Intervista di Donata Gianeri, Stampa Sera, 13 marzo 1976.
Mi considero un privilegiato, perché posso permettermi di fare l'attore in un certo modo e non sono mai stato costretto a tradire i motivi per cui, venticinque anni fa, decisi di darmi al teatro.
È compito nostro scegliere una certa angolazione piuttosto che un'altra: se l'angolazione è giusta abbiamo scelto bene, diversamente no.
Sono sempre convinto che un attore non debba lasciarsi travolgere dalla routine teatrale al punto da dimenticare che esiste una politica, una società.
Oggi, insieme a tanti altri della mia generazione, che avevano ciecamente creduto nella democrazia e nella rinascita del nostro Paese, avverto la mia impotenza di fronte a una squallida e desolante realtà che cerco di lasciare fuori dalla porta quando arrivo in teatro per rifugiarmi nel mondo poetico che ogni sera facciamo rivivere davanti agli spettatori.
Gassman è un grande attore, si identifica in Kean, genio e sregolatezza è il suo motto.
Albertazzi è un grande attore che si serve del medianico e dell'esoterico per farne elementi del suo stato di grazia.
Come pubblico sono smaliziato, esigente, non perdono il minimo errore. E, soprattutto, non mi applaudo mai.