Arrivi qui e ti accorgi che quella città in cui vivi, cioè Parigi, sembra un posto qualunque, anonimo, che subito rifiuti di considerarlo quella capitale del mondo che tutti credono, e nemmeno il centro dell'Europa, perché non ha i colori della Sicilia, né i suoi profumi né i sapori che tingono e incensano l'anima della mia infanzia.[1]
Basta un attimo per sentirti avvolta da una sensazione nuova e antica, avvolgente e narcotizzante assieme, quell'attimo in cui poggi il piede su quest'isola [la Sicilia], appena scesa da un treno o da un aereo. E subito capisci che questa terra, questo paesaggio, questa luce ti appartengono, fanno parte del tuo dna, delle tue radici, della tua anima, di qualcosa che senti tuo...[1]
È vero, è stato il film della mia vita, anche se Angelica, personaggio a cui sono particolarmente legata, non è stato il più grande che io abbia interpretato. Però il rapporto con Visconti ha veramente segnato la mia vita. Lui è stato il mio padre spirituale e non solo artistico. Era rude, severo e perfezionista ma la sua grande dottrina artistica ha dato spessore culturale e maturità a quel mio temperamento allora giovanile e ribelle.[1]
[Su Piero Tosi] Lui faceva un costume che rappresentava una magia per l'attore che lo indossava, la magia che faceva il personaggio anche grazie al costume.[2]
Mi sono sempre data una regola elementare: Claudia, vivi non come se fosse l'ultimo giorno della tua vita, ma il primo.[3]
Ricordo la processione della madonna di Trapani, seguita a Tunisi con religioso rispetto anche da ebrei e arabi. La Sicilia... Io qui ho fatto tanti film, quest'isola è molto Oriente, ritrovo l'allegria dei mercati, i colori, i profumi, il calore. Adoro il mare, la sua, la mia libertà.[4]
Intervista a Timbuctu del 26 agosto 2006
Il matrimonio funziona meglio, se entrambi i partner restano un po' non sposati.
L'amore è una gabbia con sbarre di fortuna.
Io ho sempre considerato la donna molto più forte dell'uomo, perché la donna dà la vita.
Io guardo sempre la vita con ottimismo. Io penso che, se siamo uniti fra di noi – perché l'unione fa la forza – se siamo tutti insieme, le guerre non si fanno e ci amiamo tutti, c'è unità.
Mi sono resa conto, proprio durante la lavorazione di Un maledetto imbroglio, che per recitare usavo molto la mia vita interiore, che il mio modo di essere attrice era di mettere me stessa dentro i miei personaggi. Il mestiere del cinema, non per scappare dalla vita, ma per viverla meglio di come ho vissuto la vita vera: se non altro con più sincerità e consapevolezza. (p.39-40)
Penso che la mia vita mi sia servita molto di più, per il mestiere di attrice, di quei pochi mesi di Centro Sperimentale che ho frequentato subito dopo essere arrivata in Italia. (p.40)
Germi è stato il primo a mostrarmi che cos'è veramente il mestiere dell'attore: mi ha insegnato a recitare. Mi si è messo vicino, durante la lavorazione del film, e mi ha spiegato, scena per scena, cosa significava, cosa dovevo esprimere [...] Per la prima volta, con Pietro Germi, mi sono sentita a mio agio davanti alla macchina da presa: ho cominciato a capire che potevo fare tutt'uno con quell'occhio fisso su di me [...] Ho cominciato a vivere la cinepresa nel ruolo di un'amica, la mia complice: «l'ho sentita» per la prima volta. E mi sono sentita, davanti a lei, libera e senza inibizioni. (p.44)
[Franco Cristaldi] Non mi sono mai sentita davvero la sua «compagna»: i nostri non erano rapporti alla pari; ero Cenerentola gratificata dalla sua generosità. (p.56)
So di dovere alla Vides e a Cristaldi i miei grandi film: sono stati loro che mi hanno costruita, lanciata. Mi hanno dato le copertine dei giornali di tutto il mondo, però mi hanno tolto la libertà e la mia vita personale [...] Per anni mi sono sentita stupida, incapace: c'era sempre qualcuno che parlava al mio posto, che decideva per me quello che dovevo fare, dire e pensare. (p.61)
Pasquale Squitieri per me ha rappresentato, e rappresenta, la libertà. [...] È la sua libertà totale che mi ha affascinato. (p.68)
Da vent'anni, senza pentimenti e ripensamenti, sono la compagna di Pasquale Squitieri: con lui e da lui ho imparato a essere una persona nuova, più capace di quanto non sia mai stata prima, di vivere il mio tempo, più consapevole della realtà, della cultura e della politica. Odiando il divismo, lui mi ha teso una mano per scendere dal mio piedistallo: da diva, mi sono scoperta donna e ho incominciato a riflettere sulla mia identità e sulla condizione femminile in generale. (p.75)
[Pasquale Squitieri] La sua vitalità è contagiosa: mi ha aiutato a ritrovare la mia. In una vita, che ero stata costretta a condurre in nome della misura e del controllo costanti, lui ha introdotto quella cosa meravigliosa che sono gli eccessi. (p.76)
[Pasquale Squitieri] Lavorare con lui mi crea più ansia che lavorare con qualsiasi altro regista, perché, anche facendomi molto soffrire, mi mette sempre di fronte alle mie responsabilità, di donna oltreché di attrice, rispetto al personaggio. (p.76)
Con Pasquale [Squitieri], ho recuperato una parte della mia vita che non ho vissuto: e cioè tutta la mia adolescenza, la mia spensieratezza, tutto quello che mi è stato impedito o mi sono impedita di vivere. [...] Io ero abituata a una vita tutta regolata, tutta programmata, tutta razionale e razionalizzata... Pasquale era l'opposto: ed è stato l'opposto a sedurmi. (p.82)
[Luchino Visconti] Luchino ha fatto e farà parte per sempre della mia vita: è nei miei pensieri, nei ricordi, nei sogni, ma lo ritrovo persino più concretamente, materialmente, nel viso e nello sguardo che ho oggi, nelle mie mani... [...] Mi ha insegnato a guidare, e a non farmi guidare ciecamente dal corpo. Mi ha restituito, se così posso dire, uno sguardo, il sorriso. (p.101)
[Luchino Visconti] È lì, per quel film [Il Gattopardo], che mi ha insegnato tutto. [...] «Devi convincerti che tutto il corpo recita, non solo il viso: recitano le braccia, le gambe, le spalle... tutto.» [...] «Ricordati, gli occhi devono dire una cosa che la bocca non dice, perciò lo sguardo deve avere un certo tipo di intensità che contrasti quello che stai dicendo... [...] Devi separare il tuo viso in due: lo sguardo è una cosa; quello che dici, è un'altra...» [...] «Con ogni parte del tuo viso e del tuo corpo devi raccontare una storia diversa e contraria a quella che racconta l'altra parte del tuo viso e del tuo corpo». (p.102-103)
[Luchino Visconti] Elegante com'era, nel pensare, nel vivere, oltreché nel lavorare, penso che Luchino mettesse la cattiveria, più che la bontà, nel novero delle cose eleganti: era elegante, per lui, la negatività nel suo duplice aspetto di sadismo, e masochismo. (p.108)
[Luchino Visconti] Ha insegnato a tutti i suoi colleghi, per esempio, come deve vestirsi un regista sul set, per essere comodo, e insieme, visibilmente «speciale» [...] Credo di non aver mai visto un uomo vestito con tale eleganza. Tutto in lui era di una classe superlativa. (p.109)
[Luchino Visconti sul set del film Gruppo di famiglia in un interno] Dopo aver lavorato con lui quando era nel pieno della sua forza e della sua maturità, è stato terribile ritrovarlo malato sul set: costretto su una sedia, dietro la macchina da presa, e la sua forza, che continuavi ad avvertire, era solo nello sguardo. Era costretto a dirigerti solo con lo sguardo: e dietro quella persona curva, immobile, silenziosa, tu rivedevi l'ombra di quel leone ruggente che era stato fino a poco prima. (p.111)
[Luchino Visconti] Con lui ho imparato molto. Ma mi sono anche molto divertita, abbiamo tanto giocato e tanto riso insieme. Amava vivere, oltreché lavorare. (p.112)
[Luchino Visconti] Lui, così serio, così severo e intransigente, aveva poi un côté, come dire? nazional-popolare-snobistico: ed era quello che ne faceva un appassionato delle canzonette, del ballo, dei cantanti. (p.113)
Io non mi sono mai considerata un'attrice. Sono solo una donna con una certa sensibilità: è con quella che ho sempre lavorato. Mi sono accostata ai personaggi con grande umiltà: cercando di viverli dal di dentro, usando me stessa, e senza far ricorso a nessun tipo di tecnica. (p.139)
Io amo calarmi nei personaggi con l'esperienza che ho della vita, della mia vita. Mi piace recitare, per la possibilità che mi dà di vivere, oltre la mia, altre vite, altre storie: parto da me, e cerco di inventarmi nuovi modi di essere donna. (p.139)
Considero che la cosa più importante, per fare bene il lavoro di attore o di attrice, sia l'atteggiamento verso il regista. Con lui penso che debba esistere una specie di transfert: l'attore deve capire quello che il regista si aspetta e a questo punto gli basterà seguire quella prima intuizione, una specie di impulso. Il segreto è nel lasciarsi andare. (p.140)
È lì, sul set di quel film [Un maledetto imbroglio] – un film che io giudico perfetto, straordinario, sia come struttura sia come sceneggiatura – che ho cominciato a innamorarmi del mio mestiere: ho capito come ci si doveva comportare davanti alla macchina da presa [...] Ho cominciato a «sentire» la macchina [...] Per la prima volta, diretta da Germi, mi sono sentita a mio agio: perché capivo che facevo tutt'uno con la macchina, se era collocata nel punto giusto. Sentivo che quell'occhio era mio amico, mio complice: e mi sono liberata dalle mie inibizioni. (p.141)
Zurlini era di quelli che amano molto le donne: aveva una sensibilità quasi femminile. Mi capiva da uno sguardo. Mi ha insegnato tutto, senza impormi niente. Mi ha voluto veramente bene. (p.142)
[Citto Maselli] Grandissimo regista di attori; molto attento; girava spesso piani-sequenze, con grandi carrellate, lavorando con minuzia sulla recitazione e sulle inquadrature. (p.144)
Considero Mauro Bolognini un grandissimo regista: un uomo di rara sapienza professionale, di grandissimo gusto e cultura. Oltre che, per me personalmente, un amico sensibile e sincero. (p.144)
Luigi Comencini è stato un ulteriore grande incontro della mia vita di attrice: è un altro di quelli che mi ha capita subito, senza parole. Luigi è un uomo chiuso: mi ha scelto per il suo film senza che ci fossimo parlati. Ci siamo parlati poco anche mentre giravano insieme: a me non servono le parole del regista, mi serve sentirmi capita, amata da lui. E lui mi ha sempre amata e capita. (p.144)
Sul set di Visconti, il clima era quasi religioso: non si scherzava, non si rideva, non ci si lasciare mai andare, neanche durante le pause [...] Si viveva, per tutta la lavorazione, un clima quasi di clausura: ti chiudevi alle spalle tutto quel che riguardava il mondo esterno e vivevi solo il film e la sua realizzazione. (p.145-146)
Federico Fellini, al contrario, quando lavorava aveva bisogno della confusione: sceglieva di essere circondato dal massimo della volgarità e della «caciaroneria». [...] Federico Fellini si isolava all'interno del massimo del rumore e del disordine. (p.146)
Con Federico [Fellini], recitare era una specie di happening: tu credevi di improvvisare, di fare delle cose assolutamente spontanee, e poi, alla fin fine, ti rendevi conto che in realtà lui ti aveva portato, senza che tu te ne accorgessi, esattamente dove lui voleva. (p.147)
Con Federico [Fellini] ho girato un solo film. Mi ha fatto sentire il centro del mondo: la più bella, la «più speciale» di tutte, la più importante [...] Mi manca tanto [...] la sua dolcezza, la sua tenerezza, quella vocina: «Claudina...» (p.147)
Del Magnifico cornuto [...] ho solo ricordi poco gradevoli: con Pietrangeli, mi dispiace dirlo, non c'è stato un gran feeling. E poi c'era Tognazzi che, all'epoca, mi faceva una corte spietata... (p.150)
[Sergio Leone] Ho voluto un gran bene a Sergio: il nostro era un legame di grande affetto. Con il suo bellissimo film mi ha regalato un personaggio magnifico: solo amando le persone, come lui le amava, si può fare un film come quello.» (p. 150)
[C'era una volta il West] Tutto il periodo è legato a un'impressione complessiva di grande benessere: con Sergio mi sono sentita diretta sempre nel modo giusto. [...] Ho provato la sensazione di essere sempre perfetta, grazie a Sergio: mai avuto un problema. (p. 150)
Per me, il cinema è proprio lui: Sergio Leone. Amava davvero questo lavoro, questo gioco, questa meravigliosa finzione: amava il prodotto finito, e la vita di set. Amava moltissimo gli attori. Amava il cinema e viveva per il cinema. (p. 151)
[L'udienza] Che bella esperienza! O meglio, che bella avventura: Ferreri demonizza tutta la mistica secondo la quale il cinema è una «cosa serissima». Anche nei momenti drammatici del lavoro, lui ti fa sempre ricordare che «in fondo è solo un film». (p.152)
[Il comune senso del pudore]Sordi, quando fa il regista, spiega a tutti, spiegava anche a me, che cosa si aspetta dagli attori: e si aspetta che recitino tutti esattamente come lui. (p.152)
[Marco Bellocchio] Grande intelligenza, grande cultura cinematografica, un taglio delle inquadrature assolutamente straordinario [...] Nutro grande amicizia, e anche grande rispetto per Marco. Lavorare con lui è emozionante: perché i suoi pensieri sono sempre stimolanti, inconsueti, strani. Sul set, è un uomo chiuso, ma di tanto in tanto rivela delle ingenuità e delle freschezze che sono molto belle: si traducono in quel suo bel sorriso, così luminoso, quasi infantile. (p.152-153)
[Liliana Cavani] Stupenda, elegantissima, raffinata [...] Le voglio molto bene: è una donna dotata di grande forza e di grande coerenza. Ha sempre fatto le cose in cui credeva, senza cercare a priori il consenso: la rispetto molto come persona, oltreché come regista. (p.153)
Se c'è un film che non vorrei aver fatto? Molti: e sono quelli cominciati male. Quando il regista incomincia, il primo giorno, a mettere la macchina da presa al posto sbagliato, io so immediatamente come sarà il film: sbagliato. (p.154)
Rock Hudson era un persona deliziosa: nascondeva con grande abilità e signorilità la sua condizione di omosessuale, che peraltro a me fu chiarissima sin dal primo momento. (p.159)
Quel meraviglioso uomo e attore che era Steve McQueen. Con lui e sua moglie siamo diventati subito amici. Era bellissimo, Steve McQueen, proprio come nei film. Curiosamente era molto a disagio con le donne: timidissimo. Mi sono chiesta spesso come mai è successo che con me si sia trovato subito bene. (p.160)
[Alfred Hitchcock] Sembrava un uomo tranquillo [...] e invece aveva quello sguardo che ti attraversava da parte a parte, inquietante. Un uomo difficile da capire [...] il suo sguardo, sin dalla prima volta che l'ho incontrato, lo rivelava chiaramente: era lo sguardo di un uomo che si considerava visibilmente superiore, che vedeva nella donna un bell'oggetto, ma non molto di più. (p.162-163)
Polanski mi sembrava, e continua a sembrarmi anche adesso, dopo più di vent'anni, un eterno bambino. Lei, Sharon, era di una tale bellezza che mi ricordo di aver pensato che dovesse stare sempre nuda, o al più in bikini: aveva il corpo di una statua, e su quel corpo incredibile, un viso dolcissimo, con un sorriso disarmante. (p.163)
Era un attore eccezionale, Klaus Kinski. E molta della sua rabbia, della sua pazzia, credo nascessero dal fatto che si riteneva incompreso: perché lui, davvero, era bravissimo, davvero avrebbe potuto interpretare qualsiasi grande ruolo nel cinema e invece poi si è dovuto accontentare. Per mangiare, per poter andare avanti, è stato costretto a fare tutti i western, anche quelli decisamente mediocri. Di grandi film ne ha girati pochi: e questo lo feriva, nel profondo. Lo rendeva furioso [...] L'ho visto lavorare: oltre alla sua straordinaria maschera, aveva una capacità davvero diabolica dal punto di vista della recitazione. La consapevolezza di tutto questo, e la parallela sensazione del'ingiustizia, di tanto in tanto gli facevano perdere il controllo: diventava una bestia. Faceva veramente paura. [...] Penso che fosse soprattutto molto infelice. (p.174-175)
Spesso gli attori sono belli come li si vede sullo schermo. Ma sono molto più infelici di quanto non appaia e non si sappia. [...] è difficile [...] convivere con il mito di se stessi: diventare un sex symbol significa poi, per tutto il resto della vita, fare continuamente i conti con l'angoscia di non essere all'altezza del proprio mito, con la paura di deludere la gente che ti incontrerà per strada, con l'ansia di perdere il proprio potere di seduzione. Dall'angoscia e dall'insicurezza, alla nevrosi, fino, in qualche caso, alla malattia e alla paranoia: il passo è relativamente breve. (p.180)
La memoria, quando ripenso ai miei «colleghi» [...] mi restituisce l'immagine di tanta gente cupa, silenziosa, pochissimo comunicativa. (p.180-181)
Robert De Niro era uno che arrivava sul set e [...] non voleva vedere nessuno: soprattutto non voleva incontrare, su di sé, occhi e sguardi di nessun tipo. [...] L'ho conosciuto abbastanza bene Bob De Niro: andavamo tutte le sere a cena insieme, e in quelle occasioni era una persona deliziosa. Il problema era sul set. (p.181)
[Robert De Niro] Il suo fascino [...] è tutto in quel sorriso dolcissimo, che lo illumina totalmente. De Niro comunica quasi esclusivamente con il sorriso. Perché, per il resto, timido com'è, non parla: non è minimamente espansivo. (p.181-182)
Un altro mio «collega» pieno di problemi era Peter Sellers. Girare con lui era esilarante: dovevi trattenerti per non scoppiare dal ridere. Nella vita era un essere cupo, tragico. Quando l'ho conosciuto, credo che lui fosse pazzamente innamorato di Sofia Loren, e pazzamente infelice. Sta di fatto che era tristissimo: non riusciva a godere né del suo successo, né del suo potere, né della qualità della vita che il successo e il potere gli consentivano. Finiva di lavorare, e spariva, in macchina: sempre da solo. (p.182)
[Brigitte Bardot] Un'altra davvero e autenticamente infelice: la ragione è che non ce l'ha fatta a crescere, a diventare adulta. Non ce la fa a contare su se stessa: si appoggia sempre a qualcuno, che poi ne approfitta. (p.182)
[Sean Connery] Di lui posso solo dire «stupendo». È affascinante nella vita, esattamente come lo sono i suoi personaggi sullo schermo. È gentile, divertente. [...] Sean è un gran signore. Ironico. Piacevolissimo. Bello da morire. Credo che abbia avuto eserciti di donne [...] Rispetto alla professione dell'attore, Sean mi spiegava sempre che era importante esercitarla come un mestiere, senza mai pensare di essere un divo o una diva: e lui si comportava così. Sul lavoro non l'ho mai visto lasciarsi andare a capricci o isterismi. Però era serissimo: sempre il primo ad arrivare, e l'ultimo ad andar via. (p.183)
[Lee Marvin] Abbiamo lavorato insieme nel film di Richard BrooksI professionisti. Beveva. Beveva sempre e tantissimo [...] Ma questo non toglieva niente alla sua straordinaria capacità di attore. E alla sua gentilezza di persona. (p.183)
Un altro che mi è sembrato sereno, e bello da perdere la testa, è Paul Newman [...] ha occhi come il mare, ed è un mare nel quale ti viene veramente voglia di tuffarti. (p.183)
Roger Moore: bello e simpatico [...] sorridente anche nella vita. (p.184)
Ma il migliore degli americani, nel mio ricordo, resta Elliott Gould: non è il più bello, ma è senz'altro il più affascinante. Anche perché è un pazzo autentico. Tutto in lui era imprevedibile [...] la sua era una follia di pensiero, più che di azione... È uno che parla di un argomento, poi salta a un altro che non ti aspetti. Ha un'intelligenza acutissima, ed è continuamente capace di sorprenderti. (p.184)
[Jean-Paul Belmondo] Lui è uno dei pochissimi miei compagni di lavoro con il quale ho vissuto anche un piccolo amore, molto breve, per niente pubblicizzato. [...] La lavorazione di Cartouche, scene d'amore comprese, è stata tutta una follia. Lui, Belmondo, un altro matto vero [...] improvvisava giochi e scherzi in continuazione: sul set e fuori (p.185)
[Omar Sharif] Nel '91 ho rincontrato il primo attore conosciuto nella mia vita [...] E lui, a tanti anni di distanza, era, ed è ancora, bellissimo: ha un fascino sul quale il passare degli anni scivola via, senza lasciare tracce. Perché è soprattutto il fascino, tutto orientale, di un uomo che ama le donne, e sa come sedurle. (p.186-187)
Le donne che fanno il mio mestiere spesso sono disperate. Gli uomini, solitari, quasi sempre e quasi tutti: aspettano di esprimersi solo davanti alla macchina da presa. Che Dio conservi tra noi gli ironici, quelli che amano la vita più del loro lavoro. E soprattutto i pazzi. (p.187)
Con Burt Lancaster ho girato quattro film [...] Eppure l'ho conosciuto pochissimo: era un uomo straordinariamente chiuso e riservato. [...] Era bello come un eroe dell'antica Grecia, e curava quasi maniacalmente questa sua perfezione fisica. Non meno di quanto curasse la sua professionalità: è da lui che ho imparato il valore della serietà sul lavoro. [...] Per il resto, era molto misterioso, difficilissimo da capire: raramente si apriva, parlava di sé [...] una persona piena di orgogliosissima dignità. [...] Con me, nei limiti della sua totale incapacità di essere espansivo, è stato estremamente gentile, amichevole: quando sono arrivata in America, mi ha accolto a casa sua con grande affetto. [...] Mi ha lasciato il ricordo di quel corpo meraviglioso, così ingiustamente insultato dalla malattia. E di quello sguardo che anche nella vita, non solo sullo schermo, era così trasparente, luminoso: incredibile. Insieme al ricordo di gesti e atteggiamenti anche molto scioccanti, raffinatissimo conoscitore di arte e pittura, uomo di belle letture e di modi anche raffinati, quando voleva, si lasciava andare, a tavola per esempio, a maniere da cow-boy, da macho persino volgare. (p.191-192)
[Roberto Rossellini] Era un tale affabulatore, che ti metteva nella condizione della bambina che ascolta la favola, la sera, prima di andare a dormire, con gli occhi sgranati, e la bocca spalancata. Lui parlava, parlava: raccontava storie straordinarie. [...] Certo, fisicamente non era bello. Però, quando cominciava a parlare, capivi perché poteva risultare affascinante: era una specie di incantatore di serpenti. (p.195)
Conservo il ricordo della classe, dell'eleganza, di David Niven: più che un attore, un gentiluomo, che ogni donna vorrebbe avere sempre accanto. Uno che ti apriva le porte, che aveva l'eleganza di camminare sempre un passo dietro di te, che ti porgeva il braccio alla minima difficoltà sulla strada. (p.196)
[Pier Paolo Pasolini] L'ho conosciuto quando faceva lo sceneggiatore: l'ho visto spesso, per esempio, ai tempi in cui giravo Il bell'Antonio. [...] Gli devo la mia prima, autorevole, critica positiva [per l'interpretazione in Un maledetto imbroglio]: scrisse di me cose bellissime, e, al suo solito, assolutamente non banali. Considero quella sua recensione la mia prima, vera, consacrazione come attrice. (p.197)
[Alberto Moravia] Lui era timido e introverso; io, più timida e più introversa di lui. [...] ci siamo visti ancora, lui sempre timido e introverso, io sempre a disagio. Però cominciavo a provare tenerezza per lui: lo vedevo così scoperto, come un bambino che non riesce a nascondere le cose di sé che non vuole che si sappiano. [...] Negli anni l'ho rivisto molte volte. Non abbiamo avuto rapporti molto aperti. Però leggevo nel suo sguardo, come lui leggeva nel mio, un grande affetto: perché lui aveva capito me, così come io credo di aver capito lui, pur senza esserci mai detti nulla. Eravamo anche molto simili. (p.198-199)
[Warren Beatty] Con lui c'è stata davvero solo un'amicizia, e assolutamente nient'altro di più. (p.204)
Da un uomo, voglio che sia forte. Perché io so di essere una donna forte, e con un uomo voglio stabilire un rapporto di parità: non voglio essere dominata, ma non voglio neanche dominare. (p.204)
Vivere è camminare da sola per strada, e scoprire all'improvviso il piacere di entrare in una chiesa, per ritrovare il silenzio, il silenzio della mia Africa mai dimenticata. E, facendo forse un'operazione blasfema, collegare i due silenzi: per me la religione è questo, Dio è questo. È silenzio, è contemplazione: non entro mai in una chiesa quando c'è una messa cantata. (p.206)
Essere attrice non ti esime dal diritto e dal dovere di cercare di capire cosa succede nel mondo. (p.207)
Non è vero che la vita «è un lungo fiume tranquillo». O almeno io non ci credo: l'esperienza mi ha insegnato che la tranquillità molto spesso è il contrario della vita. O quanto meno significa averla messa a dormire... (p.209)
Richard Brooks, di solito così cattivo, ringhioso, misogino, alla fine, con me, era adorabile [...] si era tolto la maschera e ho scoperto che era un uomo dolcissimo. (p.217)
Ho dato, o almeno voluto dare, a tutti i miei personaggi femminili proprio e soprattutto questo, sempre: una grande verità, una sensibilità molto acuta, e un forte senso della dignità personale. (p.225)
[Brigitte Bardot] Povera, cara, amica Brigitte: l'ho conosciuta e ho lavorato insieme a lei quando era giovanissima. Ed era estremamente fragile. In più ha sempre detestato questo mestiere: lo dimostrava arrivando sempre in ritardo, stancandosi subito, protestando, rifiutando di fare questo o quello. (p.226-227)
Il cinema appartiene ai sognatori... il cinema è passione. (p.228)
Una delle testimonianze viventi dell'infelicità delle attrici, legata alla paura di invecchiare, per me è stata Rita Hayworth. Giravamo Il circo e la sua grande avventura. [...] A quarantacinque anni, quella che era stata l'«atomica», una delle più belle donne del cinema americano e del mondo, era completamente sfasciata. Però beveva e, bevendo, dimenticava: sembrava non rendersi assolutamente conto dello stato fisico in cui si era ridotta. (p.228)
Il deserto è il mio elemento naturale: il posto dove sto meglio. (p.231)
L'Africa è un pensiero, un'emozione, quasi una preghiera: lo sono i suoi silenzi infiniti; i suoi tramonti; quel suo cielo che sembra molto più vicino del nostro, perché si vede di più, perché le sue stelle e la sua luna sono più limpide, nitide, pulite: brillano di più. (p.233-234)
[Monica Vitti] Nella vita, già l'ho detto, io e Monica eravamo molto legate, molto amiche: abbiamo sempre tanto riso insieme. Sul lavoro, però, Monica ha alcuni difetti, che la rendono un personaggio difficile... (p.238)
L'Africa: le mie radici. Quel caldo, quella pace, quel silenzio: per me sono come il ritorno nel grembo materno. (p.239)
[Steven Spielberg] L'unico, dal mio punto di vista, capace di restituire alla fantascienza i colori e la tenerezza delle favole più belle dell'infanzia. (p.254)
La verità è che io scelgo il silenzio anche a costo di passare per stupida, perché non amo le parole e le discussioni: trovo noiosissima, e persino pericolosa, la chiacchiera. [...] mi fido molto di più del silenzio e dei fatti: delle cose, più che delle parole. (p.299)
Mentre sono convinta che la violenza sia stupida e inutile, del dolore penso sia necessario: la gente che non ne ha avuti, è vuota, non ha storia, è come se non avesse avuto vita. Credo persino che si impossibile fare il mio mestiere se non si è passati attraverso veri dolori: se non hai soffero, se non hai vissuto, sei incapace di interpretare personaggi che vivono e che soffrono. L'immaginazione non basta... (p.299)
Qualche volta penso che faccio il cinema perché è la logica conseguenza dell'abitudine, contratta sin dall'infanzia, a rifugiarmi nel sogno: in quelle altre vite che solo il sogno può garantirti... (p.300)
Sono contenta di essere una donna, ma solo perché ho capito che la donna è un essere forte, persino più dell'uomo. Talmente forte da saper sopravvivere a dolori grandissimi, che nessun uomo potrà mai capire fino in fondo, perché non fanno parte della sua storia e del suo destino.
La felicità, l'infelicità sono idee soggettive, ma la fortuna di conoscere persone fuori del comune, che vi segnano al punto che la vostra vita, i vostri sogni, le vostre ambizioni, cambiano profondamente, è un grande privilegio. (p.8)
[...] il misterioso atout della fotogenia. Un mistero che si nasconde nel modo di catturare la luce, grazie a una sfumatura, un dettaglio: incarnato, forma degli zigomi, calore del sorriso, profondità dello sguardo. Ci sono ragazze sublimi che sulla carta si dissolvono, altre che non degneresti di uno sguardo, che al contrario si illuminano in fotografia. Non si può pronosticare nulla di definitivo, prima di aver visto il risultato su un giornale. È per questo che le modelle viaggiano sempre con i loro book, strane rappresentanti di commercio che si vendono in fotografia anche se sono presenti in carne e ossa. (p.34)
Credo che il cinema sia un po' come gli uomini, meno li si vuole e pù vi rincorrono. (p.44)
Un attore deve essere emozionalmente disponibile. Non può lasciarsi sommergere dai problemi, dalla sua storia personale. Si deve arrivare «vergini» e accettare l'avventura: lasciarsi guidare dal regista su una terra sconosciuta, senza temere il pericolo. (p.66-67)
Agli attori non si chiede di avere dei punti in comune con i personaggi. Se esistono, tanto meglio! Ma se il ruolo non fa vibrare alcuna corda sensibile, tanto peggio. L'attore dovrà essere capace di cercare, scavare, attingere dal profondo delle sue emozioni, per trasformarle fino a trovare la giusta espressione. (p.68)
Ho mantenuto a lungo un viso infantile su un corpo di donna. E questa miscela di purezza e di sensualità attirava i registi. (p.73)
Tutti i registi della mia giovinezza sono rimasti dei compagni per la vita. (p.74)
[Marcello Mastroianni] Era [...] un attore felice, che amava alla follia il suo mestiere, che svolgeva con gioia e buon umore. La sola persona che Mastroianni prendeva sul serio durante le riprese, era il regista. Con gli altri giocava, si divertiva. Era un goliardico. Con quello sguardo scuro e dolce, l'«occhio di velluto» che ha sempre caratterizzato il latin lover, aveva tutto ciò che serve per piacere. E piaceva molto. La sua gentilezza, quel misto di sensibilità femminile e di forza virile, la sua delicatezza, la sua bellezza e la sua riservatezza parlavano in suo favore. (p.76)
Perché rimpiangere ciò che non è stato? Oggi, so che non ho nulla da rimproverare al destino. Le prove non sono mancate, ma i regali nemmeno. (p.79)
Visconti poteva mostrarsi demoniaco per trovare quello che cercava. Per ottenere l'immagine che aveva sognato, calpestava ogni principio. (p.81)
Che maestri incredibili ho avuto! A contatto con ognuno di loro, mi sono arricchita, trasformata, rivelata. È il segreto della longevità di una carriera. Un attore si nutre dei sogni di un altro. Lo scambio che nasce tra lui e il regista lo fa evolvere. (p.86)
Un regista non può ridursi a un semplice tecnico, deve dare prova di una grande ricchezza umana. Noi attori ci serviamo della nostra emotività come se fosse un muscolo, e come un muscolo troppo sollecitato diventa fragile, questa emotività ci indebolisce. Il regista è l'unico che può infonderci forza, aiutarci a rischiare. (p.86)
Visconti è un romantico. Per lui il tramonto sarà sempre più affascinante dell'alba, e la bellezza è illuminata dalla tragedia che porta in sé. (p.94)
Come per altre cose, la bellezza si impara. E Visconti mi ha insegnato a essere bella. [...] Mi ha scolpito lo sguardo e insegnato a coltivare il mistero senza il quale, secondo lui, non può esserci vera bellezza. (p.96)
Visconti era generoso, sensibile, educato, tenero, ma mai «gentile». Tutto, in lui, era valutato in base al criterio dell'eleganza. La gentilezza non era elegante. A suo parere, solo la cattiveria lo era. Poteva divertirsi con chiunque come fa il gatto con il topo. (p.106)
Anche per me Visconti è stato un maestro [...] Un maestro duro, talvolta sarcastico, ironico, crudele, che non sapeva come manifestarci il suo amore e lo esprimeva con mille piccoli regali. (p.109)
Visconti mi ha permesso di esprimere la forza, l'energia che nascondevo. Fellini mi ha reso la mia voce. [...] Visconti mi aveva dato le ali, Fellini mi ha riconciliato con me stessa. (p.118-119)
Non ho mai cercato di sedurre, di mentire, mi sono limitata a cercare di far sognare. (p.125)
Essere attore, spesso significa fare la muta, come un serpente. Si sa che gli animali sono fragili nel momento in cui cambiano pelle. Per noi è la stessa cosa. Al momento della metamorfosi, anche noi come loro, dobbiamo appartarci, metterci al sicuro, proteggerci. È il lato buio della nostra professione. Ma esistono anche lati luminosi. La libertà che ci dà, cambiando pelle, di vivere mille vite. (p.127)
[...] si deve fare attenzione che le emozioni dei nostri personaggi non ci divorino. È la condizione sine qua non per l'esercizio del nostro mestiere. [...] Colui che costruisce il proprio personaggio solo con l'ausilio dell'intelligenza, della freddezza o del cinismo, che si accontenta di mimare, come una scimmia, non può essere un attore. Non bucherà mai lo schermo. È indispensabile vivere dall'interno le emozioni che esprimiamo. (p.128-129)
Peter Sellers che ci faceva tanto ridere sul set che a volte era difficile girare con lui, nel momento in cui le cineprese si spegnevano era il più cupo degli uomini. [...] Non ho mai conosciuto un attore più triste nella vita. Era facile indovinare perché aveva bisogno di recitare! Non si piaceva, continuava a deridersi. [...] Il formidabile Peter Sellers faceva cinema perché, al di fuori del set, non si sentiva esistere. (p.144)
Steve era un tipo strano, anche lui molto sensibile, silenzioso, inaccessibile. (p.153)
Per una donna, non è mai facile girare le riprese con un'altra donna. Io ho avuto il privilegio di recitare con attori straordinari, e so che la riuscita del film si basa innanzitutto sulla complicità che si instaura tra i partner. [...] Con una donna è difficile stabilire questo legame, perché il primo sentimento che affiora è la rivalità. Le attrici si comportano duramente l'una con l'altra. È il mestiere che lo esige. Non sopportano di non essere la più bella, e si sentono subito schiacciate, minacciate, a disagio. Ma più tentano di affermare la loro superiorità, più, in realtà, hanno bisogno di nascondere la loro fragilità. (p.174)
Sì, De Niro era il tipo d'uomo che mi piace. Ma gli ho resistito ed è diventato un amico. Le donne non sanno cosa si perdono cedendo a coloro che le corteggiano. Quando non si cade nella trappola della facilità, si instaura un altro tipo di rapporto, basato sulla complicità. È una relazione più duratura e molto più forte. (p.186)
[Werner Herzog] Quel regista tedesco, pieno di ambizioni, coltiva le difficoltà. Non posso fare a meno di pensare che soffrire è un suo bisogno, visto che si sottopone a prove incredibili. Non se se sia un modo per guarire da ferite provocate dal suo passato, ma sta di fatto che non riesce a farne a meno. Deve sempre oltrepassare i limiti, e questo lo rende affascinante e nel contempo angosciante. Talvolta pericoloso. (p.223)
[Werner Herzog] Era un vero crociato che credeva alla necessità della prova e del superamento di sé. (p.228)
Tutti coloro che hanno conosciuto Klaus Kinski, attore geniale dal fisico incredibile, con quegli occhi allucinati, lo sguardo fisso, terrificante, lo sanno: Klaus era completamente svitato. (p.231)
Gli attori non sono in nessun posto, o meglio, sono dappertutto nello stesso momento. Hanno tutte le età, tutti gli accenti, hanno mille vite. (p.237)
Bisogna essere sensibili per fare l'attore, ma bisogna anche essere forti. È la grande difficoltà di questo mestiere. Ci costringe a essere entrambe le cose. Nel nostro mondo crudele, i deboli non sopravvivono. (p.253)
Claudia Cardinale si divideva tra Il Gattopardo e Otto e mezzo, tra Visconti e Fellini. Faceva la spola tra Palermo e Roma e, per esigenze di copione, era costretta a cambiare colore di capelli ogni tre giorni. Uno solo dei suoi vestiti di scena era costato quasi un milione. E per il suo ingaggio, la Vides del compagno Franco Cristaldi aveva preteso cento milioni, una cifra incommensurabile. (Marcello Sorgi)