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club calcistico italiano di Napoli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Società Sportiva Calcio Napoli, meglio nota come Napoli, è una società calcistica italiana della città di Napoli. Milita in Serie A, la massima serie del campionato italiano.
SSC Napoli Calcio | |
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Azzurri, Partenopei | |
Segni distintivi | |
Uniformi di gara | |
Colori sociali | Azzurro |
Simboli | Asino |
Inno | Napoli[1] Nino D'Angelo |
Dati societari | |
Città | Napoli |
Nazione | Italia |
Confederazione | UEFA |
Federazione | FIGC |
Campionato | Serie A |
Fondazione | 1926 |
Rifondazione | 2004 |
Proprietario | Filmauro S.r.l. |
Presidente | Aurelio De Laurentiis |
Allenatore | Antonio Conte |
Stadio | Diego Armando Maradona (54 726 posti) |
Sito web | www.sscnapoli.it |
Palmarès | |
Scudetti | 3 |
Titoli nazionali | 1 campionato di Serie B |
Trofei nazionali | 6 Coppe Italia 2 Supercoppe italiane |
Trofei internazionali | 1 Coppe UEFA/Europa League 1 Coppa delle Alpi 1 Coppa di Lega Italo-Inglese |
Stagione in corso | |
Si invita a seguire il modello di voce |
Il club venne fondato de facto nel 1926[2] come Associazione Calcio Napoli, in seguito al cambio di statuto e di denominazione del Foot-Ball Club Internazionale-Naples[3][4], a sua volta costituitosi nel 1922. Assunse poi la denominazione di SSC Napoli nel 1964 e, dopo il fallimento della società nel 2004, il presidente Aurelio De Laurentiis fondò la Napoli Soccer che ne rilevò il titolo sportivo e fu iscritta alla Serie C1, adottando la denominazione vigente con la promozione in Serie B nel 2006.
Il colore sociale è l'azzurro, mentre la mascotte è l'asino,[5] originariamente un cavallo inalberato.[6] Gioca le partite interne allo stadio Diego Armando Maradona, inaugurato nel 1959.
Con un palmarès che comprende tre scudetti (1986-1987, 1989-1990 e 2022-2023), sei Coppe Italia (1961-1962, 1975-1976, 1986-1987, 2011-2012, 2013-2014 e 2019-2020), due Supercoppe italiane (1990 e 2014) e una Coppa UEFA (1988-1989), oltre a una Coppa delle Alpi (1966) e una Coppa di Lega Italo-Inglese (1976),[7] il Napoli è la squadra del Meridione più titolata a livello nazionale e internazionale, nonché, con 83 partecipazioni,[8] quella più presente nei campionati di massima serie.
Il Napoli è anche uno dei membri associati dell'Associazione dei club europei (ECA), organizzazione nata in sostituzione del soppresso G-14 e costituita dai principali club calcistici del continente, riuniti in consorzio al fine di ottenere una tutela comune dei diritti sportivi, legali e televisivi di fronte alla FIFA.
L'Associazione Calcio Napoli fu costituita il 25 agosto 1926 (sebbene la data venga tradizionalmente anticipata al 1º agosto)[9] su iniziativa dell'industriale napoletano Giorgio Ascarelli, il quale ne assunse la presidenza[2]. De iure, la nascita del Napoli non avvenne attraverso un tradizionale processo di fondazione societaria, bensì fu frutto di una modifica statutaria e di denominazione del Foot-Ball Club Internazionale-Naples (o Internaples), un club sorto nell'ottobre del 1922;[3] a sua volta, l'Internaples derivò dall'unione di altre due compagini, il Naples Foot-Ball Club, fondato nel 1905 e primo vero nucleo storico del Napoli, e l'Unione Sportiva Internazionale Napoli,[10][11] capofila della fusione[11]. Il cambio di nome fu operato da Ascarelli, all'epoca presidente dell'Internaples, poiché esso era sgradito al regime fascista al tempo al potere, in quanto il termine "Internazionale" ricordava l'Internazionale Comunista, nemica politica del fascismo, e il regime osteggiava i termini stranieri come "Naples".[12]
Nel frattempo, con l'approvazione della Carta di Viareggio, il Napoli ottenne nella stagione 1926-1927 l'ammissione al nuovo campionato di massima serie unificato tra Nord e Sud, la Divisione Nazionale, in virtù del piazzamento conseguito dall'Internaples nella Prima Divisione 1925-1926[2]. Le prime tre stagioni si chiusero con due retrocessioni nel secondo livello del campionato italiano di calcio e uno spareggio salvezza: in ciascuna occasione, tuttavia, la FIGC accordò la riammissione per allargamento del campionato a tutte le squadre coinvolte oltreché, nello specifico, premiare gli sforzi del club partenopeo nel recuperare il pesante gap con le società settentrionali[13]. Nonostante i difficili inizi, la situazione migliorò progressivamente, grazie soprattutto all'apporto dell'italo-paraguayano Attila Sallustro, primo idolo dei tifosi partenopei. In questi primi anni, come allenatori, il Napoli si affidò a ex calciatori austriaci, come Anton Kreutzer, Bino Skasa, Jean Steiger e Karl Fischer, all'ungherese Ferenc Molnár e all'italiano Giovanni Terrile.
Il Napoli prese parte al primo torneo di massima serie a girone unico, la Serie A 1929-1930, ottenendo la prima vittoria in tale competizione ai danni del Milan[14]. La società scelse come allenatore il mister[15] William Garbutt, già vincitore di tre scudetti con il Genoa[16]. Nei 6 anni in cui fu sotto la sua guida, il Napoli, grazie al contributo di giocatori come Antonio Vojak e Attila Sallustro, raggiunse notevoli risultati, come il doppio terzo posto consecutivo nelle stagioni 1932-1933 e 1933-1934 e la qualificazione alla massima competizione europea dell'epoca, la Coppa Mitropa[17][18][19].
Nel 1936 entrò in società il comandante Achille Lauro[20][21], armatore di grande successo, che non riuscì tuttavia ad apportare particolari benefici al club partenopeo: nella seconda metà degli anni trenta la qualità della squadra andò declinando, fino a culminare nella retrocessione nella categoria inferiore nel 1941-1942[22].
Terminata la seconda guerra mondiale, il Napoli prese parte alla Divisione Nazionale 1945-1946, vincendo il girone misto Centro-Sud e riconquistando la massima serie[23]. Tornò in Serie B due anni dopo, retrocesso dalla CAF per illecito sportivo[24]. La panchina venne affidata a Eraldo Monzeglio, che riportò la squadra in Serie A e avviò un lungo periodo alla guida del club partenopeo[25]. Nonostante i rinforzi del presidente Achille Lauro, tra i quali Bruno Pesaola, Hasse Jeppson e Luís Vinício, il Napoli non andò oltre il quarto posto del 1952-1953 e del 1957-1958[26]. Nel 1959 venne inaugurato lo stadio San Paolo[27].
Tornato in Serie B nel 1961[28], il Napoli venne affidato a Bruno Pesaola, il quale riportò gli azzurri in massima serie e vincendo anche il primo trofeo della storia del club, la Coppa Italia 1961-1962, divenendo con il Vado l'unica società a vincere il trofeo non militando in massima divisione. Questo successo sancì l'esordio del Napoli in una competizione confederale, giocando la Coppa delle Coppe, nella quale raggiunse i quarti di finale. Il 25 giugno 1964 il club assunse la denominazione di Società Sportiva Calcio Napoli, diventando contestualmente una società per azioni[29]. Achille Lauro ottenne una quota rilevante delle azioni in virtù dei crediti vantati e garantì al figlio Gioacchino l'ingresso tra i soci, mentre Roberto Fiore venne eletto presidente[30][31]. Alcuni dei giocatori più rappresentativi dell'epoca furono Dino Zoff, Antonio Juliano, Omar Sívori e José Altafini[32]; il miglior risultato fu il secondo posto del 1968[33].
Il 18 gennaio 1969 la società, sull'orlo del dissesto finanziario, passò nelle mani di Corrado Ferlaino, che avviò la più longeva e vincente presidenza della storia partenopea[34]. Con l'acquisto di calciatori come Sergio Clerici, Giuseppe Bruscolotti e Tarcisio Burgnich, il Napoli arrivò in finale di Coppa Anglo-Italiana, venendo sconfitto per mano dello Swindon Town e raggiunse due volte il terzo posto (1971 e 1974) e un secondo posto nel 1975, questi ultimi due piazzamenti ottenuti grazie al calcio totale di Luís Vinício[35][36]. Nel 1976 il club azzurro vinse la seconda Coppa Italia, superando in finale il Verona. L'annata successiva i partenopei parteciparono per la seconda volta alla Coppa delle Coppe e ottennero il loro miglior risultato internazionale fino a quel momento: fu solo l'Anderlecht a negare agli azzurri l'accesso alla finale[36]. Nella seconda metà degli anni settanta nonostante l'acquisto del bomber Giuseppe Savoldi, il rendimento in campionato peggiorò, culminando con il decimo posto del 1980[37].
Dopo uno scudetto sfiorato nel 1981, con il libero olandese Ruud Krol tra i protagonisti[38], la svolta si ebbe nell'estate del 1984: il presidente Ferlaino il 30 giugno 1984 definì l'acquisto più importante della storia del club, il campione argentino Diego Armando Maradona dal Barcellona per la cifra record di 15 miliardi di lire[39].
Sotto la guida di Ottavio Bianchi e con l'innesto di calciatori come Bruno Giordano, Salvatore Bagni, Claudio Garella e Alessandro Renica[40], nel 1987 il Napoli conquistò il suo primo scudetto[41][42] e la terza Coppa Italia[43].
Il club si consolidò ai vertici del calcio italiano con gli innesti dei brasiliani Careca e Alemão; il Napoli arrivò per due volte consecutive secondo (1988 e 1989) e sempre nel 1989 ottenne anche il primo alloro internazionale, la Coppa UEFA, superando nella doppia finale lo Stoccarda[44][45]. Nel 1990, con Alberto Bigon allenatore, il club partenopeo conquistò il secondo scudetto, cui fece seguito la vittoria della Supercoppa italiana[46]. Nel 1991 con la partenza di Maradona, si chiuse il primo importante ciclo della storia azzurra[47].
Negli anni seguenti il Napoli ottenne discreti risultati, un quarto posto nel 1992 con Claudio Ranieri in panchina[48] e un sesto posto nel 1994, sotto la guida di Marcello Lippi[49]. La crisi finanziaria costrinse il club a privarsi dei suoi uomini migliori[49]. Nei due anni successivi, con Vujadin Boškov in panchina, il Napoli ottenne un settimo e un decimo posto[50], mentre, con Luigi Simoni, raggiunse la finale di Coppa Italia 1996-1997, sconfitto poi dal L.R. Vicenza[51]. La crisi raggiunse l'apice nel 1998, con la retrocessione in Serie B dopo trentatré anni consecutivi di massima serie[52]. Il club ritornò in Serie A nel 1999-2000[53], per poi retrocedere dopo appena un anno[54]. L'ingresso in società di Giorgio Corbelli[55] prima e di Salvatore Naldi[56] poi non portò benefici al club, che arrivò quinto nella seconda serie italiana, e nel 2002-2003, a causa di una serie senza vittorie durata tre mesi e mezzo che finì solo all'ultima giornata del girone d'andata contro il Messina, la squadra rischiò anche la retrocessione, terminando l'anno con un pessimo sedicesimo posto seguito poi da un tredicesimo posto la stagione successiva.
La combinazione della grave crisi finanziaria, peggiorata sempre di più negli ultimi dieci anni, e della conseguente crisi di risultati, portò nell'estate del 2004 al fallimento del club, con conseguente perdita del titolo sportivo[57]. Nelle settimane successive l'imprenditore cinematografico Aurelio De Laurentiis rilevò il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli e iscrisse la squadra, con la denominazione di Napoli Soccer, al campionato di terza serie[58][59]. Nel primo anno della nuova presidenza la promozione non arrivò, dato che i partenopei, al terzo posto nel girone, vinsero la semifinale play-off contro la Sanbenedettese, ma persero la finale nel derby contro l'Avellino, ottenendola sul campo solo nel 2006 sotto la guida di Edoardo Reja[60].
Una volta riacquisita la denominazione originaria di Società Sportiva Calcio Napoli, volutamente non utilizzata nei due campionati di terza serie,[61] nel 2007 il club conseguì l'immediata promozione in Serie A, ritornandovi dopo sei anni di assenza.[62]
Due anni dopo, l'arrivo in panchina di Walter Mazzarri[63] coincise con il ritorno ad alti livelli della squadra. Nel 2011 il Napoli tornò a giocare la massima competizione europea, la UEFA Champions League, ventuno anni dopo l'ultima partecipazione e sette anni dopo il fallimento societario[64], mentre l'anno seguente mise in bacheca la quarta Coppa Italia, venticinque anni dopo l'ultima affermazione e quasi ventidue dopo l'ultimo trofeo assoluto del club[65]; infine, nel campionato 2012-2013 si piazzò secondo con Edinson Cavani capocannoniere del campionato, secondo calciatore partenopeo a riuscire nell'impresa dopo Maradona. La successiva gestione dell'allenatore Rafael Benítez[66] vide gli azzurri vincere la quinta Coppa Italia[67] e proseguire i successi nella stagione successiva, con la vittoria della seconda Supercoppa italiana.[68]
Sulla panchina azzurra giunse dunque Maurizio Sarri[69], che nel 2015-2016 rese il Napoli campione d'inverno (non succedeva dalla stagione 1989-1990[70]), pur non riuscendo a vincere lo scudetto, battuto solo dalla Juventus.[71] Gli azzurri si mantennero stabilmente ai vertici, ottenendo il terzo posto nel 2016-2017[72] e l'anno successivo laureandosi nuovamente campione d'inverno,[73], ma anche stavolta la vittoria del titolo andò nuovamente ai bianconeri[74]; al Napoli non bastò totalizzare 91 punti, quota record per una squadra arrivata seconda.[75] Nel 2020, con Gennaro Gattuso in panchina, gli azzurri conquistarono la sesta Coppa Italia della loro storia, superando la Juventus ai calci di rigore. La stagione successiva, complice una serie di giocatori indisponibili per infortuni e positività al COVID-19 tra dicembre e febbraio, si rivela essere molto complessa per la squadra di Gattuso, che termina quinta, con la Champions a solo un punto di distanza.
Nella stagione 2021-2022 Luciano Spalletti viene ingaggiato come allenatore del Napoli: la stagione in Serie A inizia in maniera ottimale, con otto vittorie in altrettante giornate, tra cui un 2-1 in rimonta contro la Juventus e due 4-0 consecutivi contro l'Udinese e la Sampdoria; viene così eguagliata la migliore partenza della loro storia di quattro anni prima, sotto la gestione Sarri. Il club partenopeo fatica però a mantenere il passo con Inter e Milan e, alla fine, chiude il campionato al terzo posto dietro ai due club di Milano.
Nella stagione successiva il Napoli, allenato dal confermato Spalletti, si aggiudica il terzo scudetto della sua storia a trentatré anni di distanza dall'ultimo, conseguendo la matematica certezza con cinque giornate d'anticipo grazie al pareggio per 1-1 sul campo dell'Udinese, dopo un torneo trascorso quasi per intero in testa alla classifica e concluso con 16 punti di vantaggio sulla seconda[76].
Nella seguente stagione post-scudetto si succedono tre diversi allenatori - Rudi Garcia, Walter Mazzarri (tornato a Napoli dopo dieci anni), Francesco Calzona - con la squadra che chiude al decimo posto in classifica, mancando la qualificazione alle coppe europee dopo 14 anni di partecipazioni consecutive e con il peggior piazzamento in A dal 2009.
Cronistoria della Società Sportiva Calcio Napoli[77] | |
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La tenuta di gioco del Napoli è composta da una maglia azzurra con numerazione bianca, pantaloncini bianchi e calzettoni azzurri. La tenuta da trasferta generalmente è composta da maglia bianca, pantaloncini bianchi o azzurri, calzerotti bianchi o azzurri.
Il 29 novembre 2020, in occasione della sfida casalinga di campionato contro la Roma, la squadra scende in campo con una speciale quarta divisa a strisce bianco-azzurre, simile a quella della nazionale argentina,[79] per commemorare il rapporto dell'ex capitano azzurro Diego Armando Maradona con la città di Napoli e con i tifosi.[80] Inizialmente era previsto che la divisa sarebbe stata presentata da remoto dallo stesso Maradona, ma, in seguito alla prematura scomparsa del campione argentino, avvenuta il 25 novembre, la divisa è stata utilizzata come gesto di commemorazione verso l'ex calciatore.[79]
Lo stemma del Napoli è costituito da un doppio cerchio concentrico, al centro del quale è inserita la lettera «N»; il colore di applicazione dipende da quello dello sfondo[81]. Fino al 2024 il suddetto logo presentava invece stabilmente una corona circolare esterna blu scuro e l'interno azzurro, sul quale campeggiava la lettera N bianca.
L'inno ufficiale del Napoli, utilizzato a partire dalla stagione sportiva 2023-2024, è una versione rivisitata del brano Napoli di Nino D'Angelo[1], scritto nel 1987 come colonna sonora del suo film "Quel ragazzo della curva B". Il brano, che accompagnava il tifo azzurro già nell'anno del primo dei due scudetti dell'era Maradona, nel diventare inno ufficiale del club è stato leggermente modificato sia nella parte musicale che nel testo, eliminando i riferimenti ai "ragazzi della curva B" per l'esigenza di rappresentare l'intera tifoseria.
Un'altra canzone importante per il tifo partenopeo è 'O surdato 'nnammurato, uno dei più celebri pezzi della musica napoletana, le cui note vengono spesso inneggiate dai sostenitori azzurri in seguito ad una vittoria importante[82].
Il primo campo da gioco utilizzato dal Napoli fu lo Stadio Militare dell'Arenaccia: voluto da Alberico Albricci, fu inaugurato nel 1923 e assegnato nel 1926 al neonato club partenopeo[13]. Nel 1929 il presidente Giorgio Ascarelli commissionò la costruzione di un nuovo stadio, di proprietà della società: inizialmente denominato Stadio Vesuvio, venne inaugurato il 23 febbraio 1930 con la partita tra azzurri e Juventus, terminata 2-2[19]. Poco tempo dopo Ascarelli venne a mancare e lo stadio gli fu intitolato a furor di popolo, ma in seguito le leggi razziali[83] imposero un ulteriore cambio di nome in Stadio Partenopeo[19]. Rinnovato e ampliato in occasione dei Mondiali 1934, l'impianto fu completamente raso al suolo dai bombardamenti alleati nel corso della seconda guerra mondiale.
Il club si trasferì quindi allo stadio Arturo Collana del Vomero, già provvisoriamente utilizzato ai tempi dei lavori di ristrutturazione del precedente impianto[84]. Rinominato per breve tempo Stadio della Liberazione nel dopoguerra, era tuttavia inadeguato alle esigenze del club: emblematica la situazione nella quale venne giocata Napoli-Juventus (4-3 il risultato finale) del 20 aprile 1958, con il pubblico assiepato a bordo campo[85].
Venne così progettato un nuovo impianto nel quartiere di Fuorigrotta, denominato stadio San Paolo per celebrare la tradizione secondo la quale San Paolo, in viaggio verso Roma, avrebbe attraccato in quest'area di Napoli[86]. Venne inaugurato il 6 dicembre 1959, in una partita contro la Juventus (2-1 per i partenopei)[84]. L'ex stadio San Paolo è stato ristrutturato in occasione delle Universiadi 2019. Dal 4 dicembre 2020 è intitolato all'ex capitano azzurro Diego Armando Maradona.
Dal 1977 al 2004 il Napoli (e fino al 1996, prima dell'apertura del centro sportivo di Marianella, anche le giovanili) svolgeva gli allenamenti al Centro Paradiso di Soccavo, tuttavia la società campana ne perse la proprietà in seguito al fallimento societario, avvenuto nell'estate 2004.
La nuova proprietà, con a capo Aurelio De Laurentiis, scelse una nuova sede che ospitasse gli allenamenti della prima squadra (le giovanili furono trasferite in un altro centro sportivo) anziché optare per la riacquisizione della precedente struttura, perciò nel 2005 fu designata l'attuale sede di Castel Volturno: i lavori di ristrutturazione terminarono a luglio del 2006, ma prima che questi terminassero, gli allenamenti si svolgevano temporaneamente presso lo stadio comunale di Marano. La struttura è stata oggetto di diversi progetti e fasi di riqualificazione, nel 2014, 2018 e 2021. In quest'ultimo anno, in seguito alla partnership tra il Napoli e Konami (azienda giapponese produttrice di videogiochi), il centro d'allenamento è stato rinominato in "SSC Napoli Konami Training Center". A partire dal 1º luglio 2024, in seguito alla scandenza del contratto di partnership con Konami, il centro tecnico viene rinominato in "SSC Napoli Training Center".
Il club venne fondato il 25 agosto 1926 come associazione con il nome "Associazione Calcio Napoli", per modifica dello statuto e cambio di denominazione del Foot-Ball Club Internazionale-Naples, cessando l'attività nel 1943 a causa delle difficoltà incontrate durante lo svolgersi della seconda guerra mondiale; il 19 gennaio 1945 le due società rinate l'anno precedente, la "Società Sportiva Napoli" e "Società Polisportiva Napoli", si fondono nella nuova "Associazione Polisportiva Napoli" che, due anni dopo, assume la denominazione "Associazione Calcio Napoli"; il 25 giugno 1964 l'associazione divenne una società per azioni, con la nuova denominazione ufficiale "Società Sportiva Calcio Napoli",[87] che venne dichiarata fallita il 2 agosto 2004; una nuova società per azioni, costituita il 6 settembre 2004 con il nome "Napoli Soccer",[88] rilevò il titolo sportivo del club dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli e iscrisse la squadra al campionato italiano di calcio,[89][90] mantenendo il marchio e facendo riassumere al nuovo sodalizio, il 24 maggio 2006, il nome storico del club.[91]
La società, avente sede legale in via del Maio di Porto 9 a Napoli[92] e iscritta alla Camera di Commercio della stessa città,[92] risulta avere, al 2024, 139 dipendenti e un capitale sociale di 501 000 euro[92] suddiviso in 501 azioni ordinarie del valore nominale di 1 000 euro ciascuna.[93]
Dalla rifondazione del 6 settembre 2004 il club è controllato dall'imprenditore e produttore cinematografico italiano Aurelio de Laurentiis,[88] proprietario della società italiana Filmauro S.r.l. (a controllo indiretto tramite la Cordusio Fiduciaria per il 90,00%[94] e per il restante 10,00% intestato alla moglie Jacqueline Baudit),[94] azienda proprietaria anche della Società Sportiva Calcio Bari.[95] Questo controllo di De Laurentiis sul Napoli è esercitato tramite la Filmauro, proprietaria del club azzurro con il 99,80% capitale[93] e quale titolare personale del rimanente 0,20% delle azioni del Napoli.[93]
La società azzurra non possiede, al 2023, società controllate o collegate.[93]
Al 2024, in base a quanto emerge dal Deloitte Football Money League, rapporto stilato annualmente fin dal 1997 dalla società di revisione e consulenza aziendale statunitense Deloitte Touche Tohmatsu, il Napoli risulta essere il quarto club italiano e diciannovesimo a livello mondiale in termini di fatturato per ricavi operativi[96] (267,7 milioni di euro);[97] rilevato tra i primi trenta club mondiali in quattordici occasioni su ventotto stagioni, nel 2015 raggiunse la sedicesima posizione assoluta, la più alta in questa graduatoria,[98] mentre il valore di fatturato per ricavi più alto è stato segnato nella rilevazione del 2024.[97]
In termini di valore della società, il club è valutato sempre al quinto posto in Italia: nella classifica 2018 (ultima rilevazione per il club campano) stilata dalla rivista statunitense Forbes, le venne attribuito un valore di 421 milioni di dollari;[99] nella classifica 2024 di un'altra rivista americana, Sportico del gruppo Bloomberg, il valore è invece salito a 690 milioni di dollari che valgono il trentatreesimo posto globale.[100]
Infine, il quarto posto in ambito nazionale e diciottesimo in quello internazionale sono attribuiti al brand Napoli, secondo il prospetto stilato annualmente dal 2010 dalla società di consulenza globale per la valutazione dei marchi, l'inglese Brand Finance, che nel 2023 lo valuta in 240 milioni di euro e un Rating AA.[101]
Il bilancio d'esercizio della stagione 2022-2023, segnato sportivamente dalla conquista del terzo scudetto, ha fatto registrare al club un utile con il record di profitto più alto della storia per una società calcistica italiana, per un valore di quasi 80 milioni di euro;[102] peraltro, il precedente record di profitto apparteneva sempre al sodalizio partenopeo con circa 67 milioni di euro, segnato nella stagione 2016-2017.[102]
Il club è membro ordinario dell'European Club Association (ECA),[103] organismo privato che rappresenta le società calcistiche a livello europeo e riconosciuto dall'UEFA.
Si riporta di seguito l'elenco delle sedi ufficiali utilizzate dalla Società Sportiva Calcio Napoli nel corso della sua storia[104].
Il governo societario della Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A., al 2023, prevede un sistema di amministrazione tradizionale con una ripartizione di competenze tra l'assemblea degli azionisti, il consiglio di amministrazione (CdA) e il collegio sindacale.[105] Il CdA, riconfermato interamente il 26 ottobre 2022,[105] è composto da cinque membri,[105] nominati dall'assemblea degli azionisti e tutti indicati dalla famiglia De Laurentiis tramite la società controllante Filmauro (avente il 99,80% delle azioni); Aurelio De Laurentiis ricopre la carica di presidente del consiglio di amministrazione,[105] assunta nel 2004 con la creazione della nuova società, mentre Andrea Chiavelli è l'amministratore delegato.[105] Il collegio sindacale, nominato anch'esso nel il 26 ottobre 2022, è composto da cinque membri sempre indicati dalla controllante, dei quali Maurizio Baldassini assume il ruolo di presidente.[106] La società di revisione, scelta anch'essa dagli azionisti quale organo esterno di riesame dei conti, è l'azienda Ria Grant Thornton S.p.A..[93]
Dal sito web ufficiale del club.[107][108]
Attraverso la partecipazione diretta dei propri tesserati, il club azzurro ha patrocinato iniziative a sostegno delle strutture ospedaliere cittadine,[109] oltre a iniziative di sensibilizzazione contro la violenza nello sport[110] e la povertà infantile.[111] Con l'appoggio all'associazione cittadina Scugnizzi, che opera nel penitenziario minorile di Nisida, il Napoli sostiene svariati progetti volti al reinserimento sociale dei giovani detenuti una volta scontata la loro pena[112].
Tramite raccolte di fondi sostenute direttamente e indirettamente dai propri tesserati, il Napoli ha fornito il proprio appoggio a istituzioni come la Robert F. Kennedy Foundation[113][114][115][116], Telethon[117], la Fondazione San Raffaele, la Fondazione Stefano Borgonovo e la Fondazione Massimo Leone Onlus[118].
Il club partenopeo si è inoltre impegnato con diverse iniziative a sostegno delle vittime del terremoto dell'Aquila del 2009, dalla devoluzione degli incassi delle partite[119] alla raccolta fondi per la costruzione di un centro polisportivo antisismico nel capoluogo abruzzese.[120]
Ebbe origine all'inizio degli anni venti, quando il Naples e l'Internazionale Napoli non si erano ancora fuse[121], su iniziativa del presidente dell'Internazionale Emilio Reale. Il primo prodotto del vivaio azzurro fu Attila Sallustro, allora undicenne[121].
Negli anni sessanta le giovanili al Torneo di Viareggio arrivarono al terzo posto nel 1968 e persero la finale nel 1969. In quel periodo si formò il mediano Antonio Juliano, divenuto in seguito il giocatore a indossare più a lungo la fascia di capitano del club azzurro e per un periodo il giocatore con più presenze in maglia azzurra tra campionato e coppe (record successivamente superato) e altri due centrocampisti che collezioneranno oltre 150 presenze a testa con la maglia azzurra: Giovanni Improta e Vincenzo Montefusco.
Negli anni settanta il settore giovanile vinse il Torneo di Viareggio 1975[122] e il Campionato Primavera 1978-1979[123]. La rosa campione d'Italia Primavera, allenata da Mario Corso, comprendeva calciatori che debuttarono in prima squadra come Raffaele Di Fusco, Luigi Caffarelli, Costanzo Celestini, Raimondo Marino, Giuseppe Volpecina (i quali vinsero, con la prima squadra, lo scudetto del 1986-87) e Gaetano Musella.
Negli anni ottanta il vivaio arrivò terzo per due anni consecutivi nel Torneo di Viareggio nel 1980, 1981 e perse la finale nel 1984, ma fornì alla prima squadra il difensore Ciro Ferrara, il quale vinse tutti gli allori dell'epoca d'oro del club partenopeo, Giuseppe Taglialatela e Antonio Carannante.
Nell'epoca post-Maradona il Napoli visse un momento di profonda crisi e, di conseguenza, anche il settore giovanile venne trascurato; nonostante ciò, negli anni novanta la squadra arrivo seconda al torneo di Viareggio per due anni consecutivi nel 1990 e 1991 e quarta nel 1997. In Serie A debuttarono Fabio Cannavaro, futuro campione del mondo e Pallone d'oro nel 2006 e il fratello Paolo Cannavaro che dopo esser stato ceduto torna a Napoli nel 2006 diventando capitano e vincitore della Coppa Italia del 2011-2012. Inoltre ci fu l'affermazione nella Coppa Italia Primavera 1996-1997[124] e nel Campionato Allievi dello stesso anno. Nel 1997 fu costruito il centro sportivo di Marianella, di proprietà del club, che avrebbe dovuto essere all'avanguardia a livello di formazioni giovanili[125], ma la struttura fu lasciata nel totale degrado fino alla sua chiusura, avvenuta nel 2004[125]. Tra il 1977 e il 1996, dunque prima della sua costruzione, le squadre del vivaio si allenavano al Centro Paradiso di Soccavo insieme alla prima squadra.
Col fallimento del 2004, il settore giovanile fu smembrato, e venne ricostituito con l'avvento di Aurelio De Laurentiis, ottenendo al primo anno un titolo Berretti di Serie C[126]. Il lavoro dello staff diede ulteriori frutti portando alla vittoria del campionato Berretti di Serie A-B nel 2010-2011[127][128] e al ritorno di alcuni azzurrini nel giro delle nazionali giovanili[129]. Nel 2009 fa il suo esordio in prima squadra Lorenzo Insigne che, dopo due anni in prestito, ritorna a Napoli diventando poi anche capitano del team e vincitore di 2 Coppe Italia e 1 Supercoppa Italiana. Nel 2010 ci fu la partecipazione al Torneo di Viareggio dopo 7 anni di assenza[130]. Nella stagione 2013-2014 la primavera fa l'esordio nella prima edizione della UEFA Youth League, venendo eliminata agli ottavi dal Real Madrid.
Dal 2004 (dopo la rifondazione societaria) al 2018 tutte le squadre del vivaio si allenavano e disputavano le partite (ufficiali e amichevoli) presso il Centro Sportivo di Sant'Antimo, ma la struttura fu chiusa;[131] ciò obbligò la società a trasferire il settore giovanile in una nuova sede sportiva, infatti da allora le formazioni giovanili fino all'Under-17 svolgono le loro attività al Complesso Sportivo Kennedy, nel quartiere di Camaldoli.[132] Più complicata è stata la situazione delle altre due formazioni, ossia l'Under-18 e la Primavera: nello stesso anno sono state trasferite allo Stadio Comunale Pasquale Ianniello di Frattamaggiore,[133] mentre due anni dopo sono state collocate al centro sportivo di Cercola (in particolare allo Stadio Comunale Giuseppe Piccolo).[134]
La partita di spareggio Napoli-Lazio del 23 giugno 1929, valida per l'ammissione al primo campionato di Serie A a girone unico, fu il primo incontro di campionato a essere trasmesso in una rudimentale "radiocronaca" (non si può parlare di radiocronaca vera e propria, in quanto quest'ultima venne introdotta in Italia solo qualche anno dopo)[135]; il quotidiano di Napoli Mezzogiorno sportivo aveva infatti inviato allo stadio di Milano (dove si disputò lo spareggio) un giornalista, che durante la partita telefonava alla redazione descrivendo le varie azioni di gioco; il contenuto della telefonata veniva poi trascritto dal giornalista Michele Buonanno che inviava i dispacci a un altro giornalista, Felice Scandone, che ne leggeva il contenuto da un balcone, informando così la folla in trepidante attesa dell'andamento dello spareggio[135]. La partita terminò 2-2 ed entrambe le squadre vennero ammesse al primo torneo di massima serie a girone unico.[136]
Nel video All Now Remix del gruppo rap The Movement, uno dei cantanti indossa la maglia numero 94 di Nathaniel Chalobah. Altri riferimenti si hanno nel film Quel ragazzo della curva B[137], in cui appaiono, nel ruolo di se stessi, i calciatori Andrea Carnevale, Giuseppe Bruscolotti e Bruno Giordano[137], nel film Tifosi[138], dove Nino D'Angelo interpreta un tifoso partenopeo[138], con la presenza nel ruolo di sé stesso di Diego Armando Maradona[138], nel film Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento[139], nel film biografico su Maradona, Maradona - La mano de Dios[140] e in Colpi di fortuna[141] prodotto da Aurelio De Laurentiis, e nel film Diego Maradona.
Tra i calciatori di rilievo che hanno giocato con la maglia del Napoli risultano Attila Sallustro,[142] che assieme a Marcello Mihalich fu il primo calciatore del Napoli a giocare in Nazionale, Antonio Vojak,[143] Enrico Colombari[144], Amedeo Amadei,[145] l'attaccante svedese Hasse Jeppson prelevato dall'Atalanta e acquistato da Achille Lauro nel 1952 in cambio di 105 milioni di lire,[146] il brasiliano Luís Vinício,[147] Bruno Pesaola,[148] i campioni d'Europa del 1968 Antonio Juliano[149] e Dino Zoff,[150] José Altafini[151] e Omar Sívori[152] (vincitori della Coppa delle Alpi 1966), Giuseppe Savoldi[153] (vincitore della Coppa Italia 1976) e il libero olandese Ruud Krol.[154]
Il 1984 vide la partenza di Krol e contestualmente l'arrivo del calciatore più importante della storia partenopea, Diego Armando Maradona[155] e universalmente riconosciuto come uno dei più talentuosi calciatori di tutti i tempi,[156][157] venne prelevato nell'estate di quell'anno dagli spagnoli del Barcellona per la cifra record di 15 miliardi di lire.[39] Maradona recitò un ruolo decisivo nelle vittorie del club azzurro, il cui palmarès è in buona parte riconducibile al suo periodo di militanza in maglia partenopea: divenne capitano della squadra e nel giro di sette stagioni condusse il club alla vittoria di due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa UEFA e una Supercoppa italiana,[158] e una sorta di icona popolare per la città di Napoli, da lui lasciata nel 1991 a seguito di gravi vicissitudini personali.[47] È insieme a Edinson Cavani, a Gonzalo Higuaín e a Victor Osimhen l'unico calciatore del Napoli ad aver vinto la classifica cannonieri in Serie A (1987-1988, 15 reti). Nel 2000 il club partenopeo ritirò in suo onore la maglia numero dieci[159].
Maradona venne coadiuvato, nel corso dell'esperienza partenopea, da una serie di calciatori di notevole livello. Tra questi Ciro Ferrara,[160] Bruno Giordano e il brasiliano Careca, che insieme al trequartista argentino costituirono il celebre trio d'attacco Ma.Gi.Ca.
Nella storia recente, i calciatori di maggior rilievo sono stati l'uruguaiano Cavani, capocannoniere della A nel 2013 con 29 gol e vincitore della Coppa Italia 2012, e l'argentino Higuain, vincitore della Coppa Italia e della Supercoppa italiana nel 2014. L'argentino è stato inoltre capocannoniere della A nel 2016 con 36 marcature, battendo il record di reti segnate in un campionato a venti squadre, fino a quel momento appartenuto a Nordahl (35 reti nel 1949-50 con il Milan)[161]. Higuain fu ceduto alla Juventus a fine stagione per € 90 milioni[162], nell'operazione di mercato più ricca della storia del calcio italiano[163]. A questi vanno menzionati anche Dries Mertens (miglior marcatore della storia del Napoli), Lorenzo Insigne e Marek Hamšík (recordman per presenze della storia del Napoli), i quali vantano di essere tra i migliori marcatori della storia azzurra e gli unici tre davanti a Maradona, rispettivamente con 148, 122 e 121 reti.
Il Napoli, a partire dall'estate del 2000, ha ritirato la maglia numero dieci indossata da Diego Armando Maradona dal 1984 al 1991, come tributo alla sua classe e al grandissimo contributo offerto in sette stagioni con la casacca partenopea.[164]
Per motivi regolamentari, il numero è stato ristampato sulle maglie azzurre dal 2004 al 2006 quando la squadra militava in Serie C1, torneo per il quale è adottata ancora la numerazione tradizionale dall'1 all'11. L'ultimo calciatore che ha indossato e siglato un gol con questa maglia in una gara ufficiale è stato Mariano Bogliacino nella gara casalinga del 18 maggio 2006 contro lo Spezia, valevole per la finale di ritorno della Supercoppa di C1. Primato che gli appartiene anche per l'ultima apparizione in campionato, il 12 maggio 2006 nella gara in casa del Lanciano. Per quel che concerne esclusivamente il campionato, invece, va al calciatore argentino Sosa il primato di essere stato l'ultimo ad indossare la casacca numero dieci al San Paolo e contemporaneamente a segnare, nella gara contro il Frosinone del 30 aprile 2006.[165]
Il primo capitano della squadra partenopea fu il brasiliano naturalizzato italiano Paulo Innocenti[166], la fascia è stata indossata da altri due oriundi, Attila Sallustro[142] e Bruno Pesaola[167]. A parte i due argentini Diego Armando Maradona[168], Roberto Ayala e lo slovacco Marek Hamšík, i restanti capitani sono tutti di nazionalità italiana.
Il periodo più lungo con la fascia di capitano della squadra azzurra è stato quello di Antonio Juliano[149], con dodici stagioni tra 1966 e 1978.
Al 2023, 28 calciatori hanno ricoperto tale ruolo ufficialmente.
Al 1º agosto 2022 sono 51 i calciatori del Napoli ad aver ricevuto la convocazione nella Nazionale maggiore italiana, 36 dei quali hanno effettivamente collezionato almeno una presenza[169]. Il recordman di presenze è Lorenzo Insigne (54) che con dieci reti detiene anche il record di marcature in nazionale, ed è anche l'unico giocatore ad aver indossato la fascia di capitano della nazionale durante la militanza nel club partenopeo.
I primi calciatori azzurri a militare in Nazionale furono Marcello Mihalich e Attila Sallustro, che debuttarono il 1º dicembre 1929 contro il Portogallo. La partita terminò 6-1, con reti di Mihalic (che realizzò una doppietta, divenendo anche il primo azzurro a segnare in Nazionale) e di Sallustro. Negli anni trenta fecero il loro esordio anche Antonio Vojak e Pietro Ferraris. Il portiere Giuseppe Cavanna fu convocato per il Mondiale 1934 e si laureò campione del mondo, senza però mai esordire con la nazionale[170].
Bruno Pesaola in Nazionale collezionò l'unico gettone di presenza, come oriundo[148], il 26 maggio 1957[171].
Negli anni sessanta approdarono in azzurro Antonio Juliano e Dino Zoff[150], che conquistarono il titolo europeo nel 1968 e il secondo posto nel Mondiale 1970. Juliano partecipò anche ai mondiali del 1966 e del 1974. In quegli anni fecero il loro esordio anche Stelio Nardin e Ottavio Bianchi.
Negli anni settanta fecero il loro esordio Andrea Orlandini e Salvatore Esposito.
Mauro Bellugi partecipò all'Europeo del 1980[172].
Nella seconda metà degli anni ottanta, inizio anni novanta, il Napoli ebbe un buon numero di convocati, tra i quali: Fernando De Napoli, Salvatore Bagni[173], Ciro Ferrara[174], Massimo Crippa[175], Andrea Carnevale[176], Giovanni Francini[177], Luca Fusi, Gianfranco Zola e Bruno Giordano. Furono convocati in quel periodo, senza però mai esordire, Giuliano Giuliani, Alessandro Renica e Francesco Romano. Salvatore Bagni partecipò al mondiale del 1986, Fernando De Napoli, Ciro Ferrara, Giovanni Francini e Francesco Romano parteciparono all'Europeo del 1988, Fernando De Napoli, Ciro Ferrara e Andrea Carnevale parteciparono al mondiale del 1990.
Nel suo periodo in azzurro Christian Maggio fece il suo esordio contro la Grecia il 19 novembre 2008[178]. Al mondiale del 2010 furono convocati tre giocatori del Napoli contemporaneamente Christian Maggio, Morgan De Sanctis e Fabio Quagliarella.[179] Proprio quest'ultimo il 24 giugno 2010 divenne il primo calciatore del Napoli a segnare con la nazionale italiana in un mondiale, realizzando un gol nella sconfitta per 3-2 contro la Slovacchia[180]. Christian Maggio e Morgan De Sanctis saranno convocati anche per l'Europeo del 2012.
Nel 2012 esordisce in nazionale Lorenzo Insigne, prodotto del vivaio azzurro, fu convocato al mondiale del 2014 e per l'europeo del 2016. Il 4 giugno 2018 scende in campo per la prima volta con la fascia da capitano, nella partita amichevole pareggiata 1-1 contro i Paesi Bassi a Torino, diventando così il primo giocatore a indossare la fascia di capitano della nazionale durante la militanza nel club partenopeo.[181][182]
Il 24 marzo 2016 fa il suo esordio con la nazionale italiana un altro oriundo Jorginho. Nel 2019 fanno il loro esordio Alex Meret e Giovanni Di Lorenzo, questi ultimi due verranno successivamente convocati insieme a Lorenzo Insigne per il vittorioso europeo del 2020.
In 95 stagioni sportive a partire dalla fondazione della società nel 1926, compresi 4 tornei di Divisione Nazionale (A).
Il Napoli ha partecipato a 83 campionati di massima serie, 79 dei quali di Serie A a girone unico. In tali stagioni è salito 22 volte sul podio:[77]
Il Napoli ha partecipato a 12 campionati di Serie B ottenendo 5 promozioni:[77]
Il Napoli ha partecipato a 2 campionati di Serie C1 ottenendo 1 promozione:
Il Napoli ha partecipato a 73 edizioni della Coppa Italia. È arrivato in finale in 10 occasioni:
Il Napoli ha partecipato ad una edizione della Coppa Italia Serie C nel 2005-2006 non ottenendo nessuna vittoria e nessuna finale.
Il Napoli ha partecipato a 5 edizioni della Supercoppa italiana:
Il Napoli ha partecipato ad una edizione della Supercoppa di Serie C1 nel 2006 ottenendo una finale.
Il Napoli esordì in massima serie (allora denominata Divisione Nazionale) il 3 ottobre 1926[2]. Quella corrente è dunque la sua 92ª stagione sportiva, nelle quali si è piazzata sul podio nel 21,4% dei casi.
La vittoria in campionato con il maggior scarto fu un 8-1 contro la Pro Patria nella Serie A 1955-1956[77], invece la sconfitta con il maggior scarto fu uno 0-11 subìto dal Torino nel campionato federale 1927-1928[77].
Il Napoli e il Vado sono le uniche squadre che hanno vinto la Coppa Italia non militando in massima serie (1961-1962); sempre per quanto riguarda la Coppa Italia, il Napoli detiene il record di vittorie consecutive (20) e, insieme alla Fiorentina e alla Juventus, è l'unica squadra ad aver vinto la Coppa Italia vincendo tutte le partite (13 su 13; accadde nella stagione 1986-1987). È anche:
Infine condivide con Torino (1942-1943), Juventus (1959-1960, 1994-1995, 2014-2015, 2015-2016, 2016-2017 e 2017-2018), Lazio (1999-2000) e Inter (2009-2010) il primato di aver vinto sul campo, nella stessa stagione, Scudetto e Coppa Italia (1986-1987)[43][185][186].
Il Napoli vanta inoltre, in coabitazione con Bologna (1931-1932) e Juventus (1932-1933), il record dei punti (33 su 34) ottenuti nelle gare interne in un campionato a 18 squadre con 2 punti per vittoria (16 vittorie e 1 pareggio in 17 partite), realizzato nel torneo 1989-1990[187]. L'unica squadra che riuscì a ottenere punti al San Paolo in quella stagione fu la Sampdoria, che pareggiò 1-1[188]; l'altro record riguarda le marcature in trasferta (53 reti) stabilito nella stagione (2016-17).
Sempre nella stagione 2016-2017, il Napoli ha vinto tutti gli scontri diretti fuori casa contro le squadre di Milano e Roma (1-2 contro il Milan, 1-2 contro la Roma, 0-3 contro la Lazio e 0-1 contro l'Inter), impresa riuscita solo al Grande Torino, e in più l’anno successivo ha conseguito il record di vittorie consecutive nei campionati nazionali, con una striscia di 13 successi in Serie A nella stagione 2017-18 (le ultime cinque della stagione precedente e poi le prime otto della nuova stagione), superando il precedente record di qualche anno prima.[189][190].
Nella stagione del terzo scudetto 2022-2023, per la prima volta nella sua storia il Napoli ha battuto tra andata e ritorno tutte le squadre partecipanti al campionato di Serie A[191].
Il giocatore con più presenze nella storia del Napoli è Marek Hamšík con 520 partite giocate, di cui 408 presenze in Serie A (anch'esso un primato).
Invece il giocatore con più reti nella storia del Napoli è Dries Mertens con 148 reti realizzate, di cui 113 in Serie A (anch'esso un primato).
Il record di gol in un singolo torneo appartiene a Gonzalo Higuaín, con 36 reti realizzate nella stagione 2015-2016 (record per la Serie A).[192] Il record di gol in una singola partita di campionato appartiene ad Attila Sallustro che siglò cinque reti il 12 maggio 1929 nella gara in casa contro la Reggiana, valevole per il campionato di Divisione Nazionale 1928-1929,[193] Invece in serie A il record è di quattro reti diviso tra Hasse Jeppson in Napoli-Atalanta 6-3 il 27 settembre 1953 nella Serie A 1953-1954,[194] Luís Vinício in Napoli-Palermo 4-1 il 9 giugno 1957 nella Serie A 1956-1957[195], Giuseppe Savoldi in Napoli-Foggia 5-0 il 18 dicembre 1977 nella Serie A 1977-1978 e Dries Mertens in Napoli-Torino 5-3 il 18 dicembre 2016 nella Serie A 2016-2017.[196]
Nelle coppe nazionali, il giocatore più presente è Giuseppe Bruscolotti con 96 partite giocate, mentre Diego Armando Maradona siglò il maggior numero di reti, 29.[197] Il record di gol in un singolo torneo appartiene a Giuseppe Savoldi, con 12 reti realizzate nella Coppa Italia 1977-1978, in cui realizzò anche il record di gol in una singola partita nelle coppe nazionali il 4 maggio 1978 con una quaterna in un Napoli-Juventus 5-0.[198]
Per quanto concerne le competizioni europee (comprendendo anche i tornei non organizzati dall'UEFA), il record di presenze appartiene a Marek Hamšík con 80 apparizioni,[199] mentre il primato di reti compete a Dries Mertens con 28 gol.[200] Il record di gol in una singola partita ufficiale per le gare europee appartiene a Daniel Fonseca, che siglò cinque reti il 16 settembre 1992 nella gara in trasferta contro gli spagnoli del Valencia, valevole per l'andata dei trentaduesimi di finale di Coppa UEFA, unico caso di cinquina esterna realizzata nelle coppe europee da un calciatore in una squadra italiana.[201]
Al termine della vittoriosa stagione 2022-2023, tre suoi giocatori sono stati riconosciuti come MVP: il difensore Kim-Min Jae, l'attaccante e capocannoniere Victor Osimhen[202], e il compagno di reparto Khvicha K'varatskhelia, eletto come miglior giocatore della Serie A[203]. Lo stesso anno, l'allenatore Luciano Spalletti è stato eletto come tecnico dell'anno, primo in assoluto nella storia della squadra[204].
Secondo un'indagine condotta e pubblicata annualmente da due società specializzate in sondaggi e ricerche di mercato, la StageUp e la Ipsos, al 2024 la squadra risulta essere il quarto club più tifato d'Italia, potendo contare su un seguito stimato in circa 2 904 000 tifosi,[205] un dato in netta crescita rispetto alle rilevazioni degli anni precedenti.[206][207] Sempre nel 2023 anche l'istituto di ricerche Demos & Pi, che ha condotto un'indagine sul tifo calcistico in Italia per conto del quotidiano la Repubblica, classifica il Napoli come il quarto club più tifato, stimando i supporters azzurri nell'11% del totale.[208]
Le origini del tifo organizzato a Napoli risalgono agli anni sessanta.[209] Il Napoli è al 2016 la quarta squadra italiana per numero di tifosi[210] con circa 4,6 milioni. A livello internazionale si stima un seguito di circa 35 milioni di tifosi nel mondo e 120 milioni di simpatizzanti[211].
Il tifoso medio del Napoli non appartiene a una classe specifica: secondo il giornalista Mimmo Carratelli, il tifo azzurro «confonde e compatta genti diversissime, i napoletani dei quartieri-bene e quelli dei rioni popolari. Il Napoli è "la squadra di tutti" [...] .»[212].
Quello che accomuna tutti è comunque la passione per la squadra: il tifo raggiunge picchi tali, che in alcune occasioni l'urlo dei tifosi al gol è stato registrato come terremoto dai sismografi dell'Università degli Studi di Napoli Federico II[213].
Il gemellaggio tra i supporters del Napoli e quelli del Genoa era uno dei più antichi che il calcio italiano poteva vantare. Ebbe inizio il 16 maggio 1982 in seguito al pareggio per 2-2 a Napoli tra le due squadre, nell'ultima giornata della Serie A 1981-1982[214] che portò alla salvezza del Genoa a scapito del Milan; il rapporto si consolidò nella Serie B 2006-2007 quando, con il pareggio per 0-0 a Genova, entrambe le squadre ottennero la promozione in Serie A[62]. Il duraturo gemellaggio tra le due tifoserie, che era stato anche omaggiato e sostenuto da iniziative commerciali[215], è terminato dopo la partita Napoli-Genoa del 9 aprile 2019 con un comunicato degli ultras partenopei.
All'estero ci sono legami con le curve di Borussia Dortmund[216], Celtic[217] e Paris Saint-Germain[218].
Sussiste un rapporto di amicizia con le tifoserie del Catania e della Vigor Lamezia[219].
In senso opposto, i tifosi azzurri hanno cattivi rapporti soprattutto con le squadre del Nord Italia[220], in particolare con Atalanta[221], Brescia[222], Inter[223], Milan, Udinese[224], Verona[225], L.R. Vicenza[226][227][228][229] e, per via del precedente gemellaggio tra campani e genoani, Sampdoria.[230] Storica la rivalità con la Juventus, la squadra che contende agli azzurri il primato delle simpatie tra i sostenitori calcistici nel Sud Italia, dovuta anche a motivi storici correlati con la città[231], la quale vide nella Vecchia Signora l'espressione sportiva del Piemonte sabaudo[232]. Inoltre, c'è una forte rivalità sia con Roma, Lazio e Cagliari[233]. Negli ultimi anni, spicca anche la rivalità con il Palermo, dovuta soprattutto ai legami tra partenopei e catanesi e tra palermitani e romanisti[234].
All'estero, da sottolineare l'acerrima rivalità con i tifosi del Liverpool[235], mentre tra le squadre tedesche vi sono rivalità con Bayern Monaco e Union Berlino[236], ma è notevole anche la rivalità con l'Eintracht Francoforte[237]. Sussiste anche un'inimicizia con l'Olympique Marsiglia[238], il Nizza[239], l'Ajax[240] e il Legia Varsavia[241].
Il Napoli non disputa ufficialmente derby, ma è ugualmente protagonista di tre particolari sfide assimilabili a stracittadine: il derby del Sole, ufficiosamente chiamato anche derby del Mezzogiorno, giocato contro la Roma e all'apice della popolarità negli anni '70 e '80[242]; il derby delle Due Sicilie, giocato con i siciliani del Palermo e all'apice della popolarità tra gli anni 2000 e 2010[243][244]; e infine il derby Napoli-Salernitana, giocato con i corregionali della Salernitana. Rilevante anche la rivalità campana, in essere negli anni '80, con l'Avellino[245].
Rosa e numerazione aggiornate al 4 settembre 2024.
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