regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
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Jean Renoir (1894 – 1979), regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese.
Ho l'impressione di essere un uccello... un grosso uccello che becchetta i frutti dei più disparati frutteti [...] Sono stato felice. Ho girato dei film che ho desiderato girare. Li ho girati con persone che erano più che dei collaboratori, erano dei complici. Ecco, io credo, una ricetta della felicità: lavorare con persone che si amano e che vi amano molto. (da Le passé vivant, pp. 121-122)
Sono prima di tutto un narratore di storie. Sono continuamente preso dalla voglia irresistibile di raccontare delle storie che mi sembrano eccellenti, e vorrei far condividere la mia gioia ai miei amici e al pubblico. Mi è sempre sembrato che, per raccontare queste storie, la cinepresa fosse lo strumento migliore – poniamo – di una penna o di una macchina per scrivere. Per me, la mia concezione del cinema è che si tratta di una nuova stampa; è un'invenzione che ha quasi l'importanza dell'invenzione di Gutenberg (da Conferenza tenuta da Renoir all'Institut des Hautes Etudes Cinématographiques, pubblicata su Arts, n. 470, 30 giugno 1954)
L'esplorazione dell'artista tende alla conoscenza dell'anima. [...] Pascal ce lo ha detto in poche parole: «C'è solo una cosa che interessa l'uomo, è l'uomo stesso» (da Carl Th. Dreyer, Copenaghen, dicembre 1968)
È un'arte il cinema? Che importanza ha? è la mia risposta. Che si faccia del cinema o del giardinaggio, è la stessa cosa. Tutte e due sono arti come lo è una poesia di Verlaine o un quadro di Delacroix. Se i film o il giardinaggio sono ben fatti vuol dire che si sta praticando l'arte del giardinaggio o l'arte del cinema: e chi lo fa è un artista. […] L'arte non è un mestiere, è la maniera in cui si esercita un mestiere. (da La mia vita, i miei film, p. 86)
Un elemento che senza dubbio ha influenzato la mia formazione in quanto autore di film è l'acqua. Non posso concepire il cinema senz'acqua. Nel movimento del film c'è un aspetto ineluttabile che lo accosta alla corrente dei ruscelli, allo scorrere dei fiumi. La mia è solo una poco abile spiegazione di una sensazione. In realtà i legami che collegano il cinema al fiume sono più sottili e più forti perché inesplicabili. Quando me ne stavo disteso sul fondo della barchetta con Godefer (un compagno d'infanzia) e i rami ci sfioravano il viso, provavo un'emozione assai simile a quella che provo oggi quando assisto alla proiezione di un film che mi coinvolge. So che non è possibile risalire la corrente, ma sono libero di risentire a modo mio la carezza delle frasche sulla punta del naso. Per me un bel film è questo, la carezza delle frasche facendo un giro in barca con un amico. (da La mia vita, i miei film,p. 60)
Il sogno? Non so cosa sia. Mi risulta difficile cogliere la differenza tra il sogno e la realtà. Cosa che mi procura molte noie: per esempio, mi fa mentire. Mento molto spesso, perché rispondo alle persone, agli amici (nel mio lavoro, negli affari), uniformando le mie risposte a una realtà che non è una realtà, ma un sogno. Sono dunque perfettamente sincero.[...] Non conosco molto bene i sogni che faccio nel sonno. Conosco di più i miei sogni da sveglio [...] Al cinema la differenza fra il sogno e la realtà è abbastanza fluida.[...] È un lavoro che si fa con delle lampade, con delle cineprese, con una pellicola, uno sviluppo, un lavoro in cui i problemi materiali contano enormemente. Si comincia sempre con dei sogni imprecisi. Poi si fanno rientrare questi sogni nel quadro della realtà; e, prima che il film sia terminato, è la realtà che prevale. [...] Come tutti i sognatori – cioè come tutti, poiché tutti sognano – io credo che, a conti fatti, la realtà vale più del sogno. È più fantasiosa. Non c'è sogno capace di presentarci i mille, mille, mille aspetti diversi che un fatto qualsiasi ci presenta. (da Testo rivisto e corretto dal regista nel novembre del 1973, versione curata da Louis Mollion, pubblicato originariamente su Cahiers du Cinéma, n. 38, agosto settembre 1954)
Il film non è una tesi. [...] Credo che la funzione del nostro mestiere, la funzione di un autore, sia prima di tutto quella di guardare il mondo, di guardare il mondo e poi di raccontarlo. Guardare il mondo così com'è e cercare soprattutto di guardalo senza mettere davanti ai nostri occhi dei vetri colorati. Perché siamo circondati di vetri colorati, il mondo è pieno di vetri colorati. Si chiamano educazione, pregiudizi... (da Testo apparso su Radio-Télévision-Cinéma, n. 511, 1º novembre 1959 – lungo monologo presentato nella trasmissione televisiva Gros plan di Pierre Cardinal)
La missione di un artista è quella di precedere il branco. Deve rivelare i sentimenti nascosti, spalancare le finestre su paesaggi che, naturalmente esistono già, ma che noi vedevamo male, occultati com'erano dalla nebbia delle false tradizioni. La funzione dell'artista è di squarciare alcuni dei veli che ricoprono la realtà. (da André Bazin, nostra coscienza, Seconda parte. Testo apparso su Cahiers du Cinéma, n. 91, gennaio 1959)
Mio padre aveva una teoria consistente nel sostenere che l'essere umano non avrebbe una capacità di iniziativa maggiore di quella di un turacciolo lanciato in un fiume. Se la corrente del fiume è forte, il turacciolo va velocemente. Se la corrente del fiume è debole, ebbene il turacciolo va lentamente. Il turacciolo umano, che è pensante, ha la possibilità di tanto in tanto di dare una piccola sterzata a sinistra, una piccola sterzata a destra, di scegliere la direzione, ma mai di risalire la corrente. Il turacciolo che cerca di risalire la corrente crea delle catastrofi spaventose. (da La vita è cinema. Tutti gli scritti 1926-1971, p. 70)
Per quanto mi riguarda, credo che ogni essere umano, artista o no, sia in gran parte un prodotto del suo ambiente. È l'orgoglio che ci fa credere all'individuo sovrano. La verità è che quest'individuo di cui siamo tanto fieri in realtà è costituito da elementi quali possono essere l'amichetto incontrato all'asilo o l'eroe del primo romanzo che abbiamo letto, o il cane da caccia dello zio Eugenio. Ognuno di noi non esiste di per sé ma in virtù degli elementi che hanno accompagnato la sua formazione. (da La mia vita, i miei film, p. 12)
La scampagnata e Verso la vita illustrano bene quello che penso dei rapporti fra scenario e riprese. Questi rapporti sono caratterizzati da una apparente mancanza di fedeltà. Tra il progetto e il risultato finale c'è tutto un mondo. [...] Una sceneggiatura per me è solo uno strumento che si modifica via via che si progredisce verso uno scopo che, quello sì, non deve essere cambiato. [...] L'autore di un film svela i caratteri facendoli parlare, crea l'ambientazione generale costruendo degli scenari o scegliendoli in esterni. Le sue convinzioni intime emergono col tempo, e in generale attraverso la collaborazione con gli artigiani che lavorano al film, gli attori, i tecnici, gli elementi naturali o realizzati dagli scenografi. Dobbiamo obbedire alla legge immutabile dell'essenza che si rivela solo via via che l'oggetto comincia ad esistere. (da La mia vita, i miei film, pp. 108-109)
Io credo molto a un metodo di prova di recitazione che consiste nel domandare agli attori di pronunciare le parole senza recitarle, nel non permettere loro di pensarci, se non dopo numerose letture del testo, in modo tale che nel momento in cui applicano certe teorie, o in cui hanno certe reazioni davanti al testo, essi li abbiamo per un testo che conoscono e non per uno che potrebbero non aver compreso, perché una frase si capisce solo dopo averla ripetuta molte volte. Anche il modo di recitare deve essere scoperto dagli attori e quando l'hanno scoperto, io chiedo loro di frenarsi, di non recitare tutto subito, di procedere con prudenza, di non aggiungere gesti se non più tardi, di possedere tutto il senso della scena prima di permettersi di spostare un posacenere, afferrare una matita o accendere una sigaretta. (da Cahiers du Cinéma, n. 66, Parigi 1936.)
Per me Renoir è quasi virale. Ecco mettiamo La grande illusione, quello lo vedo tutte le volte in televisione se so che lo danno. (Manhattan)
Prima che Marthe Richard fosse finito, mi venne offerta un'altra parte, una parte minore in La Grande Illusion. Mi parve cosa troppo modesta, e dapprima rifiutai. Ma poiché il regista era Jean Renoir, che a quel tempo non conoscevo personalmente ma del cui nome e della sua opera avevo il più alto concetto, decisi di riconsiderare la proposta, e, finalmente, di accettarla. Il produttore e il regista mi permisero di scrivere personalmente la mia parte. Fu la prima volta che un regista nel cui film dovevo recitare, accettò con entusiasmo tutti i suggerimenti che umilmente gli sottoposi. Non ho mai incontrato un regista più comprensivo, più intelligente, e più dotato di Jean Renoir. (Erich von Stroheim)
La pazienza di Renoir era straordinaria; egli ha una personalità d'eccezione e molto «charme». La sua cortesia verso tutti mi parve tanto più sorpredente in quanto mentre lavoro io non sono mai riuscito a dire tre parole, in qualsiasi lingua, senza intercalare un'imprecazione. (Erich von Stroheim)
Renoir riuscì a vincere ogni difficoltà; ma nonostante la grande ammirazione che nutro per i suoi metodi non posso certo sperare di emulare il suo contegno. Renoir è un regista perfetto. Mi picerebbe recitare in un altro dei suoi film. (Erich von Stroheim)
Renoir contiene tutto il cinema. (Éric Rohmer, Il gusto della bellezza, testi raccolti e presentati da Jean Narboni, ed. it. a cura di Cristina Bragaglia, Parma, Pratiche Editrice, 1991, p. 306.)
Non è il risultato di un sondaggio, ma un sentimento personale: Jean Renoir è il più grande cineasta del mondo. Questo sentimento personale sono molti altri cineasti a provarlo e, d'altronde, Jean Renoir non è forse il cineasta dei sentimenti personali?|François Truffaut, I film della mia vita,pp 67-69)
Il più visivo e il più sensuale dei registi è anche quello che più ci trasporta nell'intimo dei suoi personaggi perché è prima di tutto un amante fedele della loro apparenza e, attraverso essa, della loro anima. La conoscenza in Renoir passa attraverso l'amore e l'amore attraverso la pelle del mondo. La flessibilità, la mobilità, il modellato vivente della sua regia è la sua cura di drappeggiare, per il suo piacere e per la nostra gioia, il vestito senza cucitura della realtà. (André Bazin, Jean Renoir, p. 130)
Renoir attinge il senso e il gusto della commedia dalla coscienza profonda della tragedia umana. La tentazione della parodia, quel senso di complicità che Renoir stabilisce con i suoi attori, non sono che un pudore preliminare, necessario per lo svolgersi della dialettica del gioco e della regola, del piacere e dell'amore, dell'amore e della morte. (André Bazin, Jean Renoir, p. 120)
Non sono lontano dal pensare che l'opera di Jean Renoir sia quella di un regista infallibile; più ragionevolmente diciamo che il lavoro di Renoir è sempre stato guidato da una filosofia di vita che si esprime grazie a qualcosa che rassomiglia molto a un segreto professionale: la familiarità.[...]Renoir è riuscito a girare i film più vivi della storia del cinema, quelli che respirano ancora quando vengono proiettati quarant'anni dopo le riprese. (François Truffaut in André Bazin, Jean Renoir, pp. 67-68.)
Due forze eguali e contrarie hanno sempre guidato l'esistenza di Renoir: una di tipo progressista, legata alla sua militanza politica e ai film di maggiore impegno ideologico e sociale, la seconda di tipo regressivo e edipico legata al mondo della sua infanzia, al padre e alla centralità dei sentimenti, dei valori, del rigore professionale, solidarietà, lealtà, onestà, amicizia e amore come donazione di sé. (Gian Piero Brunetta)
Renoir è un onnivoro, dotato di forte capacità mimetica, che ha affrontato con egocentrica autonomia esperienze le più diverse. Renoir si adatta, si mimetizza. Spera e dispera, sorride e piange, si mescola alla vita dei suoi personaggi con curiosità e affetto sempre, ma sempre con una spiritosa distanza. Pesca dove la curiosità (e l'occasione) lo spinge. Rompe i canoni e ne costruisce di nuovi. E nuovo è nella vivace mobilità degli esterni, nella corale definizione dei personaggi, nella svagata presa di contatto con la realtà, anzi con più realtà, che egli sonda da gran signore apparentemente pacioso, disponibile, aperto. Dalle sue molte tentate adesioni al mondo che volta per volta narra nasce il fascino ambiguo, film per film. (Goffredo Fofi, I grandi registi della storia del cinema, pp. 67-69)