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scrittore italiano (1907-1990) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle (1907 – 1990), scrittore, giornalista, saggista, reporter di viaggio e drammaturgo italiano.
L'Espresso, 6 novembre 1955.
Una mattina di luglio, sonnecchiavo a Piazza Melozzo da Forlì, all'ombra degli eucalitti, presso la fontana asciutta, quando arrivarono due uomini e una donna e mi domandarono di portarli al Lido di Lavinio. Li osservai mentre discutevamo il prezzo: uno era biondo, grande e grosso, con la faccia senza colori, come grigia e gli occhi di porcellana celeste in fondo alle occhiaie fosche, un uomo sui trentacinque anni. L'altro più giovane, bruno, coi capelli arruffati, gli occhiali cerchiati di tartaruga, dinoccolato, magro, forse no studente. La donna, poi, era proprio magrissima, col viso affilato e lungo tra due onde di capelli sciolti e il corpo sottile in una vesticciola verde che la faceva parere un serpente. Ma aveva la bocca rossa e piena, simile ad un frutto, e gli occhi belli, neri e luccicanti come il carbone bagnato. ("Fanatico")[28]
Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con la gonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l'uscio per fargliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che le facevano le calze intorno alle gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con precauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsicura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leo seduto sul divano; un'oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto.
Nel tempo della sua fanciullezza, Marcello era affascinato dagli oggetti come una gazza. Forse perché, a casa, più per indifferenza che per austerità, i genitori non avevano mai pensato a soddisfare il suo istinto di proprietà; o, forse, perché altri istinti più profondi e ancora oscuri si mascheravano in lui da avidità; egli era continuamente assalito da voglie furiose per gli oggetti più mascheravano in lui da avidità; egli era continuamente assalito da voglie furiose per gli oggetti più diversi. Una matita con il puntale di gomma, un libro illustrato, una fionda, un regolo, un calamaio portatile di ebanite, qualsiasi nonnulla sollevava il suo animo, prima ad un desiderio intenso e irragionevole della cosa agognata e poi, una volta la cosa entrata in suo possesso, ad uno stupefatto, stregato, insaziabile compiacimento.
Lo sportello si spalancò e Marcello cadde di fuori; poi trascinandosi con la faccia e con le mani sull'erba, cavò le gambe dalla macchina e giacque in terra presso il fossato. Ma nessuno parlò, né, sebbene lo sportello fosse rimasto aperto, si affacciò dalla macchina. In quel momento, di lontano, risuonò il fragore dell'aeroplano che virava. Egli pensò ancora: "Dio, fa' che non siano colpite. sono innocenti." E poi, rassegnato, la bocca nell'erba, aspettò che l'aeroplano tornasse. La macchina con lo sportello aperto era silenziosa, ed egli ebbe il tempo di capire, con acuto dolore, che nessuno ne sarebbe disceso. Finalmente l'aeroplano fu su di lui, tirandosi dietro, mentre si allontanava nel cielo infuocato, il silenzio e la notte.
Ah, i bei tempi di quando andai sposa e lasciai il mio paese per venire a Roma. La sapete la canzone:
«Quando la ciociara si marita
a chi tocca lo spago e a chi la ciocia».
Ma io diedi tutto a mio marito, spago e ciocia, perché era mio marito e anche perché mi portava a Roma ed ero contenta di andarci e non sapevo che proprio a Roma mi aspettava la disgrazia. Avevo la faccia tonda, gli occhi neri, grandi e fissi, i capelli neri che mi crescevano fin quasi sugli occhi, stretti in due trecce fitte fitte simili a corde. Avevo la bocca rossa come il corallo e quando ridevo mostravo due file di denti bianchi, regolari e stretti. Ero forte allora e sul cercine, in bilico sulla testa, ero capace di portare fino a mezzo quintale. Mio padre e mia madre erano contadini, si sa, però mi avevano fatto un corredo come ad una signora, trenta di tutto: trenta lenzuoli, trenta federe, trenta fazzoletti, trenta camicie, trenta mutande. Tutta roba fine, di lino pesante filato e tessuto a mano, dalla mamma stessa, al suo telaio, e alcune lenzuola ci avevano anche la parte che si vede tutta ricamata con molti ricami tanto belli. Avevo anche i coralli, di quelli che valgono di più, rosso scuro, la collana di coralli, le buccole d'oro e di coralli, un anello d'oro con un corallo, e persino una bella spilla anch'essa d'oro e di coralli. Oltre i coralli ci avevo alcuni oggetti d'oro, di famiglia, e avevo un medaglione da portare sul petto, con un cammeo tanto bello, nel quale si vedeva un pastorello con le sue pecore.
Ricordo benissimo come fu che cessai di dipingere. Una sera, dopo essere stato otto ore di seguito nel mio studio, quando dipingendo per cinque, dieci minuti e quando gettandomi sul divano e restandoci disteso, con gli occhi al soffitto, una o due ore; tutto ad un tratto, come per un'ispirazione finalmente autentica dopo tanti fiacchi conati, schiacciai l'ultima sigaretta nel portacenere colmo di mozziconi spenti, spiccai un salto felino dalla poltrona nella quale mi ero accasciato, afferrai un coltellino radente di cui mi servivo qualche volta per raschiare i colori e, a colpi ripetuti, trinciai la tela che stavo dipingendo e non fui contento finché non l'ebbi ridotta a brandelli.
Così, alla fine, il solo risultato veramente sicuro era che avevo imparato ad amare Cecilia, o meglio, ad amare senza più. Ossia speravo di avere imparato. Perché anche per questo aspetto della mia vita, il dubbio non era escluso. E io dovevo aspettare, per esserne del tutto sicuro, che Cecilia fosse tornata dalla sua gita al mare.
Nulla ripugnava maggiormente a Pietro Monatti che una condotta ispirata ai calcoli, agli impulsi e a tutte le altre arbitrarie giustificazioni dell'amor proprio. Oltre che da un disprezzo istintivo per le angustie e per le meschinità dell'egoismo, oltre che da un'ammirazione non meno istintiva per le azioni e i propositi generosi, l'odio per tutte le forme che suole rivestire l'amore di sé e specialmente quelle dell'ambizione, della prepotenza e dell'interesse gli era stato riconfermato da certe sfortunate esperienze della sua prima giovinezza. Per mezzo di quelle esperienze, Pietro era infatti arrivato alla convinzione di possedere una coscienza tanto scomoda e rigorosa da non potere andare fino in fondo né trarre alcun vantaggio da quelle azioni nelle quali si fosse lasciato guidare dal solo tornaconto; e a differenza della maggior parte degli uomini, i quali – egoisti per natura – non sanno comportarsi generosamente che per forza di calcolo e di volontà, di essere invece naturalmente portato al disinteresse, alla lealtà, all'altruismo, e a tutte le altre virtù umane.
Questa scoperta era stata la conclusione di una lunga crisi, e, fatto anche più notevole, il principio di una serie di fortune. Giacché messosi d'accordo con se stesso e riordinata la propria vita secondo i concetti che gli parevan più rispondenti alla vera conformazione del suo carattere, Pietro aveva finalmente conosciuto quella tranquillità dell'animo senza la quale non sono possibili gli sviluppi del lavoro e i fruttuosi rapporti col mondo.
"È possibile vivere nella disperazione e non desiderare la morte?" Immaginavo, per gioco, di leggere questa domanda in una specie di insegna che un grandissimo pipistrello dalle ali spiegate, simile a quello che si vede nella stampa di Dürer Melencolia, teneva sospesa tra le unghie al di sopra del mare, mentre il vaporetto si avvicinava rapidamente all'isola di Capri. Forse era l'atmosfera del temporale imminente a suggerirmi l'analogia con la stampa del pittore tedesco.
Nei primi giorni d'estate, Agostino e sua madre uscivano tutte le mattine sul mare in pattino. Le prime volte, la madre aveva fatto venire anche un marinaio, ma Agostino aveva mostrato per così chiari segni che la presenza dell'uomo l'annoiava, che da allora i remi furono affidati a lui. Egli remava con un piacere profondo su quel mare calmo e diafano del primo mattino e la madre, seduta di fronte a lui, gli discorreva pianamente, lieta e serena come il mare e il cielo, proprio come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredici anni.
Durante il volo ho aperto a caso il volume delle poesie di Guillaume Apollinaire; i miei occhi sono caduti su un verso: "Eccoti a Roma seduto sopra un nespolo del Giappone" e ho preso a fantasticare: perché un nespolo del Giappone? Che aveva a che fare con Roma quell'albero asiatico? E poiché Apollinaire era il mio modello e la mia guida, che cosa avrebbe significato nella mia vita, una volta arrivato a Roma, il nespolo del Giappone?
Intrigante! Subdolo! Fedifrago! Vile! Ecco come mantiene le promesse! Ecco come sta ai patti! Dormo, faccio una quantità di sogni indifferenti che ora non ricordo, e, alla fine, sogno di essere in uno studio cinematografico, grandissimo, immerso nella penombra. In un angolo, sul carrello, sta la macchina da presa incappucciata in un panno nero. So di certo che sto girando, finalmente!, il "mio" film. Quale film? Chi è il produttore? Chi sono gli attori? Non lo so. So soltanto che è il "mio" film. Il film al quale penso da quindici anni. Il film dal quale dipende tutta la mia vita.
Prima di tutto voglio parlare di mia moglie. Amare, oltre a molte altre cose, vuol dire trarre diletto dal guardare e osservare la persona amata. E non soltanto trarre questo diletto dalla contemplazione delle sue bellezze ma anche da quella delle sue bruttezze, poche o molte che siano. Fin dai primi giorni di matrimonio, io trovai un inestimabile piacere nel guardare Leda (così ella si chiama) e nello studiare il viso e la persona fin nei minimi gesti e nelle più fuggevoli espressioni.
Ore sei e trenta. Dormo poco, non più di sei ore per notte e, appena mi sveglio, dedico cinque, dieci minuti a quella rara occupazione che va sotto il nome di pensiero. A che cosa penso? A dirlo così può persino parere ridicolo: alla fine del mondo. Non so quando e in che modo è cominciata questa abitudine; forse non tanto tempo fa, in seguito alla lettura di un libro che per caso ho trovato sulla scrivania di mio padre che è professore di fisica all'università, un libro, fra i tanti, sulla guerra nucleare. Oppure sarà stato un altro motivo venuto da chissà dove e poi scomparso dalla mia memoria, come scompare il seme una volta che la pianta è cresciuta.
Passate le vacanze nel solito luogo al mare, Luca tornò in città con la sensazione che non stava bene e si sarebbe presto ammalato. Egli era cresciuto in maniera anormale negli ultimi tempi e a quindici anni aveva già la statura di un uomo adulto. Ma le spalle erano rimaste strette e gracili; e nel viso bianco, gli occhi troppo intensi parevano divorare le guance smunte e la fronte pallida. Fosse stato consapevole di questa sua gracilità e dei pericoli che comportava, si sarebbe forse raccomandato ai genitori affinché gli facessero sospendere gli studi...
A sedici anni ero una vera bellezza. Avevo il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po' largo in basso, gli occhi lunghi, grandi e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, la bocca grande, con le labbra belle, rosse e carnose e, se ridevo, mostravo denti regolari e molto bianchi. La mamma diceva che sembravo una madonna.
Hanno affittato per l'estate una villa situata sulle dune, a poca distanza da un borgo, su un litorale famoso per i suoi stabilimenti balneari. A nord e a sud del borgo, la riviera continua per centinaia di chilometri, alternando centri di villeggiatura con alberghi, ristoranti, bar, balere a tratti ancora disabitati dell'originaria macchia mediterranea.
La solitudine è finita a partire dal momento che Lola Lopez, trovatella di origine probabilmente peruviana, lascia il convento dove, anno dopo anno, ha fatto di tutto, dalla sguattera all'infermiera, ed è andata a vivere per conto suo in un quartierino di una sola stanza, in cima ad una casetta di Trastevere. Al convento era sola benché in compagnia; qui nella sua monocamera è in compagnia benché sola. La causa di questa contraddizione è un cucciolo che le buone suore le hanno regalato, nato da una cagna che ha messo al mondo tutta una cucciolata in fondo al giardino del convento. Lola lo ha chiamato Palocco in ricordo del convento che si trova a Casal Palocco...
Gita nella campagna inglese
Londra, novembre
L'automobile correva per una straducola in discesa del tutto buia, profondamente incastrata tra due ripe alte e nere; ogni volta che il raggio dei fanali batteva su queste ripe vedevo intrighi di bianchicci e impressionanti di grossissime radici che mi facevano immaginare tronchi adeguati e non meno straordinari. Fu questa la prima impressione che ebbi della campagna inglese, non dissimile da quella di un viaggiatore addormentato, che svegliato ad un tratto da una brusca fermata in piena campagna, si affacci e intravveda illuminati dalle luci del treno oggetti di un aspetto inconsueto che gli ricordano ad un tratto di essere in un paese sconosciuto, il cui vero aspetto non gli sarà rivelato se non al sorgere del sole.
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