Negli anni sessanta e settanta dello scorso secolo, lavorare in Francia era piuttosto piacevole perché c'era un clima di stima e di rispetto da parte del pubblico nei confronti degli attori. L'attore era, ed è tuttora stimatissimo e molto coccolato in Francia. In Italia invece di meno. Non si è mai tenuti troppo in considerazione a patto che tu non sia una star o che compaia spesso in televisione. Anche sul set l'atmosfera è diversa. C'è un clima amorevole tra la troupe e gli attori francesi che qui in Italia non è facile trovare. Certo, oggigiorno per fortuna è diverso. Si lavora in maniera differente da allora perché c'è la presa diretta e dei tempi da dover rispettare. Con la presa diretta tutti devono essere attenti, devono essere compartecipi alla scena che si sta girando. Prima invece c'era chi blaterava o sovrapponeva la sua voce alla tua che recitavi, dal momento che poi tanto saresti stato doppiato o ti saresti doppiato da solo. Non sempre c'era quel riguardo per la recitazione e per gli attori, quel silenzio che oggi sembra essere presente anche nel nostro Paese.[1]
[...] sono molto soddisfatta del mio percorso artistico perché mi ha permesso di fare una bella vita, devo dire piuttosto divertente e ricca di scoperte. Ho viaggiato in diversi continenti, ho conosciuto parecchia gente, visto un'infinità di cose e fatto tante esperienze. È stato bello, perciò è un percorso che personalmente consiglio. È un lavoro bellissimo fare l'attore. Le difficoltà? Di difficoltà ce ne sono molte perché di attori se ne presentano ogni anno tantissimi ai provini e la selezione è davvero crudele. Non è detto che siano i più bravi ad emergere, a volte sono soltanto i più carini o le più carine ad essere presi, ma dipende, è sempre un terno a lotto. Bisogna essere preparati ed avere una certa professionalità. È perciò indispensabile fare una scuola specifica che aiuti a correggere i propri errori e avvii a questo ambito artistico nel migliore dei modi così che presto sarà possibile ottenere i requisiti necessari e i risultati non tarderanno ad arrivare. Un'altra cosa che credo aiuti molto in questo campo sia cercare di sviluppare in se stessi la maggiore curiosità possibile nei confronti della vita, degli altri, della realtà circostante insomma, in modo da creare continuamente dentro di se degli stimoli.[1]
Intervista di Nadia Pastorcich, centoparole.it, 8 marzo 2016.
[«Come ha vissuto il boom economico?»] Ho cominciato a prendere coscienza di questa cosa quando ormai avevo già tredici-quattordici anni. Nel periodo in cui ho fatto La dolce vita mi sono resa conto che Roma era meravigliosa, era vitalissima, c'erano posti dove andavamo tutti. Era bellissimo! Per cui devo dire che la Roma degli anni '60 era veramente straordinaria!
Come spettatrice mi piaceva indifferentemente sia il teatro che il cinema; come attrice avrei voluto fare il teatro già da subito: mi sembrava che in teatro si approfondisse tutto, che dovevi essere preparatissima, che non ti doveva sfuggire nulla, perché c'era il pubblico in sala, e tu avevi di più il controllo della situazione; mentre al cinema, il controllo della situazione ce l'ha soprattutto il regista.
[«Com'era la zona di Trastevere all'epoca?»] Era più paese, era divertente. A dire il vero gli americani erano già arrivati, avevano comperato le case, però il posto non si era trasformato più di tanto, non era tutto una trattoria come adesso. Era divertente, era un posto veramente vero, con tutti gli artigiani. Adesso non è più così, anche se Trastevere rimane bellissima.
[«Diventare un'attrice in giovane età, come è successo a lei, quali sono i pro e i contro?»] I pro e i contro sono che non ne sai nulla, che non sei preparata ad affrontare questa cosa. Io ho avuto una fama esagerata in un'età in cui non sapevo gestirla. Perciò, in realtà, io stavo un po' in disparte, nel momento in cui avrei dovuto forse fare un salto e andare a Hollywood — mi avevano pure chiamata, ma non rimpiango nulla. Certo, è chiaro che non hai gli strumenti, nel mio caso non avevo una famiglia che veniva dal cinema, che era in qualche modo nel mondo dello spettacolo: mio padre era ingegnere e mia madre era una casalinga, e non sapevano nulla di questo ambiente, e io meno di loro. Questa fama esagerata che ho avuto all'inizio — uscivo e mi vedevo sulle copertine dei giornali — mi ha un po' stravolto, anche se, per fortuna, non sono diventata scema [sorride, ndr], perché c'era il rischio che uno si montasse la testa, pensando di essere chissà chi. Fortunatamente la famiglia smorzava ogni cosa, dicendo: "Ma tanto è una cosa passeggera, meglio che studi". Infatti, l'unica cosa che mi chiedevano, era quella di continuare a studiare; e così ho fatto fino al diploma.
[«Perché i giovani dovrebbero andare a teatro?»] Perché è uno spettacolo dal vivo — e questo già di per sé è fantastico — fatto in quel momento per te da attori vivi. Perché in teatro si approfondisce di più, si sente di più, si percepisce di più, si interiorizza quello che ti dice l'attore. [...] Non vai a vedere una cosa qualsiasi, vai a vedere qualcosa che ti arricchisce.
Io ritorno bambina sempre, perché fare l'attore è anche questo.
Intervista di Rita Celi, la Repubblica, 20 maggio 2020.
[Sul provino con Fellini per La dolce vita] Era uscito una specie di messaggio sui giornali in cui si diceva che Fellini cercava una ragazzina dai 12 ai 14 anni. Poi lo disse anche in una rubrica di cinema alla Rai e intorno a me tutti mi dicevano che ero la persona giusta e che dovevo provare. Ho convinto mia madre e siamo andate. Appena mi ha vista, Fellini ha detto subito: "è lei". Poi ho fatto comunque i provini e dopo un po' sono stata scelta. C'erano quattromila ragazzine che volevano quel ruolo. Il cinema all'epoca era così.
[Sul suo debutto cinematografico a 14 anni ne La dolce vita di Fellini] Ho girato solo due scene con Mastroianni e ho frequentato poco il set. Sapevo che c'erano stati dei problemi, però quando ho girato erano ormai gli ultimi giorni di lavorazione. Eravamo alle ultime riprese e l'atmosfera era rilassata, anche molto piacevole. Fellini era una persona stupenda, chiamava tutti con nomignoli, Marcellino, e mi chiamava Paolina, come il mio personaggio, era molto dolce.
La dolce vita è stato un film folgorante a livello internazionale, c'erano proiezioni continue dalla mattina all'una di notte, sempre con la fila ai botteghini. Un esordio così, oggi sarebbe impensabile, però speriamo che capiti di nuovo alla prossima ragazzina cui faccio tutti i miei auguri, perché tutto sommato mi considero una persona fortunata. Quel film è stato un grande trampolino, fondamentale anche nelle mie scelte successive: aver fatto l'attrice per tutta la vita mi dà gioia, sono contenta per quello che ho fatto.