[Le inquadrature iniziali mostrano due elicotteri, il primo sta trasportando una statua di Cristo, sul secondo invece stanno viaggiando Marcello e Paparazzo. Alcune ragazze che stanno prendendo il sole sulla terrazza di un edificio notano l'elicottero con la statua] Ragazza: Leontine! Che cos'è? Guarda! Leontine: È Gesù! Ma dove vanno? Ragazza: Guarda, guarda, guarda! Sta per scendere!
Io non riesco neanche a reggermi in piedi. Ci vorrebbe una carica vitale che io non ho per girare a testa alta. Quando faccio l'amore... ecco sì, nell'amore c'è questa tensione. Solo l'amore mi dà questa forza. (Maddalena)
Ah, che macello, s'è allagato un'altra volta, ma se pò campa' così? [...] Sto a sconta' tutti i peccati de Satana, io! (Ninni) [trovando allagata la propria abitazione]
Scoprendo una magnifica dentatura, la bellissima Sylvia dà un morso al tipico e gustoso prodotto italiano [la pizza], è vero. Che nei suoi vivaci colori e nel suo profumo sembra riassumere la gioia di vivere del nostro paese. (radiocronista)
Tu sei tutto, Sylvia! Ma lo sai che sei tutto, eh? You are everything... everything! Tu sei la prima donna del primo giorno della Creazione. Sei la madre, la sorella, l'amante, l'amica, l'angelo, il diavolo, la terra, la casa... Ah, ecco cosa sei: la casa! (Marcello)
Come vedi, questi padri non hanno paura del diavolo. Tutt'altro. Gli permettono persino di suonare l'organo. (Steiner)
Sono suoni che non siamo più abituati ad ascoltare, eh? Che voce misteriosa: sembra venire dalle viscere della terra. (Steiner) [riferito all'organo]
La vostra Italia è una terra di culti antichi ricca di forze naturali e soprannaturali e quindi ognuno ne sente l'influenza. Del resto, chi cerca Dio Io trova dove vuole. (signora con Emma al miracolo)
Marcello, perché sei così cambiato? Ma perché non mi vuoi più bene? Madonna mia, se mi sposasse, verrei qui tutti i giorni a ringraziarti, a piedi verrei. Ma non ti chiedo neanche questo, sai, vorrei solo che mi volesse bene ancora, che fosse mio come una volta. (Emma) [parlando tra sé e sé, facendo un voto alla Madonna]
Le parrà strano, ma io credo di conoscerla bene. Il giorno in cui lei capirà di amare Marcello più di lui stesso, sarà felice. (Steiner) [ad Emma]
Io ho molta invidia di lei. Lo sa che ho seguito tutti i suoi servizi attraverso il mondo? Anche a me piacerebbe tanto viaggiare: si ha la possibilità di fare incontri eccezionali, di conoscere donne di tutte le razze. Mi piacerebbe avere figli di tutti i colori: rossi, gialli... Pensi che soddisfazione! Così, come un mazzo di fiori di campo. (Marcello) [a Leonida]
Che tipo straordinario! Ha scritto decine di libri di cui conosci l'importanza e ha conservata un candore infantile. Io mi domando da dove gli venga tanto ottimismo, tanta fede. Mi fa piacere che venga qui e lo guardo sempre con stupore. A volte mi chiedo persino se non l'invidio. (Steiner) [su Leonida Rèpaci]
Sounds and sweet airs, that give delight, and hurt not.[3] (ospite in casa Steiner) [riferito alla registrazione di Steiner con i rumori della natura]
La bambina invece è completamente diversa: ciò che le piace di più sono le combinazioni di parole. Una frase nuova la incanta. A volte ne inventa lei stessa di bellissime, qualcuna l'ho notata, per esempio: "Chi è la mamma del sole?" È bella davvero però, eh... è già la frase d'un poeta. (Steiner)
Voi non potete sapere che dolcezza sia addormentarsi con una piccola creatura accanto. (Steiner) [riferito al figlio piccolo]
Qualche volta la notte, questa oscurità, questo silenzio mi pesano. È la pace che mi fa paura, temo la pace più di ogni altra cosa: mi sembra che sia soltanto un'apparenza e che nasconda l'inferno. Pensa a cosa vedranno i miei figli domani... "Il mondo sarà meraviglioso", dicono, ma da che punto di vista, se basta uno squillo di telefono ad annunciare la fine di tutto? Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell'armonia che c'è nell'opera d'arte riuscita, in quell'ordine incantato... Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori del tempo, distaccati... [ride brevemente] Distaccati... (Steiner)
Ma lo sai che sembri proprio uno di quegli angioletti che ci sono nei quadri delle chiese umbre? (Marcello) [a Paola]
Signorina, a lei! Alle sue bellissime gambe che ho avuto la fortuna di ammirare! (Padre di Marcello) [brindisi]
La piccola Eleonora: ottantamila ettari, due tentativi di suicidio. (Maddalena) [mentre sta mostrando i vari nobili presenti alla festa a Marcello]
E non fare quella faccia! Cosa credi? Che noi siamo meglio? E se non altro loro certe cose le sanno fare con eleganza. (Maddalena) [riferita ai nobili]
Io ne ho mille, duemila di idee. Vi posso tenere chiusi qua dentro una settimana senza annoiarvi, però dovete fare quello che dico io. (Marcello) [agli altri convitati]
Nel '65 sarà tutto una depravazione completa. Ah, no? Mamma mia, che schifezza ne verrà fuori! (Mariuccio) [a Marcello]
Ma che c'ha da guardare questo? [...] E questo insiste a guardare, eh... (Marcello) [riferito al pesce tirato a riva dai pescatori]
Citazioni in ordine temporale.
Maddalena: È arrivato? Barista: No, non si è ancora visto, signorina. Maddalena: Appena viene digli che è un cretino.
Maddalena: Vorrei vivere in una città nuova e non incontrare più nessuno. Marcello: A me invece Roma piace moltissimo: è una specie di giungla, tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene. Maddalena: Anch'io vorrei nascondermi ma non ci riesco. [...] Mi ci vorrebbe un'isola! Marcello: Se la compri! Maddalena: Ci ho pensato. Ma poi ci andrei? Marcello: Sa qual è il suo guaio? Di avere troppi soldi! Maddalena[togliendosi gli occhiali da sole]: E il tuo di non averne abbastanza! Hm... intanto eccoci qua tutti e due! Marcello: Questo non è mica un guaio: siamo rimasti così in pochi ad essere scontenti di noi stessi.
[Un folto gruppo di giornalisti sta intervistando la diva svedese] Giornalista: Please miss! Dorme in pigiama o in camicia da notte? Traduttore: How do you sleep? With pijamas or nightgown? Sylvia: Neither! I sleep only in two drops of French perfume! Traduttore: Solo con due gocce di profumo francese![4] [...] Giornalista: Signo', ma nella vita che vi piace di più? Traduttore: What do you think you like most in life? Sylvia: I like lots of things. But there are three things I like most. Love, love and love. Traduttore: Ci sono parecchie cose che mi piacciono, ma specialmente tre: amore, amore, amore.
[Sylvia è entrata nella Fontana di Trevi e cammina nell'acqua; Marcello la guarda sorpreso] Sylvia: Marcello, come here! Hurry up![danzando con gli occhi chiusi all'interno della fontana] Marcello: Sì Sylvia, vengo anch'io! Vengo anch'io! [si toglie le scarpe e si dirige verso la fontana] Ma sì, ha ragione lei: sto sbagliando tutto! Stiamo sbagliando tutti. [entra nella fontana e si avvicina all'attrice, tentando di baciarla] Sylvia! Sylvia, ma chi sei? Sylvia: Listen! Marcello: Sylvia... [la fontana è immersa in un silenzio irreale e nella luce livida dell'alba]
Marcello: In conclusione, allora, non si tratterebbe di un miracolo? Prete: Non ci credo! I miracoli il Signore li può fare dovunque, anzi accadono spesso proprio per i più sprovveduti, ma una volta, una volta su mille... Marcello: Non potrebbe essere questa la volta? Prete: No! Sono convinto che i ragazzi sono in malafede perché chi ha visto la Madonna ha un'altra faccia, un altro sguardo e non ci specula sopra. I miracoli nascono nel raccoglimento, nel silenzio, non in questa confusione.
Leonida: L'ho sempre detto io: l'unica autentica donna è l'orientale. Del resto dov'era Eva? Nel Paradiso terrestre. E il Paradiso terrestre dov'era? In Oriente. Là veramente l'amore è una cosa... Moglie: Perché hai sposato me che son di Frosinone, allora? Leonida: Cara, lo so che ho commesso un grande errore! Misteriosa, materna, amante e figlia insieme, la donna orientale ti dà la gioia di starti accovacciata ai piedi come una piccola tigre innamorata.
Marcello[riferito a un quadro appeso nella stanza]: Senti, ho visto che hai un magnifico Morandi. Steiner: Ah sì, è il pittore che amo di più. Gli oggetti sono immersi in una luce di sole, eh? Eppure sono dipinti con uno stacco, un rigore, una precisione che li rendono quasi tangibili. Si può dire che è un'arte in cui niente accade per caso.
Poetessa: Steiner ha detto che tu hai due amori e che non sai scegliere fra i due, giornalismo e letteratura. Attento alla prigione. Stai libero, disponibile, come me. Non sposare niente, non scegliere mai. Anche nell'amore è meglio essere scelto. The great thing is to burn and not to freeze. Marcello: Qualche anno fa ho letto le sue poesie, quando pensavo di scriverne anch'io. Mi piacciono. Sono forti, nette. Non sembrano scritte da una donna. Emma: Ma che ne sai tu delle donne? Marcello: Questa è proprio l'arte che preferisco, quella che penso servirà domani: un'arte chiara, netta, senza retorica, che non dica bugie, che non sia adulatrice. Adesso faccio un mestiere che non mi piace ma penso spesso a quello che occorrerà domani. Poetessa: Ah, dobbiamo tutti pensare al domani ma senza dimenticare di vivere oggi! Io credo che se uno vive intensamente, in pienezza spirituale, ogni istante conta per un anno e ogni anno si diventa cinque anni più giovane. [concludendo con un fischio per il cane, tutti ridono]
Poetessa: Oh, tu leggi i miei versi ma non mi hai mai capito. Tu sei il vero primitivo. Primitivo come una guglia gotica. Sei così alto che non puoi sentire più nessuna voce da lassù! Steiner: Ah sì? Se mi vedessi nella mia vera statura, ti accorgeresti che non sono più alto di così.[5][mostrando una modesta lunghezza tra il pollice e l'indice]
Marcello: Fammi venire più spesso qui da te. Steiner: Te l'ho detto, vieni quando vuoi. Cosa c'è, Marcello? Marcello: Dovrei cambiare ambiente! Dovrei cambiare tante cose! La tua casa è un vero rifugio, sai? I tuoi figli, tua moglie, i tuoi libri, i tuoi amici straordinari... Io sto perdendo i miei giorni, non combinerò più niente! Una volta avevo delle ambizioni ma forse sto perdendo tutto, dimenticando tutto. Steiner: Non credere che la salvezza sia chiudersi in casa. Non fare come me, Marcello! Io sono troppo serio per essere un dilettante, ma non abbastanza per diventare un professionista. Ecco, è meglio la vita più miserabile, credimi, che l'esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto, tutto perfetto. Marcello, io posso soltanto esserti amico e quindi mi è impossibile consigliarti.
[Fanny arriva con lo champagne al tavolo di Marcello, il padre di Marcello e Paparazzo] Fanny: Avete ordinato il champagne? Padre: Sicuro! Fanny: E anche la cameriera! Cosa volete di più? [presentandosi al padre di Marcello] Fanny! Padre di Marcello: Piacere! Fanny[si siede e invita il padre di Marcello a rimanere seduto]: Non ti disturbo! [rivolgendosi prima a Marcello e poi a Paparazzo] Te non ti saluto! Neanche te! [al padre di Marcello] Hai visto come lavora il tuo filio? Padre di Marcello: Ho visto! Ho visto! Fanny: Bel lavoro, eh? Mandalo al tuo paesello, va! [i due ridono] Senta. Padre di Marcello: Dica. Fanny: Ma non è vero che è il suo papa! Padre di Marcello: Come non è vero?! Fanny: Non è possibile! È troppo giovane! Padre di Marcello: Per carità, signorina, lasci stare l'età. Non rinnoviamo "disperato dolor che il cor mi preme"![6] Sa cos'è che c'invecchia a noi altri? È la noia. Io per i miei affari viaggiavo sovente da giovane. Quando ero in viaggio mi sentivo un leone. Anche adesso, appena mi muovo, le giuro che non sto dietro a nessuno di questi ragazzi, eh! Ma quando rimango in casa, guardi... come avessi ottant'anni! [rivolgendosi poi a Paparazzo che stava provando ad aprire la bottiglia di champagne] Cosa fa? No, no, no, no, no, no, no, può adoperare la sua abilità per la Coca-Cola, ma lo champagne è roba mia!
Jane[1]: Are you really a newspaperman? Marcello: Yes, madam. Jane: Il mio primo marito era un giornalista ma le sue notizie erano sempre esagerate. Io, povera anima, ho solo capito questo quando la luna di miele era finita. Donna[ride]: [...] Meglio avere notizie esagerate che essere senza notizie. [ride] Mio marito pensa la stessa cosa. [qualcuno ride] Marcello[a Jane]: Spesso è proprio il pubblico che vuole queste amplificazioni. Personalmente, sempre che lei me lo permettesse, io sarei in grado di darle delle notizie mica tanto esagerate, sa.
Marcello: Quella villa che si vede in fondo al parco, chi ci sta? Maddalena: Nessuno, è disabitata. Come stile è la più bella. [sorridendo e avvicinandosi a lui] E anche io sono disabitata, lo sai?
[I due parlano da una stanza all'altra, senza potersi vedere] Maddalena: Marcello, Marcello, mi senti? Mi hai mai sentita così vicina? Marcello: Dove sei? Mi senti tu a me? Maddalena: Sì. Marcello: Ma da dove parli? Maddalena: Da lontano, da molto lontano! E se stessi zitta è come se non esistessi più. Marcello[posa il bicchiere a terra e si mette a fumare]: Maddalena! Maddalena! Maddalena! Maddalena: Sì, sì, sono sempre qui, non muoverti. Marcello, mi sposeresti tu? Marcello: E tu? Maddalena: Ah, io sì. Sono innamorata di te, Marcello. Marcello: Ma da quando? Maddalena[facendo un rumore]: Ascolta! Sai che cos'è questo rumore? Marcello: Non lo so, che cos'è? Maddalena: E adesso indovina, eh. [fa il suono di un bacio] Marcello: Un bacio? Maddalena: Per te, Marcello. E allora, mi sposeresti? O hai paura di rispondermi? Marcello: Ma perché mi fai questa domanda? Sei un po' ubriaca, eh? Maddalena: Un poco, sì. Ti amo, Marcello. Lo sai, vorrei essere tua moglie, esserti fedele. Vorrei tutto insieme: vorrei essere tua moglie, vorrei divertirmi come una puttana... Marcello: Stasera, non so perché, mi sembra di volerti tanto bene, di avere bisogno di te. Maddalena: Ah sì, è vero? Marcello: Sì, è vero. Non so se hai parlato sul serio o se mi prendi in giro, ma non importa. Ti voglio bene Maddalena. Vorrei stare sempre con te. Maddalena: Dopo un mese mi odieresti. Marcello: Perché dovrei odiarti? Maddalena: Perché non si può avere tutto in una volta: o una cosa o l'altra. E io non posso più scegliere, è troppo tardi. Del resto io non ho mai voluto scegliere. Non sono che una puttana, lo sai. Non c'è rimedio: sarò sempre una puttana e non voglio essere altro! Marcello: No, non è vero. Sei una ragazza straordinaria, Maddalena, io lo so. [nella stanza di Maddalena, mentre Marcello parla arriva un uomo che le fa cenno di rimanere in silenzio] Il tuo coraggio, la tua sensibilità... Davvero ho bisogno di te. Pensa che la tua disperazione mi dà forza... Saresti una compagna meravigliosa perché a te si può dire tutto. Sai tutto. [l'uomo comincia a baciare Maddalena] Maddalena, mi senti? Rispondimi! Maddalena, su basta con questo gioco! Torna qui, voglio parlarti ancora. [intanto Maddalena e l'uomo si baciano sempre più appassionatamente] Maddalena! Maddalena!
[Emma sta camminando da sola su una strada isolata, Marcello la raggiunge con l'auto e la invita sgarbatamente a salire] Marcello: Cammina deficiente, monta! Emma: No! Marcello: Emma, guarda che... [fermando l'auto] Cammina, sali. Emma: Ma che cosa vuoi? Che cosa cerchi da me? Sei un verme, un miserabile! Tu finirai solo come un cane! [allontanandosi e trattenendo a stento le lacrime] Te ne accorgerai! Ma chi ti sta vicino a te, se io ti lascio? Ma che farai della tua vita? Chi trovi che ti vuol bene così? Marcello: Io non posso passar la mia vita a voler bene a te. Emma[avvicinandosi di nuovo]: Tu dici sempre che sono io la pazza, che vivo come in sogno, che sono fuori dalla realtà... ma sei tu, sei tu che sei fuori strada! Ma non capisci che la cosa più importante della vita tu l'hai già trovata? Una donna che ti vuol bene sul serio, che darebbe la tua vita per te come se fossi l'unico al mondo! Tu sciupi tutto, sei sempre inquieto, sempre scontento. [salendo in macchina e avvicinandosi a Marcello] Marcello, quando due persone si vogliono bene, tutto il resto non conta. Di che cosa vuoi aver paura? Dì. Marcello: Di te. Del tuo egoismo. Dello squallore desolante dei tuoi ideali. Non lo vedi che quello che mi proponi è una vita da lombrico, non sai parlare d'altro che di cucine e di camere da letto! Ma un uomo che accetta di vivere così, lo capisci che è un uomo finito?! È veramente un verme! Io non ci credo a questo tuo amore aggressivo, vischioso, materno: non lo voglio, non mi serve! Questo non è amore, è abbrutimento! Come te lo devo dire che non posso vivere così?! Che non ci voglio più stare con te?! Voglio star solo! [aprendole la portiera] Scendi da questa macchina! Emma: No! Sei una carogna! Un vigliacco! Mi fai proprio una gran pena! Marcello: Va bene, io ti faccio pena e tu mi fai schifo! Scendi!
Marcello: Alla salute di Nadia che ha ritrovato la libertà, all'annullamento del suo matrimonio, all'annullamento di suo marito, all'annullamento di tutto! [proponendo un brindisi mentre versa da bere a Nadia] Nadia: Grazie! Grazie a tutti! L'esperienza matrimoniale mi riconsegna ai vecchi amici, carica di tutti i desideri. Marcello: Un po' come ritornare vergine, eh? Nadia: Ah, sì! È una sensazione meravigliosa essere annullati! Bisogna prima sposarsi per provarla!
Laura[ridendo con un giornale in mano]: Senta un po' ma lei una volta non faceva lo scrittore, il letterato o sbaglio? Marcello: Vi annuncio che ho lasciato la letteratura e il giornalismo! Faccio l'agente di pubblicità, e con grande soddisfazione! [il divo ride] Laura: Va bene che per vivere uno deve scrivere qualsiasi cosa, ma qui andiamo verso lo squallore, no? Sentite tutti! [leggendo l'articolo sul giornale] «Ha un profilo greco, ma la modernità della sua espressione lo avvicina al più moderno degli attori del nostro tempo: Paul Newman.» Marcello, lei è un verme! Marcello: Senti un po'. Perché non ci dici che cosa saresti capace di fare tu pur di farti pubblicare un'intervista? Ti piacerebbe che queste cose le scrivessi per te, eh? Laura: Uh, che orrore! Mi stroncheresti la carriera... Il divo: Se invece di duecentocinquanta ti dessi trecentomila al mese, che scriveresti di me? Marcello: Che sei Marlon Brando. Il divo: E se ti dessi quattrocentomila? Marcello: John Berryman. Il divo: E un milione?! Marcello: Dammi il milione, poi te lo dico.
[Tutti i convitati sono sulla spiaggia e osservano il pesce tirato a riva dai pescatori. Marcello siede in disparte, quando ad un tratto sente che qualcuno lo sta chiamando] Paola[urlando dall'altra parte di un braccio di mare]: Ehi, signore, ehi! [Marcello si avvicina verso di lei e Paola mima prima una macchina da scrivere e poi dei passi di danza, riferendosi probabilmente al loro precedente incontro] Marcello: Non capisco! Non si sente! [le parole sono coperte dal rumore delle onde. Paola continua a mimare qualcosa per farsi capire] Non sento! Non si sente! [Paola prova ancora a fare dei gesti ma Marcello, sconsolato, continua a non capire] Donna[chiamandolo da lontano]: Marcello, vieni! Marcello: Vengo! [si alza, Paola fa un gesto come se volesse pregarlo di rimanere. Marcello con un certo dispiacere la saluta e si allontana con la donna verso gli altri convitati. Paola, sorridendo, ricambia il saluto]
Dunque non userò, per La dolce vita, espressioni come "ritratto di una società e di un periodo", o come "potente affresco", delle quali tanti avidi collezionisti di frasi fatte, individui che non hanno addosso un pelo che gli appartenga, hanno immediatamente abusato. No. Dico semplicemente che La dolce vita è un poema cinematografico, suddiviso in canti e strofe. (Giuseppe Marotta)
È incentivo al male, al delitto, al vizio [...] è tempo che quel "basta", finalmente gridato dagli spettatori, si indirizzi ai pubblici poteri cui compete e la sanità e il rispetto del buon nome di un popolo civile.[8] (attribuita a Oscar Luigi Scalfaro)
E poi, doveva succedere, il film ormai pronto diventò una cosa di tutti. Deflagrò come una bomba nel febbraio '60 e il giorno dopo qualcuno si accorse che l'Italia non era più la stessa. Certo non l'aveva cambiata La dolce vita, ma ne era stato l'annuncio vistoso: il segnale di un decennio di mutazioni che si sarebbero succedute a rotta di collo. Sbarcati dalla gran nave felliniana, a noi girava un po' la testa; e così, nel rimpianto di quelle notti luminose e illuminanti, ci preparammo ad annoiare i nipotini raccontando: io c'ero... (Tullio Kezich)
E pensare che a Fellini piaceva moltissimo come camminavo. Dentro la Fontana di Trevi, durante le riprese, feci su e giù una notte intera, senza mai inciampare. Marcello invece aveva freddo e così vuotò una bottiglia di whisky. Cadde tre volte. E per tre volte furono costretti ad asciugarlo. Alla fine gli fecero indossare gli stivaloni da pesca sotto i pantaloni. [...] Però non era un gran film. Quel film esiste per quella scena pazzesca. E in quella scena c'eravamo io e Marcello. Più io, in verità, che lui. Ero bellissima. Lo so. (Anita Ekberg)
Eminenza, non è un film facile. Per certi versi è un film inquietante, ma nuovo per lo stile e le suggestioni. È imprevedibile l'impatto che avrà sulla gente, ma il pubblico andrà a vederlo in massa. (Angelo Arpa)
Essere stati su La dolce vita è come aver fatto il militare insieme. (Marcello Mastroianni)
Fellini aveva tratto ispirazione [per La dolce vita] da un'inchiesta di Manlio Cancogni pubblicata pochi mesi prima dal settimanale L'Espresso. Il titolo era Capitale corrotta= Nazione infetta; proprio di questo si trattava; il regista italiano, come i grandi narratori francesi o russi dell'Ottocento, aveva interpretato gli indizi acutamente raccolti dal cronista per trasformarli in una narrazione che li trascendeva facendone denuncia e ammonimento. (Corrado Augias)
Fellini con La dolce vita che doveva intitolarsi La grande confusione, guardò Roma dolcemente appoggiato a una balaustra e vide un'Italia che viveva sulla spinta del rilancio dopo la guerra. (Toni Servillo)
Film ampiamente analizzato, La dolce vita va oggi osservato sia in quanto crea forti spinte nel sistema espressivo, sia perché apre a realtà come quella della psicanalisi, e al tempo stesso registra, con perfetta scelta di tempo, i fasti e la fine di un mondo e di alcuni rituali tipici della società romana di quegli anni. (Gian Piero Brunetta)
Ho visto La dolce vita a 14 anni, nel 1960, a New York City: un film epico, il miglior film con tematiche d'attualità che abbia mai visto. Mi ha colpito l'uso del bianco e del nero e che fosse girato nell'arco di sette giorni, durante i quali un giornalista vaga senza meta nell'Inferno di Dante. L'ho trovato molto profondo e anche assai realistico: parlava di una persona che avevo l'impressione di poter incontrare dovunque, anche a New York. (Oliver Stone)
Il film ha probabilmente perso la sua capacità di scioccare, e le orge sono monotone per gli standard attuali. Ma non ha perso la capacità di affascinare, stimolare e provocare, e rimane un'opera di grande impatto morale e visivo. (Philip French)
Il film — uno dei più terribili, più alti, e a modo suo più tragici che ci sia accaduto di vedere su uno schermo — è la sagra di tutte le falsità, le mistificazioni, le corruzioni della nostra epoca, è il ritratto funebre di una società in apparenza ancora giovane e sana che, come nei dipinti medievali, balla con la Morte e non la vede, è la "commedia umana" di una crisi che, come nei disegni di Goya o nei racconti di Kafka, sta mutando gli uomini in mostri senza che gli uomini facciano in tempo ad accorgersene. [...] Polemica, simbolo, allegoria, atto d'accusa? Niente di tutto questo, Fellini si è volutamente tenuto lontano dall'opera "a tesi", ha evitato rigorosamente le intonazioni programmatiche, retoriche, moralistiche e ha preferito descrivere ai contemporanei i "mostri" di oggi [...]. E lo fa con una potenza drammatica, un impeto, una novità di linguaggio che, nonostante le riserve per la debolezza di taluni episodi (quando troppo insistiti, troppo scoperti o sgradevoli), iscrivono certamente il suo film tra le più "moderne" opere dell'arte del cinema. (Gian Luigi Rondi)
Il racconto cinematografico si avvale di risorse assai ricche e varie, spettacolarmente di grande presa, di leit-motiv ricorrenti in modo simbolico (l'assalto dei fotografi), di una libertà del tutto inconsueta nelle leggi della ripresa che avvicinano sempre più la "camera" alle virtù dell'occhio umano. La sceneggiatura offre immagini che pur tolte dalla cronaca reale per essere state assunte nel loro effettivo significato assumono uno straordinario valore fantastico. [...] Mentre lasciano perplessi le simbologie metafisiche e spiritualiste. (Vito Pandolfi)
Il più grande rimprovero che si può rivolgere a Fellini è la mancanza d'idee nella messa in scena. Ci sono dei pezzi di bravura [...], ma non ci sono idee. È del bel canto cinematografico, con qualche recitativo che, ogni tanto, rompe la monotonia del racconto, ma non è del cinema. (Jean Domarchi)
In sostanza è un quadro fantastico e perverso nel contenuto, ma morale e molto sofisticato nell'approccio e nel messaggio. (Bosley Crowther)
L'"affresco" de La dolce vita è grandioso e plasticamente esemplare: l'autore non si sofferma a descrivere la degradazione in cui versa l'aristocrazia e quella meno sintomatica dei tempi che emerge dalla "notte del falso miracolo", ma anche la degradazione su cui poggia il mito della donna-sesso e della "diva" e il mondo che li circonda (due fenomeni di isterismo collettivo, quelli del miracolo e della diva, che tanti punti hanno in comune). (Guido Aristarco)
L'aristocrazia francese rise alla messa in scena della sua fine; la borghesia italiana no. (Adélaïde de Clermont-Tonnerre)
L'episodio della dolce vita era nato da un episodio reale, una litigata spaventosa che facemmo io e Marcello a tavola, sotto gli occhi di Federico e Pier Paolo, avvenuta in nome di che, non l'abbiamo mai saputo. Io e Marcello avevamo un ottimo rapporto. Eravamo amici. Scoppiò questa specie di bomba. E a Fellini quella scena piacque pazzamente e la ricreò per il film. (Laura Betti)
La dolce vita è anzitutto il film di una crisi, la crisi del personalismo cristiano del regista; scomparsa è la speranza, scomparsa la fede; il film termina come era iniziato [...]. La dolce vita è l'attesa dell'alba di un giorno ancora ignoto, e un viaggio nella notte, durante il sonno della ragione, attraverso una civiltà corrotta e putrescente nella quale tutto crolla di schianto, valori autentici e falsi miti, tradizioni secolari e convinzioni nate appena ieri. (Vittorio Spinazzola)
La dolce vita e Le nozze di Figaro rappresentano un'élite corrotta e agonizzante, cui subentra il popolo (la cameriera, nel film di Fellini). Ma dieci anni dopo la prima delle Nozze, l'élite della Francia era decapitata; cinquant'anni dopo La dolce vita, in Italia non c'è stata rivoluzione. (Michel Marmin)
La dolce vita ha sconvolto la nostra concezione della realtà, il mondo non sarebbe com'è se non fosse esistito Federico Fellini. (Woody Allen)
La dolce vita risulterà alla fine simile a un viaggio con tante tappe del protagonista, un giornalista di mondanità e pettegolezzi in movimento nella cosiddetta café society, nel carnevale perenne che nasconde un vuoto drammatico. (Lietta Tornabuoni)
La dolce vita testimonia con estrema sensibilità non il crollo della religiosità, ma della sua facciata ben pensante. Scandaloso non era il film, era ciò che denunciava. (Alain de Benoist)
Mettendo da parte i piccoli gesti, la delicata osservazione della vita quotidiana e la caratterizzazione congeniale associata al neorealismo, La Dolce Vita è una satira su larga scala con scene maestose e metafore visive forti. Il suo obiettivo è una società senza Dio che è diventata una sorta di inferno (ci sono arguti riferimenti a Dante) ed è stato giustamente paragonato alla raffigurazione di TS Eliot di una moribonda Europa post-Prima Guerra Mondiale in The Waste Land. (Philip French)
Mi sono ben guardato dal parlare di visibilità. [...] Il film è veritiero, ed è perché colpisce orribilmente la vita di molti, che taluni hanno reagito anche sulla stampa: vi si sono visti descritti ed hanno avuto paura di se stessi. Ma tutto questo deporrà per le qualità notevolissime dell'autore, non per la visibilità del film. (Giuseppe Siri)
Nella mia mente i film si dividono tra quelli fatti prima de La dolce vita e quelli dopo. La dolce vita ha rotto l'unità delle regole della narrazione grazie alla sua audacia. Ha cambiato la storia. (Martin Scorsese)
Non sempre la materia è decantata. Appartiene, ancora e sovente, alla cronaca. Non lievita, non vibra. Sono dati di fatto. Se gelidamente posti in una loro impeccabile prospettiva, avrebbero potuto avere una loro straordinaria efficacia; così, invece, appaiono qua e là pesti, quasi sfuocati, o ripetuti, ridondanti. C'è infatti una certa monotonia, sia pure assai colorita, di tipi, di scorci, di accenti. Se codesta monotonia fosse stata soltanto apparente, e allora calibrata in un suo ritmo rigoroso, dalla sordina sempre più ossessiva, tutto ciò avrebbe potuto avere un'altra sua non meno straordinaria efficacia. Così, invece, i tipi si stingono talvolta l'uno sull'altro, o si ricalcano. Dovrebbe giustificarli un loro minimo comun denominatore; ma questo è così esplicito che lungo il cammino, per forza di cose si attenua, e si fa risaputo. (Mario Gromo)
Oltre a rotture e liti in ambienti borghesi, La dolce vita è anche il film che ha provocato veri e propri scismi nei circoli cattolici. (Camilla Cederna)
Per la sua carica liberatoria, la sua assenza di moralismo, la sua struttura narrativa, il suo splendore figurativo, la sua linea antimetafisica, La dolce vita è nel cinema una rivoluzione. Sembrava che, dopo, non si potessero più fare i film consueti. Non è andata così: come càpita a tutti i maestri davvero grandi, il regista non ha allievi, non ha fatto scuola. (Lietta Tornabuoni)
Preceduto da un gran rumore di scandalo, da echi di polemiche, proteste, anatemi ed osanna, era giunto in paese un film sensazionale. Il parroco di San Firmino aveva scagliato i suoi fulmini contro il film licenzioso ed ammonito i fedeli a boicottarlo, ma con scarso risultato. [...] Non s'era mai visto niente di simile. Anche le sedie del bar Centrale, stipate dentro la sala, risultarono insufficienti a far fronte all'afflusso del pubblico. Erano arrivati anche dalle campagne, percorrendo decine di chilometri a dorso di cavallo e creando problemi di promiscuità per gli uomini di Agramonte. (Divorzio all'italiana)
Pur tenendosi costantemente a un alto livello espressivo, Fellini pare cambiar maniera secondo gli argomenti degli episodi, in una gamma di rappresentazione che va dalla caricatura espressionista fino al più asciutto neorealismo. In generale si nota un'inclinazione alla deformazione caricaturale dovunque il giudizio morale si fa più crudele e più sprezzante, non senza una punta, del resto, di compiacimento e di complicità, come nella scena assai estrosa dell'orgia finale o in quella della festa dei nobili, ammirevole quest'ultima per sagacia descrittiva e ritmo narrativo. (Alberto Moravia)
Quel che manca a La dolce vita è la struttura di un capolavoro. Il film non è costruito, è soltanto una somma seducente di momenti più o meno grandi di cinema. [...] Al vento della critica La dolce vita si smantella, si disgrega, non resta che un seguito di "attualità" più o meno straordinarie senza che un qualche elemento solido le leghi e le conduca a un significato complessivo. (Jacques Doniol-Valcroze)
Questa "Dolce vita" bisognerebbe farla vedere ai miei seminaristi del quarto anno di teologia perché si rendano conto di quanto è brutto il mondo. (Giuseppe Siri)
Titolo fondamentale del cinema italiano e del mondo. Dopo una serie di film che possiamo definire di "perfezionamento e ricerca", Fellini rappresenta il dolore con segnali universali. Le sue angosce in prima persona trovano manifestazioni simboliche che si trasferiscono a tutti. Il caos, la vita "arruffata", il tentativo di integrarsi in qualche modo con gli altri, la tensione di fare qualcosa che non è mai chiara ma che va fatta, la pigrizia per la consapevolezza che anche centrando l'obiettivo... l'obiettivo alla fine non c'è. Il mito ha poi rilanciato ogni sequenza del film in tutto il mondo dando del nostro cinema e indirettamente del nostro paese un quadro diverso rispetto a quello della stagione del neorealismo. (Il Farinotti)
Un affresco composito di un mondo senza più nessun punto di riferimento [...]. Ben presto divenne un cult movie anche all'estero, diffondendo l'uso di neologismi come «paparazzo». (Il Mereghetti)
Un episodio[9] talmente privo di qualsiasi verità e sensibilità (tale da restare un punto nero per il regista e gli sceneggiatori che ne sono responsabili) ci prova a quali risultati di non-verità può portare una costruzione a freddo di film a ossatura ideologica. (Italo Calvino)
Uno dei più inquieti saggi sul moderno ulissismo. (Brunello Rondi)
Viaggio attraverso il disgusto, cinegiornale e affresco di una Roma raccontata come una Babilonia precristiana, affascinante e turpe. Una materia da giornale in rotocalco trasfigurata in epica. Uno spartiacque nel cinema italiano, un film-cerniera nell'itinerario felliniano con la sua costruzione ad affresco, a blocchi narrativi e retrospettivamente un film storico che interpreta con acutezza un momento nella storia d'Italia. Dopo lo scandalo ecclesiastico e politico, un successo mondiale. Lanciò, anche a livello internazionale, il termine "paparazzo". (Il Morandini)
C'è stata vera saggezza. Perché nessuno di noi veri avventori della dolce vita partecipò al film. Fellini era un amico, veniva a sedersi spesso ai nostri tavoli, conosceva tutti benissimo, arrivava in compagnia di Guidarino Guidi. Al tempo delle riprese ci chiese spesso di partecipare interpretando noi stessi. Una sera ci invitò a vedere via Veneto ricostruita a Cinecittà da Piero Gherardi. [...] Era tutto molto accurato, un Doney perfetto con un po' di Excelsior dietro... Visto che avevamo approvato tutto, Federico tornò all'attacco: "non prendereste parte a qualche ripresa, così..." E noi tutti insieme "no, no, no". Guidarino Guidi insisteva molto. E saggiamente rimanemmo fuori. Era facile prevedere che in seguito si sarebbe stati "sbertulati". Un termine dell'epoca per dire "presi in giro".
Flaiano conosceva meglio di tutti l'ambiente intellettuale di Roma... Ma da dove sono venuti quegli intellettuali che ne La dolce vita dicono quelle stupidaggini tremende? [...] Flaiano sapeva benissimo cosa fosse il salotto Bellonci, chi frequentava la casa di Emilio e Leonetta Cecchi. C'erano signore intellettuali, Paola Masino, i coniugi Graziadei, i D'Avack, tutt'altro tipo di intellettuali rispetto al film, cioè grandi avvocati e signore laureate... Non corrispondono a quei personaggi così ridicoli, nella loro tragicità.
Il film ha segnato la fine della vera dolce vita, che non si chiamava così perché il titolo è di Flaiano. Dopo il film arrivarono frotte di turisti, e addio. Una vera tragedia. Lì nacque un'altra battuta di Flaiano: "Vedi, quelli? Credono di essere noi".
Mi chiederò: qual è il mio film preferito? Oppure stravolgerò leggermente la domanda: qual è il film che rivedrei con più piacere adesso? La risposta non sarebbe "Quarto potere". [...] Adesso, in questo momento, la prima risposta che mi verrebbe in mente è "La dolce vita" di Fellini. L'avrò visto venticinque volte, forse di più. Per me non invecchia mai. Mai fuori moda, l'età non ha appassito la sua infinita varietà. Mi sono eccitato a tal punto scrivendo questo paragrafo che vorrei inserire il DVD e guardarlo subito. Qualche anno fa mi chiesero perché lo avessi incluso nel mio annuale Ebertfest, perché, a loro avviso, non era stato poi così "trascurato", mentre il festival mette in vetrina film che meriterebbero maggiore attenzione. Dissi che era improbabile che più di qualche decina tra i 1600 spettatori del teatro l'avessero mai visto sul grande schermo da una pellicola 35 mm. Nei momenti più tristi, mi sono chiesto quanti tra gli spettatori non l'avrebbero mai visto altrimenti.
Potrei aggiungere che si tratta di uno dei film visivamente più fluidi mai realizzato, un film che si avvicina alla musica nella sua impetuosa passione, non solo perché la partitura di Nino Rota è tra le migliori che siano mai state realizzate, ma perché i personaggi sembrano muoversi con la musica dentro di loro (gioiosa, lussuriosa, eccitante, dubbiosa, triste). Fellini ha lavorato in Italia in un'epoca di dialoghi doppiati, e qualche volta ha inserito musica ad alto volume mentre filmava le scene. Questo è il motivo per cui sembra che i personaggi seguano ritmi non udibili.
Quando vidi il film poco dopo la morte di Mastroianni, pensai che Fellini e Marcello avessero preso un attimo di scoperta e lo avessero reso immortale.
Poiché il film ha avuto per me significati sempre differenti nelle diverse fasi della mia vita, eppure ha sempre avuto un significato, e poiché evidentemente anche per Fellini è avvenuto qualcosa del genere, credo che vorrò sempre vedere questo film un'altra volta. Non diventerà mai stantio perché io non ho ancora finito di cambiare.
È uno strano film, il più difficile che ho immaginato finora. La dolce vita andrebbe proiettato tutto insieme, in una sola enorme inquadratura. Non pretende di denunciare, né di tirare le somme, né di perorare l'una o l'altra causa. Mette il termometro a un mondo malato, che evidentemente ha la febbre. Ma se il mercurio segna quaranta gradi all'inizio del film, ne segna quaranta anche alla fine. Tutto è immutato. La dolce vita continua. I personaggi dell'affresco continuano a muoversi, a spogliarsi, ad azzannarsi, a ballare, a bere, come se aspettassero qualcosa. Che cosa aspettano? E chi lo sa? Un miracolo, forse. Oppure la guerra, i dischi volanti, i marziani.
Non mi piacerebbe sentir dire che ho tentato di stupire, che voglio fare il moralista, che sono troppo autobiografico, che ho cercato nuove vie. Non mi piacerebbe sentir dire che il film è pessimista, disperato, satirico, grottesco. E nemmeno che è troppo lungo. La dolce vita, per me, è un film che lascia in letizia, con una gran voglia di nuovi propositi. Un film che dà coraggio, nel senso di saper guardare con occhi nuovi la realtà e non lasciarsi ingannare da miti, superstizioni, ignoranza, bassa cultura, sentimento. Vorrei che dicessero: è un film leale. La base del discorso presuppone un certo tipo di angoscia che non arriva alla coscienza di tutti. L'episodica invece è molto spettacolare, attinta com'è da una cronaca che ha interessato, commosso, irritato, divertito il pubblico... penso che La dolce vita possa venir accettato come un giornale filmato, un rotocalco in pellicola. Sono anni che i settimanali vanno pubblicando queste vicende.
[Sulla realizzazione del film] Poi dissi [a Pinelli e Flaiano, gli sceneggiatori]: inventiamo episodi, non preoccupiamoci per ora della logica e del racconto. Dobbiamo fare una statua, romperla e ricomporne i pezzi. Oppure tentare una scomposizione picassiana. Il cinema è narrativa nel senso ottocentesco: ora tentiamo di fare qualcosa di diverso.
Giugno 1958 Sto lavorando, con Fellini e Tullio Pinelli, a rispolverare una nostra vecchia idea per un film, quella del giovane provinciale che viene a Roma a fare il giornalista. Fellini vuole adeguarla ai tempi che corrono, dare un ritratto di questa "società del caffè" che folleggia tra l'erotismo, l'alienazione, la noia e l'improvviso benessere. È una società che, passato lo spavento della guerra fredda e proprio per reazione, prospera un po' dappertutto. Ma qui a Roma, per una mescolanza di sacro e di profano, di vecchio e di nuovo, per l'arrivo massiccio di stranieri, per il cinema, presenta caratteri più aggressivi, sub-tropicali. Il film avrà per titolo La dolce vita e non ne abbiamo scritto ancora una riga; vagamente prendiamo appunti e andiamo in giro per rinfrescarci i luoghi nella memoria. In questi ultimi tempi Roma si è dilatata, distorta, arricchita. Gli scandali vi scoppiano con la violenza dei temporali d'estate, la gente vive all'aperto, si annusa, si studia, invade le trattorie, i cinema, le strade, lascia le sue automobili in quelle stesse piazze che una volta ci incantavano per il loro nitore architettonico e che adesso sembrano garages.
Giugno 1958 Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti [i paparazzi]. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film [La dolce vita] ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista. Fellini ha ben chiaro in testa il personaggio, ne conosce il modello: un reporter d'agenzia.
Voglio aggiungere che bisogna essergli [a Federico Fellini] grati di averci dato, con La dolce vita, una lezione di fede e di coerenza artistica. La morale del film è in fondo questa. E potrebbe essere riassunta con due versi di Cardarelli: «La speranza è nell'opera | Io sono un cinico che ha fede in quel che fa».
Mi pare si possa dire – ma non è davvero un piccolo elogio – che il limite del film di Fellini sia quello stesso di tante grandi opere del cosiddetto decadentismo, quella che Adorno chiama la «muta contestazione» del reale e che, in genere, è considerata un pregio: cioè l'assenza del «donde» e del «dove», della storia che viene prima della prima parola e dopo l'ultima.
Ma, considerando poi il film a mente più fredda, mi è parso chiaro che i richiami alla Grazia e alla Santità vi siano tanto tenui e l'adesione al mondo della Dissipazione tanto ben equilibrata con la ripugnanza, che il film – al di là di tutte le intenzioni del suo autore – è ateo, nel senso volgare della parola più di qualsiasi film di Bergman, più d'ogni Posto delle fragole, proprio perché, oggi e probabilmente sempre, un ateismo di tipo razionalista è ben più vicino alla tensione verso i valori assoluti di quanto non sia l'ateismo inconfessato e misticheggiante.
La verità particolare dei ceti e dei gruppi rappresentati nel film, per diventare universale aveva bisogno che lo spettatore qualunque si sentisse con quegli ambienti, in qualche modo, compromesso, corresponsabile, complice come di fatto è. Il film invece tende a fornirgli una buona coscienza, facendogli vedere la «morte» allegorica dei peccatori.
Film come La dolce vita, mostrandoci con quanta splendida forza un artista possa servire una causa sbagliata, possono indurci, artisti o no, a servir meglio la nostra.
Come cinegiornale, il film è splendido: divertente e tragico, mosso e svariante. È nella sua estrema libertà di composizione, ricchissimo: senza principio né fine, così stratificato, è lungo tre ore e potrebbe durarne due o sei. Immagine del caos, sembra caotico ed è calcolatissimo; e il suo linguaggio è tenero e aggressivo, smagliante e profondo. Infallibile, viene la tentazione di dire: quasi che il dinamico e pittoresco barocchismo di Fellini avesse raggiunto — non sembri una contraddizione — un classico rigore. [...] Ma in Fellini e nella sua visione del mondo c'è un qualcosa di morbido, di femmineo, di insincero che dà un suono falso.
Crudeltà d'analisi, partecipazione di sentimenti, impeto visionario si accavallano e si confondono in questo terribile e affascinante polittico su una moderna Babilonia.
La dolce vita ci sembra, insieme, la conferma di un percorso spirituale e il suo superamento. Nella sua estrema libertà di costruzione, e nell'ampiezza del quadro, il film non manca di concessioni, dispersioni e residui ma in misura molto più ridotta che nel passato; sono pause senza un peso determinante e che spesso d'altronde trovano suggestive accensioni poetiche.
Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è.
Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società.
Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani La dolce vita vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo.
Ma mi affretto subito ad aggiungere che La dolce vita non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti.
La dolce vita di Fellini è troppo importante perché se ne possa parlare come si fa di solito di un film. Benché non grande come un Chaplin, Eisenstein o Mizoguchi, Fellini è senza dubbio "autore", non "regista". Perciò il film è unicamente suo: non vi esistono né attori né tecnici: niente è casuale.
Soltanto delle goffe persone senza anima – come quelle che redigono l'organo del Vaticano – soltanto i clerico-fascisti romani, soltanto i moralistici capitalisti milanesi, possono essere così ciechi da non capire che con La dolce vita si trovano davanti al più alto e al più assoluto prodotto del cattolicesimo di questi ultimi anni, per cui i dati del mondo e della società si presentano come dati eterni e immodificabili, con le loro bassezze e abbiezioni, sia pure, ma anche con la grazia sempre sospesa, pronta a discendere: anzi, quasi sempre già discesa e circolante di persona in persona, di atto in atto, di immagine in immagine.
Eppure non c'è nessuno di questi personaggi che non risulti puro e vitale, presentato sempre in un suo momento di energia quasi sacra. Osservate: non c'è un personaggio triste, che muova a compassione: a tutti tutto va bene, anche se va malissimo: vitale è ognuno nell'arrangiarsi a vivere, pur col suo carico di morte e di incoscienza. Non ho mai visto un film in cui tutti i personaggi siano così pieni di felicità di essere: anche le cose dolorose, le tragedie, si configurano come fenomeni carichi di vitalità, come spettacoli. Bisogna davvero possedere una miniera inesauribile d'amore, per arrivare a questo: magari anche d'amore sacrilego...
Giudizio estetico: ottimo – siamo a metà tra epica e giornalismo – il film riesce a rasentare l'epica per la ricchezza dei personaggi, per l'evidenza in cui il loro comportamento viene colto, per la visività persuasiva di ogni loro gesto, per il ritmo corale che la mescolanza dei gesti di tanti personaggi produce, per il fiato organico di tutto ciò – ma rasenta anche il fumetto per la nota unica su cui ogni personaggio finisce per essere costruito – e per il carattere perciò macchiettistico che ogni personaggio finisce per assumere – per la pateticità di cui viene circonfuso quasi per sottrarlo al giudizio morale e procurargli invece compassione a priori, compassione sentimentale – ancora epica e giornalismo – tessuto con filo da giornalismo, da rotocalco, a volte addirittura da fumetto, ma con un rigore e un'organicità da narrazione epica
La sostanza machiettistica dei personaggi non è solo dei personaggi minori che si sono voluti cogliere appunto in una caratteristica vistosa (e da tutti riconoscibile a prima vista). È anche dei personaggi principali, come la ragazza del protagonista, come lo Steiner, come il protagonista stesso. [...] Tuttavia tutto si salva grazie al fervore della visione d'insieme, e cioè grazie al ritmo epico della successione delle immagini. Un ottimo lavoro pieno di difetti e di limiti che sono stati superati fino talvolta a diventare qualità ma che lo caratterizzano impicciolendolo.
Film cattolico in quanto denuncia la perdita di sacralità del sesso, la riduzione del sesso a gioco, a rapporto gratuito e superficiale.
Moralmente il film è condizionato dalla concezione cattolica del peccato, per la quale peccato è quasi solo quello della sensualità, quello cosiddetto originale.
Frasi promozionali
Gli scandali romani – Obbligato a scioccare con la sua verità!
The Roman Scandals – Bound to shock with its truth![10]
Il film che ha scioccato i critici... Integrale, non censurato visibile da tutti!
The film that shocked the critics... uncut, uncensored for all to see![10]
1 2 Nella sceneggiatura questo personaggio compare con il nome di Sonia. Cfr. Costa, p. 21.
↑ Paparazzo è il cognome del fotografo di Marcello e il protagonista si rivolge spesso a lui chiamandolo per cognome. Secondo diverse fonti la parola "paparazzo" sarebbe entrata a far parte della cultura e della lingua italiana (e internazionale) proprio in seguito al film felliniano. Sembrerebbe che la moglie del regista, Giulietta Masina, abbia suggerito il termine al marito componendo "pappataci", ovvero zanzare, e "ragazzi". Cfr.
↑ Cfr. Calibano, personaggio de La tempesta di William Shakespeare, atto III, scena II: «Padrone, non dovete aver paura. | L'isola è piena di questi sussurri, | di dolci suoni, rumori, armonie, | che non fanno alcun male, anzi dilettano.» («Be not afeard: the isle is full of noises, | Sounds and sweet airs, that give delight, and hurt not.») Cfr. Costa p. 42 e 56.
↑ Cfr. Marilyn Monroe. L'attrice statunitense, in un'intervista a Marie Claire sul set di Facciamo l'amore (1960), rispose alla domanda «Cosa indossa per andare a letto? Un pigiama? La parte sotto del pigiama? Una camicia da notte?»: «Due gocce di Chanel N°5. Perché è la verità! Capisce, non voglio dire "nuda". Ma è la verità.» La Monroe aveva dato una risposta del genere già nel 1952 in un'intervista a Life Magazine. Cfr. Costa, p. 31.
↑ La conversazione viene registrata su un nastro da uno dei presenti e riascoltata pochi attimi dopo. Successivamente nel corso del film, dopo il suicidio di Steiner, Marcello avrà modo di riascoltare questa conversazione.
↑ Cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXXIII, vv. 4-6: «Tu vuo' ch'io rinovelli | disperato dolor che 'l cor mi preme | già pur pensando, pria ch'io ne favelli.»
↑ In occasione dell'uscita del film di Federico Fellini nel 1960, su L'Osservatore Romano vennero pubblicati due articoli (Basta! e La sconcia vita), che attaccavano pesantemente il film. Molte fonti attribuiscono i due articoli a Scalfaro.
↑ Riferito all'episodio del film in cui Steiner uccide i figli e poi si suicida.
Questa è una voce in vetrina, il che significa che è stata identificata come una delle migliori voci prodotte dalla comunità. È stata riconosciuta come tale il giorno 1º maggio 2016. Naturalmente sono ben accetti suggerimenti e modifiche che migliorino ulteriormente il lavoro svolto.