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Partiti politici italiani

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Nella Repubblica Italiana, un partito politico, così come definito dall'articolo 49 della Costituzione della Repubblica Italiana,[1] è una libera associazione di cittadini, che questi hanno diritto di costituire al fine di determinare democraticamente la vita politica.

Descrizione

Riepilogo
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Fondamento costituzionale

Sebbene la carta costituzionale sancisca la necessità della figura del partito politico,[2] non ne delinea la personalità giuridica né tanto meno formalizza le sue modalità organizzative. Ciò è da sempre elemento di forte dibattito istituzionale ed ha evidenziato la necessità di un'attuazione legislativa del disposto costituzionale.[3] Generalmente, i partiti politici italiani sono costituiti come associazioni non riconosciute.

Il riferimento al “metodo democratico” fu invece inteso in senso puramente esterno ad ogni singolo partito: "Questo ebbe anche la conseguenza di escludere la possibilità di adire il giudice ordinario per le controversie interne ai partiti (e infatti, da allora in poi, una giurisprudenza costante ha sempre rigettato ricorsi di questo genere per “difetto di giurisdizione”). In questo modo si riproduceva l'autodichia della forma partito, anche se con ovvie differenze dovute alla forte attenuazione del principio gerarchico e della leadership personale. Dal regime di partito si passò al regime di partiti, ma pur sempre in una cornice di autoreferenzialità giuridica."[4]

Finanziamento

Lo stesso argomento in dettaglio: Finanziamento pubblico ai partiti.
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Fonte : Soldi e politica

La crisi della «Prima Repubblica», in Italia, si è prodotta anche a causa di un asservimento dell'interesse pubblico alle strategie di consenso e di potere della politica, secondo una concezione paternalistica[5] che, alla fine, ha travolto il prestigio dei partiti storici.

Alla luce del superamento dei precedenti sistemi elettorali e politici, nella cosiddetta Seconda Repubblica ci si è chiesto se i partiti italiani - in misura maggiore degli altri Paesi europei[6] - continuano a sostenere le loro attività gravando sulla legalità e sull'economia del Paese.[7]

In particolare, l'evoluzione del sistema politico[8] avrebbe inciso sulle modalità stesse della raccolta di denaro per il finanziamento alla politica.[9] Per converso, "l'indebolimento dei partiti ed il peso pubblico dei sistemi economico-finanziari ha prodotto un cambiamento di gerarchie e di forme dell'attività di corruzione. Non sono più i partiti, il sistema partitocratico a tenere in mano le briglie e ad assegnare i ruoli in un contesto fortemente centralizzato e controllato. Sono singoli imprenditori o gruppi di imprenditori che, attraverso un'azione penetrante di condizionamento e di vero e proprio orientamento delle scelte pubbliche, si appropriano delle risorse e ne distribuiscono, anche illecitamente, i vantaggi".[10]

In Italia il finanziamento pubblico ai partiti ebbe inizio[11] con la legge 195/1974, che suscitò da subito un dibattito assai acceso.[12] Nonostante l'esito favorevole del referendum abrogativo del 1993, il finanziamento è stato di fatto reintrodotto negli anni successivi con una nuova disciplina del "rimborso elettorale", cui accedono tutti i partiti che superano la soglia dell'1% dei voti, ma dalla fine del 2016 si passerà ad un sistema a contribuzione defiscalizzata.

Tuttavia, la modalità di controllo della spesa - rendicontata dai partiti per ottenere il finanziamento - ha destato ancora notevoli criticità.[13]

L'art. 9 della legge 6 luglio 2012, n. 96, che istituiva la "Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti e dei movimenti politici" con il compito di controllare i suddetti rendiconti, sostituendo il "Collegio dei revisori" precedentemente incaricato di svolgere i medesimi controlli soltanto sotto il profilo formale,[14] ha previsto una verifica per la "conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione addotta a prova delle stesse" (cfr. art.9, comma quinto).[15] La difficoltà - emersa quando la Commissione si dichiarò nell'impossibilità di effettuare i controlli, con una lettera ai presidenti delle Camere resa nota dalla stampa[16] - indusse il legislatore ad intervenire nuovamente e, dopo una lettura alla Camera nel luglio 2015[17] ed una al Senato in testo conforme, entrò in vigore[18] la legge 27 ottobre 2015, n. 175 (detta legge Boccadutri dal nome del suo primo firmatario).

Storia dei partiti in Italia

Lo stesso argomento in dettaglio: Grafico delle elezioni politiche in Italia.

Regno d'Italia (1861-1946)

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Grafico dell'andamento del numero di iscritti ai partiti politici italiani (1919-2022)

In Italia si può parlare di partiti politici moderni a partire dal 1892, quando venne fondato il Partito Socialista Italiano. Fino a quel momento i principali raggruppamenti politici del paese, la destra storica e la sinistra storica, non erano classificabili come partiti, ma come semplici "cartelli" di notabili (ed erano chiamati i "ministeriali"), ciascuno con un proprio feudo elettorale, che si riunivano in gruppi a seconda delle proprie idee. Questi due gruppi politici erano considerati i due poli dell'area liberale. Alla loro sinistra si schieravano i Repubblicani, che rappresentarono l'estrema sinistra parlamentare fino al 1892, e che si organizzarono in un vero e proprio partito solo nel 1895.

Questi tre gruppi politici, i liberali, i repubblicani e i socialisti, si sono sempre considerati gli eredi diretti delle correnti che avevano dato vita al Risorgimento. E in effetti ciascuna di esse si ricollega ad un preciso "Padre della Patria": i liberali a Cavour, i repubblicani a Mazzini e i socialisti a Garibaldi.

Invece il Partito Socialista Italiano sin dagli inizi si prefigura come un partito di massa, la forma partitica che sarà predominante per tutto il Novecento, e viene seguito pochi anni dopo dai movimenti politici cattolici, prima con la Democrazia Cristiana Italiana di Romolo Murri, poi con il Partito Popolare Italiano fondato da don Luigi Sturzo nel 1919. Non a caso entrambi i partiti otterranno notevoli successi elettorali fino all'avvento del fascismo, contribuendo in maniera determinante alla perdita di forza e autorevolezza della vecchia classe dirigente liberale, che non era stata capace di strutturarsi in una forma partitica in grado di affrontare le nuove sfide della società.

Nel 1914 Benito Mussolini fondò il Fascio d'azione rivoluzionaria e nel 1919 costituì i Fasci italiani di combattimento e nel 1921 diede vita al Partito Nazionale Fascista.

Infine nel 1921 da una scissione del Partito Socialista nacque il Partito Comunista d'Italia. Al momento della sua fondazione, avvenuta nel 1921, il PCI non era diverso dagli altri partiti comunisti europei, molto più piccoli rispetto ai "fratelli" socialisti o socialdemocratici e privi di un radicamento effettivo nelle masse e nella classe proletaria, in quanto prediligevano il ruolo di avanguardia rivoluzionaria tracciato da Lenin nelle sue opere politiche.

Questi tre partiti, il cattolico, il fascista ed il comunista, nati nel breve periodo che intercorre fra la fine della prima guerra mondiale e l'avvento del fascismo, possono essere considerati la seconda generazione dei partiti italiani, quella dei grandi partiti di massa, tipicamente contraddistinti dai colori: i "bianchi", i "neri" e i "rossi".

Prima Repubblica (1946-1993)

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Grafico delle elezioni politiche nella Repubblica Italiana, espressi in termini relativi (1946-2022)

Nel secondo dopoguerra i partiti di massa furono la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano: questa fu una delle peculiarità del sistema politico italiano. Il ruolo fondamentale svolto dal movimento comunista nella Resistenza ha consentito però al PCI di prendere il posto del Partito Socialista Italiano come rappresentante della classe operaia e di diventare stabilmente, dopo il 1948, il secondo partito italiano nonché il primo della sinistra. Il PCI ha rappresentato, praticamente in maniera continua, l'opposizione ai governi centristi della DC e a quelli DC-PSI e alleati per più di quarant'anni.

Questa problematica situazione ha condizionato fortemente il sistema politico italiano, perché mentre negli altri paesi europei la presenza di forti partiti socialisti, socialdemocratici o laburisti, ma sempre privi di legami con l'URSS, consentiva l'alternanza di governo, in Italia la pregiudiziale anticomunista e antisovietica rendeva di fatto impossibile tale alternanza. Questo spiega la permanenza ininterrotta al potere per oltre mezzo secolo della Democrazia Cristiana, il partito sorto dalle ceneri del PPI di don Luigi Sturzo, dal Governo Badoglio II al Governo Ciampi. Tuttavia la DC dal 1953 in poi mai ha avuto i voti sufficienti a governare da sola il Paese, a causa del sistema elettorale italiano completamente proporzionale. Questo spiega inoltre il notevole potere che sino al 1992 hanno avuto i piccoli partiti "laici" (Partito Liberale Italiano, erede del liberalismo prefascista e ottocentesco, Partito Socialista Democratico Italiano, nato dal PSI nel 1947, Partito Repubblicano Italiano), necessari per la formazione di maggioranze parlamentari.

La necessità di accordi continui fra partiti ha portato alla cosiddetta partitocrazia, e cioè l'occupazione, da parte dei partiti, di tutti i gangli dell'amministrazione pubblica, con l'inevitabile corollario di corruzione, nepotismo, inefficienza. Questo, insieme alle crisi delle ideologie e alla fine della guerra fredda[19], ha portato ad una generale perdita di credibilità e autorevolezza dei partiti, iniziata durante gli anni ottanta con il calo graduale ma inesorabile dei consensi di PCI e DC, e culminati nel crollo successivo all'inchiesta di Mani Pulite del 1992. A questa domanda di rinnovamento proveniente dalla società italiana si deve aggiungere però il deteriorarsi del partito di massa, ormai superato: non è un caso che dopo la disgregazione di PCI e DC e la scomparsa del PSI e dei partiti laici le nuove forze politiche emergenti siano movimenti "personali" come Forza Italia, creata nel 1994 dall'imprenditore Silvio Berlusconi, e partiti di protesta come la Lega Nord di Umberto Bossi.

Tra i partiti sorti negli anni novanta (è necessario evidenziare l'evoluzione del neofascista Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale in Alleanza Nazionale e la evoluzione del PCI nel Partito Democratico della Sinistra, socialisti democratici, con la conseguente scissione della ala euro-comunista, Partito della Rifondazione Comunista) bisogna comunque notare che, a più di dieci anni di distanza dall'apparente crollo della nomenclatura della Prima Repubblica, i partiti italiani con molta difficoltà sono giunti ad un sistema bipolare.

Seconda Repubblica

Molti ritengono che il gran numero di partiti della Prima Repubblica fosse dovuto al sistema completamente proporzionale, e quindi con i referendum del 1991 e del 1993 di fatto si chiese di sostituirlo con un maggioritario secco (first-past-the-post). Ciò è avvenuto solo in parte, in quanto è stato creato un sistema misto (la legge Mattarella, anche noto giornalisticamente come "Mattarellum") con una quota maggioritaria per il 75% dei seggi e il restante assegnato tramite proporzionale. Tuttavia in poco tempo è stato chiaro che in un sistema come quello italiano, caratterizzato da numerosi partiti a forte base regionale e privo di forze politiche paragonabili ai grandi partiti europei, il maggioritario invece che diminuire moltiplicava il numero di partiti: il maggioritario secco infatti spinge alla formazione di coalizioni, nelle quali i partiti piccoli hanno buon gioco nel chiedere un certo numero di seggi sicuri in cambio del proprio appoggio, quasi sempre determinante. Anche l'ultima riforma elettorale del 2006, che restaura un proporzionale, ma che all'atto pratico è un maggioritario a collegio unico, ma elimina le preferenze, conferisce un grande potere alla classe dirigente dei partiti e rende impossibile una penetrazione di essi da parte della società civile.

Nel 1993, il referendum sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ottiene la maggioranza dei voti. La legge n. 156 del 26 luglio 2002 abbassa dal 4 all'1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale e abolisce il tetto massimo di spesa per lo Stato.

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Contrassegni ammessi e non ammessi alle elezioni del 2018

A partire dalle elezioni del 2006 si è andato affermando un netto bipolarismo (tendente addirittura anche al bipartitismo vero e proprio) dopo la riforma della legge elettorale dell'anno precedente (Legge Calderoli, detta gergalmente il "Porcellum", che premiava le coalizioni); si presentarono due coalizioni per le elezioni politiche:

Dopo la caduta del Governo Prodi II, le alleanze sono notevolmente mutate[20]. Alle elezioni politiche del 2008 si sono presentati:

Con le elezioni politiche del 2013 lo schema politico è tornato ad allargarsi. A questa consultazione elettorale, oltre a numerosi altri partiti e movimenti minori, le principali liste erano:

Il 16 novembre 2013 il Consiglio Nazionale del Popolo della Libertà e Silvio Berlusconi, approvano la sospensione delle attività del PdL e il rilancio di Forza Italia[21], al nuovo partito però non aderiscono le cosiddette Colombe del PdL, la corrente guidata da Angelino Alfano[22], che forma il Nuovo Centrodestra[23] continuando a sostenere il Governo Letta.

Per l'evoluzione del sistema coalizionale, si veda l'articolo sulle coalizioni politiche italiane.

Evoluzione dell'iscrizione ai partiti italiani

Studi internazionali hanno raccolto i dati degli iscritti ai partiti politici italiani.[24] Nel corso del XX secolo l'Italia era il Paese europeo con la militanza partitica più numerosa a livello complessivo, con diversi partiti capaci di raggiungere l'ordine di grandezza dei milioni di iscritti. A inizio secolo il PSI aveva all'incirca 200 000 iscritti, mentre durante il ventennio fascista il PNF sarà capace di raggiungere il milione di iscritti (all'organizzazione principale del partito).[25]

Durante la Prima Repubblica il PCI e la DC riusciranno entrambi a raggiungere picchi di 2 milioni di iscritti in certi periodi (il primo sarà particolarmente dominante nei primi 10-15 anni di vita della repubblica, mentre la seconda otterrà maggiori sostegni popolari tra gli anni sessanta-settanta e a fine anni ottanta). Dopo il crollo dei partiti di massa, dal 1993 nessun partito è più riuscito a raggiungere stabilmente la soglia del milione di iscritti, se non momentaneamente alla nascita del partito stesso: nei primi anni della Seconda Repubblica solo il PDS, poi evoluto in DS e PD, mantenne una struttura capillare sul territorio capace di garantire mediamente mezzo milione di iscritti.

Agli inizi degli anni 2020, i cinque partiti principali (FdI, PD, LSP, M5S e FI) annoverano tutti tra i 50,000 e i 150,000 iscritti a testa.[26][27]

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I partiti politici attuali

Partiti parlamentari

Partiti maggiori rappresentati in Parlamento

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  1. Include un deputato iscritto al gruppo NM-MAIE-CP.
  2. Include 3 senatori iscritti al gruppo CdI-UDC-NM-MAIE-CP.
  3. Include un deputato iscritto al gruppo misto/+Europa.
  4. Include un senatore iscritto al gruppo Per le Autonomie.
  5. Partito successore della Lega Nord.
  6. Include un deputato iscritto al Misto / NI.
  7. L'europarlamentare Sandro Gozi viene eletto nella lista Besoin d’Europe alle elezioni europee in Francia.

Partiti minori rappresentati in Parlamento

Ulteriori informazioni Partito, Leader ...
  1. Il deputato Alessandro Battilocchio, con doppia tessera FI / NPSI.
  2. Il deputato Riccardo Magi, con doppia tessera +E / RI.
  3. Partito federato in Noi Moderati (NM).
  4. Partito federato con Partito Valore Umano (PVU).

Partiti regionali e locali rappresentati nel Parlamento italiano o nel Parlamento europeo

Ulteriori informazioni Partito, Leader ...
  1. Partito federato in Noi Moderati (NM)
  2. Partito federato a Fratelli d'Italia (FdI).

Partiti rappresentativi degli italiani all'estero presenti nel Parlamento italiano o nel Parlamento europeo

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Partiti extraparlamentari

Partiti con rappresentanza nei consigli regionali

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  1. Il deputato Franco Tirelli, con doppia tessera NM / MAIE.
  2. Partito federato a Base Popolare (BP).

Partiti senza rappresentanza nei consigli regionali

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  1. Partito federato a Forza Italia (FI).

Partiti rappresentativi degli italiani all'estero

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Partiti locali e regionali

Valle d'Aosta

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  • Nuova Valle d'Aosta
  • Pays d'Aoste Souverain
  • Pour Notre Vallée (PNV)
  • Valle d'Aosta Futura
  • Vda Ensemble
  • Vdalibra

Piemonte

Liguria

Lombardia

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  • Alleanza Civica - Lombardi Civici Europeisti

Trentino-Alto Adige

Consiglio della provincia autonoma di Trento
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Consiglio della provincia autonoma di Bolzano
Ulteriori informazioni Partito, Seggi ...
  • Unitalia - Movimento Iniziativa Sociale
  • Enzian
  • Perspektiven für Südtirol (PfS)

Veneto

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  • Indipendenza Veneta (IV)
  • Partito dei Veneti (PdV)
  • Prima il Veneto (PiV)
  • Progetto NordEst (PNE)
  • Sanca Veneta (SV)

Friuli-Venezia Giulia

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Emilia-Romagna

  • Rete Civica - Progetto Emilia-Romagna

Toscana

  • Toscana Domani
  • Movimento Autonomista Toscano (MAT)
  • Comitato Libertà Toscana (CLT)

Marche

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Umbria

  • Civitas Umbria

Lazio

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  • POP idee in Movimento

Abruzzo

  • Azione Politica (AP)

Molise

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Campania

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  • Davvero
  • Democrazia Federalista (DF)
  • Noi Campani
  • Noi Sud (NS)
  • PER le Persone e la Comunità (PER)
  • Repubblicani Democratici (RD)

Puglia

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Basilicata

  • Popolari Uniti (PU)
  • Realtà Italia (RI)

Calabria

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  • Autonomia e Diritti (AeD)
  • I Demokratici (DKR)
  • Tesoro Calabria

Sicilia

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Sardegna

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I partiti politici del passato

Partiti nazionali

Partiti locali e regionali

Valle d'Aosta

Piemonte

Lombardia

Trentino-Alto Adige

Veneto

  • Union del Popolo Veneto (1987-1995)
  • Movimento Nordest (1997-1999 ca.)
  • Lega Autonomia Veneta (1989-2001)
  • Veneto per il PPE (2006-2009 ca.)

Friuli-Venezia Giulia

  • Lista per Trieste (1978-2006)
  • Lega Autonomia Friuli (1993-2018)
  • Unione Friuli (1997-primi anni 2000)

Molise

  • Partito Popolare Progressista (1993-2002 ca.)
  • Costruire Democrazia (2009-?)

Campania

  • Popolari Democratici (2008-2010)

Puglia

Calabria

Sardegna

Sicilia

Partiti rappresentativi degli italiani all'estero

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