Sardegna
regione italiana a statuto speciale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La Sardegna (AFI: /sarˈdeɲɲa/[9]; Sardìgna o Sardìnnia in sardo), la cui denominazione ufficiale bilingue è Regione Autonoma della Sardegna / Regione Autònoma de Sardigna[10], è una regione italiana a statuto speciale di 1 564 885 abitanti[3] con capoluogo Cagliari. Istituita nel 1948, è divisa amministrativamente in quattro province, una città metropolitana e 377 comuni. Ha un territorio di 24 090 km² che ne fa la terza regione d'Italia per superficie[11] e terzultima per densità (65 ab./km²).
Sardegna regione a statuto speciale | |
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(IT) Regione Autonoma della Sardegna (SC) Regione Autònoma de Sardigna | |
La Sardegna vista dalla Stazione spaziale internazionale | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Amministrazione | |
Capoluogo | Cagliari |
Presidente | Alessandra Todde (M5S) dal 20-3-2024 |
Lingue ufficiali | italiano, sardo[1], catalano, gallurese, sassarese, tabarchino e castellanese (a livello locale) |
Data di istituzione | 1948 |
Territorio | |
Coordinate del capoluogo | 39°13′N 9°07′E |
Altitudine | 384 m s.l.m. |
Superficie | 24 100,02[2] km² |
Abitanti | 1 564 885[3] (30-6-2024) |
Densità | 64,93 ab./km² |
Province | Cagliari (città metropolitana), Nuoro, Oristano, Sassari, Sud Sardegna |
Comuni | 377[4] |
Regioni confinanti | nessuna (regione insulare) |
Altre informazioni | |
Fuso orario | UTC+1 |
ISO 3166-2 | IT-88 |
Codice ISTAT | 20 |
Nome abitanti | (IT) Sardo -a pl. Sardi -e (SC) Sardu -a pl. Sardos -as (CA) Saldu -a (LIJ) Sordu -a |
Patrono | Madonna di Bonaria[5]; sant'Agostino (patrono secondario[6][7]) |
PIL | (nominale) 35 684 mln € (2021)[8] |
PIL procapite | (PPA) 22 900 € (2021)[8] |
Rappresentanza parlamentare | 11 deputati 5 senatori |
Inno | Su patriotu sardu a sos feudatarios (Il patriota sardo ai feudatari) |
Cartografia | |
La Sardegna e le sue province dopo la L.R. 2/2016 | |
Sito istituzionale | |
È situata nel Mediterraneo occidentale e il suo territorio coincide con l'arcipelago sardo, costituito quasi interamente dall'isola di Sardegna e da un considerevole numero di piccole isole e arcipelaghi circostanti. La sua posizione strategica[12] e la sua ricchezza di minerali[13] hanno favorito nell'antichità il suo popolamento e lo svilupparsi di traffici commerciali e scambi culturali tra i suoi abitanti e i popoli rivieraschi[14].
Ricca di montagne, boschi, pianure, territori in gran parte disabitati, corsi d'acqua, coste rocciose e lunghe spiagge sabbiose, per la varietà dei suoi ecosistemi l'isola è stata definita metaforicamente come un micro-continente[15]. In epoca moderna molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato la sua bellezza, rimasta incontaminata almeno fino all'età contemporanea[16], nonché immersa in un paesaggio che ospita le vestigia della civiltà nuragica[17].
La Sardegna ha una superficie complessiva di 24100 km²[2] ed è per estensione la seconda isola del Mediterraneo[18] (dopo la Sicilia) e la terza regione italiana, dopo la Sicilia e il Piemonte[19]. La lunghezza tra i suoi punti più estremi (punta Falcone a nord e capo Teulada a sud) è di 270 km[20], mentre 145 sono i km di larghezza (da capo dell'Argentiera a ovest, a capo Comino a est)[20]. Gli abitanti sono 1 566 606[3] per una densità demografica di 69 abitanti per km². Dista 188 km (capo Ferro - monte Argentario) dalle coste della penisola italiana[21], dalla quale è separata dal mar Tirreno, mentre il Canale di Sardegna la divide dalle coste tunisine del continente africano che si trovano 178 km più a sud (capo Spartivento - Cap Serrat)[21]. A nord, per 11 km[22], le Bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica e il mar di Sardegna, a ovest, dalla penisola iberica e dalle isole Baleari (390 km da Minorca). Si situa tra il 41º e il 39º parallelo nord, mentre il 40º la divide quasi a metà.
La storia geologica della Sardegna risulta essere nettamente separata da quella della penisola italiana (che si formò nel Cenozoico), essendo legata invece (assieme a quella della Corsica) a quella dell'Europa continentale, di cui fece parte fino alla fine dell'Eocene. Si può far iniziare con la cosiddetta fase sarda dell'orogenesi caledoniana all'inizio del Paleozoico[23], in cui si formò il primo nucleo dell'attuale Sulcis[23], per poi emergere completamente, insieme alla Corsica, durante l'orogenesi ercinica (Carbonifero). Attraverso gli spostamenti e gli scontri tra la grande placca africana, quella euroasiatica e quella nord-atlantica, tra i trentacinque e i tredici milioni di anni fa lungo la costa che va dalla Catalogna alla Liguria, si creò una profonda frattura da cui, circa venti milioni di anni fa, si originò a nord-est il distacco di una micro-placca che comprendeva le attuali Sardegna e Corsica[24].
Le due isole raggiunsero la loro posizione attuale circa sei o sette milioni di anni fa e al fenomeno della migrazione si aggiunse più tardi la tensione di apertura del mar Tirreno[25], che creò conseguentemente la conformazione orientale tra le due isole e la penisola italiana. Benché nel passato siano stati documentati dei terremoti, la Sardegna è ritenuta una zona non sismica e tutti i comuni che la compongono sono classificati in zona sismica 4[26]. Sul suo territorio non passano faglie che possano generare terremoti di rilievo. Gli unici risentimenti macrosismici appartengono a scosse che sono avvenute e potranno avvenire nel Tirreno centrale e meridionale.
Più dell'80% del territorio è montuoso e collinare; il 68% è formato da colline e da altopiani rocciosi[22] per un'estensione complessiva di 16 352 km²[27]. Alcuni di questi sono assai caratteristici e vengono chiamati giare o tacchi. L'altimetria media è di 334 m s.l.m[28]. Le montagne costituiscono il 14% del territorio[22] per un'estensione complessiva di 3 287 km²[27].
Culminano nel centro dell'isola i monti di Punta La Marmora (Perdas Crapìas in sardo), 1 834 m, Bruncu Spina (1 829 m), Punta Paulinu (1758 m) e monte Spada (1 595 m), situati nel Massiccio del Gennargentu[29], nonché il monte Albo e il Supramonte che comprende il monte Corrasi di Oliena (1 463 m). A nord, emergono i monti di Limbara (1 362 m), i monti di Alà (1 090 m), il monte Rasu (1 259 m). In Ogliastra svettano i tacchi con Punta Seccu alta circa 1 000 m in territorio di Ulassai mentre nel Montiferru (che è il massiccio vulcanico più grande dell'isola) si innalzano il Monte Urtigu (1 050 m) e il Monte Entu (1 024 m) e nel Marghine la Punta Palai (1 264 m). A sud il monte Serpeddì (1 069 m), il Massiccio dei Sette Fratelli, (1 023 m), il monte Linas (1 236 m), i monti dell'Iglesiente, che raggiungono i 1091 m con Monte Lisone, e del Sulcis che raggiungono 1116 m con Monte Is Caravius finendo per digradare verso il mare[30].
Le zone pianeggianti occupano il 18% del territorio[22] (per 4 451 km²[27]); la pianura più estesa è il Campidano[28] che separa i rilievi centro settentrionali dai monti dell'Iglesiente, mentre la piana della Nurra si trova nella parte nord-occidentale tra Sassari, Alghero e Porto Torres. I fiumi più importanti sono il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas, il Cedrino, il Temo e il Flumini Mannu[31]. I maggiori sono sbarrati da imponenti dighe che formano ampi laghi artificiali[28] utilizzati principalmente per irrigare i campi, tra questi il bacino del lago Omodeo, il più vasto lago artificiale d'Italia[32]. Seguono poi il bacino del Flumendosa, del Coghinas e del Posada. L'unico lago naturale è il lago di Baratz, situato nella parte sud-ovest del territorio di Sassari.
Le coste si articolano nei golfi dell'Asinara a nord, di Olbia e Orosei a est, di Cagliari a sud e di Alghero e Oristano a ovest. Per complessivi 1 897 km[33], sono alte, rocciose e con piccole insenature che a nord-est diventano profonde e s'incuneano nelle valli (ría)[34]. Litorali bassi e sabbiosi, talvolta paludosi, si trovano nelle zone meridionali e occidentali: sono gli stagni costieri, zone umide importanti dal punto di vista ecologico, la più estesa delle quali è quella dello stagno di Cabras e delle zone paludose adiacenti[35].
Molte isole e isolette la circondano e tra queste la più grande è l'isola di Sant'Antioco (109 km²), seguono poi l'Asinara (52 km²[36]), l'isola di San Pietro (50 km²[37]), La Maddalena (20 km²) e Caprera (16 km²). I quattro punti estremi sono: capo Falcone (a nord), capo Teulada (a sud), capo Comino (a est) e capo dell'Argentiera (a ovest)[20].
Se gli estremi fisici orientale e occidentale dell'isola coincidono con quelli amministrativi, è l'isola del Toro nell'arcipelago del Sulcis a costituire il punto più a sud in assoluto del territorio della Sardegna[38]. L'estremo settentrionale della regione è invece un isolotto senza nome lungo appena una sessantina di metri, situato a nord dell'Isola la Presa nell'arcipelago di La Maddalena[38][39].
Il clima della Sardegna è generalmente mediterraneo secco, con estati calde e lunghe, inverni miti e piovosi, stagioni intermedie mutevoli. Lungo le zone costiere, dove risiede la gran parte della popolazione, grazie alla presenza del mare si hanno inverni miti mentre le estati sono calde e umide[39], caratterizzate da una notevole ventilazione. Le brezze marine e la costante ventilazione permettono di sopportare le elevate temperature estive che superano normalmente i 30 °C e raggiungono anche i 35 °C. Nelle zone interne pianeggianti e collinari, a causa della maggior lontananza dal mare, si registrano temperature invernali più basse ed estive più alte rispetto alle aree costiere. Il clima è nel complesso abbastanza mite, ma durante l'arco dell'anno si possono avere valori minimi invernali di alcuni gradi al di sotto dello zero e massimi estivi anche superiori ai 40 °C[40].
Sui massicci montuosi nei mesi invernali nevica frequentemente e le temperature scendono sotto lo zero, mentre nella stagione estiva il clima si mantiene fresco e raramente fa caldo per molti giorni consecutivi. La Sardegna inoltre è una regione molto ventosa: i venti dominanti sono il maestrale e il ponente[41].
Il paesaggio naturale della Sardegna alterna profili montuosi dalla morfologia complessa a macchie e foreste, stagni e lagune, torrenti tumultuosi che formano gole e cascate, lunghe spiagge sabbiose e scogliere frastagliate e falesie a strapiombo[42]. Le formazioni calcaree costituiscono il 10% della sua superficie e sono frequenti i fenomeni carsici nei settori centro-orientale e sud-occidentale, con la formazione di grotte, voragini, doline, laghi sotterranei, sorgenti carsiche, come quelle di Su Gologone di Oliena e di Su Marmuri di Ulassai. Notevoli sono le formazioni rocciose granitiche, caratterizzate da guglie frastagliate modellate dall'erosione degli agenti atmosferici, creando delle singolari sculture sparse su tutta l'isola, come l'Orso di Palau, l'Elefante di Castelsardo, il Fungo di Arzachena, i dicchi del Montiferru e sa Conca a Nuoro sul monte Ortobene[43].
Sono sotto tutela come parchi naturali alcuni dei più importanti tratti della costa e ampi territori dell'interno. Questo patrimonio naturale si integra con quello storico e culturale, rappresentato dagli antichi siti d'interesse archeologico e dai resti dei più recenti complessi dell'attività mineraria. La Regione Autonoma per conservare e valorizzare questo patrimonio unico, ha definito con la legge n. 31 del 7 giugno 1989 le aree protette sottoposte a tutela. Complessivamente si contano: due parchi nazionali, due parchi regionali, 60 riserve naturali, 19 monumenti naturali, 16 aree di rilevante interesse naturalistico, cinque oasi del WWF[44]. Dal 1985 la Sardegna è dotata di un corpo forestale proprio, denominato Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Sardegna.
Il patrimonio faunistico annovera diversi esempi di specie di grande interesse. La fauna dei vertebrati superiori mostra analogie e differenziazioni rispetto a quella dell'Europa continentale: le analogie si devono alla migrazione nel corso delle glaciazioni oppure all'introduzione da parte dell'uomo nel Neolitico o in epoche più recenti, mentre le differenziazioni si devono al lungo isolamento geografico che ha originato neo-endemismi a livello di sottospecie o, più raramente, di specie[45].
Le popolazioni dei grandi mammiferi erbivori (cervidi e muflone) hanno subito una drastica contrazione, arrivando a vere e proprie emergenze fino agli anni settanta, ma negli ultimi decenni hanno ripreso una sensibile crescita grazie alle azioni di tutela. Il cinghiale sardo, invece, è ampiamente diffuso, così pure diverse specie di roditori e lagomorfi. I predatori più grandi sono la comune volpe sarda e il raro gatto selvatico sardo, ai quali si affiancano i piccoli carnivori come i mustelidi. Tra i mammiferi, a parte la capra sarda, razza caprina, particolare curiosità desta una variante dell'asino domestico, ossia l'asinello bianco, presente solo sull'isola dell'Asinara (73 esemplari nel 1996[46]), ma anche il caratteristico cavallino della Giara (Equus caballus Giarae), una specie di cavallo endemica[47], di origine incerta ma probabilmente importato dai naviganti Fenici o Greci nel V-IV secolo a.C.
L'interesse per l'avifauna si articola in tre contesti: i rapaci, l'avifauna delle aree umide e quella delle scogliere. I rapaci sono rappresentati da quasi tutte le specie europee, fra le quali ci sono alcune sottospecie endemiche; si sono estinte due specie di avvoltoi e sopravvivono solo nei territori di Bosa e Alghero alcune colonie di grifoni. L'avifauna delle zone umide vanta un lungo elenco di specie, molte minacciate dalla forte contrazione dell'habitat. L'elevato numero di stagni costieri e lagune (circa 12 000 ettari, pari al 10% del patrimonio italiano) fa sì che questa regione annoveri ben otto siti di Ramsar (secondo posto in Italia, dopo l'Emilia-Romagna). Il simbolo di questa fauna è il fenicottero rosa, che in alcuni stagni, ad esempio quello di Molentargius, forma colonie di migliaia di esemplari.
Questa specie, storicamente svernante negli stagni sardi, da diversi anni è anche nidificante[48]. Dei 1 897 km di coste, il 76% è costituito da scogliere e da un grande numero di isole e scogli. È questo il regno degli uccelli marini, che possono formare colonie di migliaia di individui. Fra le specie di maggiore interesse c'è il rarissimo gabbiano corso. Ci sono, infine, quattro sottospecie endemiche di uccelli che sono il fringuello (f.c. sarda), il picchio rosso maggiore (d. m. ssp. harterti), la cinciallegra (P. m. ssp. ecki) e la ghiandaia (g.g. ssp ichnusae). I vertebrati terrestri minori comprendono rettili e anfibi fra i quali si annoverano molti importanti endemismi tirrenici, sardo-corsi o sardi; di questi, alcuni hanno una marcata ed esclusiva localizzazione geografica.
Pur derivando da un substrato comune mediterraneo, la flora in Sardegna è caratterizzata da specificità ed endemismi. Le zone fitoclimatiche presenti si limitano al Lauretum e alla sottozona calda del Castanetum, quest'ultima limitata alle aree interne e montuose più fredde; la vegetazione boschiva è, perciò, rappresentata in gran parte da macchia mediterranea e foresta sempreverde e solo oltre i 1 000 metri è significativa la frequenza delle specie caducifoglie del Castanetum[49].
La specie arborea prevalente è il leccio, accompagnato e in parte sostituito dalla roverella nelle stazioni più fredde e dalla sughera in quelle più calde. Nelle stazioni fredde persistono, inoltre, relitti di un'antica flora del Cenozoico (tasso, agrifoglio, acero trilobo). Sulla sommità dei rilievi metamorfici del Paleozoico, a 1 000-1 900 metri, si sviluppano steppe e garighe assimilabili alla flora alpina che, nelle altre regioni, occupa quote di 2 500-3 500 metri. La copertura boschiva è ciò che resta di intensi disboscamenti che hanno raggiunto il suo culmine nella seconda metà del XIX secolo[50].
Il passaggio di vasti territori dalla Cassa ademprivile al demanio dello Stato e, in seguito, all'ex Ente foreste della Sardegna (attualmente Agenzia forestale regionale per lo sviluppo del territorio e dell'ambiente della Sardegna), ha permesso la salvaguardia e la lenta ricostituzione del patrimonio boschivo residuo, nonostante la minaccia annuale degli incendi. Il grave degrado di vaste aree espone l'isola alla desertificazione, ma il patrimonio boschivo vanta alcune peculiarità, come la macchia-foresta del Sulcis, ritenuta la più vasta d'Europa, e la foresta demaniale di Montes, una delle ultime leccete primarie del Mediterraneo. L'opera di tutela e recupero del patrimonio residuo pone la Sardegna come la regione italiana con maggiore superficie forestale, con 1 213 250 ettari di boschi (secondo i dati dell'Inventario nazionale foreste e carbonio del Corpo forestale dello Stato, pubblicati nel maggio 2007)[51]. Di grande interesse botanico, per gli endemismi e la rarità, sono anche le associazioni floristiche minori che popolano gli stagni costieri, i litorali sabbiosi e le scogliere.
I paesaggi sommersi sono complessi e ricchi di colori e di varietà di pesci, spugne e coralli e sono caratterizzati dalla straordinaria limpidezza dell'acqua[52]; questa limpidezza favorisce il prosperare di numerose colonie di posidonia[53]. Il segno inequivocabile della presenza delle praterie di posidonia è la presenza di mucchi di alghe che talvolta si trovano abbondanti sulle spiagge[54]. Un cenno particolare va fatto alla foca monaca: a lungo perseguitata dai pescatori e disturbata dai vacanzieri, è una specie a forte rischio d'estinzione[55]: l'ultima riproduzione documentata risale agli inizi degli anni ottanta[56].
L'ambiente naturale sardo è caratterizzato da un elevato numero di endemismi. Alcuni di questi sono paleoendemismi, ossia relitti della fauna e della flora ancestrale risalente al Cenozoico prima del distacco della placca sardo-corsa dal continente europeo; queste specie, veri e propri fossili viventi, si sono anticamente estinte nelle terre continentali mentre sono sopravvissute in condizioni particolari in Sardegna.
La maggior parte delle specie endemiche sono invece neoendemismi, prodotti da un'evoluzione differenziale a partire dal Neozoico o da epoche più recenti, grazie all'isolamento geografico. Gli endemismi botanici accertati sono 320 e rappresentano circa il 14% di tutta la flora sarda.[57] Alcuni di questi sono delle vere rarità anche per il basso numero di esemplari e per la limitatissima estensione dell'areale, in alcuni casi ridotto a pochi ettari. Nel 2002 nelle grotte del Gennargentu è stato scoperto il Plecotus sardus, una specie endemica di pipistrello[58], mentre nel 2014 è stata annunciata la scoperta dell'Amblyocarenum nuragicus, un ragno endemico dell'isola[59].
Le rocce della Sardegna sono ritenute tra le più antiche d'Italia[60]. Le formazioni carsiche coprono un'area abbastanza ristretta in rapporto a quelle granitiche o metallifere e costituiscono il 6% della superficie totale, ossia 1 500 km²[senza fonte]. Le formazioni geologiche più antiche risalgono al Paleozoico, ma altre formazioni sono apparse in periodi successivi, nel Mesozoico, nel Terziario e nel Quaternario, contribuendo alla creazione di una notevole varietà di formazioni rocciose.
Il patrimonio speleologico sardo comprende più di 1 500 grotte[61]. L'area del Supramonte è quella più ricca, insieme alla zona del Sulcis-Iglesiente e al promontorio di capo Caccia. Tra quelle sommerse, la grotta di Nereo è ritenuta la più vasta in tutto il Mediterraneo. Le grotte litoranee più conosciute sono le grotte di Nettuno ad Alghero e le grotte del Bue Marino a Cala Gonone. Fra quelle terrestri, alcune di rilievo sono quelle di Sa Oche-Su Bentu a Oliena, di Is Zuddas a Santadi, di Su Mannau a Fluminimaggiore, la grotta di Su Marmuri a Ulassai, quella di Ispinigoli[62] presso Dorgali, di San Giovanni e Santa Barbara presso Domusnovas e Bindua, nell'Iglesiente[63].
La Sardegna è stata sin dagli albori della civiltà un attracco frequentato da quanti navigavano da una sponda all'altra del mar Mediterraneo in cerca di terre e sbocchi commerciali. Fu così che nella sua storia millenaria ha saputo trarre vantaggio sia dalla propria insularità sia dalla propria posizione strategica, in quanto luogo imprescindibile nella rete degli antichi percorsi.
Nel suo patrimonio storico e culturale sono abbondanti le testimonianze delle culture indigene, ma anche gli influssi e le presenze delle maggiori potenze coloniali antiche. Con riferimento alle esperienze storiche che hanno coinvolto l'isola, lo storico americano John Day ebbe a definire la Sardegna come "una delle più vecchie dipendenze coloniali del mondo."[65]
Il periodo prenuragico fu caratterizzato dal susseguirsi di diverse culture archeologiche: dalla cultura della ceramica cardiale (6000-4000 a.C.), alla cultura di Ozieri e Sub-Ozieri (3200-2700 a.C.), sino alla cultura di Bonnanaro (1800-1600 a.C.)[66].
Vestigia più eloquenti di quel periodo sono i megaliti, come i circoli tombali, menhir e dolmen, le tombe ipogeiche dette domus de janas e il tempio a gradoni di Monte d'Accoddi.
Nel periodo successivo, la civiltà nuragica nacque e si sviluppò dalla media età del Bronzo (1700 a.C. circa[68]) all'età del ferro. Sopravvisse in Barbagia fino al II secolo d.C. o, secondo alcuni studiosi, fino al VI secolo in epoca altomedioevale[69]. Sono testimonianza di questa fase storica: più di ottomila nuraghi[70], numerosi villaggi, le tombe dei giganti, i pozzi sacri, i templi a megaron, i bronzetti e le grandi statue di Mont'e Prama[71]. Gli antichi Sardi, o Nuragici, erano un popolo suddiviso in tante tribù che abitavano nei cosiddetti "cantoni"[71].
Intorno al IX secolo a.C. i Fenici, provenienti dall'odierno Libano, si stabilirono lungo le coste fondando le città di Caralis, Nora, Bithia, Sulki, Tharros, Cornus, Bosa e Olbia[72], alcune delle quali su preesistenti insediamenti nuragici, che presto diventarono sedi di scambi commerciali sia interni, con le popolazioni native, che verso terre d'oltremare.
Nel 509 a.C. i Punici conquistarono gran parte della Sardegna meridionale e centro-occidentale[73], comprese le città stato fenicie della costa. Per circa 271 anni la civiltà punica prosperò dalle coste fino alla dorsale del Goceano e alla Barbagia, dove sopravviveva invece la civiltà indigena[73][74].
Dal 238 a.C. la Sardegna passò sotto il comando dei Romani, durante la guerra dei mercenari[75], all'indomani della prima guerra punica, andando a costituire, assieme alla Corsica, una provincia romana (Sardegna e Corsica), cronologicamente la seconda provincia istituita dopo la Sicilia[76]. I Romani ampliarono le città della costa e ne fondarono di nuove, come la Colonia Iulia Turris Libisonis (Porto Torres) e Usellus; costruirono nuove strade, acquedotti e ponti, sebbene fossero contrastati da numerose rivolte, tra le più famose furono quella capeggiata da Ampsicora nel 215 a.C.[77] e quella dei Balari e degli Iliensi nel 178/174 a.C.[78]. Caralis, capitale provinciale, Nora e Sulci vennero elevate al rango di municipi entro il I secolo d.C.[79] e dal 212, con la Constitutio Antoniniana di Caracalla, tutti i Sardi ottennero la cittadinanza romana[80].
In età imperiale dall'isola si esportavano ingenti quantità di piombo e argento, insieme al grano, tanto da essere considerata uno dei "granai di Roma"[81][82].
Il dominio romano durò per ben 694 anni, fino all'arrivo del popolo germanico dei Vandali nel 456. La conquista dell'isola si concretizzò tra il 456 e il 460, quando entrò a far parte del Regno dei Vandali e degli Alani, assieme alla Corsica. La prima occupazione avvenuta nel 456 d.C. circa fu un'occupazione parziale e limitata alle città costiere[83]. Nel 533 un certo Goda, governatore vandalo di origine gotica, prese il potere per un breve periodo assumendo il titolo di "Rex"[84].
I Vandali, di religione ariana, confinarono sull'isola un certo numero di religiosi africani come il vescovo di Cartagine Fulgenzio (in seguito San Fulgenzio), e Feliciano, vescovo di Ippona[85]. In questo periodo storico si ebbe l'ascesa al soglio pontificio di due papi sardi: Ilario e Simmaco. La Sardegna rimase vandala per circa ottant'anni, dal 456 al 534[86].
La presa del potere da parte dei Bizantini iniziò con la conquista di Giustiniano nel 534, nel contesto della guerra vandalica combattuta contro i Vandali per il possesso dell'Africa: la Sardegna avrebbe fatto parte della prefettura del pretorio d'Africa[87]. Tra il 551 e il 552, mentre la guerra gotica infuriava sulla penisola italiana, contingenti Ostrogoti occuparono l'isola, strappandola per un breve periodo a Bisanzio[88].
Durante il pontificato di papa Gregorio I (590-604) la Sardegna rientrò sotto la sfera romana; da una lettera di Gregorio rivolta ad un certo Ospitone, "dux dei Barbaricini", si evince che la Sardegna interna era sostanzialmente indipendente e che lì si adoravano ancora le antiche divinità nuragiche[89].
A seguito dell'intensificarsi della presenza araba nel mediterraneo occidentale, dopo la conquista islamica della Sicilia (827) i contatti fra Bisanzio e l'isola si diradarono; nei secoli IX e X si consolidò l'autonomia politica che sarà propria della Sardegna giudicale. Le fonti scritte del periodo sono scarse, ma si suppone che nell'isola si fosse formata inizialmente un'unica entità statuale autonoma, con a capo l'Arconte di Sardegna o iudex Sardiniae[90], sulla quale Bisanzio esercitava un'autorità unicamente nominale.
Dopo il tentativo di conquista musulmana da parte di Mujāhid al-ʿĀmirī nel 1015, sventato dai Sardi per terra e dalle flotte di Pisa e Genova per mare[91], si formarono i quattro regni indipendenti di Torres, di Gallura, di Arborea e di Calari che diedero vita a un'efficace organizzazione politica e amministrativa caratterizzata da elementi di modernità rispetto ai regni coevi continentali. Ebbe così inizio il periodo dei giudicati, una forma di governo che durò per i successivi quattrocento anni. Il territorio era diviso in curatorie[92]; quello di Torres ne comprendeva 20, quello di Arborea 13, quello di Cagliari 14 e quello di Gallura 10. Alcuni degli antichi nomi sopravvivono ancora, anche se attualmente non corrispondono ad alcuna entità amministrativa[93].
Il sistema giuridico locale raggiunse il suo apice con la promulgazione della Carta de Logu arborense nel XIV secolo «considerata una delle più importanti Costituzioni di princìpi del Medioevo»[94].
A seguito della caduta dei giudicati di Calari (1258), Torres (1259) e Gallura (1288), negli ex-territori giudicali ora sotto l'influenza pisana e genovese, si aprì una nuova fase caratterizzata da un assetto politico-amministrativo signorile e comunale, ispirato ai modelli vigenti nell'Italia centro-settentrionale. Famiglie nobiliari quali i Della Gherardesca, i Malaspina e i Doria furono promotrici dei cambiamenti, affiancatisi a Pisa e Genova[95]. Questa fase storica si protrasse fino alla completa conquista aragonese dell'isola e alla conseguente unificazione del Regno di Sardegna.
Il Regno di Sardegna fu istituito nel 1297 da papa Bonifacio VIII, in ottemperanza al trattato di Anagni del 24 giugno 1295, per risolvere la crisi politica e diplomatica, sorta tra la Corona d'Aragona e il ducato d'Angiò, a seguito della guerra del Vespro per il controllo della Sicilia. L'atto di infeudazione, datato 5 aprile 1297, affermava che il regno apparteneva alla Chiesa e veniva dato in perpetuo ai re d'Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio e del pagamento di un censo annuo[96].
La conquista aragonese della Sardegna iniziò a partire dal 1323 con la guerra mossa dagli aragonesi, in alleanza con i sardi arborensi, contro i pisani[97]. La conquista fu successivamente a lungo contrastata dalla resistenza opposta sull'isola dallo stesso Regno di Arborea, guidato da Mariano IV d'Arborea e dai suoi figli, e poté considerarsi parzialmente conclusa solo nel 1420, con l'acquisto dei rimanenti territori dall'ultimo giudice per centomila fiorini d'oro[98].
Le istituzioni del Regno, oltre al viceré, erano le Cortes e la Reale Udienza: le Cortes o Stamenti erano un parlamento pattizio, in cui erano rappresentate le città regie, la chiesa e la nobiltà feudale; la Reale Udienza, istituita nel 1564 e basata sul modello delle audiencias spagnole, era il supremo tribunale del Regno, da cui deriva l'attuale Corte d'appello e, in assenza del viceré, ne assumeva i compiti di governo. Con l'acuirsi delle scorrerie dei pirati barbareschi, a partire dal XVI secolo fu impiantato un efficiente sistema di difesa con numerose torri litoranee e le piazzeforti di Alghero e Cagliari[99].
Il Regno di Sardegna fece parte della Corona d'Aragona fino al 1713, anche dopo il matrimonio di Ferdinando II con Isabella di Castiglia, allorquando l'Aragona si legò prima alla Castiglia, e poi dal 1516, in epoca già asburgica, anche alle altre entità statuali da loro governate.
Subito dopo la guerra di successione spagnola la Sardegna entrò a far parte dei domini degli Asburgo d'Austria, ma già nel 1720, con il trattato dell'Aia, venne ceduta, dopo una breve rioccupazione spagnola, ai Savoia che assunsero il titolo di Re di Sardegna a partire da Vittorio Amedeo II[100].
Nel 1847, con la cosiddetta fusione perfetta, tutti i possedimenti della casa reale sabauda confluirono nel Regno. Per mezzo di tale controverso atto giuridico, venne completamente meno la soggettività statuale dell'isola prima conservata, e scomparvero conseguentemente tutti i suddetti privilegi acquisiti in periodo iberico[101]; l'isola divenne così una regione di uno Stato più ampio[101]. Benché la fusione avesse definitivamente sancito il baricentro politico del Regno, eminentemente peninsulare, la residuale denominazione di "Regno di Sardegna" venne formalmente mantenuta finché, una volta raggiunta l'unificazione politica della penisola italiana, non assunse infine la denominazione di Regno d'Italia[102].
All'alba dell'Unità d'Italia le risorse economiche della Sardegna erano le sole materie prime e vi era pochissima attività industriale non mineraria. Alla situazione di povertà e arretratezza si aggiunse la recrudescenza del banditismo, duramente represso dallo Stato[103]. Nell'aprile 1868 nel Nuorese scoppiò la rivolta de Su Connottu[104]. Il 4 settembre 1904 si ricorda l'Eccidio di Buggerru, dove l'esercito sparò contro i minatori in sciopero e tre di loro vi persero la vita[105].
Nella prima guerra mondiale si distinse sui campi di battaglia la Brigata Sassari, nella quale furono arruolati 100 000 soldati sardi, di cui 13 602 caddero al fronte[106]. Alla fine del conflitto, gli ex-combattenti diedero origine ad ampi dibattiti ed iniziative, avanzando proposte di autonomia per risolvere diversamente i gravi mali che affliggevano l'Isola.[107]
Nacquero così nuovi fermenti politici che con Emilio Lussu portarono alla nascita il 17 aprile 1921 del Partito Sardo d'Azione, col simbolo dei Quattro Mori e con l'idea comune dei reduci di ottenere l'autonomia dell'isola.[108]
Nel ventennio furono avviate le bonifiche nella piana di Terralba, nella Nurra e in altre zone. Diversi centri sorsero dal nulla, il più popoloso fu quello di Carbonia, fondato nel 1938[109].
Durante la seconda guerra mondiale l'isola venne pressoché risparmiata dai combattimenti terrestri ma Cagliari fu pesantemente bombardata dagli Alleati e 2 000 cittadini persero la vita.
Nel 1948 la Sardegna divenne regione autonoma e si amministra da allora con uno statuto speciale.
Ben conosciuta nell'antichità sia dai Fenici sia dai Greci, fu da questi ultimi chiamata Ichnussa (in greco Ιχνούσσα) o Sandálion (Σανδάλιον) per la somiglianza della conformazione costiera all'impronta di un piede (sandalo)[112]. Sempre i Greci la chiamarono anche argyróphleps nêsos (ἀργυρόφλεψ νῆσος) ossia l'isola dalle vene d'argento, per via della ricchezza argentifera del suo sottosuolo[113]. Per Erodoto la Sardegna era l'isola più grande di tutto il mar Mediterraneo[114] e tale rimase nella conoscenza degli antichi navigatori per lungo tempo, in quanto la lunghezza delle coste sarde (1232 km escluse le isole) è effettivamente maggiore di quelle siciliane o cretesi.
Secondo recenti studi linguistici, l'appellativo latino Sardinia deriverebbe da un'altra denominazione greca conosciuta come Sardṓ (Σαρδώ, desinenza femminile tipica di alcuni toponimi greci; compara la variante morfologica Συρακώ Surakṓ dell'antica Siracusa), nome di una leggendaria donna anatolica della quale si ha notizia nel Timeo di Platone e le cui origini venivano da Sárdeis (Σάρδεις), capitale della Lidia[115].
Sallustio nel I secolo d.C. sosteneva che: «Sardus, generato da Ercole, insieme a una grande moltitudine di uomini partito dalla Libia occupò la Sardegna e dal suo nome denominò l'isola», e Pausania nel II secolo d.C. confermava quanto detto da Sallustio aggiungendo che: «Sardo venne dalla Libia con un gruppo di coloni e occupò l'Isola il cui antico nome, Ichnusa, mutò in Sardò ( [...] )»[116]. In una stele in pietra risalente all'VIII / IX secolo a.C. ritrovata nell'odierna Pula appare scritto in fenicio la parola b-šrdn che significa "in Sardegna", a testimonianza che tale toponimo era già presente sull'Isola all'arrivo dei mercanti fenici[117].
Con il decreto del presidente della Repubblica del 5 luglio 1952 la Regione autonoma ha prodotto uno stemma e un gonfalone. La legge regionale 15 aprile 1999, n. 10 all'art. 1 decreta: «La Regione adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura.» Di origine incerta, l'emblema dei quattro mori rappresenta un forte elemento identitario e il suo uso è documentato costantemente a partire dalla costituzione del regno di Sardegna e Corsica (1324) fino alla nascita della Regione Autonoma.
Lo stemma dei quattro mori comparve nei sigilli in piombo della Cancelleria reale aragonese sotto il regno di Pietro il Grande d'Aragona, l'esemplare più antico risale al 1281. La forma grafica attuale riproduce quella consolidatasi nel secolo XVIII ai fini istituzionali.
Nel 2018, in memoria dei vespri sardi, il canto Su patriotu sardu a sos feudatarios, da tempo ritenuto inno regionale nella cultura popolare, è stato ufficialmente riconosciuto come inno ufficiale della Sardegna[118]. Il testo era stato composto nel 1794 dal magistrato Francesco Ignazio Mannu in un contesto di fermento politico nutrito degli ideali dell'Illuminismo diffusi in Europa.
Attraverso un lungo ed elaborato percorso storico, alle iniziali culture indigene si aggregarono molteplici apporti di civiltà provenienti dal mondo mediterraneo, contribuendo a formare un'eterogeneità culturale dai tratti fortemente originali. L'archeologia ha evidenziato chiaramente questa lunga evoluzione, ritrovandone tracce nel variare dell'architettura delle costruzioni attraverso i secoli, ma questo lungo cammino si riscontra anche nelle tradizioni legate intimamente all'arte delle produzioni artigianali[119], alle variegate espressioni musicali, alle regole interne del mondo agro-pastorale e alla cultura sarda in generale.
I ritrovamenti e le preziose testimonianze del passato sono raccolte e custodite in numerosi musei e nei parchi archeologici sparsi sul territorio. Da diversi anni è in vigore una legge emanata dalla Regione autonoma della Sardegna che ha dato nuovo impulso alla riorganizzazione dei luoghi preposti alla custodia delle testimonianze del passato. Oltre ai musei, alle biblioteche e agli archivi storici, sono stati riorganizzati anche i parchi archeologici e gli ecomusei, espressione viva della memoria storica del territorio[120].
In base ad alcune teorie, la lingua protosarda, parlata nel periodo nuragico, sarebbe stata affine alle lingue paleoispaniche basco-iberiche[121] o a quella etrusca[122]
Le prime testimonianze scritte in Sardegna risalgono al periodo fenicio-punico con reperti come la stele di Nora. La conquista romana della Corsica e della Sardegna, avrebbe contrassegnato l'ascesa del latino, che a sua volta fu soppiantato nell'uso ufficiale solo dal greco durante il periodo bizantino. Dal XI secolo, il sardo, lingua neolatina, fu utilizzato in vari documenti ufficiali[123]. Altri documenti furono redatti in più lingue, come gli Statuti Sassaresi in latino e sardo, o ancora in toscano, come il Breve di Villa di Chiesa a Iglesias.
L'istituzione del Regno di Sardegna portò prima all'utilizzo del catalano e poi dello spagnolo fino al 1760, quando venne sostituito dall'italiano con le riforme sabaude di Giovanni Battista Lorenzo Bogino
In Sardegna coesistono oggi diverse lingue romanze, perlopiù appartenenti al sistema linguistico sardo e a quello italiano[124]. Il sardo è stato utilizzato in diverse epoche come lingua ufficiale delle istituzioni; tra i documenti più importanti vi sono i condaghi (condaghes), gli Statuti Sassaresi[125] (Istatutos Tataresos) e le Cartas, fra le quali spicca la celebre Carta de Logu del Giudicato di Arborea[126], rimasta in vigore fino alla sua sostituzione con l'italiano Codice Feliciano nel 1827.
A partire dal diciottesimo secolo, si è prodotto un lento ma pervasivo fenomeno di italianizzazione culturale delle strutture sociali, nonché di deriva linguistica verso l'italiano, in stadio ora avanzato. L'italiano è così la lingua più diffusa nell'isola: sulla base dei dati ISTAT del 2006, l'italiano era impiegato abitualmente dal 52,5% della popolazione sarda anche in ambito familiare[127].
La lingua sarda è convenzionalmente ripartita in varianti rappresentate da due modelli ortografici fondamentali e standardizzati:
Accanto alla lingua sarda propriamente detta, nel nord dell'isola sono parlati due idiomi romanzi di derivazione prevalentemente corso-toscana ma sovente associati al sardo:
Vi sono infine delle isole linguistiche non sarde, presenti nel versante occidentale dell'isola:
Con l'approvazione della legge n. 482 del 1999, che per la prima volta ha dato attuazione all'articolo 6 della Costituzione italiana, il sardo e il catalano sono stati riconosciuti e tutelati a livello statale come minoranze linguistiche storiche, mentre la tutela di sassarese, gallurese e tabarchino è riconosciuta sia dalla legge regionale n. 26 del 1997, sia dalla legge n. 22 del 2018[128]. Nell'ambito delle iniziative per la lingua sarda, la Regione ha avviato dei progetti denominati LSU (Limba Sarda Unificada) e LSC (Limba Sarda Comuna) al fine di definire e normalizzare trascrizione e grammatica di una lingua unificata che comprenda le caratteristiche comuni di tutte le varianti. Nell'aprile del 2006 la Limba Sarda Comuna è diventata lingua ufficiale per le comunicazioni in sardo dell'amministrazione regionale.
Nel XIX secolo il canonico Giovanni Spano diede inizio a diverse esplorazioni nei maggiori siti, pubblicando notazioni e descrizioni nel Bullettino archeologico sardo. Dal 1903 al 1936 l'archeologo Antonio Taramelli svolse una preziosa attività di recupero e catalogazione di siti nell'isola. Nel dopoguerra Giovanni Lilliu portò alla luce il villaggio nuragico di Su Nuraxi a Barumini, concorrendo ad aprire nuove prospettive e conoscenze sulla storia degli antichi Sardi[129].
I ritrovamenti archeologici conservati nei più importanti musei isolani hanno messo in risalto quale progresso sociale e culturale conseguirono le popolazioni preistoriche sarde ma anche il contributo dei colonizzatori di epoca storica.
Dell'architettura preistorica in Sardegna sono presenti numerose testimonianze come le domus de janas, le tombe dei giganti, i circoli megalitici, i menhir, i dolmen e i templi a pozzo; ancora oggi sono visibili i resti di migliaia di queste costruzioni di varia tipologia (semplice e complessa).
I Romani diedero un nuovo assetto amministrativo all'intera isola attraverso la ristrutturazione di diverse città, la creazione di nuovi centri e la realizzazione di molteplici infrastrutture di cui rimangono le rovine, come il palazzo di Re Barbaro a Porto Torres o l'anfiteatro di Cagliari.
Un particolare sviluppo ebbe nel periodo giudicale l'architettura romanica. La basilica di San Gavino a Porto Torres è considerato il testo architettonico di riferimento per lo sviluppo dell'architettura romanica in Sardegna[130].
I francescani introdussero forme del gotico italiano a partire dal XIII secolo. Gli Aragonesi concentrarono le prime realizzazioni a Cagliari: la più antica chiesa gotico-catalana della Sardegna è il santuario di Nostra Signora di Bonaria. Ad Alghero furono costruite la chiesa di San Francesco e la cattedrale.
L'architettura rinascimentale è scarsamente rappresentata e, in genere, si è manifestata in epoca tarda, spesso come interventi parziali su architetture preesistenti. La chiesa di Sant'Agostino di Cagliari è uno degli esempi più identificabile negli stilemi rinascimentali. L'architettura barocca ha avuto un discreto sviluppo: esempi interessanti sono la facciata della cattedrale di San Nicola a Sassari, la Collegiata di Sant'Anna e la chiesa di San Michele a Cagliari, la chiesa di Santa Caterina a Sassari e la cattedrale di Oristano, ricostruita nel XVIII secolo.
A partire dal XIX secolo, si diffondono nell'isola nuove forme architettoniche di stile neoclassico[131]. Tra le figure più rappresentative di questa fase architettonica spicca l'architetto cagliaritano Gaetano Cima. Altri da citare sono Giuseppe Cominotti e Antonio Cano (cupola di S. Maria di Betlem a Sassari e la cattedrale di Santa Maria della Neve a Nuoro). Nella seconda metà dell'Ottocento a Sassari fu realizzato il neogotico palazzo Giordano (1878) che rappresenta uno dei primi esempi di revivalismo nell'isola, mentre risale al 1933 la facciata neoromanica della cattedrale di Cagliari.
Il Neolitico fu il periodo in cui si rilevano le prime manifestazioni artistiche con le tipiche statuine della Dea Madre e di ceramiche incise con disegni geometrici. Successivamente la Cultura nuragica produrrà centinaia di statuine in bronzo e l'enigmatica statuaria in pietra dei Giganti di Mont'e Prama.
Il connubio tra le popolazioni nuragiche e i mercanti provenienti da ogni parte del Mediterraneo portò a una raffinata produzione di gioielli in oro,[132]. I Romani introdussero l'arte dei mosaici e ornarono con sculture e pitture le ricche ville dei patrizi[133].
Nel Medioevo, durante il periodo giudicale, le architetture delle chiese furono arricchite da capitelli, sarcofagi, affreschi, altari in marmo e impreziosite da retabli, dipinti da importanti pittori come il Maestro di Castelsardo, Pietro Cavaro, Antioco Mainas, Andrea Lusso, e la scuola del Maestro di Ozieri a cui facevano capo Giovanni del Giglio e Pietro Giovanni Calvano.
Nel XIX secolo e poi nel XX, si affermano i miti della genuinità del popolo sardo, di un'isola incontaminata e fuori dal tempo: tali miti verranno celebrati da artisti sardi quali Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Filippo Figari, Mario Delitala e Stanis Dessy. Nelle loro opere racconteranno i valori autoctoni del mondo agro pastorale, non ancora omologati alla modernità che premeva dall'esterno[134]. Altri artisti importanti della seconda metà del Novecento sardo sono stati Costantino Nivola, Salvatore Fancello, Giovanni Pintori, Maria Lai e Pinuccio Sciola.
La prima opera letteraria in sardo risale alla seconda metà del Quattrocento: un poemetto ispirato alla vita dei santi martiri turritani per opera dall'arcivescovo di Sassari Antonio Cano. La produzione letteraria ebbe un notevole sviluppo nel Cinquecento, il protagonista fu Antonio Lo Frasso, la sua Los diez libros de Fortuna de Amor è citata nel Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. L'opera è scritta principalmente in spagnolo, ma ci sono parti scritte in catalano e in lingua sarda. Quello del plurilinguismo è stato un tratto caratteristico degli scrittori isolani di quell'epoca fra questi si distinsero Sigismondo Arquer, Giovanni Francesco Fara e Pietro Delitala. Delitala scrisse in italiano, allora toscano, e Gerolamo Araolla nelle tre lingue[135]. Ma già nel Seicento si ha una totale integrazione nel mondo iberico come dimostrato dalle opere in spagnolo dei poeti José Delitala y Castelvì, Josè Zatrilla e gli scrittori Francesco Angelo de Vico e Salvatore Vidal.
Dal 1720, con il passaggio del Regno di Sardegna alla Casa Savoia, gradualmente l'italiano divenne lingua ufficiale. Nell'Ottocento si ha un rinnovato interesse degli autori sardi per la storia e la cultura della Sardegna: Giovanni Spano intraprende i primi scavi archeologici, Giuseppe Manno scrive la prima grande storia generale dell'isola, Pasquale Tola pubblica importanti documenti del passato e scrive biografie di sardi illustri. Alberto La Marmora percorre l'isola in lungo in largo, studiandola nei particolari e scrivendo un'imponente opera in quattro parti intitolata Voyage en Sardaigne.
Nei primi del Novecento la società sarda viene raccontata da Grazia Deledda, da Enrico Costa e dal poeta Sebastiano Satta. In questo secolo va ricordata anche la produzione letteraria di personaggi politici di grande valore come Antonio Gramsci ed Emilio Lussu. Nel secondo dopoguerra emerse Giuseppe Dessì noto principalmente per il suo romanzo Paese d'ombre. In anni più recenti vasta eco ebbero i romanzi autobiografici di Gavino Ledda Padre padrone e di Salvatore Satta Il giorno del giudizio, oltre alle opere di Sergio Atzeni e dei viventi attivi negli ultimi decenni (Nuova letteratura sarda)[135].
La musica tradizionale sarda, sia cantata sia strumentale, è molto antica. In un vaso risalente alla cultura di Ozieri, circa 3.000 anni a.C., sono raffigurate delle scene di danza[136]. La caratteristica danza sarda chiamata su ballu tundu viene accompagnata dal suono delle launeddas, un antico strumento che viene fatta risalire a un'epoca antecedente all'VIII secolo a.C. Su questo strumento sono stati eseguiti diversi studi fra la fine degli anni 1950 e i primi anni 1960 dal musicologo Andreas F. Weis Bentzon. Le launeddas sono tradizionalmente diffuse soprattutto nel Sarrabus, nel Campidano, nel Sinis e in Ogliastra.
Il canto a tenore è tipico della Barbagia ed è ritenuto un'espressione artistica peculiare e unica al mondo. La prima testimonianza potrebbe risalire a un bronzetto del VII secolo a.C. dove è raffigurato un cantore nella tipica posa dei tenores. Nel 2005 questo canto è stato riconosciuto dall'UNESCO come patrimonio orale e immateriale dell'Umanità[137]. Il cantu a chiterra è un canto nato in Logudoro e diffusosi successivamente anche in Gallura e Planargia. Questo canto ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo grazie alle numerose feste paesane durante le quali si svolgono delle vere e proprie competizioni tra cantadores, accompagnati da un chitarrista e spesso anche da un fisarmonicista[138], e ha avuto popolarità a livello internazionale grazie all'attività di Maria Carta. In ambito colto, la Sardegna ha dato i natali a diversi compositori tra i quali si ricordano Luigi Canepa, Gavino Gabriel, Lao Silesu ed Ennio Porrino.
Dai colori vivaci e dalle forme più svariate e originali, i costumi tradizionali rappresentano un chiaro simbolo di appartenenza a specifiche identità collettive. Sono considerati uno scrigno di tradizioni etnografiche e culturali dalle caratteristiche molto peculiari, frutto di secolari stratificazioni storiche[139]. Sebbene il modello base sia omogeneo e comune in tutta l'isola, ogni paese ha un proprio abbigliamento tradizionale, maschile e femminile.
Nel passato gli abiti si diversificavano anche all'interno delle comunità, svolgendo una precisa funzione di comunicazione in quanto rendevano immediatamente palese lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro in ambito sociale, la regione storica o il paese di appartenenza, un particolare stato civile (baghiàna/u, gathìa/u). Ancora oggi in varie parti dell'isola si possono incontrare persone anziane vestite in costumene, ma sino a metà Novecento il costume rappresentava il vestiario quotidiano in buona parte della Sardegna[140].
I materiali usati per la loro confezione sono tra i più vari: si va dall'orbace alla seta, al lino, dal bisso al cuoio. I vari componenti dell'abito femminile sono: il copricapo (mucadore), la camicia (camisa), il corpetto (palas, cossu), il giubbetto (coritu, gipone), la gonna (unnedda, sauciu), il grembiule (farda, antalena, defentale), in Ogliastra le donne di alcuni paesi hanno dei particolari ganci angancerias de prata sul copricapo. Quelli dell'abito maschile sono: il copricapo (berritta), la camicia (bentone o camisa), il giubbetto (gipone), i calzoni (cartzones o bragas), il gonnellino (ragas o bragotis), il soprabito (gabbanu, colletu), la mastruca, una sorta di giacca in pelle di agnello o di pecora priva di maniche (mastrucati latrones ovvero "briganti coperti di pelli" era l'appellativo con il quale Cicerone denigrava i Sardi ribelli al potere romano).
Le feste scandiscono da sempre la vita delle comunità isolane e in epoca moderna, soprattutto con la rivalutazione di molte sagre minori, sono legate al desiderio (e alla necessità) di riaffermare la propria unica identità culturale[141]. In Sardegna, andare per feste significa immergersi in una cultura antica alla scoperta di suoni e di armonie sconosciute, di balli ritmici con ricchi costumi tradizionali, di gare poetiche fuori dal tempo, di sfrenate corse di cavalli, di sfilate folcloristiche, a piedi o a cavallo, con preziosi e coloratissimi abiti d'altri tempi[142].
Spesso le feste durano diversi giorni e coinvolgono tutta la comunità; molte volte, per l'occasione, vengono preparati dolci speciali e organizzati banchetti con pietanze tradizionali a cui tutti possono partecipare. Le feste popolari più conosciute sono: sant'Efisio a Cagliari, la Faradda di li candareri (proclamato patrimonio orale e immateriale dall'UNESCO nel 2013) a Sassari, S'Ardia a Sedilo, Sa Sartiglia a Oristano, la Cavalcata sarda a Sassari, il carnevale allegorico di Tempio Pausania e i riti della settimana santa in varie parti dell'isola.
Sa die de sa Sardigna è una giornata di festività istituita dal Consiglio regionale della Sardegna con la Legge Regionale 14 settembre 1993 e si festeggia nella data istituzionalizzata del 28 aprile[143]. La festività fu istituita in memoria della ribellione popolare contro il sistema feudale e i soprusi baronali.
La Sardegna è sede di due università statali: l'Università di Sassari, fondata nel 1562 e a cui il re Filippo III concesse lo statuto di prima Università regia nel 1617, e l'Università di Cagliari, fondata nel 1607 ed entrata ufficialmente in funzione nel 1626[144].
La cucina sarda è molto varia ed è basata su ingredienti semplici e originali, derivati sia dalla tradizione pastorale e contadina, sia da quella marinara. Varia da zona a zona non solo nel nome delle pietanze ma anche nei componenti utilizzati[145]. Come antipasti sono diffusi i prosciutti di cinghiale e di maiale, le salsicce, accompagnati da olive e funghi, mentre per i piatti a base di pesce sono svariati gli antipasti di mare. Alcuni primi piatti tipici sono i malloreddus, i culurgiones, i cui ingredienti cambiano da paese a paese, il pane frattau, la fregula, la zuppa gallurese e le lorighittas. Come secondi piatti, gli arrosti costituiscono una peculiare caratteristica, tanto che quello del maialetto è considerato l'emblema della cucina sarda.
Diverse tecniche, trasmesse di generazione in generazione per lavorare la pasta, insieme ai molteplici procedimenti per farla lievitare, contribuiscono a offrire una vasta scelta di originali forme di pane in ogni regione dell'isola[146]. Alcuni tipi di pane più diffusi sono: il pane carasau, tipico pane della Barbagia, composto da una sfoglia croccante, rotonda e piatta, il nome deriva da carasare che in sardo significa tostare, cosparso d'olio, salato e scaldato al forno viene chiamato pane gutiau[147]; il pistocu (tipico ogliastrino), di spessore maggiore della sfoglia di pane carasau; la spianada, conosciuta anche come cogones o cogoneddas, pagnotta di semola di grano duro, dalla forma rotonda e non molto spessa[148]; in Ogliastra è tipico il pani pintau, i prodotti più significativi provengono da Tertenia e Ulassai, in quest'ultimo paese si realizza anche un pane unico nel suo genere il pani de binu cotu, per le feste. Il civraxiu, tipico del Campidano, è una grande pagnotta che si consuma a fette; il coccoi a pitzus, pagnotta decorata di semola di grano duro; il pane 'e poddine, tipico del Logudoro e dell'Anglona, dal diametro di circa 40 cm, e noto anche con il nome di pane di Ozieri o anche pane ladu, è molto simile al pane che i Greci, gli Arabi e gli Ebrei chiamano pita.
Legata a particolari ricorrenze, la lavorazione dei pani votivi e la preparazione dei dolci in certe regioni dell'isola può diventare un'arte. Gli ingredienti sono semplici e vanno dalla farina di grano duro alle mandorle, al miele. In alcuni dolci si usa come ingrediente anche il formaggio o la ricotta[149]. A gennaio in alcune regioni, per i falò di sant'Antonio, vengono preparati come dolci le cotzuleddas, i pirichitos e il pistiddu. Per carnevale si preparano le frisolas, le catas, le orilletas e le tzìpulas.
Per la festa di san Marco sono tipici i pani votivi artistici, gialli per la presenza dello zafferano, decorati con delle particolari fantasie floreali viste come delle vere e proprie effimere opere d'arte. Per la Pasqua si preparano le pitzinnas de ou, le pardulas o casadinas, le tzilicas e la pischedda. Per Ognissanti dolci caratteristici sono il pane de saba e i vari pabassinos. Per i matrimoni si preparano dolci molto variegati e ricchi di decorazioni come i singolari gatò, sos coros, s'arantzada. In altre occasioni sono comunemente diffusi il torrone, le seadas, i rujolos, i mostaccioli, i sospiri, particolarmente delicate e pregiate le copulette (tiriccas) di Ozieri.
La Sardegna ha un'antica tradizione pastorale e offre una vasta produzione di formaggi pecorini esportati e apprezzati ovunque, soprattutto in Nord America. Sono tre i formaggi DOP: il Fiore Sardo, il Pecorino Sardo e il Pecorino Romano che, a dispetto del nome, è prodotto per il 90% nell'isola.
Come evidenziato da alcune ricerche archeologiche, la coltura della vite in Sardegna risale all'epoca della civiltà nuragica[150]. Tale tradizione è continuata con i Romani e poi attraverso le varie occupazioni straniere si è ancora arricchita. Tra i vini rossi si annoverano il Cannonau, il Monica, il Carignano del Sulcis, il Girò, mentre tra i bianchi vi sono quelli previsti dal disciplinare Vermentino di Gallura DOCG, la Malvasia di Bosa, il Nasco, il Torbato di Alghero, il Nuragus di Cagliari, il Moscato, la Vernaccia di Oristano[151]. A fine Novecento diversi vitigni minori sono stati riscoperti e sono oggetto di un'importante valorizzazione da parte di diversi produttori sardi.
È il caso di vitigni come il Cagnulari (che era in via di estinzione), del Caddiu (valle del Tirso), del Semidano[151] e altri. Vista la lunga tradizione, molti vini sono DOC, e variano di gusto e di gradazione a seconda delle regioni in cui vengono prodotti. Si produce l'acquavite che è nota con il nome di filu 'e ferru o abbardente. Tra i liquori, il liquore di mirto (sia bianco sia rosso) e il Villacidro sono tra i più diffusi.
Nonostante una civiltà plurimillenaria e una popolazione residente quasi triplicatasi nell'arco di circa 140 anni, la Sardegna è una delle poche regioni europee in cui un'economia moderna e diversificata convive con un ecosistema naturale ancora intatto, se non vergine, in vaste aree del territorio; questo fatto è spiegabile demograficamente grazie alla bassa densità abitativa, pari a 69 ab./km², dato al terzultimo posto fra le regioni italiane, preceduto solo dalla Valle d'Aosta con 39 ab./km² e dalla Basilicata con 60 ab./km².
Questa densità si ritrova equamente distribuita in maniera diversa in base ai territori, con un minimo nella provincia di Nuoro con 37,69 ab./km², passando per i 52,84 ab./km² della provincia di Oristano, i 54,68 ab./km² della provincia del Sud Sardegna, i 64,22 ab./km² della provincia di Sassari per finire con i 345,87 ab./km² della città metropolitana di Cagliari. Lo scostamento di tali valori è dovuto sostanzialmente alla dislocazione della popolazione sul territorio dell'isola: alte densità si ritrovano infatti attorno ai maggiori centri urbani (Cagliari e area metropolitana, Sassari, Olbia, Alghero, Nuoro e Oristano), mentre densità scarse sono tipiche delle zone dell'entroterra caratterizzate da centri abitati di piccole dimensioni e vaste zone non urbanizzate.
I centri urbani della Sardegna sono di modeste dimensioni e solo due (Cagliari e Sassari) superano i 100 000 abitanti, risultando essere anche i due poli principali della regione.
Olbia, Alghero, Nuoro e Oristano hanno invece popolazione superiore a 30 000 abitanti, e fungono da riferimento per i relativi territori.
Altri comuni con popolazione compresa tra 10 000 e 30 000, risultano essere polarità locali. Tra questi vi sono Carbonia, Iglesias, Arzachena, Tempio Pausania, Villacidro, Siniscola, Tortolì, Guspini, La Maddalena e Sant'Antioco.
I comuni conurbati con popolazione oltre i 10 000 abitanti sono Quartu Sant'Elena, Selargius, Assemini, Capoterra, Sestu, Monserrato e Sinnai afferenti a Cagliari e Porto Torres e Sorso afferenti a Sassari.
La presenza dell'uomo moderno sull'isola risale al Paleolitico superiore (grotta Corbeddu)[153] e al Mesolitico (es. Amsicora)[154], ma è solo a partire dal Neolitico antico che si ha una capillare occupazione del territorio grazie all'arrivo di nuove popolazioni dall'Europa continentale[154] che introdussero la cosiddetta rivoluzione neolitica, originatasi nel Vicino Oriente. Durante l'Età dei metalli altre genti, provenienti da varie regioni europee, si spinsero sull'isola, sovrapponendosi o mischiandosi con chi le precedeva[155].
Dal VIII secolo a.C. circa, i Fenici si insediarono in alcune località costiere. Successivamente sia i Cartaginesi che i Romani fondarono nuovi insediamenti e deportarono nell'isola un vasto numero di schiavi, utilizzati per lavorare nelle miniere e nelle pianure come agricoltori, per la produzione intensiva di cereali[156].
Importante, nel Medioevo, fu anche l'afflusso di genti toscane, liguri[157] e còrse e successivamente iberiche, durante la dominazione aragonese e spagnola[157], mentre in epoca moderna, nel XVIII secolo, ci fu l'insediamento dei tabarchini nell'isola di San Pietro (Carloforte) e nell'estremità settentrionale dell'isola di Sant'Antioco (Calasetta). Nella prima metà del XX secolo arrivarono alcune popolazioni venete, chiamate da Mussolini a insediarsi nelle bonifiche dell'oristanese e che nel 1928 fondarono Mussolinia, in seguito rinominata Arborea. Numerosi lavoratori giunsero da varie regioni d'Italia per popolare il grosso centro minerario di Carbonia, nel Sulcis (1938). Nel 1946 arrivarono gli esuli istriano-giuliano-dalmati scampati all'epurazione etnica perpetrata in Dalmazia e nell'Istria, che si stabilirono a Fertilia, nella Nurra di Alghero[158]. Tra la fine del XX secolo è l'inizio del XXI si è registrato un discreto flusso immigratorio di cittadini provenienti da altri paesi europei ed extra-europei. La popolazione straniera al 31-12-2020 ammontava a 51 976 persone, il 3,3% della popolazione totale sarda[159].
I primi flussi emigratori considerevoli si registrano verso la fine dell'Ottocento, in seguito all'interruzione del trattato commerciale con la Francia nel 1888[160][161]. Il picco massimo fu raggiunto nel biennio 1896-1897 allorché partirono oltre 5.200 persone dirette principalmente in America[162].
Considerando il periodo che va dal 1876 al 1903 gli espatri sardi furono verso il bacino del Mediterraneo e l'Europa (complessivamente il 61,9%), mentre il resto dei flussi emigratori era quasi interamente destinato verso le Americhe (di cui oltre il 92% con meta il Brasile)[163]. Dai primi anni del Novecento il flusso divenne costante[161], dal 1901 al 1905 la destinazione principale fu l'Africa. Dal 1906 al 1914 la media annuale crebbe in maniera considerevole e anche le destinazioni cambiarono infatti l'America divenne la meta più ambita seguita dall'Europa, mentre in Africa si indirizzò il flusso minore[163].
Dopo l'intervallo della prima guerra mondiale il flusso riprese e nell'intervallo fra il 1919 e il 1925 l'Europa assorbì la maggioranza degli emigranti[163]. In totale considerando l'intervallo dal 1876 al 1925 si contano 44 619 emigrati verso l'Europa[163], 44 169 verso l'America[163] e 34 190 verso l'Africa[163]. Dal 1987 al 1999, secondo le statistiche, sono emigrati 15 647 isolani[161] (82% in Europa, 16% nelle Americhe), mentre ne sono rientrati 12 869[161], con una differenza di 2 598 unità. La situazione all'inizio del XXI secolo vede la popolazione sarda emigrata all'estero stabilita nell'81% dei casi in alcuni dei maggiori paesi europei (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Svizzera)[161], altre mete sono nazioni come Inghilterra, Spagna, Argentina e Venezuela. Fra questi un numero cospicuo è costituito da giovani laureati[164]. Una caratteristica particolare del movimento migratorio sardo fu quello dell'emigrazione femminile che in alcuni periodi, come negli anni sessanta era comparabile come numero a quella maschile[165].
Secondo Eurostat nel 2009[166] la Sardegna aveva un reddito pro capite a parità di potere di acquisto pari all'80% della media dell'Unione europea[166]; le regioni italiane più povere erano la Sicilia e la Calabria con il 68%, la suddivisione più ricca era la Provincia autonoma di Bolzano con il 148%[166]. Tra le altre regioni insulari dell'Europa meridionale, le più ricche erano la piccola regione greca dell'Egeo Meridionale col 114%, le isole Baleari col 110% e Cipro col 100%; seguivano la Corsica col 90%, le Canarie col 87%, Creta col 85%, Malta col 82%[166].
Al 2020 i dati parrebbero indicare che, all'interno di un Paese con differenze regionali rilevanti rispetto ad altri Stati dell'Unione Europea, il livello di benessere dei sardi sia tra i più elevati del Mezzogiorno, assieme all'Abruzzo, tenendo in conto solo le medie regionali italiane[167]. Facendo invece il paragone con le altre regioni insulari della fascia mediterranea e atlantica, pur non essendoci particolari differenze, e tenendo conto della estensione territoriale e della consistenza demografica (solo la Sicilia e le Canarie sono più popolose), la situazione della Sardegna non appare particolarmente rosea. Le ragioni del ritardo sono antiche e complesse: l'insularità è di per sé una diseconomia[168] (la Sardegna è una delle regioni insulari più lontane dall'Europa continentale) e le scelte di politica economica da parte sia del governo italiano sia dell'amministrazione regionale sarda non hanno permesso la sostanziale diminuzione del divario con l'Italia centro-settentrionale, nonostante ingenti investimenti pubblici nel corso degli ultimi decenni.
Oltre al commercio, al pubblico impiego e alle nuove tecnologie, l'attività trainante dell'economia è il turismo, sviluppatosi inizialmente lungo le coste settentrionali dell'isola. Il terziario è il settore che occupa il maggior numero di addetti; gli occupati sono ripartiti nei tre settori nelle seguenti percentuali:
Il tasso di disoccupazione nel 2019, secondo l'ISTAT, si attestava sul 19,8%[169].
La nascita del settore industriale sardo contemporaneo (escludendo quindi il settore minerario) è principalmente dovuta all'apporto dei finanziamenti statali al Piano di Rinascita[170] negli anni sessanta-settanta, che portò alla formazione dei cosiddetti poli di sviluppo industriali nei settori chimico, petrolifero e metallurgico[171][172] in varie aree dell'isola. Oltre ad essi sono attive imprese industriali nel settore alimentare, manifatturiero, metalmeccanico[173], edile e legato alla lavorazione del sughero[174].
L'energia viene prodotta da centrali a carbone, idroelettriche (nei bacini artificiali) e da vari parchi eolici[175].
La Sardegna è la regione italiana con il sottosuolo più ricco di minerali[20]. Prima l'ossidiana[20][176], poi l'argento, lo zinco e il rame[20][176] sono stati fin dall'antichità una vera ricchezza per l'isola, posizionandola al centro di intensi traffici commerciali. Molti centri minerari erano sfruttati per l'estrazione di piombo, zinco, rame e argento, e dall'Ottocento in poi furono aperte miniere di carbone, antimonio, bauxite e oro[177].
Dopo il secolare sfruttamento, dalla seconda metà degli anni sessanta[176] molti siti minerari hanno cessato l'attività e le zone minerarie si stanno convertendo sempre di più al turismo legato all'archeologia industriale[178][179].
Il 47,9% della superficie della Sardegna è sfruttata per pascoli e agricoltura[180]: di questo per il 60,1% per l'allevamento, il 34,1% per l'agricoltura e il resto è occupato da coltivazioni legnose[180]. In Sardegna vivono oltre 3 milioni di ovini[180], quasi la metà dell'intero patrimonio nazionale[181], a fronte di circa 12 600 pastori[182]. La Sardegna si è specializzata da millenni nell'allevamento ovino e, in minor misura, caprino e bovino[180]. Nell'isola si contavano nel 2012 126 000 capi appartenenti alla razza "capra sarda". Oltre alla carne, dal latte ricavato si produce anche una grande varietà di formaggi[183].
Anche l'agricoltura ha avuto un ruolo molto importante nella storia economica della Sardegna, soprattutto nella grande piana campidanese, nel centro-sud dell'isola, particolarmente adatta alla cerealicoltura[183]. Nel XXI secolo il settore agricolo è legato soprattutto a produzioni specializzate come quelle cerealicola, vinicola, dell'olivicoltura, degli agrumi e del carciofo. Le bonifiche hanno aiutato ad estendere le colture e di introdurre alcune coltivazioni specializzate quali ortaggi e frutta, accanto a quelle storiche dell'ulivo e della vite che sono presenti nelle zone collinari.
Nel patrimonio boschivo è presente la quercia da sughero, la quale cresce spontanea favorita dall'aridità del terreno e che viene esportata; la Sardegna produce infatti circa l'80% del sughero italiano[184].
Resa insicura in passato dalle frequenti scorrerie saracene e barbaresche[185], la pesca è un'attività affermatasi tra il Settecento e l'Ottocento[185], grazie alla pescosità dei mari circostanti e alla notevole estensione costiera dell'isola[186]. È molto sviluppata a Cagliari, ad Alghero e nelle coste del Sulcis[186], oltre ad avere rilevanza anche in Gallura e nell'Oristanese (anguille[187] e muggini[186]). Ottima è la produzione di mitili, specialmente a Olbia[186].
Nelle zone di Alghero, Bosa e Santa Teresa è molto attiva la pesca alle aragoste[188] insieme alla raccolta del corallo[186]. Di antica tradizione e mai abbandonata è la pesca del tonno[189] specie nei dintorni di Carloforte[190].
Nell’antichità e nell’Alto Medioevo la Sardegna era isola molto conosciuta anche per la sua produzione di speciali tinte purpuree dovuta alla pesca di un’ottima qualità di murice, un gasteropodo che ancora si può trovare nei mari di quell’isola, per esempio tra le scogliere di Costa Paradiso. Così ne leggiamo infatti nel Lexicon del Suida (X sec.): Sardinia. Insula maxima juxta Italiam, in qua insignes & intensi admodum coloris purpuræ nascuntur. Et proverbium: ‘Tinctura Sardonica’. Id est, rubra & purpurea[191].
L'artigianato tradizionale sardo è un insieme di arti popolari estremamente vario, sviluppato in campi molto diversi, ricco di gusto e originalità. Alcune di queste forme artistiche sono di origine antica ed hanno subito l'influenza delle diverse culture che hanno segnato la storia dell'isola[192].
La tessitura in lana, cotone e lino di tappeti, arazzi, cuscini e tende è in larga parte ancora praticata a mano con telai di concezione molto antica. I gioielli tradizionali sono in filigrana[193]. Tra essi la corbula, ossia il bottone sardo. La lavorazione del legno è caratterizzata da prodotti originali come le cassapanche intagliate, le sedie impagliate di Assemini, le biseras dei Mamuthones (le maschere tradizionali mamoiadine), e le produzioni in sughero di Calangianus[194].
L'artigianato della cestineria in asfodelo è molto diffuso, specie nell'oristanese, nei paesi di Flussio e Tinnura. A Castelsardo sono presenti attività artigianali di produzione di cesti e nasse mediante intreccio della palma nana, del giunco e della rafia. Le ceramiche hanno una forma semplice e lineare. Altra antica tradizione artigianale sarda è quella legata alla coltelleria artigianale, con la produzione della arresoja, resolza o resorza[195] nella cui lavorazione si distinguono gli artigiani di Pattada e Arbus.
L'oreficeria sarda ha radici antiche:[196] alcuni oggetti risalgono all'epoca fenicia e punica.[197] Nel corso dei secoli, l'arte dell'oreficeria sarda è stata tramandata di generazione in generazione, evolvendo ed arricchendosi di nuovi stili e tecniche. I gioielli tradizionali sono in filigrana.[193] Tra essi ci sono: la corbula, ossia il bottone sardo[198][199], spille,[200] il pendente lasu[201], l'anello maninfide,[202] e la fede sarda.
In Sardegna dai primi anni 1990 si è consolidata una forte competenza sulle tecnologie digitali. A Pula sorge il CRS4 (Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna) che, sotto la guida del premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia[203], ha permesso di portare avanti progetti di respiro nazionale e internazionale, come il primo sito web italiano (1993)[204], il primo giornale on-line europeo curato dall'Unione Sarda (1994)[205], uno dei primi Internet service provider italiani, Video On Line[203], e propiziato la nascita di Tiscali, la cui sede è sita nell'omonimo campus in località Sa Illetta a Cagliari, e diverse altre iniziative. Presso il CRS4 sono presenti inoltre centri di sviluppo e laboratori di innovazione della multinazionale cinese Huawei[206].
Nel novembre del 2016 presso il comune di Codrongianos il Gruppo Terna crea il suo polo tecnologico più avanzato in Europa a supporto e protezione delle reti elettriche nazionali con 250.000 metri quadrati di ricerca e innovazione hi-tech.
L'anno successivo, sempre a novembre, presso il Blocco A della Cittadella Universitaria di Cagliari nasce il C.E.S.A.R (Centro Servizi Ateneo per la Ricerca) che ospita diversi ambienti multidisciplinari di ricerca polivalente con attrezzature di altissimo livello tecnologico, uniche in Sardegna.
Nel 2018 presso gli impianti delle miniere di carbone di Seruci, nel territorio di Gonnesa è in attivo il "Progetto Aria", con il quale si utilizza uno dei diversi pozzi della miniera come torre di distillazione criogenica, cioè un moderno e tecnologico impianto di frazionamento dell'aria per la produzione di Argon, necessario per lo studio sulla Materia oscura[207], e diversi altri isotopi necessari per la farmaceutica. Il progetto è in collaborazione con gli apparati dei Laboratori nazionali del Gran Sasso[208].
Il Distretto aerospaziale della Sardegna (DASS) collabora con gli apparati del CRS4 e attraverso quest'ultimo nel comune di San Basilio (SU) è nato il Sardinia Radio Telescope che nel 2017 ha permesso una collaborazione proficua con la NASA[209].
Nel luglio del 2018 presso il comune di Assemini l'Eni ha realizzato un laboratorio tecnologico permanente per risolvere problematiche in campo ambientale ed energetico per la realizzazione di impianti tecnologicamente avanzati quali il CSP (Concentrated Solar Power) già sviluppati con il Politecnico di Milano; in regione è presente anche il poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra, nel quale è in fase di sperimentazione dal 2021 lo Space Propulsion Test Facility di Perdasdefogu.
Dal 2008 è in fase di studio il Telescopio Einstein, il sito sardo candidato ad ospitare questo progetto di terza generazione è la Miniera di Sos Enattos a Lula.
Grazie al clima mite, ai paesaggi incontaminati, alla purezza delle acque marine, la Sardegna attira ogni anno un gran numero di vacanzieri (nel 2007 le presenze turistiche per la prima volta hanno superato i 10 milioni di visitatori)[210]. I primi investimenti e i primi piani di sviluppo risalgono al 1948 e furono attuati attraverso l'ESIT (Ente Sardo Industrie Turistiche). Il primo boom turistico si sviluppò a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, soprattutto ad Alghero e nella sua riviera del Corallo. Pochi anni dopo nacque la Costa Smeralda che ben presto si affermò tra il jet set internazionale, divenendo la località turistica sarda per eccellenza grazie al turismo indotto dalla cultura di massa.
Dagli anni novanta, con la diffusione delle compagnie aeree low cost ha preso piede il fenomeno dei viaggi di breve durata in ogni periodo dell'anno; questa nuova tipologia di turismo ha avuto nell'isola un notevole sviluppo, favorendo la diversificazione, la destagionalizzazione ed interessando anche le zone interne ed il turismo culturale[211], oltre che il turismo equestre, l'escursionismo, il birdwatching, trekking la vela e il free climbing.
Si è sviluppata nel tempo una buona rete di servizi e d'impianti portuali e aeroportuali, che collegano l'isola al continente italiano ed europeo. Il servizio regionale di trasporti pubblico ARST (Azienda regionale sarda trasporti) è presente negli aeroporti e nei porti in coincidenza con l'arrivo degli aerei e dei traghetti.
Tramite moderne stazioni marittime e traghetti, la Sardegna è collegata con i più importanti porti italiani del mar Tirreno e del mar Ligure, ma anche con la Francia e la Spagna. Inoltre con alcune delle sue isole minori.
Tre aeroporti internazionali (Alghero-Fertilia, Olbia-Costa Smeralda, Cagliari-Elmas) smistano il traffico in arrivo e in partenza verso le principali città italiane e svariate destinazioni europee, quali il Regno Unito, la Francia, la Spagna e la Germania. Le principali compagnie che operano in Sardegna sono ITA Airways, Volotea, Ryanair, easyJet, TUI fly e Wizz Air.
La rete ferroviaria, costruita in buona parte sul finire del XIX secolo, si sviluppa per circa 600km e si limita a congiungere le città principali e i porti. L'intera rete ferroviaria non è elettrificata, in parte è a scartamento ordinario (Rete Ferroviaria Italiana) e in parte a scartamento ridotto (ARST).
La Sardegna è l'unica regione italiana senza autostrade: i collegamenti sono garantiti da superstrade che collegano le principali città. La strada statale 131 Carlo Felice attraversa l'isola da nord a sud collegando Cagliari a Porto Torres, mentre una sua deviazione, detta Diramazione Centrale Nuorese, collega l'arteria ad Olbia passando per Nuoro. Le statali 291 var e 729 collegano infine Alghero e Olbia passando per Sassari.
Lo Statuto speciale sardo, approvato con legge costituzionale nel 1948, è previsto dall'ordinamento costituzionale italiano, laddove l'art. 116, c. 1, sancisce forme e condizioni particolari d'autonomia per cinque regioni, fra cui la Sardegna.
Per quanti si occupano di studi sardi, le speciali condizioni di autonomia sono il riconoscimento di una situazione storica, geografica, sociale, etnica e linguistica fortemente caratterizzata[212][213]. Nel quadro della situazione statale, secondo l'allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, lo Statuto speciale rappresenterebbe in Italia un unicum in risposta a impegni, mai rispettati completamente, presi in precedenza verso i sardi dal governo centrale[214].
Il percorso verso le condizioni di relativa autonomia statutaria, dopo la sua rinuncia offerta dalla classe dirigente isolana attraverso la Fusione perfetta con gli Stati sardi di terraferma nel 1847, fu lungo e travagliato ed è passato attraverso un difficile processo di integrazione entro il contesto di una forma di Stato unitaria, richiedendo anche un pesante sacrificio di sangue durante la Grande guerra[215]. A detta di alcuni storici, davanti al sacrificio delle fanterie sassarine sui fronti del Carso l'Italia avrebbe contratto un debito verso l'Isola[215]. Il Presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, visitando il fronte in uno dei momenti più critici promise ricompense alla fine del conflitto; Di ritorno a Roma ebbe a dire in Parlamento: «quando vidi i fanti della Brigata Sassari ebbi l'impulso di inginocchiarmi. La Nazione ha contratto un debito di riconoscenza per i sacrifici ed il valore dei Sardi in guerra, e questo debito pagherà»[215][216]. Al ritorno dal fronte gli ex-combattenti si organizzarono politicamente dando vita al Partito Sardo d'Azione la cui principale rivendicazione fu l'autonomia, riconosciuta con lo Statuto speciale - dopo la parentesi fascista - dall'Italia repubblicana il 22 dicembre 1947, cent'anni dopo la fusione perfetta del 1847[215].
Al contrario dell'Alto Adige, il cui statuto si basava per rispondere alle esigenze delle minoranze linguistiche, in quello sardo non si rinviene alcun riferimento all'identità geografica e culturale dell'isola: al contrario, la "specialità" fu ricondotta a misure di contrasto nei confronti della "arretratezza" economico-sociale della regione, e delle istanze indipendentiste finora presenti[217].
Lo Statuto, così redatto, fu infine approvato il 26 febbraio 1948.
Le funzioni attribuite dallo Statuto alla Regione sono riconducibili a tre: funzione legislativa, funzione amministrativa, funzione politica e sono esercitate dai seguenti organi, istituiti nel 1948[218]:
Oltre ai partiti politici nazionali, sono presenti nell'Isola diversi partiti regionali, fra cui movimenti di ispirazione autonomista o indipendentista. Tra di essi il partito di più lunga tradizione sardista è il Partito Sardo d'Azione, fondato da Emilio Lussu e Camillo Bellieni[224], che nella persona di Mario Melis negli anni ottanta espresse il presidente della Giunta regionale, fatto ripetutosi con Christian Solinas, eletto nel 2019. Altri partiti locali, fra cui diversi movimenti e gruppi politici indipendentisti, esprimono qualche rappresentante nei Comuni e in Consiglio regionale.
La Sardegna ha avuto nel tempo diverse suddivisioni amministrative e territoriali. Inizialmente, già in periodo romano, il territorio sardo era stato suddiviso in diocesi ecclesiastiche, successivamente, nel periodo medioevale, la Sardegna era ripartita in giudicati e in curatorie, con dei brevi intermezzi signorili e comunali. Poi durante il dominio aragonese e spagnolo, l'isola venne divisa in vari feudi con marchesati, baronie e contee, che lasciarono tracce profonde come nel caso della regione storica delle Baronie. Nel XIX secolo la Regione era già organizzata con prefetture, province, tribunali, mandamenti e comuni.
La Sardegna è suddivisa in regioni storiche che derivano direttamente, sia nella denominazione che nell'estensione, dai distretti amministrativi, giudiziari ed elettorali dei regni giudicali, le curatorie (in sardo curadorias o partes) che probabilmente ricalcavano una suddivisione territoriale ben più antica operata dalle tribù nuragiche.
Nel 1848, durante il periodo sabaudo, l'isola fu suddivisa in 3 divisioni (Cagliari, Nuoro e Sassari), 11 province (Alghero, Cagliari, Cuglieri, Iglesias, Isili, Lanusei, Nuoro, Oristano, Ozieri, Sassari e Tempio Pausania), 84 mandamenti e 363 comuni. Nel 1859 la Sardegna fu suddivisa in 2 province (Cagliari e Sassari), 9 circondari (corrispondenti alle 11 ex province precedenti, meno Cuglieri e Isili), 91 mandamenti e 371 comuni: questo assetto perdurò anche dopo l'unità d'Italia e permase intatto per quasi settant'anni. Nel gennaio 1927 alle province di Cagliari e Sassari si aggiunse la provincia di Nuoro, mentre nel luglio 1974 fu istituita la provincia di Oristano. Tale assetto giunse fino agli inizi del XXI secolo.
Nel 2001, infatti, il Consiglio regionale della Sardegna deliberò l'istituzione di quattro nuove province, divenute operative nel 2005: Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio. Nel 2016 divenne operativa la città metropolitana di Cagliari, composta dal capoluogo e da altri sedici comuni, per una popolazione di circa 418 000 abitanti e una superficie di 1 248 km²: di conseguenza il restante territorio della provincia di Cagliari e l'intero territorio del Medio Campidano e di Carbonia-Iglesias furono fusi nella nuova provincia del Sud Sardegna, che si aggiungeva a quelle di Oristano, Nuoro e Sassari.
Stemma | Città metropolitana e province | Comuni | Superficie (km²) | Abitanti[225] |
---|---|---|---|---|
Città metropolitana di Cagliari | 17 | 1 248 | 418 063 | |
Provincia di Sassari | 92 | 7 692 | 472 566 | |
Provincia di Oristano | 87 | 3 034 | 148 659 | |
Provincia di Nuoro | 74 | 5 786 | 196 490 | |
— | Provincia del Sud Sardegna | 107 | 6 339 | 330 828 |
Regione Autonoma della Sardegna | 377 | 24 100 | 1 651 793 |
L'intero territorio regionale della Sardegna costituisce il distretto della Corte d'appello di Cagliari[226] (con sezione staccata di Sassari), all'interno del quale si trovano i sei Tribunali (Cagliari, Lanusei, Nuoro, Oristano, Sassari e Tempio Pausania[227]), la cui circoscrizione territoriale di ciascuno viene definita circondario.
In Sardegna sono presenti varie installazioni militari (basi, poligoni, aeroporti, depositi). In totale esse occupano oltre 350 km², corrispondenti a circa l'1,5% della superficie dell'isola[228] e circa il 61% del totale delle servitù militari italiane, rendendo la Sardegna l'area più militarizzata d'Italia e tra le più militarizzate d'Europa[229]. Alle aree militari a terra si affiancano aree a mare per una superficie totale di 20 000 km² (poco meno della superficie regionale), che vengono interdette alle attività civili durante le operazioni di esercitazione[228]. Particolarmente significativi sono i poligoni di Quirra, di Capo Teulada e di Capo Frasca, presso i quali prendono parte alle esercitazioni non solo truppe italiane ma anche di altri paesi NATO. Presso La Maddalena fu operativa dal 1972 al 2008 una base navale statunitense, in cui operavano sommergibili a propulsione atomica[228][230].
Diffusosi in Sardegna dalla seconda metà dell'Ottocento in poi (in particolare da secondo dopoguerra), lo sport fu praticato inizialmente nelle città, per poi diffondersi nelle periferie e nei centri minori. Le prime società sportive furono fondate a Cagliari, a Sassari e nel Sulcis dove era alta la concentrazione di operai che lavoravano nelle miniere.
Con riferimento ai dati ISTAT 2009 lo sport coinvolge circa il 28% della popolazione sopra i 3 anni con circa 460 000 praticanti[231] (cifra che raddoppia considerando anche coloro che praticano semplice attività fisica), divenendo un fenomeno di massa, sostenuto anche da iniziative della Regione Sardegna (legge n. 17/1999)[231], che favoriscono l'organizzazione di eventi sportivi anche a livello internazionale. L'isola è rappresentata a livello nazionale con una o più squadre nelle massime serie, A o B, in vari sport di squadra; a livello internazionale, la Sardegna è riconosciuta dalla ConIFA, associazione calcistica che rappresenta selezioni non affiliate alla FIFA[232].
Uno sport in particolare, s'istrumpa, o lotta sarda, disciplina riconosciuta dal CONI e dalla Federazione internazionale lotte celtiche (FILC), è una pratica sportiva tipica della Sardegna le cui origini sono antichissime. Rivalutata di recente e praticata soprattutto nella Sardegna centrale, i campioni sardi sono conosciuti a livello internazionale[233].
Le squadre sarde di calcio che, nel corso della loro storia, hanno partecipato ai campionati professionistici sono: il Cagliari Calcio, la Torres, l'Olbia Calcio 1905, il Carbonia Calcio, l'Arzachena Academy Costa Smeralda, la Nuorese Calcio 1930, la Polisportiva Alghero, l'U.S. Tempio, il Sant'Elena Q.C.U., la Società Sportiva Villacidrese Calcio, La Palma Monteurpinu, il Sorso Calcio e l'Ilvamaddalena 1903.
Nel capoluogo dell'isola ha sede il Cagliari Calcio, società fondata nel 1920[234] e che nella stagione 2024-2025 milita nella Serie A del campionato italiano. Gli incontri casalinghi vengono disputati alla Unipol Domus di Cagliari. La squadra vinse lo scudetto nella stagione 1969-1970[235].
Lo storico titolo fu per la città di Cagliari un'occasione di orgoglio portando all'attenzione nazionale e internazionale tutti i sardi e la Sardegna stessa[236].
Nel 2019 è stata rifondata la Nazionale di calcio della Sardegna, che già nel 1990 e nel 1997 aveva avuto due estemporanee uscite. La Federatzione Isport Natzionale Sardu, la federazione calcistica dell'Isola, è affiliata alla CONIFA e la Natzionale partecipa agli appuntamenti europei e mondiali delle nazioni senza Stato da essa organizzata.
L'Associazione Sportiva Dilettantistica F.C. Sassari Torres Femminile, in passato nota come A.S.D. Torres Calcio, è una società di calcio femminile di Sassari ed è la principale della regione, nonché la più titolata d'Italia. Detiene infatti il record di scudetti, coppe Italia e supercoppe italiane[237].
La massima espressione del basket sardo è la Polisportiva Dinamo Sassari, che dopo una ventennale militanza nel Campionato di Legadue, ha raggiunto nella stagione 2009/2010 la promozione nella massima serie del campionato italiano maschile di pallacanestro, laureandosi campione d'Italia nella stagione 2014-2015 e qualificandosi in più occasioni ai play-off scudetto e nelle competizioni europee[238]. La Dinamo Sassari ha inoltre vinto una FIBA Europe Cup, due Coppa Italia e una Supercoppa italiana.
Nel passato la Brill Cagliari ha militato nella Serie A dal 1968 al 1978. Nel basket femminile le principali società sono la Mercede Basket Alghero, la Virtus Cagliari e il CUS Cagliari.
Nell'ambito del basket in carrozzina figurano l'Anmic Dinamo Sassari, facente parte della Polisportiva omonima, e il GSD Porto Torres.
Fondata nel 1897, la Società Ginnastica Amsicora, con sede a Cagliari, è la società più titolata d'Italia, potendo vantare 24 campionati italiani e 5 Coppe Italia a livello maschile e a livello femminile: 8 scudetti, 2 Coppa Italia e 2 Scudetti indoor.
Il rally ha lunga tradizione sugli sterrati sardi, con il Rally Costa Smeralda[240] e dal 2004 con la tappa italiana del Campionato Mondiale Rally[241].
Il Giro di Sardegna di ciclismo è stato vinto da importanti campioni[242],
La corsa campestre vede ogni anno ad Alà dei Sardi il trofeo Alasport, anch'esso con la partecipazione di campioni internazionali della specialità[243].
La motonautica a livello internazionale è stata presente per diversi anni nelle acque della Sardegna a partire dal primo mondiale di formula 1 del mare F1h2o a Porto Cervo e successivamente spostato a Cagliari nei primi anni 2000[244] ed infine ad Olbia dal 2022. Dal 2018 si disputa il Campionato del Mondo Aquabike nella città di Olbia.[245]
In campo velico, le competizioni internazionali che si disputano nell'isola sono molteplici e di grande prestigio (tra di esse la Veteran Boat rally, considerata una delle più grandi regate di barche d'epoca[246], e la Sardinia Rolex Cup, ritenuta dagli appassionati l'equivalente mediterranea dell'Admiral's Cup[247]).
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