Le manine scoincidono nel nostro paese con la primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anche là. Sorvolano il cimitero di cui tutti riposano in pace. Sorvolano il lungomare come i tedeschi... datesi che il freddo non lo sentono loro. Ai... Al... Vagano, vagano. Girolanz... Gironzano... Gironzalon... Vagano, vagano, vagano! (Giudizio)
Un babbo fa per cento figlioli e cento figlioli non fanno per un babbo, questa è la verità. (Aurelio)
Qual gentil donzella, tu mi appari Aldina bella, e in tutto il tuo folgore, DANG! [batte la testa sul muro], mi fai battere forte il cuore, DANG, DANG! [ribatte a ritmo la testa sul muro]. (Ciccio)
Mio nonno fava i mattoni, | mio babbo fava i mattoni |, fazzo i mattoni anche me, | ma la casa mia n'dov'è? (Calzinazz) [poesia]
A me mi fa svenire la Gradisca; io voglio una moglie come la Gradisca. (Titta)
Ci son rimasto come un patacca; mi volevo buttar giù dal molo... (Titta)
E bà de mi bà diceva così: Per campè sèn bsegna pisé spes com'i chen. Per campar sano bisogna pisciar spesso come il cano. (Il nonno)
Voglio una doooooonnaaaaaa! (Teo)
Guarda quante ce ne sono, oh. Milioni di milioni di milioni di stelle. Ostia ragazzi, io mi domando come cavolo fa a reggersi tutta sta baracca. Perché per noi, così per dire, in fondo è abbastanza facile, devo fare un palazzo: tot mattoni, tot quintali di calce, ma lassù, viva la Madonna, dove le metto le fondamenta, eh? Non son mica coriandoli. (Aurelio)
Ma dov'è che sono? Mi sembra di non stare in nessun posto. Mo se la morte è così... non è mica un bel lavoro. Sparito tutto: la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino. Tè cul! (Il nonno disperso nella nebbia)
Anche se il mondo è pieno di roba bella, | pieno di paesi che piacciono di più del Borgo, | appena cade il sole e viene la sera, | seduta su una sedia chissà dove, | piano piano dentro la tua testa, | questo posto diventa il più bel posto del mondo. | Ma come farai... | Ma come farai a stare lontana dal Borgo? (Calzinazz) [poesia dedicata alla Gradisca quando si sposa]
Don Balosa: Commetti atti impuri? Ti tocchi? Lo sai che San Luigi piange quando ti tocchi? Titta: [pensando e riandando con la mente alle scene evocate] - Ù perché, te non ti tocchi? Ma come si fa a non toccarsi quando si vede la tabaccaia con totta quella roba che ti dice "Importazione?" O la professoressa di matematica, che sembra un leone? Madonna! Ma come si fa a non toccarsi quando ti guarda così? E cosa credi che veniamo a vedere il giorno di Sant'Antonio, quando te benedici gli animali? Le chiappe delle pecore? Ecco, lo vedete come mi guarda? Ma come faccio allora a dirgli della Volpina, di quella volta che mi ha chiesto se le gonfiavo la bicicletta? [parlando al parroco] Io non sapevo che si davano i baci così. Lei lo sapeva? Con tutta la lingua che gira... Don Balosa: [imbarazzato] Sono io che faccio le domande, non te! Va' avanti! Titta: [ricordando l'incontro al cinema con la Gradisca] E la Gradisca, l'anno scorso, no, d'estate, l'ho vista da lontano che entrava al cinema. No perché, siccome... a me mi fa svenire la Gradisca... Io voglio una moglie come la Gradisca!
Aurelio: È bello, eh, l'uovo, Teo? Anch'io sono così, ogni volta che vedo un uovo resterei lì a guardarlo per delle ore. Io mi domando delle volte come fa la natura a tirar fuori delle cose così perfette. Miranda: Caro, ma la natura l'ha fatta Iddio, mica un ignorantone come te. Aurelio: Ma va a fare le pugnette te, va. (Aurelio e Miranda)
Ero il patacca romagnolo, lo zio di Titta che pensa solo alle donne e non lavora nemmeno un giorno. Fellini pensava ad Alberto Sordi poi ha scelto me non perché più bravo, ci mancherebbe, ma perché vero romagnolo. (Nando Orfei)
[«Un rimpianto?»] Non aver fatto la Gradisca di Federico Fellini in Amarcord. Mi portava a pranzo dalla sua cuoca, Ubalda, per cui lui mi chiamava Ubaldina, e mi diceva: Ubaldina, devi ingrassare per il film. Alla fine, prese Magali Noël, più matura e formosa di me. Ma io non riuscivo a ingrassare: ero giovane, bruciavo tutto quello che mangiavo. (Edwige Fenech)
Vent'anni dopo I vitelloni F. Fellini torna in Romagna con un film della memoria e, soltanto parzialmente, della nostalgia. La parte fuori dal tempo è più felice di quella storica. Umorismo, buffoneria, divertimento, finezze, melanconia. (il Morandini)
Vent'anni dopo I vitelloni, Fellini [...] ripensa alle proprie origini, mescolando come sempre amore e odio, distacco e nostalgia, giudizio e complicità. E come sempre, facendo tutto a Cinecittà, passaggio notturno del transatlantico Rex compreso. Film apparentemente in tono minore, ma in realtà tra i più coesi e riusciti. (Il Mereghetti)
Viaggio nostalgico di Fellini nell'Italia degli anni Trenta, sulle tracce della sua giovinezza. Una serie di quadretti pieni di calore e di vita, divertenti e talvolta a sfondo osceno: si parla di amore, sesso, politica, crescita personale e rapporti familiari. Oscar come miglior film straniero. (Leonard Maltin)