni satiriche sull'ideologia americana del successo, del dollaro, del carrierismo, del consumismo, di un pragmatismo che appiattisce e deprime la vita e i rapporti sociali. Per bambini, ma anche per adulti. Scritto con garbo e brio, recitato benissimo in tutti i reparti. (Il miracolo della 34ª strada; 2000, p. 809)
[...] sfarzoso, accademico e greve [...]. (La monaca di Monza; 2000, p. 826)
Se Turi Vasile, Diego Fabbri, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli, Jean Ferry, Suso Cecchi D'Amico – responsabili del testo deleterio col regista – meriterebbero una severa condanna, A. Nazzari e A. Valli sono assolti per insufficienza di prove, gli altri attori per non aver commesso il fatto. (Il mondo le condanna; 2000, p. 829)
[...] un giallo vecchiotto e datato con una suggestiva ambientazione e colpi di scena a ripetizione. (Il mostro che uccide; 2000, p. 842)
Spavento e horror in giuste dosi con risvolti di simpatia per la creatura e sottintesi erotici. (Il mostro della laguna nera; 2010, p. 952)
N
77° film di B. Davis, ancora una volta alle prese con un personaggio sinistro, ma giuocato su un registro "freddo" e frenato. Il merito è della regia, ma anche della sceneggiatura (da un romanzo di Evelyn Piper) di Jimmy Sangster: la partita di gatto e topo tra la governante e il bambino è diretta con un crescendo magistrale. (Nanny, la governante; 2000, p. 852)
Tratto dal romanzo di George Dyer, è un thriller nella migliore tradizione della Warner Bros, condotto a un ritmo veloce fino all'ultimo respiro, fotografato – benissimo – da Tony Gaudio. Personaggi stereotipati ma funzionali. B. Davis intensa. (Nebbia a San Francisco; 2000, p. 858)
Sceneggiato con Suso Cecchi D'Amico, è più un film d'attori (anzi di attrici) che d'autore, ma contraddistinto, come quasi sempre in Castellani, da un sapiente ritmo narrativo: una macchina che funziona come un orologio, nonostante l'intelaiatura rapsodica. (Nella città l'inferno; 2000, p. 861)
Ophüls prese in mano il film, iniziato da John Berry, in condizioni disastrose e si districò ammirevolmente. È il suo film più fittamente parlato, ma gli attori sono diretti benissimo. Assai interessante la tematica. (Nella morsa; 2000, p. 862)
Personaggio-guida di questo film sui disinganni e le curiosità erotiche dell'infanzia, cavato da un romanzo di Cesare Lanza, è il piccolo, precoce e sdentato Jo (S. Valsecchi), innamorato della cuginetta Nené (E. Fani), tredicenne sveltina [...]. Pastosa fotografia di P. De Santis, garbate musiche di Francesco Guccini e una galleria di personaggi tra cui R. Savagnone, esimia doppiatrice e brava attrice, un ottimo T. Schirinzi [...]. (Nenè; 2000, p. 865)
Curioso noir giudiziario, forse sottovalutato, scritto da Johann Latimer da una storia di Gordon McDonell che fornì a Hitchcock il soggetto di L'ombra del dubbio. (Nessuno mi crederà; 2000, p. 866)
È il 1° techno-thriller che fa perno su Internet, in forma di incubo e in cadenze di racconto da inseguimento. Assurdo a livello logico, sul piano emotivo è una sagra del già visto, del banale, del prevedibile. In questo veicolo per la Bullock che ha grinta, grazia e sessappiglio, soltanto il contesto informatico è interessante. (The Net - Intrappolata nella rete; 2010, p. 983)
2 parti, 2 atmosfere: il nero notturno metropolitano, il bianco innevato del villaggio. E una conversione emotiva. Il tema centrale è tipico di Ray: la violenza dentro noi tutti, e l'influenza dell'ambiente e della famiglia sul carattere. Un po' schematico (Ray lo considerò riuscito a metà), ma il sobrio lirismo dello stile e la forza dell'interpretazione (Ryan specialmente) sono innegabili. Bianconero di G.E. Dishant e musica suggestiva di B. Herrmann. (Neve rossa; 2010, p. 984)
Attivo nel muto dal 1915, Brignone (1887-1959) diresse la 27enne Sanson, nata a Salonicco, regina del melodramma, dall'anatomia vistosa e dal volto addolorato in questo drammone napoletano alla Carolina Invernizio che non vale quelli di Matarazzo. (Noi peccatori; 2000, p. 877)
[...] è un melodramma quasi tutto d'interni, cupo, monocorde, affidato al bianconero aspro di Giuseppe Caracciolo che tende a creare un'atmosfera grigia e nebbiosa e punta sui primi piani. Efficace e funzionale la squadra degli interpreti (altro punto a favore della regia) tra cui spiccano un sobrio, intenso Giachetti e la malinconica Valli nel fulgore dei suoi ventun anni. (Noi vivi - Addio, Kira; 2000, p. 877)
[...] è uno shocker di importanza storica che aprì la strada alla profonda metamorfosi del cinema orrorifico tra gli anni '70 e '80, imperniato sull'ossessione fantastica dello smembramento del corpo rappresentato in tutta la sua fisicità. Forsennato e visionario, è leggibile a diversi livelli. (Non aprite quella porta; 2000, p. 879)
Violenza portata a livelli di truculenza insostenibile che viene poi spinta inutilmente verso un grottesco senza freni. L'itinerario successivo di T. Hooper (1944) ha dimostrato che aveva poco da dire. Bisogna arrivare fino a The Mangler (1994) per trovare un film notevole, almeno in parte. (Non aprite quella porta - Parte 2; 2000, p. 879)
È un congegno teatrale [...] che non ha trovato né uno sceneggiatore né un regista adatti: tutto funziona – gli interpreti, il dialogo, l'ambientazione – tranne il racconto che non ha né ritmo né invenzioni. (Non siamo angeli; 2000, p. 883)
Con la cauzione di una scrupolosa fedeltà alla cronaca, è un edificante film di propaganda religiosa, caratteristico del periodo di guerra fredda: quasi più anticomunista che filocattolico. Alla Warner dovevano farsi perdonare di aver prodotto Mission to Moscow (1943). (Nostra Signora di Fatima; 2000, p. 888)
Sulla base di un romantico e spudorato melodramma d'amore (scritto benissimo da Ben Hecht che, con C. Rains, fu "nominato" all'Oscar), è un thriller razionalista e crudele che trasmette allo spettatore emozioni e malessere. Il suo leit-motiv è il bere. Bergman iperluminosa. A differenza degli altri film hitchcockiani di spionaggio, non c'è spazio per l'umorismo. (Notorious - L'amante perduta; 2000, p. 889)
[...] è forse la migliore versione del romanzo, sicuramente la più fastosa (più di 3000 comparse) e la più suggestiva a livello figurativo (splendido bianconero di Joseph H. August, scene di Van Nest Polglase). L'interpretazione di Laughton fu molto lodata, ma oggi appare schiacciata dal trucco e dal poco spazio che la sceneggiatura gli concede per approfondire la psicologia del personaggio. Ne escono meglio M. O'Hara e C. Hardwicke in una compagnia di attori ben diretti da un Dieterle che mise a frutto la lezione del grande regista teatrale Max Reinhardt. Non sono da trascurare, perché inseriti con accorta leggerezza, gli accenni polemici contro l'oscurantismo, il fanatismo, la violenza, la discriminazione razziale, implicitamente diretti all'ideologia e alla politica del nazionalsocialismo. (Notre Dame; 2000, p. 889)
[...] è uno dei tanti film di Bela Lugosi detto "the king of horror". Questa volta gli sceneggiatori hanno raschiato il fondo del barile. (La notte dei pipistrelli; 2010, p. 1012)
Girato a ritmo frenetico, immagini ricercate e patinate secondo i canoni della pubblicità postmoderna, colonna sonora accattivante: un interminabile spot pubblicitario che tenta di vendere il prodotto "sesso". (9 settimane e ½; 2000, p. 899)
O
Vi si porta alle estreme conseguenze la riflessione sul cinema come voyeurismo e atto di immobilizzazione della vita; la sdrammatizzazione del racconto accresce l'efficacia della dimostrazione le cui implicazioni sono multiple e tortuose come in un giuoco di specchi. (L'occhio che uccide; 2000, p. 906)
[...] è un noir a tesi dove la scrittura registica di taglio espressionista, peraltro applicata da E. Dmytryk con artificiosità, è subordinata al messaggio antirazzista, indebolendolo per mancanza di approfondimento. Pur non trascurando l'influenza del neorealismo italiano nella produzione RKO di quel periodo di cui fu un'opera di punta (e come tale premiata a Cannes), rimane da constatare l'idoneità del film noir a suggerire il malessere, le frustrazioni, le fobie del primo dopoguerra negli Stati Uniti. (Odio implacabile; 2000, p. 908)
Uno dei migliori film di Hitchcock in assoluto, apprezzato persino dai critici e dagli spettatori più refrattari al suo fascino, dai fautori della verosimiglianza e della psicologia. [...] È il suo thriller più quieto, affabile, inquietante. (L'ombra del dubbio; 2000, p. 914)
18° film di Ray, e inizio della sua parabola discendente. 2 temi a lui cari: bellezza e violenza, qui entrambi attributi della natura. Fotografia bellissima. Antropologicamente presuntuoso e schematico. (Ombre bianche; 2000, p. 916)
Questo Rocco e i suoi fratelli degli antipodi, tratto dal romanzo omonimo di Alan Duff, è un melodramma iniziatico, romanzo di formazione, tragedia urbana con eccessi, truculenze, ridondanze, condotto a ritmo incalzante, impregnato di un'energia coinvolgente, illuminato dalla memorabile Madre Courage di R. Owen. (Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri; 2000, p. 918)
È, in una certa misura, il patto di Faust aggiornato alla moderna tecnologia. L'idea originale è di un romanzo di David Ely, sapientemente sceneggiato da Lewis John Carlino. Come con la fantapolitica di Va' e uccidi (1962), Frankenheimer è a suo agio con la fantasociologia; gli dà una mano con un suggestivo bianconero il vecchio James Wong Howe, operatore di merito. Finale allucinante, attaccare le cinture. (Operazione diabolica; 2000, p. 921)
[...] uno dei più foschi e appenati [film] di Bergman. Il ricorso all'espediente dei fantasmi è giocato sulle corde di una ironia romantica che, nelle intenzioni dell'autore, è uno strumento per far sì che lo spettatore non s'identifichi nei personaggi, ma mantenga un distacco critico. (L'ora del lupo; 2000, p. 923)
Tentativo poco riuscito di mischiare orrore, suspense ed ecologia in un'avventura in cui si passa dalla parte della preda. (L'orca assassina; 2010, p. 1049)
Scritto e diretto dallo sceneggiatore di Nove settimane e ½, è un PIF (prodotto industriale di finzione) che può essere classificato, secondo i gusti, come un porno soft passabilmente idiota o come una macchina erotica la cui benzina è fornita dal folclore brasiliano. Persone del dramma: 1) enigmatico e abbronzatissimo uomo d'affari con qualche problema sessuale e cerchietto d'oro all'orecchio sinistro; 2) giovane avvocata di strepitosa anatomia, sottoposta a Rio de Janeiro a molteplici tentazioni della carne; 3) dinamica manager ad alta tensione che si assenta dall'azione, spostandosi a Buenos Aires. Erotismo acquatico che spande. Le varie edizioni del film variano di lunghezza secondo gli usi censori locali. (Orchidea selvaggia; 2000, p. 925)
Ben confezionato, il prodotto è di una banalità e frivolezza irrecuperabili ma, a modo suo, documento di un'epoca. Componente erotica esplicita. (Ore 9: lezione di chimica; 2000, p. 926)
C'è qualche eco del grande Griffith in questo melodramma all'aria aperta sullo sfondo dei montagnosi paesaggi canadesi. Personaggi disegnati con l'accetta. (Ossessione di donna; 2000, p. 934)
L'arrivo di tre ambigui domestici e l'apparizione "impossibile" del marito rafforza il clima angoscioso di questa ghost story di occupazione, risolta con un colpo di scena finale alla Shyamalan che ne ribalta la natura e i significati. Chi sono gli "altri", gli "intrusi" della casa? Il tema del mondo dei morti che si mescola con quello dei vivi innerva questa storia, strutturata a scatole cinesi e fondata su quell'esitazione che, secondo Tzvetan Todorov, è il principio che dà vita al fantastico: qui l'incertezza è, insieme, dello spettatore e di alcuni personaggi. Il finale che la scioglie riporta al livello realistico (o almeno razionale in chiave psicoanalitica) un film che comincia dove finisce la storia di Medea. Amenabar, anche sceneggiatore, lo governa con astuzia imitativa, virtuosistica compattezza figurativa (fotografia di Javier Aguirresarobe) e innegabile efficacia nel sostenere la suspense. Ben doppiata da Chiara Colizzi, la Kidman sostiene intrepidamente il confronto con Deborah Kerr e altre Joan Fontaine del passato. (The Others; 2010, p. 1059)
[...] è un Lubitsch con il ritmo veloce e il cinismo di un Hawks. Con Desiderio (1936), Angelo (1937) e Ninotchka (1939), costituisce un piccolo trattato lubitschiano di economia politica sul fascino discreto del capitalismo. (L'ottava moglie di Barbablù; 2010, p. 1059)
Un Ben Hur del cinema d'avanguardia. Il tentativo di un autoritratto in forma fantastica. Il diario di bordo di un autore. Il rapporto su un ingorgo esistenziale. Un film sulla confusione e sul disordine della vita. Uno dei massimi contributi a quel rinnovamento dei modi espressivi e alla rottura della drammaturgia tradizionale che ebbero luogo nel cinema a cavallo tra gli anni '50 e '60, rinnovamento che Fellini aveva già cominciato con "La Dolce Vita". Personaggi memorabili e sequenze d'antologia. Il suo vero contenuto è la fitta trama dei rapporti di Guido (Mastroianni, qui più che mai alter ego di Fellini) con la moglie e l'amante, con l'ambiente di lavoro e gli estranei, con i Guru della Chiesa e della Critica, col passato e l'avvenire, con sé stesso. "L'enfer c'est les autres", aveva detto Sartre. Fellini ribalta l'affermazione: la vita – e il cinema – sono gli altri, i vivi e i morti, gli esseri reali e le creature della fantasia. Bisogna accettarli tutti con amore, gratitudine, solidarietà. (8½; 2010, p. 1060)
P
Il film è quasi inguardabile, ma si può ascoltare. (I pagliacci; 2000, p. 943)
Bistrattato a suo tempo perché giudicato pretenzioso, fu poi rivalutato: è una bella storia d'amore raccontata in modi bizzarramente poetici e illuminata da una fulgida Gardner. Un film che ha il coraggio delle sue idee. (Pandora; 2000, p. 946)
Campione d'incassi a sorpresa della stagione 2003-04 davanti a Natale in India con grande gaudio di L. Pieraccioni (anche produttore e sceneggiatore con Giovanni Veronesi), della Medusa e degli esercenti tutti. Caso più unico che raro di comico fiorentino alla camomilla, Pieraccioni, minacciato dai 40 anni, raggiunge qui il limite di una tisana calmante ed emolliente. (Il paradiso all'improvviso; 2010, p. 1075)
È un turgido melodramma in costume che appartiene al periodo d'oro (1939-44) della Davis, qui quasi superata da B. O'Neil [...]. (Paradiso proibito; 2000, p. 952)
Liberamente tratto da un romanzo di Bruna Piatti, questo ritratto di un'adolescente sgallettata che accumula esperienze amorose ed errori è l'occasione di una commedia agile, attendibile, lucida, senza cedimenti al moralismo, ma non superficiale nella descrizione della condizione femminile in una città di provincia. Intorno alla Spaak, maturata, una bella galleria di caratteri tra cui spiccano quelli di Randone, Buzzanca, Manfredi. (La parmigiana; 2000, p. 954)
[...] è una partita a tre in cui la penuria di denaro del trio che fa una vita da bohème corrisponde alla privazione del sesso. Lubitsch e Hecht hanno camminato sul filo del rasoio per evitare, data la materia, gli attacchi delle potenti associazioni in difesa della pubblica moralità, ma incorsero ugualmente nella censura del Codice Hays, da poco entrato in vigore. E.E. Horton, principe dei caratteristi, riesce a sopravanzare le 2 star maschili. (Partita a quattro; 2000, p. 955)
Senza pretese, scorrevole. (La paura fa 90; 2000, p. 964)
Tratto da un romanzo di Stuart Engstrand, è un film sotto il segno dell'eccesso, un noir esasperato, dominato dal chiaroscuro (fotografia di Robert Burks), così oltraggiosamente cattivo da diventare buono. (Peccato; 2000, p. 967)
Uno dei pochi insuccessi commerciali di Hitchcock, e uno dei suoi rari film in costume. Conta per una I. Bergman (con J. Cotten fuori parte) straordinaria, l'uso del piano-sequenza, l'ambientazione, la fotografia di J. Cardiff. Verboso. Finale debole. (Il peccato di Lady Considine; 2000, p. 968)
Film denso che dà spesso nel tragico. Melodramma con risvolti di critica sociale. Alcuni momenti di grande intensità. La Barbara è di un'espressività penetrante. (La peccatrice; 2000, p. 969)
È un grottesco poema satirico che osa paragonare la dittatura stalinana a quella hitleriana con un accostamento che a molta parte della sinistra occidentale ripugnava allora e oggi ripugna ancora (un po' meno). (Pentimento); 2010, p. 1099)
Un film che parla al cuore: un dramma "d'appendice", quel genere che in letteratura ebbe la sua stagione di grazia nel periodo umbertino e che il pubblico popolare italiano continuò ad amare fino agli anni '60. (Perdonami; 2000, p. 975)
Film così, oggi, non sanno farli più, e non soltanto perché attori con quel carisma non ne esistono più in circolazione. L'assurdo e il sublime vanno a braccetto, la 1ª parte è nettamente superiore alla 2ª, ma perché chiedere la luna quando si hanno le stelle? [...] B. Davis era capace di tutto, anche di un personaggio romantico. (Perdutamente tua; 2000, p. 976)
[...] è diventato un film sadiano di forte suggestione e di inquietante atmosfera esotica con la sequenza della caccia splendidamente fotografata e montata. È interessante come predecessore di King Kong [...]. (Pericolosa partita; 2000, p. 978)
Il programmatico disinteresse per la logica narrativa esplode nel delirio truculento dell'ultima mezz'ora con 4 o 5 finali infilati l'uno nell'altro, ulteriore dimostrazione di un narcisismo esibizionistico quasi disperato. (Phenomena; 2010, p. 1113)
Suspense, bizzarria, sorprese ed effetti speciali primitivi ma efficaci. (Il pianeta proibito; 2000, p. 986)
Potabile sul versante della commedia, insopportabile quando inclina al sentimentalismo. (Piccole donne; 2000, p. 989)
Ambientato alla fine dell'Ottocento, è uno dei più perfetti esempi di teatro filmato che paradossalmente diventa cinema proprio nella misura in cui Wyler è rimasto fedele non solo al dramma (1939) di Lillian Hellman, ma alla scenografia e alla messinscena. Alle luci il grande Gregg Toland. L'unica riserva che si può fare è, paradossalmente, quella di un eccesso di perfezione. (Piccole volpi; 2000, p. 989)
Tratto da un best seller (1933) di Erskine Caldwell, molto discusso per il suo crudo realismo incline al grottesco, e sceneggiato da Philip Yordan. Accolto severamente dalla critica, forse a causa dei suoi frequenti cambi di marcia e di tono, è un film molto caro al suo regista, meno al suo sceneggiatore ("Troppo teorico, non abbastanza fisico"). Tutti d'accordo, invece, su Ryan, capofamiglia di statura biblica. (Il piccolo campo; 2000, p. 991)
Classico del genere gangsteristico, caratterizzato, oltre che dalla memorabile interpretazione di E.G. Robinson, dal taglio spedito e asciutto, quasi cronachistico del racconto, tratto da un romanzo di W.R. Burnett. Datato, ma che forza! (Piccolo Cesare; 2000, p. 991)
Melodramma strappalacrime di basso profilo. Persino Nazzari è meno in parte del solito. Regia anonima. (Pietà per chi cade; 2000, p. 994)
[...] è una commedia rurale che ha le scarpe grosse, ma il cervello poco fino. Contro i suoi bersagli preferiti (la meschinità, la ristrettezza di spirito, il campanilismo abietto, l'avidità, la viltà della provincia francese) Autant-Lara ha la mira sbagliata per mancanza di ispirazione e di grazia. Magnani greve, doppiata tremendamente. (La pila della Peppa; 2000, p. 995)
Alterna momenti di carattere documentaristico nella 1ª parte a quelli avventurosi nella 2ª, rivelando già la mano e l'occhio di Rossellini: spiccio, disadorno nella ricerca di autenticità e nel rifiuto della retorica propagandistica. (Un pilota ritorna; 2010, p. 1125)
Qualificato con l'iperbole del "film più brutto della storia del cinema" e, perciò, diventato oggetto di culto. Il che non gli impedisce di essere assai divertente, almeno per chi sa apprezzarne lo spudorato dilettantismo, le strampalate scenografie, i dialoghi tremendi, l'assurda logica narrativa. (Plan 9 from Outer Space, 2000, p. 1003)
Ispirata alla Sirenetta di Andersen, l'ultima opera di Miyazaki non ha il fascino assoluto, misterioso e poetico di La città incantata: è una gradevole favola sull'amore, sulle promesse, sul rispetto degli altri. Miyazaki si oppone ideologicamente – e orgogliosamente- all'animazione computerizzata e mette all'opera 70 artisti con la matita per creare 170000 disegni. Il risultato figurativo è in linea con quello dei contenuti: delicato, piacevole, non aggressivo, per tutti, anche per i più piccoli. (Ponyo sulla scogliera; 2013, p. 1210)
Film di transizione – e di occasione – nell'itinerario di De Sica alla sua 6ª prova registica, si fa apprezzare per il gusto dei dettagli realistici, la cura delle inquadrature, il rifiuto della retorica edificante, il suo fondo laico. (La porta del cielo; 2000, p. 1013)
La sceneggiatura di Philip Yordan (da un romanzo di Leo Brady) era ingegnosa, ma sembra che il produttore Sam Goldwin abbia fatto rifare il montaggio di testa sua. F. Granger esagera in istrionismo. Suggestiva la fotografia di Harry Stradling. (La porta dell'inferno; 2000, p. 1013)
È la migliore delle versioni del romanzo, archetipo romantico, per ritmo narrativo, ragionevole fedeltà al testo, atmosfera, recitazione. (La porta proibita; 2000, p. 1014)
[...] un film elegante e un po' leccato che vernicia politamente la rude scorza del romanzo. (Un posto al sole; 2000, p. 1016)
È forse il migliore tra i film orrorifici sulla venuta dell'Anticristo. Sulla scia dell'Esorcista (1973). Agli amanti del genere: c'è una decapitazione famosa. Suspense e brividi. (Il presagio; 2000, p. 1022)
Da un dramma teatrale a 2 personaggi di Louis Verneuil un melodramma triangolare con molta musica classica (Haydn, Beethoven, Chopin e un pezzo originale di E.W. Korngold), appartamenti immensi e lo stesso trio d'interpreti di Perdutamente tua (1942) dello stesso Rapper, dove, forse per l'unica volta, B. Davis si fa rubare il film da un partner (C. Rains), ma alla fine, smentendo le menzogne, si prende la rivincita. Preceduto da Jealousy (1929) con Jeanne Eagels e Fredric March. Un classico del gusto camp. (Il prezzo dell'inganno; 2000, p. 1025)
[...] un lezioso film al glucosio con qualche frecciatina antiborghese, in linea con la politica fascista del tempo. (La principessa del sogno; 2000, p. 1037)
[...] il dramma svolge la sua indagine sul mistero della santità attraverso cinque ritratti di suore di cui con efficace concisione si suggerisce il carattere, i problemi, i tormenti. Dalla dialettica tra questi personaggi e l'invisibile presenza di Teresa esce una testimonianza sulla vita conventuale che Cottafavi (1914-98) mette in immagini con nitore figurativo, asciutta intensità e sapiente direzione degli interpreti. (Il processo di Santa Teresa del Bambino Gesù; 2000, p. 1039)
1° film a Hollywood del britannico M. Newell: un inetto apologo pacifista con encefalogramma piatto. (La protesta del silenzio; 2000, p. 1047)
Q
La denuncia del razzismo e della violenza è un tema costante di Brooks, sviluppato qui con sincerità e con coraggio sulla scorta di un romanzo di Robert C. Ruark. Tutta la 1ª parte è ammirevole, ineccepibile. Quando bisogna tirare le conclusioni, la 2ª scricchiola. In un periodo in cui i mass media demonizzavano il movimento indipendentista dei Mau Mau, fu, a modo suo, un film di controinformazione. (Qualcosa che vale; 2000, p. 1054)
Sempre più incurante della logica e della verosomiglianza narrativa, il giovane regista compiace al proprio talento visionario come un alcolista alla sua sete. (4 mosche di velluto grigio; 2011, p. 1198)
[...] è una commedia diseguale e leggera, ma non priva di spunti divertenti. (Quel fantasma di mio marito; 2000, p. 1070)
Tentativo parzialmente riuscito di conciliare l'approfondimento psicologico dei caratteri con le esigenze della propaganda patriottica. Il personaggio di A. Nazzari, comunque, rimane interessante. (Quelli della montagna; 2000, p. 1073)
Un po' artificiosa e meccanica, è l'ultima delle commedie classiche di Lubitsch. La vicenda è banale, ma il ritmo è scattante e B. Meredith spiritosissimo. (Quell'incerto sentimento; 2000, p. 1073)
[...] la sceneggiatura [...] punta su 2 linee narrative: 1) l'amore tra Licia (T. Relin) e Marco Vinicio (F. Quinn) cioè la trascendenza, l'epifania di un mondo nuovo e la cristianità; 2) il rapporto tra Nerone (K.M. Brandauer) e Caio Petronio (F. Forrest), cioè la romanità, la decadenza e la coscienza della decadenza. È la 2ª componente "laica" che, senza schiacciarla, prevale sulla prima "religiosa" e che si risolve in una moderna riflessione sulla nozione di crisi di cui Petronio è l'intellettuale lucido e Nerone l'artista nevrotico. Ma il rapporto tra i 2 personaggi può essere letto anche come quello tra un attore fallito (Nerone) e un autore realizzato (Petronio). Brandauer e Forrest li hanno resi in modo magistrale. Funzionali alle intenzioni di Rossi e dei suoi sceneggiatori sono le scene di Luciano Ricceri, i costumi di Jost Jacob (le une e gli altri lontani dal Kitsch e dagli stereotipi dei colossi hollywoodiani) e la fotografia di Luigi Kuveiller. (Quo vadis?; 2000, p. 1080)
R
Come quasi tutti i film diretti da E. De Filippo, è una trasposizione cinematografica di una delle sue commedie che nulla toglie ma nulla aggiunge alla sua grandezza di autore e attore. (Ragazze da marito; 2000, p. 1090)
[...] è il 3° film di Emmer, campione (milanese) del neorealismo rosa in salsa romana. Grazioso, garbato, con qualche pungente notazione sociologica, ma già sull'orlo dell'Arcadia neorealistica. (Le ragazze di piazza di Spagna; 2000, p. 1091)
Scandito dal ritmo ossessivo di un bolero, è un film in cui le diverse componenti letterarie, psicologiche (persino psicanalitiche) e drammatiche si fondono in una superiore unità filmica che rimanda al cinema muto e, insieme, anticipa la tecnica televisiva con un linguaggio febbrilmente barocco nel suo virtuosistico dinamismo. (Rashomon; 2000, p. 1101)
È il più politico tra i colossi hollywoodiani sulla vita del Cristo, quello che più insiste, in parallelo alla vicenda religiosa, sulla presenza romana in Giudea. Barabba e Giuda, per esempio, sono proposti come Zeloti, partigiani nazionalisti in lotta contro gli occupanti. Scritto da Philip Yordan e rimontato dal produttore Samuel Bronston (per la M-G-M), presenta, in fondo, Gesù come un profeta minore. Perciò la cattolica Legion of Decency lo attaccò come "teologicamente, storicamente, evangelicamente trascurato". Privo del senso del sacro, conta per le sue parti più laiche dove N. Ray può meglio far sentire i segni dei temi a lui cari come quello della lotta per comunicare un'idea. Film diseguale e parzialmente risolto, ma le sequenze notevoli non mancano: il dinamismo del Sermone della Montagna, la scena del processo davanti a Pilato. Ribattezzato beffardamente da Time: "I Was a Teenager Jesus". (Il re dei re; 2000, p. 1105)
Uno dei primi film in costume (e sandaloni) di P. Francisci che pochi anni dopo avrebbe dato inizio al ciclo di Ercole e degli altri uomini forti, meritandosi dalla critica francese l'appellativo di "re del peplum". Basso costo, pochi mezzi, poche comparse, ma un certo mestieraccio. (La regina di Saba; 2000, p. 1108)
Nel filone gangster del colpo grosso, rimane un classico, grazie all'alta ingegneria narrativa che culmina nella celebre sequenza muta di mezz'ora. Dopo 4 anni di purgatorio, Dassin, messo sulla lista nera del maccartismo a Hollywood, dirige in Francia uno di quei thriller realistici di cui aveva la specialità in America e segna una svolta nel polar francese. Tutto concorre alla felicità del risultato: la fonte letteraria (Auguste Le Breton), la fotografia di Philippe Agostini, le musiche di Georges Auric, gli interpreti tra cui spicca Servais. (Rififi; 2000, pp. 1119-1120)
Muccino realizza un film sul fascino dell'american dream di cui lui stesso sembra l'incarnazione. Ma nonostante le promesse di mantenere uno sguardo ruvido per fotografare con realismo le due facce di un paese tanto generoso quanto inesorabile, il regista scade nello stucchevole e nel sentimentale in un susseguirsi imperterrito di scene madri verso le lacrime più facili. Forza del film è l'interpretazione concitata del protagonista, nominato all'Oscar. I duetti con il (vero) figlio Jaden riciclano la lezione de La vita è bella, come nella scena dei bagni in metropolitana. (La ricerca della felicità; 2010, p. 1252)
Sotto l'egida della Dreamworks, i produttori Walter F. Parkes e Laurie MacDonald hanno riunito un'agguerrita squadra di esecutori/collaboratori [...]. Pur mantenendo a livello figurativo componenti esotiche e asiatiche, hanno comodato il racconto nelle categorie riconosciute da Hollywood (un po' di psicologia e qualche spiegazione in più). Almeno nella 1ª ora paura e angoscia sono palpabili, lasciando il posto gradatamente alla ridondanza dei segni, all'eccesso dell'horror rozzo, alla violenza del "troppo visibile". (The Ring; 2010, p. 1257)
La sequenza dell'acqua che esce vorticosamente dalla vasca e rimane sospesa sulla stanza da bagno (l'acqua è un motivo conduttore del racconto) è un efficace esempio del modo con cui gli effetti digitali possono diventare narrativamente funzionali. Chi volesse vedere nella scena una metafora del battesimo cristiano, si accomodi. È un film dove l'orrore è subordinato all'angoscia. Come dovrebbe dimostrare anche Dark Water (2002), ancora inedito in Italia, Nakata fa melodrammi camuffati da horror. (The Ring 2; 2010, p. 1257)
Chiude la trilogia militare di Ford, e fu il meno apprezzato (forse sottovalutato) dei 3, ma si può leggerlo quasi come un balletto tra un uomo e i suoi due amori, la moglie e la cavalleria. La musica e diverse belle canzoni vi hanno un posto importante. (Rio Bravo; 2000, p. 1121)
Melodramma tra le marcite che una sceneggiatura non priva di finezze, una bella fotografia a colori (L. Trasatti) e il fascino di una fulgida e improbabile Martinelli rendono appetibile. Matarazzo serve in tavola con bravura. (La risaia; 2000, p. 1122)
[...] s'affida specialmente agli effetti speciali di Ray Harryhausen, geniale artigiano dei trucchi. Lento e verboso nella 1ª parte, ha i suoi momenti più vispi quando il bestione attacca il faro dove uno scienziato (C. Kellaway) s'immerge nel mare con una batisfera alla sua ricerca e quando, come King Kong, irrompe in Manhattan. Un must per i patiti della SF. (Il risveglio del dinosauro; 2000, p. 1123)
Uno dei più squisiti film fantastici nella storia di Hollywood. Un po' velleitario come riflessione su grandi temi (vita, morte, amore, arte), ma figurativamente suggestivo. Stupenda fotografia di Joseph August che rischiò di vincere un Oscar. (Il ritratto di Jennie; 2000, p. 1129)
Girato tra difficoltà economiche e organizzative di ogni genere, il film impose in tutto il mondo una visione e rappresentazione delle cose vera e nuova, cui la critica avrebbe dato poco più tardi il nome di neorealismo. Specchio di una realtà come colta nel suo farsi, appare oggi come un'opera ibrida in cui il nuovo convive col vecchio, i grandi lampi di verità con momenti di maniera romanzesca, in bilico tra lirismo epico e retorica populista. La stessa lotta antifascista è raccontata ponendo l'accento sul piano morale più che su quello politico, il che non gli impedì di essere il film giusto al momento giusto e di indicare attraverso le figure del comunista e del prete di borgata il tema politico centrale dell'Italia nel dopoguerra. (Roma città aperta; 2000, p. 1137)
Ha tutte le carte in regola per essere iscritto al noir questo melodramma passionale a forti tinte. La regia è efficace e intelligente nella resa dell'atmosfera e degli ambienti quanto nella direzione degli interpreti tra i quali B. Stanwyck scolpisce il ritratto di una insolita femme fatale. (Il romanzo di Thelma Jordon; 2000, p. 1139)
Ogni paragone con Jerry Lewis è superficiale: la nevrosi distruttiva sotto la maschera dell'idiozia di J. Carrey non ha niente da spartire con i personaggi infantili e disadattati del primo Lewis. Sconnesso con alcuni numeri comici azzeccati. Attenzione al drammatico finale. (Il rompiscatole; 2000, p. 1141)
Il polacco R. Polanski – al suo 1° film made in USA dopo 3 britannici – affascinato dal senso di mistero che serpeggia nel romanzo di Ira Levin, ne cava un memorabile esempio di cinema della minaccia e ripropone il tema dell'ambiguità fino a fame la struttura portante della narrazione. (Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York; 2010, p. 1282)
È un film curioso e insensato, suggestivo e inattendibile, ben fatto e poco interessante. Poco importa se il ritratto corrisponda o no a quello del vero Ruby. Il personaggio c'è, D. Aiello gli dà credibilità e spessore fin quando non esce dai binari. Gli sta quasi alla pari il personaggio fittizio della bionda spogliarellista Candy Cane della quale S. Fenn rende bene l'impasto di tenerezza e calcolo, di perversione e ingenuità. (Ruby - Il terzo uomo di Dallas; 2000, p. 1148)
S
Tratto dal romanzo L'agente segreto (1907) di Joseph Conrad, è uno dei migliori thriller del periodo inglese di Hitchcock. Ricco di invenzioni memorabili (la sequenza del coltello) con una Londra insolita e una Sidney di straziante intensità. Il regista confessò uno sbaglio: troppo simpatico il bambino per farlo morire. (Sabotaggio; 2000, p. 1151)
Tyrone Power morì a metà delle riprese e Y. Brynner lo sostituì, sbagliando l'impostazione del personaggio in chiave di forza e di dominio invece che sul conflitto tra dovere e piacere. Qualche scena memorabile (la battaglia finale con la trovata degli scudi dorati) non riscatta la sua natura di "digest" hollywoodiano. (Salomone e la regina di Saba; 2000, p. 1155)
Fatto un colpo grosso, sono braccati dalla polizia, con uno dei finali più romantici e disperati della storia del cinema. Capolavoro del cinema USA di serie B, è un piccolo grande film nero sul tema della coppia criminale, ma anche una storia di "amour fou", contrassegnata da un erotismo insolito per l'epoca ("Siamo inseparabili come un revolver e le sue munizioni"). Notevole anche a livello di scrittura per il taglio espressionistico della fotografia (Russel Harlan), la precisione delle inquadrature e dei movimenti di macchina (con un bel piano-sequenza), l'uso degli esterni naturali. Dopo un avvio espositivo e un po' didattico, il racconto ha la traiettoria tesa di una fucilata. L'inglese P. Cummins e J. Dall (visto anche in Nodo alla gola di Hitchcock) sono perfetti. (La sanguinaria; 2010, p. 1300)
È, forse, il più assurdo e delirante tra i colossi biblici di Hollywood. Ignorarlo sarebbe stolto quasi quanto prenderlo sul serio. La mano del regista è elegante. (Sansone e Dalila; 2000, p. 1161)
Dal romanzo Some Must Watch di Ethel Lina White, sceneggiato da Mel Dinelli, l'archetipo dei thriller ambientati "in un'antica casa buia" in cui la sequenza del delitto principale si svolge durante una "buia notte tempestosa". Era il tempo in cui la locuzione "serial killer" (assassino periodico) non era stata ancora inventata. Un film perfetto nel suo genere. I primissimi piani dell'occhio dell'assassino al momento di aggredire le sue vittime sono diventati un classico. (La scala a chiocciola; 2000, p. 1166)
Remake del film di Dino Risi del 1974 alla cui origine c'era il romanzo di Giovanni ArpinoIl buio e il miele (1969). La differenza fondamentale tra i due film è che il giovane nella commedia amara di Risi era subordinato al protagonista, mentre qui è diventato coprotagonista. Solo nel gran finale le due vicende si mescolano, il che spiega la lunghezza del film, che tra le sue virtù non ha la leggerezza ed eccede nella ruffianeria demagogica degli effetti sentimentali. Due pezzi di bravura: la folle corsa su una Ferrari rossa guidata dal cieco attraverso un quartiere periferico e il tango che il grande A. Pacino (efficacemente doppiato da G. Giannini) danza con una giovane sconosciuta. (Scent of a Woman - Profumo di donna; 2010, p. 1315)
Bella e fedele versione – la 1ª di 3 – del romanzo omonimo (1915) di Somerset Maugham, notevole specialmente per l'interpretazione ottima anche se un po' sopra le righe. È il film che fece di B. Davis una vera star. (Schiavo d'amore; 2000, p. 1175)
È uno dei film migliori del periodo pre-western di A. Mann, con un'ottima interpretazione e una bella fotografia. Indimenticabile il finale. (Schiavo della furia; 2000, p. 1175)
Uno dei film del neorealismo italiano più conosciuti all'estero [...]: la sua polemica sociale non parte da un dato ideologico, ma da un motivo umano. In chiave di elegia populista Zavattini e De Sica tornano al mondo dell'infanzia che avevano già esplorato con I bambini ci guardano (1943). (Sciuscià; 2000, p. 1177)
Scritta da Rodolfo Sonego, è una vetta della commedia italiana, basata sulla dialettica denaro-potere. E la morale è amara: a giocare con i ricchi (con chi tiene il banco o con chi lo rappresenta) si perde sempre. Non c'è divisione tra buoni (poveri) e cattivi (ricchi): la linea di separazione è segnata dalla classe sociale e dall'obbligata scelta di campo. Film appassionante, interpretabile a vari livelli e recitato da attori infallibili. (Lo scopone scientifico; 2000, p. 1179)
G. Van Sant, dopo Will Hunting, dirige su richiesta di S. Connery produttore un'altra storia di formazione, scritta da Mike Rich e vagamente ispirata a J. D. Salinger e al mito nordamericano del "grande romanzo del secolo", ma anche ai canoni yankee dell'agonismo e della fiducia in sé stessi. In altalena tra stereotipi hollywoodiani e finezza di annotazioni, melodramma e ironia, il film si affida al talento naturale dell'esordiente R. Brown e al mestiere collaudato di un Connery sotto le righe. (Scoprendo Forrester; 2010, p. 1322)
[...] un film a cerchi concentrici in cui tenerezza e ironia sono in perfetto equilibrio. Bella coppia romantica. (Scrivimi fermo posta; 2000, p. 1180)
In questa commedia di fantapolitica ambientata in un futuro prossimo, J. Dante e il suo sceneggiatore Martyn Burke non risparmiano niente e nessuno. Si spara a zero sui presidenti imbecilli, governatori in foia, guru delle P.R. (Pubbliche Relazioni), organizzazioni umanitarie, giornalisti a caccia di scoop, interessi economici e calcoli elettorali, nazionalismi esasperati, fanatismi etnici, strapotere della TV. E lo fa con feroce allegria, umorismo e orrore, fantasia e realtà. (La seconda guerra civile americana; 2010, p. 1327)
Guidato dal vecchio complice, N. Manfredi fa un Pilato ciociaro, scettico e pigro, in un film serio, interessante e persino coraggioso. La parte storica è ineccepibile, il resto meno. (Secondo Ponzio Pilato; 2000, p. 1183)
È un noir inquietante in cui, come in altri film del regista viennese (1906-86), la sessualità ha una valenza distruttiva. O. Preminger smorza il versante melodrammatico della sceneggiatura di F. Nugent e O. Millard con un nitore di scrittura registica cui assai contribuiscono il bianconero di Harry Stradling e le musiche di D. Tiomkin. (Seduzione mortale; 2000, p. 1185)
Un film che rispecchia scrupolosamente la formula narrativa-rappresentativa industriale, cioè un cinema che privilegia la narrazione, il significato, l'attore senza tempi morti. (I segreti di Filadelfia; 2000, p. 1187)
Torbida vicenda da incubo, imperniata sul tema dell'ipnotismo e su quello dell'impossibilità di modellare completamente un altro essere. G. Tierney è brava, ma nella parte del dottor Korvo Ferrer è superbo. (Il segreto di una donna; 2000, p. 1190)
Una discreta commedia degli equivoci con un V. De Sica inaspettato: invecchiato, curvo e con gli occhiali. Bravo. (Se io fossi onesto; 2000, p. 1191)
Costruito con un lungo flashback, il più radicale, pessimista e inventivo film di Carpenter è fondato sulla competizione tra realtà e fantasia e diventa un apologo sulla potenza della scrittura. Apocalittico, ma non privo di ambiguità né ironia, ricco di invenzioni registiche, scenografiche, sonore, (colonna musicale curata, come al solito, dal regista), sapiente nel suggerire l'orrore senza mostrarlo, è una metafora allarmante sull'abominio della società dello spettacolo e una riflessione critica sul genere cui appartiene. (Il seme della follia; 2013, p. 1416)
Conta per le qualità morali (sincerità, coraggio, buone intenzioni) più che per quelle estetiche. Difficile dire dove finisca la tenerezza del regista e dove cominci l'irrealismo ingannatore delle sue proposte. (Il seme della violenza; 2000, p. 1193)
La vicenda e i personaggi suonano falsi perché risentono troppo di schemi letterari. All'attivo alcune sequenze iniziali molto efficaci e la guida degli attori. (Senza pietà; 2000, p. 1197)
Diviso in 2 parti di cui la migliore è la prima, di ambiente rurale. Grazie al suo sobrio classicismo, al rifiuto di ogni formalismo, al rispetto per i personaggi, Hawks trascende gli aspetti propagandistici ed edificanti della storia [...]. (Il sergente York; 2000, p. 1201)
3 attori eccellenti e una bella colonna musicale per un melodramma che rinnova il "gotico" attraverso la psicanalisi sulla linea che va da Jane Eyre a Rebecca. (Il settimo velo; 2000, p. 1210)
Nessuno come J. Ford ha saputo mettere meglio in immagini la sfida all'OK Corral, nessuno come lui è riuscito a trasformare la nostalgia in poesia. La storia è un pretesto per una documentazione su un'epoca. È il suo 3° western parlato. Comincia ad affiorare quell'arte della digressione di cui diventerà maestro in vecchiaia, ma è altrettanto notevole la dialettica dei contrasti: l'azione violenta (nove cadaveri di personaggi principali) si alterna con le parentesi idilliche, l'aura mitica di cui sono circondati i personaggi si basa sulle loro imprese, ma anche sui particolari familiari e pittoreschi del comportamento. (Sfida infernale; 2000, p. 1211)
Struttura debole, qualche inverosimiglianza, e a Ophüls interessa poco la suspense: quel che gli sta a cuore è la psicologia dei personaggi, il loro comportamento, i particolari rivelatori, le fratture tra attore e personaggio. (Sgomento; 2000, p. 1212)
Nonostante i suoi meriti, commuove ma non coinvolge. R. Vallone ha, specialmente nella 2ª parte, momenti alti. (Uno sguardo dal ponte; 2000, p. 1213)
L'idea fu di Zavattini: far confessare quattro famose attrici, e importa poco sapere in che misura gli episodi narrati siano veri. Bisogna smitizzare il divismo? L'episodio Visconti-Magnani sottolinea il rapporto tra il vivere e il recitare; gli altri 3 puntano, più o meno pateticamente, sul contrasto tra la donna e l'attrice, fra la scena e la vita. (Siamo donne; 2000, p. 1217)
[...] una commedia dolciastra all'insegna dei buoni sentimenti. Scampoli di neorealismo, scatti comici, bravi caratteristi. (Siamo tutti inquilini; 2000, p. 1217)
La materia è da film noir, a mezza strada tra Gilda e Il mistero del falco, ma con bizzarre e sardoniche anticipazioni di Il tesoro dell'Africa di Huston. Fecero impressione, comunque, alcune sequenze che lo resero un cult movie: il corteggiamento nell'acquario, il teatro cinese, il taboga, la sparatoria finale nella sala degli specchi. Il barocchismo stilistico di Welles conferma quali e quanti fossero i debiti del noir hollywoodiano con l'espressionismo. Ridotta R. Hayworth a una statua di ghiaccio e piuttosto debole il marinaio O'Hara, l'attore che domina il film è E. Sloane. (La signora di Shanghai; 2000, pp. 1219-1220)
Nonostante l'esasperato romanticismo e la veemente recitazione "all'italiana", è un melodramma raffreddato (con venature pirandelliane) che anticipa i temi di posteriori film di Ophüls, specialmente di Lola Montès (1955). M. Benassi con foga sopra le righe, e una memorabile I. Miranda, in bilico tra Greta Garbo e Marlene Dietrich. (La signora di tutti; 2000, p. 1220)
Uno dei personaggi più riusciti della carriera di B. Davis, affiancata da un C. Rains di grande finezza in una melodrammatica saga familiare, ottimamente sceneggiata dai fratelli Julius J. e Philip Epstein sulla base di un romanzo di Elizabeth von Arnim. (La signora Skeffington; 2000, p. 1221)
Commedia fiacca degli equivoci con una soluzione che non persuade. (Signori, in carrozza!; 2000, p. 1223)
Scritta con Mario Soldati, è una commedia dal ritmo perfetto, tipica dei "telefoni bianchi", basata com'è sul classico scambio dei ruoli e dei personaggi. Regista dai mezzi toni, M. Camerini riscatta il moralismo della storia (il confronto tra la sana piccola borghesia e la vacua aristocrazia) con una giusta dosatura di ironia e sentimento. (Il signor Max; 2000, p. 1224)
Thriller erotico di terz'ordine: drammaturgia sgangherata, personaggi improbabili, sagra degli stereotipi e delle assurdità nelle motivazioni psicologiche. Resta solo il sessappiglio di S. Stone. (Sliver; 2000, p. 1233)
Nero di buon artigianato, con una bella colonna sonora di Elmer Bernstein e una suggestiva fotografia di Charles Lang Jr. Entrambi nominati agli Oscar, J. Crawford e J. Palance sono assai efficaci nel rendere con ambiguità la perversità del rapporto tra i loro personaggi, ma anche G. Grahame scava in profondità nel masochismo del suo. (So che mi ucciderai; 2000, p. 1235)
È il colosso biblico che mandò a picco la Titanus. Costò 6 miliardi contro i 3 stanziati. Squinternato nella struttura, ma con qualche pagina vigorosa. Enfatico, smisurato. [...] Tutte le regole dei colossi biblici, imperniati sul binomio sesso+religione, sono rispettate anche se le audacie erotiche sono più prudenti di quel che il titolo promette, sostituite col surrogato del sadismo la cui oscenità è più contrabbandabile di quella sessuale. Anche qui, comunque, tutto si svolge a Sodoma e nei dintorni. Di Gomorra nemmeno l'ombra. (Sodoma e Gomorra; 2000, p. 1235)
Restituisce in piccola parte la tematica hemingwayana sulla ricerca dell'identità, il ritratto della lost generation, le risonanze simboliche del viaggio. Escluso Power fuori parte, il cast funziona: una Gardner travolgente come Brett Ashley; la Gréco ruba le scene ai compagni; al suo penultimo film, Flynn si prende in giro con classe. La corsa dei tori a Pamplona è filmata benissimo (Cinemascope di Leo Tover). (Il sole sorgerà ancora; 2010, p. 1395)
Intelligente poliziesco d'azione con stile da western, critica alla polizia corrotta e preciso disegno psicologico dei due personaggi principali, permeato da una vena sentimentale sincera, sceneggiato con cura, diretto da un mestierante del genere (suoi tutti gli Arma letale) e montato con ritmo e giusta suspense. Ma la cosa migliore è B. Willis nei panni di un poliziotto stanco, malinconico, che si sente un fallito e ritrova dignità e autostima nel difendere a ogni costo un uomo, anche se si tratta "solo" di un delinquentello nero e petulante. (Solo due ore; 2010, p. 1396)
Nel quadro del calligrafismo letterario che s'impose nel cinema italiano negli anni di guerra il penultimo film di F.M. Poggioli (1897-1945) ha un posto d'onore per finezza della recitazione, puntiglio rievocativo, attenzione ai dettagli. Peccato che, probabilmente per ragioni di costo, il regista abbia dovuto omettere il paesaggio, una tela di fondo importante nell'ironico romanzo di A. Palazzeschi [...]. (Sorelle Materassi; 2000, p. 1248)
Uno dei capolavori della commedia italiana del "boom". La società di quel periodo è resa con un'euforia rara, un'ammirevole sapienza nel passare dall'agro al dolce, dal comico al grave. Il pubblico lo capì meglio dei critici. (Il sorpasso; 2000, p. 1248)
Carosello tragicomico di amori incrociati. La migliore commedia del regista, un capolavoro. Nelle cadenze frivole di un "invito al castello" con risvolti comici da pochade rivela un retrogusto amarissimo. Grande compagnia d'attori, eleganza suprema. Bergman sostiene di essere negato all'umorismo, al registro leggero. Dopo Una lezione d'amore, questo film lo smentisce. (Sorrisi di una notte d'estate; 2013, p. 1484)
Melodramma gangster ben fatto, con una bella trama intricata e con un R. Taylor farabutto di "sani e incorruttibili principi". Ma l'Oscar lo prese V. Heflin, come miglior attore non protagonista. (Sorvegliato speciale; 2000, p. 1249)
Investigazione interiore, thriller psicologico. Famosa la scena del bicchiere di latte. Epilogo insoddisfacente (anche per Hitchcock) diverso da quello del romanzo [...]. (Il sospetto; 2000, p. 1249)
Scurrile, politicamente sfacciato sino all'assurdo (e all'irresponsabilità), è una miscela sgangherata di pulp, Kitsch, satirica trasgressione, simpatia e cattivo gusto. (South Park; 2000, p. 1254)
Sul classico tema della "seconda occasione", cimentandosi in un genere per lui nuovo, il settantenne regista-produttore C. Eastwood pilota ammirevolmente un altro film con l'abituale understatement, mescolando con sapiente leggerezza i toni, dall'umoristico al drammatico. Coerente con la sua concezione artigianale del cinema, ricorre agli effetti speciali subordinandoli al racconto e rivendicando la centralità delle doti umane (manualità, intuito, libertà di scelta) contro la supremazia della tecnologia. Melanconico e genialmente retorico epilogo lunare nel nome dell'amicizia [...]. (Space Cowboys; 2010, p. 1409)
La chirurgia plastica trasforma una bruttina in bellissima. Il marito non l'accetta, la vita coniugale diventa un inferno, lei se ne va con un corteggiatore, ma quando apprende che il consorte ha ucciso il chirurgo, ritorna. Nonostante l'inverosimiglianza dell'assunto, non manca d'interesse come descrizione di un meschino ambiente piccoloborghese. Ottimo Bourvil. (Lo specchio a due facce; 2010, p. 1258)
Molti effetti speciali, la storia speciale non è, i personaggi nemmeno. Film bovino con poca azione, molte chiachiere, due o tre belle idee di sceneggiatura, un finale ingegnoso. (Star Trek; 2010, p. 1428)
Più vispo del primo. Ridimensionate le ambizioni metafisiche e ridotti gli effetti speciali, si è puntato sull'azione, sulle battaglie, su Khan, malvagio galattico di statura scespiriana. Le solenni banalità del dialogo non si contano. (Star Trek II - L'ira di Khan; 2010, p. 1428)
La zuppa è sempre la stessa, ma è cambiato il cuoco. In peggio. Ci si prende troppo sul serio. Contano le scenografie wagneriane, le catastrofi, gli effetti speciali. E i Klingons, pirati interstellari, sono pappemolli che fanno la faccia feroce. (Star Trek III - Alla ricerca di Spock; 2010, p. 1428)
Attore, sceneggiatore e regista, L. Nimoy porta le avventure galattiche verso la Terra e verso la commedia con risultati assai divertenti. Pochi effetti speciali ma efficaci. (Star Trek IV - Rotta verso la Terra; 2010, p. 1428)
Gene Roddenberry, creatore della serie, inorridirebbe se fosse ancora vivo: si è toccato il fondo. (Star Trek: La nemesi; 2010, p. 1429)
È un film sonoro, ma senza una parola di dialogo. Sul piano formale è tutt'altro che disprezzabile e riesce a raggiungere una innegabile tensione drammatica in più di una sequenza. R. Milland è bravissimo nella sua interpretazione di nevrotico. Scritto da R. Rouse con Clarence Greene, ha i limiti di ogni narrazione imperniata su una scommessa stilistica. Al risultato concorre la suggestiva ambientazione realistica negli esterni di Washington e New York. (La spia; 2000, p. 1261)
Un gioiello del cinema americano a basso costo in cui il tempo narrativo coincide con quello reale. Realizzare The Set-Up (trucco, imbroglio) "fu per tutti un atto d'amore" (R. Wise). Un raro equilibrio di tensione, autenticità, atmosfera, credibilità, verità psicologica. Splendido bianconero di Milton Krasner. Premiato a Cannes per la sceneggiatura dell'esordiente Art Cohn, giornalista sportivo, una delle più belle interpretazioni del quarantenne R. Ryan che aveva praticato il pugilato in gioventù. (Stasera ho vinto anch'io; 2000, p. 1275)
Con la colta complicità di Bernardino Zapponi, L. Magni privilegia in Neri – canonizzato nel 1622 – lo zelo cristiano, fatto di invidiabile buonumore e disprezzo delle mondanità. Più che film storico, pencola verso la commedia musicale con le canzoni scritte da Angelo Branduardi. Godibili l'Ignazio di Loyola di p. Leroy, Sisto V di M. Adorf, il diavolo calderaro di R. Montagnani, il garbo di J. Dorelli che fa un Neri alla Crosby (La mia via). La sequenza in cui si siedono – tutti stinchi di santo spagnoli – Teresa d'Avila, Giovanni della Croce e Ignazio di Loyola ricorda Buñuel di La via lattea. (State buoni se potete; 2000, p. 1275)
Maldestro tentativo di inserire due divi di Hollywood in una struttura neorealistica di taglio semidocumentario. [...] soltanto a sprazzi si coglie la sensibilità di V. De Sica. Vale soprattutto per il finale. (Stazione Termini; 2000, p. 1276)
Ispirato a fatti realmente accaduti, è in bilico tra uno storico appena credibile e uno pseudo-erotico-conventuale. (Storia di una monaca di clausura; 2000, p. 1283)
Scritto da Lillian Hellman, è un sagace adattamento di un dramma (1935) di Sidney Kingsley dove, accanto ad attori famosi, c'è da ammirare la banda dei Dead End Kids, la fotografia di G. Toland e la brava C. Trevor. Girato interamente in studio con fondali dipinti. Questa accentuazione della sua dimensione teatrale diventa un espediente quasi brechtiano per comunicare che la storia in corso è rappresentativa di una vasta realtà. (Strada sbarrata; 2000, p. 1287)
Rifacimento di La chienne (1931) di Jean Renoir [...], ma F. Lang, aiutato da un'ottima sceneggiatura di Dudley Nichols, ne ha cavato qualcosa di originale: una storia psicologica con un magico sottofondo da incubo. (La strada scarlatta; 2000, p. 1287)
Intelligente antologia sui moderni metodi di lotta che la polizia USA ha adottato contro il banditismo nel dopoguerra, ha un notevole ritmo, un ottimo montaggio e un gruppo di bravi attori. (La strada senza nome; 2000, p. 1287)
È il 3° e il più convenzionale dei film diretti da Welles, in linea con un personaggio di moda a Hollywood negli anni '40: l'ospite in casa che non è quel che sembra. Prodotto da Sam Spiegel e scritto da Anthony Veiller su un soggetto altrui, ha molti punti deboli, ma, oltre a quella finale, vanta almeno 2 sequenze memorabili (l'inizio e l'assassinio nel bosco) e lo straordinario bianconero di Russell Metty. Interessante la descrizione dell'ambiente di provincia. Pur andando talvolta sopra le righe, Welles sfaccetta con sottile istrionismo il suo nazista. Memorabile la figuretta del farmacista che gioca a scacchi. (Lo straniero; 2000, p. 1290)
Pretenzioso nel voler essere un'analisi dell'inconscio femminile, è un fantasy adrenalinico, più videogioco che film, che nel giro di meno di mezz'ora diventa ripetitivo, esageratamente estetizzante (scenografie di Rick Carter e costumi di Michael Wilkinson), troppo concentrato sull'erotismo delle giovani interpreti costrette in personaggi privi di spessore, retorico nel finale. (Sucker Punch; 2013, p. 1539)
È difficile stabilire in che misura i notevoli meriti di questo film nero che è anche un apologo morale siano di Ben Hecht sceneggiatore [...] o della regia di O. Preminger e del suo stile visivo di grande precisione. Ancora una volta, dopo Laura (1944), la coppia Andrews-Tierney fa faville. (Sui marciapiedi; 2000, p. 1298)
Raccontato sul filo del rasoio del drammatico e dell'umoristico, è un po' verboso e prolisso, ma sostenuto da una sapiente suspense. (Il suo tipo di donna; 2000, pp. 1300-1301)
Titolo stupido per un elaborato rifacimento del famoso racconto Giro di vite (1898) di Henry James. Ma la suspense c'è, e specialmente il clima morboso. Ottima D. Kerr, splendida fotografia di Freddie Francis. (Suspense; 2000, p. 1304)
T
Ultimo film inglese di Hitchcock che non riuscì mai ad amarlo. Macchinoso, un po' enfatico, teatraleggiante, un po' stupido, ma è pur sempre un tenebroso incontro con i mostri della mente e del sogno. (La taverna della Giamaica; 2000, p. 1316)
Sceneggiato da Luc Besson, è un film di azione ad alta velocità che assomiglia ai poliziotteschi italiani degli anni '70 più che ai modelli hollywoodiani degli anni '90: inseguimenti, acrobazie su due o quattro ruote, parentesi di umorismo pecoreccio. Basta guardare i primi 20 minuti. Sembrano sentinelle che dicano: non andate avanti. (Taxxi; 2000, p. 1317)
L'argomento era già un po' sdato e anacronistico perché quando il film uscì era già in funzione il telefono automatico. Deriva, infatti, da una novella di Herbert Rosenfeld degli ultimi anni '20, sceneggiata da Ernst Wolff per il film tedesco Fräulein-falsch verbunden (1932) di E.W. Emo con Magda Schneider. Il rifacimento del casertano N. Malasomma non manca né di brio né di garbo. (La telefonista; 2000, p. 1319)
Racconto di comportamenti più e prima ancora che di psicologie, non fa concessioni allo spettacolo o al romanzo: nessun incidente, nemmeno una piccola slavina, tutto concentrato sui gesti, gli oggetti, i piccoli particolari quotidiani con un filo di bonaria ironia. Una piccola musica, un film di grazia. (Il tempo si è fermato; 2000, p. 1323)
Se esistesse l'Oscar della macelleria, questo 8° film di D. Argento se lo aggiudicherebbe facilmente. (Tenebre; 2000, p. 1323)
Il motto è "Non fate la guerra, fate l'amore". In modi meno piccanti, la vicenda rimanda a quella di L'iniziazione (1986) di Mingozzi, ma Hamilton, famoso fotografo di moda, punta sulla calligrafia e il morbosetto. (Tenere cugine; 2000, p. 1324)
1° film a colori di R. Freda [...] e uno dei suoi risultati più armoniosi in cui le ragioni dello spettacolo non prevaricano sulla definizione dei personaggi. (Teodora; 2000, p. 1325)
3° film di V. De Sica regista [...] e il migliore dei 3 per il garbo della costruzione narrativa, l'esperta guida degli attori, la credibilità dei personaggi. Basterebbe A. Magnani nel personaggio della canzonettista Loletta Prima per raccomandarlo. (Teresa Venerdì; 2000, p. 1327)
Artificioso, ma efficace esercizio di suspense con una palese influenza dell'espressionismo a livello figurativo. Una B. Stanwyck superlativa si guadagnò una candidatura all'Oscar. (Il terrore corre sul filo; 2000, p. 1331)
È un bizzarro film in cui J. Huston prende in giro un po' tutti: sé stesso, il thriller avventuroso, G. Lollobrigida e il pubblico, strizzando l'occhio agli amici. Una vacanza italiana. Quando uscì fu un fiasco, ma poi divenne un film di culto per cinefili sofisticati. Dialoghi spiritosi di Truman Capote. (Il tesoro dell'Africa; 2000, p. 1334)
"Girato per scommessa e divertimento" (D. Siegel). Scommessa vinta, spettatori divertiti. (Il tesoro di Vera Cruz; 2000, p. 1335)
È il caso raro di un film laico, appoggiato più all'antropologia che alla psicologia, che, attraverso la leggerezza e la concretezza della vita quotidiana, suggerisce il senso del sacro, la religione vissuta come energia dell'amore. (Thérèse; 2000, p. 1339)
Enorme successo di pubblico per questo film d'avventure girato come un lungo spot pubblicitario da Tony Scott (fratello del più celebre Ridley). Ad majorem gloriam dell'epoca di Ronald Reagan. E di Tom Cruise. (Top Gun; 2013, p. 1602)
Lavora bene con la macchina da presa l'attore-regista cileno di origine russa A. Jodorowsky, traducendo in immagini e suoni i suoi (non sempre chiari) messaggi poetici e filosofici di anarchico narcisista, alchimista manipolatore di simboli. Per qualcuno questo è "il primo western surrealista". (El Topo; 2000, p. 1351)
2° capitolo, tra Catene (1950) e I figli di nessuno (1951) della popolare trilogia "lacrimosa" con la coppia A. Nazzari-Y. Sanson. Gli stereotipi del romanzo d'appendice ridotti all'essenziale con due o tre colpi di regia. (Tormento; 2000, p. 1352)
Il principio di base è l'accumulazione, come se lo sceneggiatore Aldo De Benedetti avesse voluto condensare in un film solo due o tre romanzi d'appendice. (Torna!; 2000, p. 1352)
Sulla via di Matarazzo, R. Freda, ispiratosi a un fatto di cronaca del 1922, conduce in porto il melodramma passando di scena madre in scena madre. A. Nazzari convince più di V. Gassman, che si stava specializzando nelle parti di cattivo. (Il tradimento; 2000, p. 1359)
[...] il 5° film di M. Soldati regista conta per l'orchestrazione capziosa dei rapporti psicologici, l'impiego drammatico del paesaggio (fotografia di M. Terzano e O. Martinelli), l'ingegnoso assillo di "fare cinema". (Tragica notte; 2000, p. 1361)
Il titolo originale Die Hard è meno fuorviante di quello italiano: si riferisce proprio al protagonista, solo contro tutti, e alla feroce lotta che deve intraprendere. Non è un catastrofico, è un memorabile, stringato e avvincente film d'azione. (Trappola di cristallo; 2000, p. 1364)
È un film che ha in partenza qualche difficoltà di carburazione, ma poi funziona con diversi momenti divertenti. (Trenta secondi d'amore; 2000, p. 1374)
Tron (frammento di elettronica) è una divertente variante pirotecnica di Guerre stellari. Prodotto dalla Disney. Film-computer, e non soltanto film sul computer, tra riferimenti scientifici che non sono affatto scientifici, ha la sua brava morale americanamente ottimistica. È il 1° film sulla realtà virtuale. (Tron; 2000, p. 1381)
[Nel film] sono messi in fila tutti gli stereotipi della commedia sentimentale per smontarli e frantumarli con una spudorata buffoneria che sghignazza sulle regole del "politicamente corretto" e del buon costume. Sono passate agli onori della cronaca, se non della storia, le gag del gel e quella antica (ma qui per la prima volta dotata del controcampo in passato sempre negato) del pene chiuso di scatto nella cerniera dei pantaloni. Critici e spettatori divisi in due fazioni: chi lo prende per un umorismo sopra le righe, ma intelligente e liberatorio e chi lo respinge come un esempio di trivialità goliardica [...]. (Tutti pazzi per Mary; 2000, p. 1390)
U
Unico film fantastico nella carriera di Hitchcock, comincia in cadenze di commedia mondana e termina nei toni di un'allegoria apocalittica, basata sulle 3 unità della tragedia classica (luogo, tempo, azione). Inquietante, non soltanto impressionante. (Gli uccelli; 2000, p. 1393)
È un vero film "de noantri", romano e romanesco a 18 carati, degno del Belli. C'è la firma di Fellini giovanissimo alla sceneggiatura insieme a quella di A. Fabrizi. I duetti Fabrizi-Magnani sono spassosi. (L'ultima carrozzella; 2000, p. 1396)
[...] M. Scorsese rifiuta i tre modelli cinematografici a disposizione (il colossal hollywoodiano, Rossellini, Pasolini) e persegue una propria via, discutibile ma sicuramente personale. Recupera la cultura cattolica meridionale di Little Italy di cui s'è alimentato nell'infanzia, la filtra attraverso la sua memoria di cinéphile onnivoro e la "cristologia" rock degli anni '70 (eloquente la scelta di Peter Gabriel per le musiche) e tenta persino di rappresentare Cristo in modi "barbarici" come potrebbero vederlo uomini africani o latino-americani, di cultura diversa da quella euro-occidentale. Il suo è un Dio delle debolezze che ha preso sul serio l'incarnazione e che ha uno spessore teologico maggiore di quel che è sembrato alla maggioranza dei critici e dei cattolici scandalizzati. (L'ultima tentazione di Cristo; 2000, p. 1400)
[...] il 35° film di Matarazzo chiude il ciclo del melodramma matarazziano di cui è in un certo modo il compendio, ma chiude anche, non senza malinconia, il suo itinerario di regista. I 5 film successivi sono soltanto il segno di una sopravvivenza. (L'ultima violenza[3])
Un piccolo classico della SF al cinema. Il suo discorso di rispetto per gli alieni lo distingue dall'isteria di quel periodo di guerra fredda. Bravi attori, solida sceneggiatura, pochi trucchi, molta sobrietà. (Ultimatum alla Terra; 2000, p. 1400)
Nonostante l'apporto di Moravia alla sceneggiatura, la vicenda, aggiornata agli anni '50, non sta in piedi. La condizione della donna è esaminata con piagnucolosa curiosità, e non basta la bravura della Valli a riscattarla. Ambientazione milanese fiacca. (Ultimo incontro; 2000, p. 1406)
Global colossal etno-epico da 140 milioni di dollari con ambizioni storiche, filosofiche e artistiche che all'atto pratico vengono sacrificate sull'altare del dio mercato. Al suo attivo il potente romanticismo della vicenda (J. Logan, M. Herskovitz, E. Zwick), le grandiose scene di battaglia – su tutte l'emozionante carica dei samurai a cavallo che sbucano come fantasmi dalla nebbia in mezzo al bosco –, la documentata ricostruzione degli ambienti (Lilly Kilvert) e dei costumi (Ngila Dickson), l'intensa interpretazione di Watanabe nei panni dell' "ultimo samurai", che sprona Cruise a dare il meglio di sé. Infestato, però, da stereotipi hollywoodiani e cadute nella soap opera, come il ridicolo incontro finale con l'imperatore e l'happy end sentimentale. (L'ultimo samurai; 2013, p. 1670)
Tratto da un romanzo di Richard Matheson e girato a basso costo tra i palazzi romani dell'EUR, è un horror che passò ingiustamente inosservato, nonostante i suoi meriti: un ottimo Price, alta tensione, intelligenza dei dettagli, alcune anticipazioni – o coincidenze? – con i futuri film di George A. Romero. (L'ultimo uomo della Terra; 2000, p. 1408)
Uno dei capolavori del cinema neorealista, e il suo canto del cigno. Frutto maturo del sodalizio tra Zavattini e De Sica, sostenuto anche da ricerche, non tutte risolte, sul tempo e la durata (famosa la sequenza del risveglio della servetta), il film tocca una crudeltà lucida senza compromessi sentimentali, fuori dalla drammaturgia tradizionale. Non ha la "perfezione" di Ladri di biciclette, ma va al di là. (Umberto D.; 2000, p. 1409)
Come Camerini anticipò il neorealismo, facendo di Milano qualcosa di più di una tela di fondo per questa commedia comico-sentimentale profumata di giovinezza e raccontata con garbo. (Gli uomini, che mascalzoni...; 2000, p. 1413)
Narrato con scioltezza è un dramma razziale intelligente che vale anche per alcune (azzeccate e dure) annotazioni sociologiche e ambientali (la famiglia del medico). Disgraziatamente J.L. Mankiewicz si è abbandonato un po' troppo alla declamazione e agli effetti. Bravi gli interpreti [...]. (Uomo bianco, tu vivrai!; 2000, p. 1417)
Il pretendente [...] doma la bisbetica con disarmata e sorridente pazienza. Commedia agile, festosa e gentile [...]. (L'uomo che sorride; 2000, p. 1420)
Considerato il migliore dei 5 film hollywoodiani di J. Renoir, il 1° in cui il conflitto tra uomo e natura ha un'importanza centrale: quasi vi si sente l'odore della terra smossa dall'aratro, battuta dalla pioggia o riscaldata dal sole. Il velato ottimismo dell'epilogo è una speranza più che una certezza. (L'uomo del Sud; 2000, pp. 1425-1426)
Pur subordinata ai 3 personaggi maschili, la Davis dà alla sua parte calore e umorismo, "rubando" il film a Robinson per il quale era stato prodotto dalla Warner. (L'uomo di bronzo; 2000, p. 1426)
[...] è uno dei migliori thriller prodotti da Val Lewton per la RKO. La povertà dell'intrigo è riscattata dall'uso sapiente della suspense e degli effetti: l'orrore è solamente suggerito. (L'uomo leopardo; 2000, p. 1429)
Gli ingredienti narrativi sono più o meno gli stessi di Il ferroviere (1955), e la maestria tecnico-stilistica è tale che non si nota quasi più. Per tre quarti il film tiene, avvince e convince (e la Bettoja fu giustamente una rivelazione), ma ancora una volta il finale rovina l'equilibrio a colpi di retorica e di buon senso piccolo borghese. L'apporto alla sceneggiatura di Benvenuti e De Bernardi, collaboratori di A. Giannetti, si sente nei particolari. (L'uomo di paglia; 2000, p. 1427)
Curioso esempio di fantascienza religiosa da un romanzo di successo di Morris West che, comunque, previde con un anticipo di più di 10 anni l'elezione (1976) del polacco Karol Wojtyla. Un insuccesso a tutti i livelli. (L'uomo venuto dal Kremlino; 2000, p. 1433)
Interamente girato in Thailandia, è coraggioso, anticonformista e crudele per certi aspetti, soprattutto nella 1ª parte. (Urla del silenzio; 2010, p. 1609)
V
Costato 50 milioni di dollari a Joel Silver (Matrix) che l'ha prodotto per la Warner, questo colosso di fantapolitica ha i suoi veri autori nei fratelli Wachovski (Matrix) che l'hanno coprodotto e sceneggiato dal romanzo a fumetti di Alan Moore e David Lloyd, delegandone la regia all'ex aiuto regista McTeigue. [...] È una silloge di Robin Hood, Zorro, Fantasma dell'Opera, che protegge, ama, rigenera la giovane Evey, trasformandola in complice ed erede sino alla vittoria finale. La componente ideologica non è da prendere troppo sul serio, ma nemmeno da trascurare: le fonti indirette sono britanniche in letteratura (Il mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell) e in musica (Sex Pistols). Struttura narrativa compatta, ineccepibili i contributi tecnici (fotografia, scene, costumi, colonna sonora, effetti speciali). La maschera del protagonista rimanda alle sembianze di Guy Fawkes (1570-1606) che doveva essere l'esecutore del cosiddetto Gunpowder Plot (Congiura delle polveri) del 5-11-1605, organizzato da un gruppo di altolocati cattolici per distruggere la sede del parlamento e il re Giacomo I Stuart e fomentare un'insurrezione popolare. Memorabile sequenza finale di Londra invasa da migliaia di insorti con la maschera di V prima dell'ultima esplosione. (V per Vendetta; 2010, p. 1679)
[...] è una parafrasi (o un'interpretazione?) in chiave psicanalitica della storia di Caino e Abele dove il primo non è malvagio, ma disperato e cerca di trovare nell'amore la salvezza. [...] È anche il 1º film di J. Dean protagonista e rimane tuttora soprattutto come il suo ritratto. (La valle dell'Eden; 2000, p. 1442)
Scritto da Nigel Kneale con il regista, è il 2° film della serie Hammer che, nella sua miscela di fantascienza e horror, riflette in modi bizzarri l'isteria allarmistica da guerra fredda (come in USA L'invasione degli ultracorpi, 1956). (I vampiri dello spazio; 2010, pp. 1618-1619)
La vita del Cristo secondo uno dei tre evangelisti sinottici da cui, però, sono stati espunti tutti i passi escatologici e la maggior parte dei miracoli. È un film laico, rivolto a mettere in luce l'umanità più che la divinità di un Gesù severo, pugnace, medievale, carico di tristezza e di solitudine. Quando il regista riesce a far coincidere il testo di Matteo con l'autobiografia, la passione con l'ideologia, è il film di un poeta. In senso teologico, è un vangelo senza speranza. Con il suo sincretismo formale, i riferimenti pittorici, la scabra luminosità, il richiamo a un Terzo Mondo che non è più solo preistoria, raggiunge una forte tonalità epica e religiosa. (Il Vangelo secondo Matteo; 2000, p. 1445)
Seguito di La maschera di Frankenstein (1957) cui è superiore: il personaggio del barone, vero protagonista della serie della britannica Hammer (mentre quella hollywoodiana dell'Universal privilegiava la Creatura, cioè Boris Karloff), è di una complessità insolita, grazie alla sceneggiatura articolata di Jimmy Sangster, e T. Fisher non gli nega la comprensione, se non la simpatia. (La vendetta di Frankenstein; 2000, p. 1450)
Il 1° dei 3 western di Lang, e non il migliore. Più che sul tema della giustizia, svolto in modo troppo didattico, trova i suoi motivi di interesse in quelli della vendetta e della colpa. G. Tierney esordiente è già fascinosa. (Il vendicatore di Jess il bandito; 2000, p. 1451)
Film di culto per gli amanti del cinema nero: eleganza, decadenza, perversione, crudeltà, umorismo e una forte vena di necrofilia ne fanno un cocktail unico. Il motivo di David Raksin ("Laura") incanta ancora oggi. Uno di quei film felici dove tutto concorre al risultato finale: regia, sceneggiatura, fotografia (J. LaShelle, premio Oscar), scenografia, musica. (Vertigine; 2000, p. 1463)
Il surrealismo del vecchio maestro spagnolo è al massimo della sua forma in questa deliziosa, sarcastica scorribanda attraverso le eresie, da lui prese come segni di una dialettica tra fede e ideologia, potere e libertà. (La via lattea; 2000, p. 1469)
Film laico sulla stregoneria, poco romantico e ancor meno mistico, fondato sulla visione: le immagini vi contano più delle parole. Alle seconde è affidata la dimensione razionale e discorsiva (diurna), alle prime quella emotiva e fantastica (notturna), ma quanto è feconda la contraddizione dialettica tra le due componenti? Domina la presenza simbolica dell'acqua, anche come parte femminile della libido. (La visione del sabba; 2000, p. 1478)
Commediola melensa, anacronistica e recitata a braccio. (La vispa Teresa; 2000, p. 1479)
[...] è una commedia di carta velina sotto il segno di un ottimismo ingenuo, appena sfiorato da una vena umoristica. Nel '43 quanti italiani andarono a vederlo per constatare com'era bella la vita, almeno al cinema? (La vita è bella, 1943; 2000, p. 1481)
6° film di Benigni regista, è il più ambizioso, difficile e rischioso e il migliore: 2 film in 1, o meglio un film in 2 parti, nettamente separate per ambientazione, tono, luce e colori – essenziali i contributi della fotografia – ma complementari: la 1ª spiega e giustifica la 2ª. Una bella storia d'amore, scritta con Vincenzo Cerami: prima tra un uomo e una donna, poi per un figlio, ma l'una è la continuazione dell'altra. Il frenetico dinamismo di R. Benigni è felicemente sfogato, la sua torrentizia oralità ora debordante ora dimezzata. Un'elegante leggerezza distingue G. Durano nel più riuscito dei personaggi di contorno. (La vita è bella, 1997; 2000, p. 1481)
È il film di Natale per eccellenza, uno dei capolavori del cinema sentimentale di tutti i tempi. [...] Stewart dà il meglio in un personaggio che passa dall'ottimismo al pessimismo più nero come la commedia passa dal comico all'incubo, dal documentario alla favola. (La vita è meravigliosa; 2000, pp. 1481-1482)
Melodramma popolare che anticipa la serie Nazzari-Sanson degli anni '50 con una risentita descrizione dell'Italia in rovine (borsaneristi e cafoni arricchiti in opposizione agli stenti e alle sofferenze dei più). Una A. Valli intensa e un ottimo E. De Filippo. (La vita ricomincia; 2000, p. 1484)
La selvaggia potenza del romanzo della Brontë è un po' troppo addomesticata. Gli sceneggiatori ne hanno impoverito l'intensità e attutito il romanticismo gotico, ma il film rimane egualmente memorabile. Robusta interpretazione di Olivier. (La voce nella tempesta; 2000, p. 1491)
Melodramma fiammeggiante in puro stile anni '50: società corrotta e la donna, sua vittima, trasformata in eroina con l'aureola. (Vortice; 2000, p. 1496)
W
Per più di un'ora è divertente, credibile, vispo come una commedia dei tempi d'oro. Avvince e convince meno quando assume il ritmo di un thriller d'inseguimento. La morale è di un sano pacifismo. (Wargames - Giochi di guerra; 2000, p. 1498)
Farsa macabra mal combinata e mal recitata, con la presunzione di far della critica sociale. Inspiegabile successo di pubblico, tale da generare un seguito. (Weekend con il morto; 2010, p. 1684)
Immedicabile volgarità di fondo a ritmo demenziale e recitazione agitata. Sceneggiatore dell'altro, R. Klane ha fatto la regia. Il cambio di mano è inavvertibile. (Weekend con il morto 2; 2000, p. 1499)
Ritratto di donna in forma di monologo quasi didattico e una traccia d'azione. Per T. Russell è lo spunto per un'esibizione di alto istrionismo gestuale, fonico, recitativo. K. Russell, autore geniale e visionario sempre in bilico sul kitsch, ha filmato con tono di premeditata e accanita sgradevolezza, cercando di rispecchiare con onestà la materia. (Whore (puttana); 2000, p. 1501)
Y
Il film parte piano e lascia lo spettatore nella stessa condizione di spaesamento e incredulità vissuta dai 2 protagonisti, derubati della propria identità. La vita semplice di Mitsuha, costruita sul tramandarsi generazionale di costumi e tradizioni andate perdute, si contrappone a quella frenetica di Taki, cameriere e studente in una Tokyo spersonalizzante e superficiale. Un incontro-scontro di 2 anime ben distinte, al di là dello spazio e del tempo, che ricorda alla lontana il coreano Il mare (2000) e il suo remake americano La casa sul lago del tempo (2006). La cometa, vista e attesa con stati d'animo diversi dai due ragazzi, diventa il simbolo dell'inevitabilità del destino e il tramite che rende indivisibile il loro legame. (Your Name.; 2017, p. 1719)
Serie televisive
Ideatore della serie è J.J. Abrams, padre del ben più noto Lost, che anche in questo caso riesce, puntata dopo puntata, a tenere lo spettatore incollato allo schermo, grazie a trame e sottotrame ricche di idee e situazioni. Spiccano nel cast l'ancora semisconosciuta Jennifer Garner e un ottimo Victor Garber. (Alias, 2013, p. 1807)
La serie nasce da una costola di Buffy l'ammazzavampiri, giunta con successo a cavallo del 2000 alla terza stagione. Benché parte del cast e la produzione siano le stesse, è un prodotto televisivo più cupo e dark, cui mancano quei guizzi geniali che caratterizzavano la serie madre, non riuscendo quindi a imporsi come cult dei primi 2000 al pari di quanto è avvenuto per la famosa cacciatrice di vampiri. (Angel, 2013, p. 1808)
Irriverente e scorretto, in pieno stile AMC, una delle reti televisive USA più all'avanguardia di oggi. (Breaking Bad, 2016, p. 1712)
Nato dalla mente televisiva di Josh Schwartz, già ideatore di prodotti di culto tra i giovani come The O.C. e Gossip Girl, è un perfetto cocktail di azione e comicità, definizione di personaggi completi e tanta spontaneità per uno dei telefilm più particolari degli ultimi anni. Difficile da catalogare. (Chuck; 2013, p. 1811)
La serie parte da un flashback nell'anno in cui è avvenuto il crimine e si muove poi avanti e indietro nel tempo in maniera quasi totalmente libera. Ottima fotografia dalle luci particolari ma incredibilmente efficaci per le scene del passato, bella colonna musicale con alcune delle canzoni più celebri del periodo. È la prima serie esterna al format CSI a comparire in un crossover con CSI: NY. (Cold Case - Delitti irrisolti; 2013, p. 1812)
La serie è infestata da dialoghi assurdi e situazioni improbabili e mette a dura prova i nervi di uno spettatore normale, eppure resta una pietra miliare dell'evoluzione del teen drama ed è stata ispiratrice di buona parte delle serie per i più giovani. (Dawson's Creek; 2013, p. 1813)
Conclusasi all'8ª stagione, ha conquistato l'America e il mondo con una certa dose di suspense e una comicità un pó cinica. Si vocifera che la fama improvvisa che ha investito le attrici abbia creato una spirale di gelosie e rivalità tra di loro che rendevano il set pressocché invivibile. (Desperate Housewives; 2013, p. 1813)
Liberamente ispirato a Sherlock Holmes, Dr. House si presenta come il più originale dei telefilm medici, e le vicende ospedaliere riescono a equilibrarsi con le storie personali. (Dr. House - Medical Division; 2013, p. 1815)
Accolta inizialmente con grandi critiche, la serie è tra le più longeve e seguite di sempre, imponendosi come un'ottima risposta europea all'egemonia dei serial USA. In patria ha battuto ogni record di longevità (per una serie TV). Unico paese dove la serie non ha spopolato rimangono (stranamente) gli Stati Uniti. (L'ispettore Derrick; 2013, p. 1819)
Ideata e scritta principalmente dall'attore e scrittore Julian Fellowes, andata in onda per la prima volta nel 2010, la serie è riuscita facilmente nella scalata al successo. È sicuramente il prodotto anglo-americano di maggior successo, ha ottenuto nel 2012 il primato di serie con il numero più alto di nomination agli Emmy Awards nella storia del premio. È attualmente uno degli show più diffusi in tutto il mondo. Per la tenuta di Downtown Abbey, vera e propria protagonista, è stato utilizzato l'Highclere Castle, nello Hampshire. Maggie Smith, nei panni della capostipite e tradizionalista Violet, è indimenticabile. (Downton Abbey; 2016, p. 1723)
La CBS propone un genere di difficile gestione e temi che tendono al tragico, ma le sceneggiature coinvolgenti e ben bilanciate rendono la serie piacevole e scorrevole, mantenendola a ottimi livelli fino alla sua conclusione nel 2010. (Ghost Whisperer - Presenze; 2013, p. 1816)
La serie è diventata un vero e proprio cult per i giovani della cosiddetta iPod generation e, tra segreti, misteri, tormentate storie d'amore e personaggi rigorosamente di bell'aspetto, ha saputo farsi strada nel difficile mondo degli ascolti per ben 6 stagioni ospitando svariate guest star del mondo della TV e della musica. (Gossip Girl; 2013, p. 1817)
Tra gli esordi più felici della storia della TV: i suoi primi episodi la rendono una delle migliori serie fantascientifiche degli ultimi anni. Poi ha perso lo smalto e il decadimento, in termini di ascolti, ne ha determinato la cancellazione improvvisa, senza che gli autori avessero il tempo di scrivere un finale conclusivo e soddisfacente. A nulla sono valse le petizioni dei fans e i tentativi di attori e produttori di portare i personaggi sul grande schermo per un'ultima, definitiva e conclusiva avventura. (Heroes; 2013, p. 1818)
Alla base del progetto e ideatore della serie, Carlo Lucarelli, scrittore italiano di successo specializzato in romanzi gialli e noir. A detta dello stesso Lucarelli, a ispirare la serie sono stati i film dedicati all'ispettore Callaghan. (L'ispettore Coliandro; 2013, p. 1818)
La serie nasce come uno dei 4 spin-off della serie Arcibaldo ed è riuscita col tempo a sovrastare il successo dello show d'origine mantenendosi al top della fama per 11 stagioni e segnando la storia della TV a cavallo tra gli anni '70 e '80. Le tematiche politiche sono trattate sempre senza aggressività o pesantezza, anche in episodi il cui tema centrale coinvolge questioni delicate di gravità non indifferente, quali il razzismo, il suicidio o l'analfabetismo. (I Jefferson; 2013, p. 1819)
Tra i più famosi polizieschi degli ultimi anni, seguito da svariati spin-off (l'ultimo di questi ambientato a Los Angeles), la serie è in grado di fornire una visione a 360° del sistema giuridico-investigativo USA, senza lasciare nulla di non detto o inconcluso. (Law & Order - I due volti della giustizia; 2013, p. 1819)
Un ottimo soggetto e un grande Tim Roth purtroppo non hanno salvato questa serie che, dopo 2 anni di successi, è stata cancellata alla sua 3a (un po' più scarsa) stagione. (Lie to Me; 2013, p. 1819)
Forte di una trama avvincente, di una struttura sofisticata in bilico continuo tra presente e passato, di un cast vario e intrigante, può forse essere considerato il più celebre telefilm dei primi anni 2000. Il finale della serie è stato seguito (ufficialmente) da circa 25 milioni di persone nel mondo. (Lost; 2013, p.1819)
La risposta femminile a Queer as Folk introduce a un mondo abbastanza sconosciuto, guidando lo spettatore nella vita dei personaggi, con alternanza di comicità e tragedia. Comunque in profondità. (The L Word; 2013, p. 1820)
Nonostante le svariate incongruenze riscontrabili nel corso delle varie stagioni e l'assurdità degli episodi vissuti da MacGyver, le sue imprese, come avvenne anche con Chuck Norris, sono diventate oggetto di innumerevoli battute e freddure, e questa è una delle serie che ha avuto più presa sulla gioventù degli anni '80 in tutto il mondo. (MacGyver; 2013, p. 1820)
Straordinaria ricostruzione di un paese contraddittorio, dalle scene e dai costumi di una perfezione unica, ai dettagli comportamentali, alle abitudini e ai pensieri di personaggi meravigliosamente delineati di questi Stati Uniti ormai perduti. Vincitore di svariati Emmy Award e Golden Globe. (Mad Men; 2016, p. 1740)
I baffi e i magnifici occhiali a goccia di Tom Selleck, cult degli anni '80, sono poi divenuti simbolo dell'intera decade. (Magnum, P.I.; 2013, p. 1820)
Una serie di successo che ha saputo conquistare migliaia di fans nel mondo grazie ai suoi personaggi un po' bizzarri ma indimenticabili e alla genuinità ironica e brillante nel raccontare i rapporti umani più importanti della vita, che spesso sono i più complicati. (Una mamma per amica; 2013, p. 1820)
Un raro esempio di show poliziesco dai risvolti sovrannaturali che, portando sullo schermo un personaggio realmente esistito, ha saputo conquistare una folta parte di audience americana che, normalmente, non si avvicina al poliziesco. Ottimo equilibrio tra le premonizioni, le indagini e la vita famigliare. (Medium; 2013, p. 1821)
Prodotta dai fratelli Ridley e Tony Scott, sempre molto attivi sul versante della produzione televisiva, la serie ha fatto incetta di premi nel tempo, tra cui il Premio Carl Sagan, conferito per "la comprensione pubblica della scienza". Nell'arco di 6 stagioni molti ruoli secondari sono stati affidati a star di successo del mondo televisivo. (Numb3rs; 2013, p. 1823)
Un teen drama incredibilmente longevo che ha saputo trovare la chiave per rinnovarsi costantemente anno dopo anno. In particolare si è rivelata una scelta giusta il salto temporale di 4 anni nel futuro operato nella 5ª stagione, che ha permesso agli autori di mantenere lo stesso cast e gli stessi personaggi cresciuti senza arrampicarsi sui vetri con spiegazioni. (One Tree Hill; 2013, p. 1823)
Un magistrale prodotto TV per un genere che raramente ha trovato realizzazioni di questo livello sul piccolo schermo. Tensione continua. Per onorarla in maniera originale, i produttori decisero di finirla col botto e, anziché sviluppare una conclusione canonica, girarono uno speciale di 2 ore intitolato Prison Break: The Final Break. (Prison Break; 2013, p. 1824)
[Addison Montgomery] Uno dei personaggi più riusciti nati dalla penna di Shonda Rhimes, secondo molti la donna più potente della TV americana, abbandona la serie d'origine Grey's Anatomy guadagnandosi uno show tutto suo, dove può mostrare per 6 stagioni le mille sfaccettature di una donna che potrebbe avere tutto, ma alla fine sembra sempre uscire perdente dalla vita. (Private Practice; 2013, p. 1825)
Dopo il successo ottenuto al cinema e sulla carta stampata, ecco la serializzazione del più celebre dei supereroi, Superman, mostratoci qua nella sua vita da adolescente spaventato dai propri poteri, prima di diventare il paladino della giustizia ed eroe dell'umanità che tutti conosciamo. (Smallville; 2013, p. 1828)
Un ottimo prodotto che è stato, giustamente, indicato come l'opera di cultura pop più importante degli ultimi 25 anni. Una curiosità: gli attori che impersonano i mafiosi hanno tutti origine italiana. Singolare e ancora inspiegata la freddezza dell'accoglienza in Italia, unico paese dove gli ascolti della serie non hanno raggiunto i record mirabolanti come nel resto del mondo. (I Soprano; 2013, p. 1828)
Tra le prime e più celebri serie TV italiane che, ispirandosi alle tendenze d'oltreoceano, mostrano un mondo di giovani pensato per i giovani. Nonostante l'alto audience, la maggior parte dei protagonisti non ha avuto fortuna negli anni successivi. (I ragazzi della 3ª C; 2013, p. 1825)
Esilaranti le visioni mentali del simpatico J.D. dal cuore d'oro. L'ultima stagione, nella quale alcuni membri del cast hanno raggiunto il ruolo di mentori di nuove leve dell'ospedale, rappresenta una delle peggiori scelte di mercato televisive che, pur di sfruttare la fama della serie fino all'ultimo, ha gettato al vento 8 anni di grande qualità per un prodotto finale scadente e banale. (Scrubs - Medici ai primi ferri; 2013, p. 1826)
Comicità originale dall'impostazione innovativa (i personaggi sono 30enni single legati da vincoli di amicizia e cinicamente indifferenti alla morale comune), che provoca spesso e volentieri disastri nelle vite altrui senza scomporsi mai troppo. Vincitrice di 10 Emmy Award e 3 Golden Globe. (Seinfeld; 2013, p. 1827)
La serie, i cui episodi sono spesso incentrati su problemi della vita di tutti i giorni e sulle difficoltà che si affrontano crescendo, era molto impostata sull'etica cristiana protestante e oscurata dal bigottismo della società americana. Al punto di aver fatto gradualmente sparire dalla scena una delle sue protagoniste, la sorella maggiore Mary, perché l'interprete Jessica Biel aveva posato in costume sulla copertina di alcune riviste. Ironia della sorte, la Biel è l'unico membro del cast ad aver avuto fortuna nella sua carriera, divenendo una star di livello internazionale. (Settimo cielo; 2013, p. 1827)
Il successo della serie, seppur poco longeva, ha assicurato ai due protagonisti fama pressoché eterna, rinfrescata da un adattamento cinematografico del 2004. Anche grazie alla serie la Ford Gran Torino è diventata una delle automobili più amate e più richieste dai collezionisti. (Starsky & Hutch; 2013, p. 1828)
Con un merchandising paragonabile forse solo a quello di Guerre stellari, è sicuramente una delle serie di fantascienza più amate di tutti i tempi: prova ne sono gli 11 film per il cinema, la serie animata e gli svariati spin-off prodotti nel corso degli anni. (Star Trek (serie classica); 2013, p. 1828)
Serie di punta della Warner Bros che per 8 anni ha stuzzicato l'immaginazione di ragazzine e bambine nei primi anni 2000. (Streghe; 2013, p. 1829)
Nemmeno il terribile e oltraggioso adattamento italiano della serie (nell'originale Francesca Cacace è Fran Fine, giovane ebrea dalla famiglia ingombrante) è stato in grado di rovinare la comicità spontanea e innocente di questa serie, caposaldo tra le sitcom dei dorati anni '90. (La tata; 2013, p. 1829)
La serie, ottima nella riproduzione del passato al pari di quanto lo era stata Happy days, ha anche lanciato un'intera nuova generazione di attori che è riuscita facilmente a farsi strada al termine delle riprese. (That '70s Show; 2013, p. 1829)
Remake statunitense di Yo soy Betty, la fea, telenovela colombiana di successo. Lo show, che ricorda molto nei primi episodi il film Il diavolo veste Prada, è leggero e piacevole nel suo guardare con ironia al contraddittorio e un pó perverso mondo della moda, fatto di apparenza e nessuna sostanza. (Ugly Betty; 2013, p. 1830)
Buon prodotto televisivo la cui forza risiede nei 2 protagonisti e nel disegno del rapporto che li unisce, contraddittorio ma incredibilmente genuino e affettuoso. A interpretare il giovane truffatore Neal è uno dei volti considerati più affascinanti dello star system, quello del fino ad allora sconosciuto Matt Bomer. (White Collar; 2016, p. 1771)
Un cult, capostipite nel suo genere e grande maestro di mistero e tensione. (X-Files; 2013, p. 1832)
↑ Tale edizione è indicata per le citazioni con l'anno di pubblicazione, il 2013, ed anche per le altre edizioni è indicato tra parentesi tonde, accanto alle citazioni, l'anno di pubblicazione e non del titolo.
Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini: dizionario dei film 2001, con la collaborazione di Sandro Mogni e Saverio Mauro Tassi, Zanichelli, Bologna, 2000. ISBN 88-08-03105-5
Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini 2011: dizionario dei film, con la collaborazione di Mauro Tassi, Zanichelli, Bologna, 2010. ISBN 978-88-08-22722-5
Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini 2014: dizionario dei film e delle serie televisive, Zanichelli, Bologna, 2013. ISBN 978-88-08-34476-2
Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini 2017: dizionario dei film e delle serie televisive, Zanichelli, Bologna, 2016. ISBN 978-88-08-75703-6
Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini 2018: dizionario dei film e delle serie televisive, Zanichelli, Bologna, 2017. ISBN 978-88-08-29119-6