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Porifera
organismi pluricellulari Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Le spugne o poriferi (Porifera Grant, 1836, dal latino "portatore di pori") sono un phylum di animali invertebrati marini bentonici sessili; sono gli animali più semplici dal punto di vista strutturale, poiché possiedono pochi tipi di cellule non organizzate in tessuti e organi veri e propri. Si nutrono per filtrazione attraverso pori.
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Generalità
Riepilogo
Prospettiva
I poriferi, noti comunemente come spugne, sono animali invertebrati bentonici sessili, che vivono cioè fissi al substrato. Sono animali pluricellulari molto semplici e primitivi, che spesso non hanno una forma definita, la cui organizzazione cellulare è molto semplice, infatti le cellule non sono organizzate in tessuti o organi, ma sono solo aggregate. Le spugne non hanno stomaco o intestino, né tessuti, sistema nervoso o muscoli per muoversi; sono costituite da diverse tipologie di cellule, ognuna specializzata per svolgere una funzione specifica. Le spugne sono tra i più semplici organismi pluricellulari viventi e presentano il livello di organizzazione strutturale più semplice tra gli animali, sono alla base dell’albero evolutivo degli animali: non hanno né tessuti né organi, una spugna è un ammasso di cellule vagamente differenziate in uno strato cellulare esterno di protezione e una massa cellulare interna. Sono costituite da un sacco, o spongocele, strutturato come un composto gelatinoso, il mesoilo, collocato tra due strati sottili di cellule, il coanoderma, interno e il pinacoderma, esterno. Un sistema di cavità interne collegate tra loro è attraversato da una corrente d’acqua che apporta nutrimento e ossigeno.
Come suggerisce il nome (“portatori di pori”, dal latino porus, “poro”, e ferre, “portare”), le spugne sono ricche di pori, che servono per la penetrazione e la fuoriuscita dell’acqua. Il corpo di una spugna è ricoperto da pori molto piccoli, detti osti, adibiti alla filtrazione dell’acqua, e presenta uno o più pori di maggiori dimensioni, detti osculi, dai quali fuoriesce l’acqua filtrata. I pori mettono in collegamento la cavità interna, detta atrio o spongocele, con l’ambiente esterno. Le spugne sono organismi sospensivori filtratori, che per nutrirsi filtrano l’acqua. Ricavano le particelle nutritive dall’acqua inalata che filtrano attraverso i pori presenti sulla superficie e catturano mediante cellule flagellate dette coanociti.
Il corpo di una spugna in genere è sostenuto da strutture aghiformi dette spicole, che possono essere di natura calcarea o, nella maggior parte delle specie, silicea, o da spongina, una proteina del collagene simile alla seta. La natura dello scheletro e la composizione delle spicole ha valenza nella classificazione dei poriferi e nell’identificazione delle specie.
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Morfologia
Riepilogo
Prospettiva



La struttura fondamentale di una spugna può essere vista come una sorta di sacco forato, la cui superficie esterna è ricoperta di pori adibiti alla filtrazione dell’acqua di mare.
La forma dei poriferi è molto diversa e spesso non è definita neppure nell’ambito di una stessa specie: può essere sferica, massiva, a vaso, a barile, tubulare, a canna d’organo, ramificata, arborescente, a orecchio d’elefante, lobosa, laminare, incrostante ecc.
Vari sono anche i colori e le dimensioni (da pochi mm a più di 1 m di altezza). La forma corporea delle spugne spesso risulta strettamente correlata alle caratteristiche dell’ambiente.
Un aspetto interessante dei poriferi è l’elevata capacità ad adattare la propria forma alle diverse condizioni ambientali: a volte una stessa specie può mostrare forme completamente diverse a seconda che si trovi in acque calme o agitate; può presentarsi incrostante, massiva o arborescente o a seconda che viva in un ambiente a forte o scarso idrodinamismo.
Nei luoghi caratterizzati da rilevante moto ondoso o da forti correnti, le spugne assumono per lo più forme incrostanti o creano placche spesse pochi centimetri, aderenti al substrato. In acque molto agitate mancano del tutto forme erette, ramificate e arborescenti, che verrebbero in breve tempo spezzate e strappate via dalle forze idrodinamiche.
Dove le acque sono calme, invece, le spugne possono accrescersi in altezza, generando forme complesse e articolate con prolungamenti di vario genere, che le rendono particolarmente appariscenti.
Le spugne incrostanti si sviluppano prevalentemente in due dimensioni e creano placche sottili più o meno estese. A questo gruppo appartiene un numero rilevante di spugne, simili tra loro e variamente colorate. Alcuni esempi sono Crambe crambe, Spirastrella cunctatrix e Phorbas tenacior.
Le spugne massive si sviluppano nelle tre dimensioni e assumono forme molteplici: a cuscino, lobate, cespugliose, sferiche. La forma a cuscino è frequente nella maggior parte delle spugne cornee (con scheletro composto da spongina), la forma massiva lobata è caratteristica di specie come Agelas oroides e Petrosia ficiformis, la forma cespugliosa di Axinella damicornis. Alcune morfologie particolari possono essere tipiche di una singola specie o di uno o più generi. Ad esempio, la forma sferica caratterizza il genere Tethya, la forma a calice distingue Calyx nicaeensis, la forma a grappolo Oscarella lobularis. Ulteriori morfologie caratteristiche sono la forma a rene di Chondrosia reniformis, la forma a nocciolina di Chondrilla nucula e la forma a rete delle spugne del genere Clathrina.
Le spugne erette sono le più appariscenti, caratterizzate da una piccola base d’attacco al substrato e dal corpo sviluppato in altezza, spesso arricchito da numerose ramificazioni. Tipiche spugne erette sono le bellissime e arborescenti specie del genere Axinella, che si elevano dal fondo del mare fino alla considerevole altezza di un metro.
Molte spugne presentano anche delle protuberanze sulla superficie del corpo, come digitazioni, tubi, creste e conuli. Ad esempio, la presenza di tubi cilindrici con un grande osculo in cima rimanda spesso alle spugne appartenenti ai generi Haliclona e Aplysina, dalla caratteristica forma a canna d’organo. Tutte le spugne cornee sono, invece, contraddistinte da piccole protuberanze appuntite chiamate conuli, che rappresentano le porzioni terminali delle fibre scheletriche.
La velocità con cui una spugna si accresce è elevata in molte delle specie appartenenti alla classe Calcarea, che in poco tempo raggiungono forma e dimensioni tipiche degli esemplari adulti. Queste specie sono caratterizzate da un ciclo biologico molto breve, dell’ordine di qualche mese. Invece, le spugne cornee, un gruppo della classe Demospongiae, si accrescono ad un tasso lentissimo. È stato stimato che in un esemplare di Ircinia variabilis monitorato per un anno l’accrescimento netto è pari a pochi centimetri cubi di volume corporeo. È facile dedurre che alcuni giganteschi esemplari di Sarcotragus foetidus o Spongia lamella, che superano abbondantemente mezzo metro di diametro, abbiano probabilmente un’età di alcuni secoli.[1]
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Ecologia
Riepilogo
Prospettiva
Le spugne sono una costituente molto importante del benthos. Sono esclusivamente organismi bentonici sessili, cioè ancorati al substrato, con larve a breve periodo di vita planctonica. Sono quasi esclusivamente marine; le spugne d'acqua dolce, rappresentate dalla famiglia Spongillidae (Demospongie), abitano i fiumi ed i laghi di tutti i continenti (esclusa l'Antartide).
Le spugne vivono a tutte le profondità e in tutti gli ambienti, colonizzano anche in gran numero ogni tipo di substrato, sia fondi duri sia, più raramente, fondi molli. Sono diffuse in tutti i fondali, dai tropici ai poli, dalla superficie fino alle profondità abissali fino a 8.000 m di profondità; sono particolarmente diffuse in ambienti come il coralligeno del Mediterraneo e le barriere coralline delle regioni tropicali.

Crescono sulle rocce verticali o orizzontali, in ambienti illuminati o oscuri, sopra e sotto le pietre, alcune ricoprono altri organismi bentonici, incrostano i relitti sommersi e persino i rifiuti gettati sul fondo del mare. Prediligono nettamente i fondi rocciosi in quanto molte specie necessitano per la loro fissazione di un substrato duro. Le specie adattate alla vita sui fondi mobili come substrati sabbiosi o fangosi sono in numero decisamente minore. La loro distribuzione sui fondali mobili è in genere legata alla presenza di ciottoli o altri corpi duri su cui le spugne si ancorano attraversando spesso lo strato di sedimento mediante lunghi peduncoli. Il corpo provvisto alla superficie di pori inalanti deve infatti essere mantenuto libero dall’accumulo di sedimento, affinché si possa attuare il passaggio dell’acqua che convoglia il nutrimento. La loro caratteristica sessilità, ossia la caratteristica di vivere attaccati al substrato, non ostacola nemmeno le poche specie che vivono sugli instabili fondi molli sabbiosi e fangosi delle lagune o degli inospitali ambienti profondi. Alcune specie sono epibionti di altri organismi bentonici, come coralli, molluschi conchigliati, alghe, fanerogame marine e mangrovie; altre specie sono endobionti, vivono nello spessore dei fondi sabbiosi oppure come organismi perforanti che scavano gallerie nelle rocce e negli organismi calcarei. Insomma, le spugne crescono dappertutto, favorite dall’abbondanza del loro alimento che è presente in sospensione nell’acqua di mare.[1][2]

Molte spugne sono sciafile, non tollerano cioè ambienti molto illuminati, ma prediligono ambienti ombrosi e riparati come anfratti rocciosi, grotte sottomarine e pareti a strapiombo. Per questo motivo nelle acque costiere superficiali le spugne abbondano negli ambienti ombrosi e riparati, soprattutto nelle grotte e negli anfratti, dove rappresentano uno dei più cospicui ed appariscenti costituenti della fauna bentonica: le spugne tendono ad essere la componente bentonica dominante negli ambienti sciafili. Il coralligeno, una biocenosi marina tipica del Mediterraneo che si sviluppa in ambienti poco illuminati tra 25 e 200 m di profondità, è ricco di spugne proprio perché favorisce l'insediamento di specie sciafile.[1]
Relazioni ecologiche


Le spugne crescono ambienti dove il nutrimento non manca, ma lo spazio tende subito a scarseggiare divenendo l’unico fattore limitante. Le spugne instaurano una competizione per lo spazio che coinvolge le varie specie di spugne, ma anche altri organismi bentonici sessili come alghe, coralli, gorgonie, briozoi e ascidie. La competizione è combattuta sia chimicamente sia fisicamente: le spugne producono metaboliti tossici per fronteggiare i tanti competitori e inibirne l’insediamento o la crescita, spesso però i composti chimici non bastano e le spugne vengono ricoperte da altri organismi sessili o ricoprono a loro volta i competitori.

Un importante ruolo ecologico che le spugne rivestono è legato all’elevato numero di altri organismi simbionti e commensali che molte specie di poriferi ospitano, proteggendoli dalla predazione. Le spugne instaurano un’infinità di relazioni ecologiche più o meno strette con altri organismi marini. I poriferi possono avere vita solitaria o costituire dense colonie che, come accade con le madrepore, diventano importanti habitat per comunità animali e vegetali. Infatti, le loro cavità possono ospitare numerosi organismi simbionti (come piccoli crostacei, alghe unicellulari, cianobatteri, funghi). Molte specie di spugne accolgono come endosimbionti (che vivono al loro interno) piccolissimi organismi autotrofi fotosintetici quali cianobatteri[3] e microalghe dinoflagellate (zooxantelle e zooclorelle), che spesso ne determinano la colorazione (che può variare da colori molto accesi e sgargianti a colorazioni biancastre a seconda dell’esposizione alla luce), la forma e la distribuzione (queste spugne necessitano di far arrivare la radiazione solare agli endosimbionti per permettere loro la fotosintesi). Le spugne instaurano uno stretto rapporto mutualistico con i propri endosimbionti, e in molti casi l’endosimbionte svolge un ruolo importante per il fabbisogno energetico della spugna: molte spugne ricavano parte del nutrimento dai piccoli organismi autotrofi che ospitano nel proprio corpo, che forniscono alla spugna i prodotti della fotosintesi e l’ossigeno. In cambio, la spugna offre agli endosimbionti protezione, l’anidride carbonica necessaria alla fotosintesi e i prodotti di rifiuto, che vengono completamente riutilizzati dagli organismi endosimbionti.[1]

In alcuni casi questi microrganismi possono costituire sino al 40% del volume della spugna e possono contribuire in maniera significativa al metabolismo dell'ospite, contribuendo, per esempio, alla fotosintesi o alla fissazione dell'azoto[4].
Gli endosimbionti, inoltre, sono spesso responsabili delle differenti colorazioni assunte da molte spugne che vivono in ambienti illuminati e le proteggono da un eccessivo e dannoso irraggiamento solare.[1] Ad esempio, la colorazione della spugna mediterranea Petrosia ficiformis e delle spugne a barile tropicali del genere Xestospongia sono dovute alla presenza dei simbionti fotosintetici.
L’associazione tra spugna ed endosimbionte talvolta è così stretta che gli esemplari adulti trasmettono negli embrioni un piccolo numero di microrganismi, affinché i nuovi giovani esemplari siano già dotati dei loro fidati piccoli collaboratori.[1]
All’interno delle spugne non si trovano solo organismi autotrofi fotosintetici. Spesso il mesoilo di alcune specie è letteralmente imbottito con innumerevoli batteri eterotrofi che, in questo caso, vengono mangiati dalla spugna e costituiscono una riserva alimentare alternativa.[1]
Una delle relazioni ecologiche più conosciute tra spugne e altri organismi marini è la simbiosi mutualistica tra la spugna incrostante rossa Crambe crambe e alcune specie di molluschi, in modo particolare Arca noae e Spondylus gaederopus. La spugna cresce sopra le conchiglie e sfrutta le correnti respiratorie dei molluschi ricche di residui di cibo. In cambio, mimetizza i molluschi e li protegge dai predatori, perché diffonde composti tossici e repellenti.
Molte spugne crescono sulle valve del grande mollusco bivalve Pinna nobilis, su varie specie di pectinidi, sui mitili, sulle conchiglie dei muricidi e persino attorno ai tubi dei vermetidi.

Un’altra stretta associazione mutualistica lega la spugna Suberites domuncula a varie specie di paguri. La spugna avvolge completamente le conchiglie in cui risiedono i piccoli paguri che non sono così più costretti a trovarsi una nuova dimora e ad esporre il loro molle addome ai predatori, ma sfruttano le difese chimiche della spugna come protezione. I paguri ricambiano la cortesia trasportando la loro protettrice gratuitamente sul fondo del mare, in questo modo la spugna trae vantaggio ottenendo mobilità dal crostaceo ed evitando così di riempirsi di sedimento.
Altri crostacei portano a spasso frammenti di spugna che ritagliano accuratamente con le chele e si pongono sul carapace per mimetizzarsi, per camuffarsi con l’ambiente circostante e per sfruttare le difese chimiche della spugna. È questo il caso del granchio facchino (Dromia personata), che stacca grosse porzioni di spugne con le chele, le trattiene con due arti specializzati per tale funzione e le trasporta su di sé. I frammenti di spugna non degenerano, ma continuano ad accrescersi insieme al crostaceo.
Anche le granceole e altre specie di granchi mascherano il loro carapace con pezzetti di spugne che rendono i crostacei simili al fondale.


Ulteriori relazioni interspecifiche riguardano gli animali marini che sfruttano il corpo delle spugne come substrato o come rifugio. I polipi dei coralli noti come margherite di mare (Parazoanthus axinellae) preferiscono crescere sulle ramificazioni delle spugne del genere Axinella sviluppandosi in posizione più elevata rispetto al substrato e perciò più vantaggiosa per catturare i piccoli organismi del plancton di cui si nutrono. Anche la medusa delle spugne (Nausithoe punctata) sceglie di trascorrere la fase di polipo del suo ciclo vitale ospitata all'interno del corpo di varie specie di spugne. Alcuni crostacei, come il granchio Aliaporcellana spongicola o i gamberetti Spongicola venusta, vivono come commensali all'interno di spugne ma, una volta cresciuti, rimangono intrappolati nella cavità della spugna che, in genere, ne ospita una coppia, costretta così a rimanere "fedele" per tutta la vita. Esemplari di spugne Geodia cydonium, Sarcotragus foetidus e Chondrosia reniformis rappresentano, invece, il rifugio di moltitudini di inquilini nascosti nei canali del loro sistema acquifero. In queste spugne "condominio" possono svilupparsi intere comunità di piccoli invertebrati, moltissime specie diverse di anellidi policheti, molluschi sia gasteropodi ma soprattutto bivalvi e piccoli crostacei come isopodi e anfipodi.
Ogni spugna rappresenta quindi, a seconda dei casi, un'importante componente del benthos, un filtratore in grado di depurare l'acqua del mare, un animale capace di modificare l'ambiente in cui vive, un organismo estremamente plastico, un abile competitore, una preda e un predatore, un rifugio e un substrato dove attecchire, un fedele compagno di vita e un nucleo di biodiversità.[1]
Predatori

Sebbene ricche di spicole spinose e di difese chimiche come metaboliti tossici, le spugne sono predate da diversi animali marini (pesci, anellidi, molluschi, crostacei, echinodermi, tartarughe marine ecc.), che però solitamente non sono comunque in grado di danneggiare l’intero organismo.
Nel Mediterraneo i principali predatori delle spugne sono rappresentati da molluschi gasteropodi e da anellidi policheti, che “brucano” attivamente le superfici delle spugne. La ciprea Luria lurida integra la sua dieta con le spugne Chondrilla nucula e Chondrosia reniformis, il notaspideo Tylodina perversa è predatore della spugna Aplysina aerophoba. Sulla preda, il piccolo mollusco passa gran parte della sua esistenza, nascondendosi dai predatori e deponendo le uova raccolte in lunghi nastri, anch’essi gialli. Innumerevoli sono i nudibranchi, dei gasteropodi non conchigliati, che predano le spugne, come la vacchetta di mare Peltodoris atromaculata che si vede spesso aggredire la spugna Petrosia ficiformis, da cui gratta con la radula lo strato superficiale ricco di nutrienti cianobatteri endosimbionti, o come Phyllidia flava che scala lentamente le ramificazioni di Axinella cannabina per poi mangiarle a pezzetti. Molti nudibranchi frequentano le spugne perché trovano sulla loro superficie colonie di minuscole prede di cui vanno particolarmente ghiotti, come gli idrozoi e gli entoprocti. Le spugne vengono mangiate anche da alcuni anellidi, crostacei, echinodermi come la stella marina Echinaster sepositus e diverse specie di ricci di mare.[1]
Nelle barriere coralline tropicali le spugne sono predate anche da diverse specie di pesci (soprattutto pesci farfalla, pesci angelo e idolo moresco), e da alcune specie di tartarughe marine. Studi sulla dieta della tartaruga marina Eretmochelys imbricata hanno dimostrato che essa è costituita per il 70-95% da demosponge, in particolare astroforidi, spiroforidi e adromeridi.[5]
I morsi inferti dai vari predatori non sono in genere mortali per le spugne colpite, che riescono ad isolare e cicatrizzare le porzioni danneggiate.
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Anatomia e fisiologia
Riepilogo
Prospettiva

I poriferi sono animali sessili, cioè vivono attaccati sulle rocce dei fondali marini o sugli scogli. Essi formano il gruppo degli animali più primitivi e presentano una scarsa specializzazione cellulare. Il loro corpo, dalle forme più varie, è formato da tre strati: lo strato esterno funge da rivestimento ed è costituito da cellule appiattite dette pinacociti, quello intermedio contiene delle strutture di sostegno, dette spicole e infine quello interno delimita una cavità ed è formato da cellule dette coanociti.


La struttura base delle spugne è un sacco, chiamato spongocele, con un'apertura principale, l'osculo, e numerosi pori nella parete. La parete è formata da due strati cellulari: il coanoderma e il pinacoderma.
- Il coanoderma è lo strato interno; presenta cellule flagellate, i coanociti, che svolgono un ruolo fondamentale sia per la riproduzione sessuale che per l'alimentazione, la quale avviene per filtrazione di microrganismi e particelle alimentari sospese nell'acqua.
- Lo strato esterno, spesso vivacemente colorato, è detto pinacoderma ed è formato da cellule appiattite e strettamente appressate, dette pinacociti, che svolgono un ruolo di protezione e rivestimento.
Tra il coanoderma e il pinacoderma è presente uno strato acellulare gelatinoso, il mesoilo o mesoglia, in cui si trovano diversi elementi cellulari, detti archeoblasti, che a seconda delle necessità possono trasformarsi in:
- cellule ameboidi, o amebociti, che hanno la funzione di distribuire a tutto il corpo le sostanze nutritive;
- cellule sessuali che producono i gameti (micro- e macrogametociti rispettivamente maschili e femminili)

Quasi tutte le spugne posseggono una struttura scheletrica, l'endoscheletro, formato da spicole calcaree o silicee, o fibre proteiche (spongina) prodotte rispettivamente dagli scleroblasti (o sclerociti) e dagli spongoblasti, o (spongociti).
Le spugne silicee hanno generalmente due tipi di spicole: le megasclere e le microsclere.
Le megasclere misurano oltre 100 µm e partecipano alla funzione di sostegno dei tessuti. Le microsclere sono di piccola taglia (1 à 100 µm) e non svolgono il ruolo di struttura scheletrica.
Le spicole silicee costituiscono delle vere e proprie fibre ottiche naturali, il che fa ipotizzare un ruolo di queste strutture nel successo evolutivo delle spugne silicee rispetto a quelle calcaree.
La respirazione avviene attraverso le cellule, il ricambio continuo di acqua permette una continua ossigenazione dell'ambiente detta "respirazione cutanea".
Le spugne non hanno un sistema nervoso, ovvero cellule collegate l'una all'altra da giunzioni sinaptiche. Recenti studi di sequenziamento del genoma della spugna Amphimedon queenslandica hanno tuttavia dimostrato che nel DNA dei poriferi esistono geni omologhi di quelli che svolgono ruoli chiave nella funzione sinaptica. Le cellule di spugna esprimono un gruppo di proteine che si raggruppano insieme per formare una struttura che assomiglia a una densità postsinaptica (la parte che riceve il segnale di una sinapsi). Tuttavia, la funzione di questa struttura non è al momento chiara.[6]
Sebbene le cellule di spugna non mostrino trasmissione sinaptica, comunicano tra loro tramite le onde di calcio e altri impulsi, che mediano alcune semplici azioni come la contrazione di tutto il corpo[7] (effettori N.d.JW).
Tutti i tipi cellulari dei poriferi derivano da un unico gruppo di cellule ameboidi indifferenziate e totipotenti, gli archeociti.

A. tipo ascon B. tipo sycon C. tipo leucon
pinacociti
coanociti
1=spongocele; 2=osculo; 3=tubo radiale; 4=camera coanocitaria; 5=pori; 6=canali inalanti.In base alla loro struttura macroscopica le spugne possono presentarsi con tre differenti morfologie:
- tipo ascon o asconoide: sono le spugne calcaree più semplici, con struttura a sacco singolo;
- tipo sycon o siconoide: comprende la gran parte delle spugne silicee (e le calcaree più grandi e complesse), caratterizzate da una struttura più evoluta in cui lo spongocele presenta una serie di digitazioni a fondo cieco, che consentono, a parità di volume, un aumento della superficie di scambio;
- tipo leucon o leuconoide: è la morfologia più evoluta, in cui lo spongocele è caratterizzato da un complesso sistema di concamerazioni, che potenzia l'efficacia filtratoria.
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Alimentazione
Riepilogo
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Sono filtratori e si nutrono di piccoli organismi e particelle organiche che fluttuano sospese nell'acqua. Il sistema di filtraggio è possibile grazie all'azione dei coanociti, cellule flagellate che, muovendosi ripetutamente, creano una corrente di risucchio che permette all'acqua di attraversare i pori, entrare nelle cavità della spugna e, in seguito, fuoriuscire dall'osculo. I coanociti sono muniti di un collaretto, estensione citoplasmatica composta da microvilli, che circonda il flagello ed imprigiona l'alimento. Le particelle catturate penetrano nel coanocita per essere trasferite agli amebociti del mesoilo, dove avviene una digestione intracellulare.
Spugne carnivore
La filtrazione non è la sola modalità di alimentazione all’interno del gruppo dei poriferi. È stato dimostrato che non tutte le specie di poriferi sono filtratori, ma che al contrario alcune di esse, tipiche di acque profonde, sono carnivore. Si nutrono di crostacei ed altri piccoli animali, e per la maggior parte appartengono alla famiglia Cladorhizidae, e, in misura minore se ne trovano anche nelle famiglie Guitarridae e Esperiopsidae.[8][9]

Nonostante si conosca ancora poco del meccanismo di cattura, è noto come alcune specie avvicinino e catturino la preda tramite delle strutture simili ad uncini formate da spicole. Le spugne carnivore appartenenti alla famiglia Cladorhizidae, tipiche di ambienti estremi come le grotte oscure e i fondi batiali, sono spugne carnivore estremamente modificate, che catturano le loro prede (crostacei e piccoli animali marini) con filamenti armati di spicole dalla particolare forma a uncino.[8][10] La maggior parte delle spugne carnivore hanno perso i coanociti e il loro sistema acquifero, nonostante alcune specie usino un sistema acquifero modificato per gonfiare delle strutture in grado di fagocitare la preda.[8][11]

Una specie di spugna carnivora è Chondrocladia lyra nota anche come spugna arpa o spugna lira a causa della sua somiglianza con questi strumenti musicali. Questa spugna, che raggiunge i 37 cm di lunghezza, è stata scoperta nel 2012 nell’Oceano Pacifico settentrionale, a oltre 3.000 m di profondità, al largo delle coste della California da un gruppo di ricercatori utilizzando dei sottomarini a comando remoto (ROV).
Altre specie hanno la forma di una rete da pesca appiccicosa, intrappolando tutto ciò che vi capita. Una volta catturata la preda, queste spugne spostano il corpo per coprire e poi digerire lentamente la preda intrappolata.
La maggior parte delle spugne carnivore vive in acque profonde, oltre gli 8.800 metri,[12] e lo sviluppo dell'esplorazione dei fondali marini ne sta portando alla luce sempre di nuove.[8] Recentemente, in una grotta a pochi metri di profondità vicino a Marsiglia in Francia, è stata scoperta una specie di spugna carnivora priva di un normale sistema acquifero, in grado di catturare piccoli organismi che si avvicinano alla spugna.[1]
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Riproduzione e sviluppo
Riepilogo
Prospettiva
Nelle spugne la riproduzione può avvenire sia per via sessuale, grazie alla produzione di uova e spermatozoi, sia per via asessuale tramite frammentazione o gemmazione. I poriferi possono essere sia ermafroditi sia gonocorici (a sessi separati), con fecondazione interna o esterna, a seconda della specie.[1]
Riproduzione sessuale
La riproduzione sessuale implica l’elaborazione di gameti femminili, gli ovociti, e gameti maschili, gli spermi, racchiusi in gran numero all’interno delle cisti spermatiche. I gameti derivano dal differenziamento di coanociti o archeociti, e possono essere prodotti da individui separati nelle specie gonocoriche (a sessi separati) o dallo stesso individuo nelle specie ermafrodite. Molte spugne sono vivipare con fecondazione interna, altre ovipare con rilascio di gameti maschili e femminili direttamente nel mezzo acqueo e fecondazione esterna. Nella fecondazione interna, molto più comune, lo spermio emesso in acqua da una spugna penetra attraverso gli osti all’interno di un’altra spugna, e viene condotto ad un ovocita da una cellula coanocitaria trasformata all’occorrenza in cellula di trasporto. In seguito alla fecondazione, l’embrione va incontro ad una serie di divisioni cellulari fino alla formazione della larva. Esistono differenti tipologie larvali a seconda della classe di spugne considerata, ma tutte vengono emesse dagli osculi della “mamma” spugna nell’ambiente marino e restano sospese nella colonna d’acqua come componente dello zooplancton per poche ore e per uno/due giorni. In questa fase planctonica la minuscola larva non è più grande di mezzo millimetro, si nutre delle proprie riserve e vaga alla ricerca di un substrato adatto su cui fissarsi.[1]
Riproduzione asessuale
La riproduzione asessuale nelle spugne può essere di tre tipi: la frammentazione, la produzione di gemme o di gemmule. La frammentazione è un processo che consente la formazione di nuovi individui a partire da frammenti del corpo di un organismo adulto. Spesso avviene per colamento di porzioni di spugna che sfruttano la forza di gravità per colare lentamente dall’organismo genitore fino a staccarsi e a cadere sul substrato dove originano nuove spugne perfettamente funzionali. Questa modalità di riproduzione asessuale è adoperata da diverse specie di spugne, come Clathrina clathrus, Chondrosia reniformis, Chondrilla nucula, Oscarella lobularis, che per colonizzare nuovi ambienti limitrofi iniziano a “colare” fino a quando non incontrano un nuovo substrato su cui duplicarsi o addirittura trasferirsi. Durante questo comportamento è possibile notare filamenti lunghi anche più di un metro.[1]

Un’altra tipologia di riproduzione asessuale nelle spugne è la gemmazione. Le gemme sono protuberanze sferiche di qualche millimetro, che vengono elaborate da poche specie di spugne come quelle appartenenti al genere Tethya. Le gemme restano attaccate al corpo della spugna adulta attraverso una specie di sottilissimo cordone ombelicale finché si staccano e rotolano giù sviluppandosi autonomamente. Le specie del genere Tethya rappresentano un ottimo esempio di riproduzione asessuale per gemmazione nelle spugne. Il loro corpo, infatti, è spesso ricoperto da gemme peduncolate che, per gemmazione, si staccheranno dalla spugna madre per andare a colonizzare nuovi ambienti.[1]
Infine, le gemmule sono corpi di resistenza sferici, grandi qualche centinaio di micron, costituiti da archeociti contenuti in una capsula di collagene. In genere, le gemmule sono elaborate dalle spugne che vivono in ambienti d’acqua dolce, spesso effimeri e soggetti ad essiccamento o congelamento. Gli archeociti delle gemmule restano inattivi per tutto il periodo sfavorevole e si moltiplicano e differenziano soltanto con il miglioramento delle condizioni ambientali.[1]
Una caratteristica dei poriferi è la capacità di disgregazione-riaggregazione: se, ad esempio, una spugna viene disgregata con un setaccio si assiste ad una ricostruzione generale dell'organismo da parte degli amebociti. In natura questa capacità permette a questi semplici animali di dividersi in più individui e colonizzare maggiormente il substrato.
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Evoluzione
Riepilogo
Prospettiva
I tassonomi collocano le spugne in uno dei quattro sottoregni animali, quello dei parazoi. Analisi molecolari dal 2001 hanno concluso che alcuni gruppi di spugne sono più strettamente imparentati con gli eumetazoi (la stragrande maggioranza degli organismi animali) rispetto al resto dei poriferi. Tali conclusioni implicano che le spugne non sono un gruppo monofiletico, poiché l'ultimo antenato comune di tutte le spugne sarebbe anche un antenato diretto degli eumetazoi, che non sono spugne. Uno studio condotto sulla base di confronti di DNA ribosomale ha concluso che la divisione più importante all'interno del phylum è tra spugne vitree o hyalospongiae e il resto del gruppo, e che gli eumetazoi sono più strettamente correlati alle spugne calcaree, quelle con spicole di carbonato di calcio, rispetto ad altri tipi di spugna. Nel 2007 un'analisi basata sul confronto di RNA e un'altra basata principalmente sul confronto di spicole ha concluso che demosponge e spugne di vetro sono più strettamente correlate tra loro che non altre classi, come le spugne calcaree, che a loro volta sono più strettamente legate agli eumetazoi[13].
Queste ed altre analisi, hanno stabilito che le spugne sono i più vicini parenti degli antenati comuni a tutti metazoi, ovvero tutti gli animali pluricellulari. Un altro confronto nel 2008 di 150 geni in ciascuna di 21 specie che vanno dai funghi all'uomo, ma includente unicamente due specie di spugna, ha suggerito che gli ctenofori siano il lignaggio più basale dei metazoi inclusi nel campione. Se questo è corretto, i moderni ctenofori hanno sviluppato le loro strutture complesse indipendentemente da altri metazoi, o gli antenati delle spugne "erano più complessi" e tutte le spugne conosciute si sono drasticamente semplificate nelle forme. Lo studio raccomanda ulteriori analisi utilizzando una gamma più ampia di spugne e altri semplici come i placozoi. I risultati di tale analisi, pubblicata nel 2009, suggeriscono che il ritorno alla visualizzazione precedente, con le spugne alla base dell'albero evolutivo, possa essere giustificata. Un dendrogramma costruito utilizzando una combinazione di tutti i dati disponibili, morfologici, di sviluppo e molecolari ha concluso che le spugne sono in realtà un gruppo monofiletico, con i cnidari formati il gruppo gemello ai bilateri[14][15].
Si era ipotizzata, nel XX secolo, una loro origine filogeneticamente indipendente dagli altri phylum animali, secondo cui i poriferi si sarebbero evoluti da ceppi ancestrali di organismi unicellulari dotati di flagello (protozoi coanoflagellati) aggregatisi in colonie.
Le prime testimonianze fossili della esistenza dei poriferi risalgono a circa 570 milioni di anni fa (fine del Precambriano): i reperti di quel periodo, la cosiddetta piccola fauna dura (dall'inglese small shelly fauna), sono costituiti in gran parte da ammassi di spicole di poriferi, assieme frammenti o resti disarticolati di altri organismi quali molluschi, brachiopodi, echinodermi.

Fossili di Protospongia sp., un porifero con struttura simile a quella degli attuali Hexactinellida, risalenti al Cambriano inferiore (circa 540 milioni di anni fa) sono stati rinvenuti nell'argillite di Burgess, in Canada[16], mentre i primi fossili di Demospongiae (Hazelia sp.), risalenti a circa 525 milioni di anni fa, sono stati ritrovati nei giacimenti fossili del Chengjiang (Cina)[17].
Le spugne ebbero il loro momento di massima diffusione nell'Eocene, durante il quale formarono colonie marine paragonabili a vere e proprie foreste.[18] Ricchi giacimenti di spongoliti sono presenti in Australia.[19] In Italia a titolo di esempio si possono citare i depositi di spongoliti della Lombardia e del Piemonte.[20]
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Tassonomia
Riepilogo
Prospettiva
La classificazione sistematica dei poriferi è stata tradizionalmente basata sulle caratteristiche scheletriche, in particolare sull'osservazione al microscopio degli elementi che costituiscono il suo scheletro: le spicole o le fibre di spongina. I dati recenti (citologici, molecolari, riproduttivi) non sono in palese contrasto con i precedenti, ma hanno comportato una sensibile variazione nella tassonomia del gruppo.
La classificazione dei poriferi è in continua evoluzione, grazie anche agli studi molecolari e filogenetici. Qui di seguito è proposta la classificazione valida sino ad oggi.
Il phylum Porifera viene generalmente suddiviso in 4 classi che differiscono per la composizione dell'endoscheletro[21]:
- Calcispongiae o Calcarea (spugne calcaree)
- Hyalospongiae o Hexactinellida (spugne vitree o esattinellidi)
- Demospongiae (spugne silicee e spugne cornee)
- Homoscleromorpha (omoscleromorfe)
Calcispongiae o Calcarea (spugne calcaree)


Le calcisponge (classe Calcispongiae o Calcarea), sono spugne con scheletro formato da spicole calcaree di calcite cristallina e carbonato di calcio (per questo dette spugne calcaree), di piccole dimensioni e di basse profondità, poco appariscenti, hanno strutture semplici, generalmente asconoidi o siconoidi.
La classe Calcarea comprende le seguenti sottoclassi e i seguenti ordini:
- Sottoclasse Calcinea
- Ordine Clathrinida
- Ordine Leucettida
- Sottoclasse Calcaronea
- Ordine Leucosolenida
- Ordine Sycettida
- Sottoclasse Pharetronida
- Ordine Inozoa
- Ordine Sphinctozoa
Hyalospongiae o Hexactinellida (spugne vitree)

Le ialosponge o esattinellidi (classe Hyalospongiae o Hexactinellida), sono spugne con scheletro vetroso siliceo (per questo dette spugne vitree), caratterizzate dalla presenza di spicole silicee a sei raggi (esattine); le spicole possono essere libere o parzialmente fuse a formare una rete rigida. Di solito vivono in acque profonde.
La classe Hyalospongiae comprende le seguenti sottoclassi e i seguenti ordini:
- Sottoclasse Hexasterophora
- Ordine Lyssacina
- Ordine Dictyonina
- Sottoclasse Amphidiscophora
- Ordine Amphidiscosa
Demospongiae (spugne silicee e spugne cornee)


Le demosponge (classe Demospongiae) rappresentano la classe più vasta di poriferi, comprendono circa il 95% delle specie note di spugne, tra cui le familiari spugne da bagno.
Le demosponge spugne che possono presentare spicole silicee (spugne silicee) o fibre proteiche di spongina (spugne cornee); sono molto diversificate, presenti in diverse forme, dimensioni e colorazioni, possono essere sia marine sia di acque dolci; a questa classe appartengono le specie più conosciute e più diffuse sia nel Mediterraneo sia in altri ambienti come quelli tropicali.
La classe Demospongiae comprende i seguenti ordini:
- ordine Agelasida
- ordine Astrophorida
- ordine Axinellida
- ordine Chondrosida
- ordine Dendroceratida
- ordine Dictyoceratida
- ordine Halichondrida
- ordine Halisarcida
- ordine Haplosclerida
- ordine Homosclerophorida
- ordine Hadromerida
- ordine Lithistida
- ordine Poecilosclerida
- ordine Spirophorida
- ordine Verongida
Homoscleromorpha (omoscleromorfe)


Le omoscleromorfe (Homoscleromorpha) sono spugne che possono avere spicole silicee o essere prive di spicole, tutte con struttura di tipo leucon. Fino a poco tempo fa, le spugne che costituiscono l’attuale classe Homoscleromorpha erano raggruppate in un ordine della classe Demospongiae. Soltanto recenti studi filogenetici hanno evidenziato l’esistenza di notevoli differenze a livello molecolare tra i due gruppi di spugne, denominando la separazione e la promozione dell’ordine Homoscleromorpha a classe. Sono separate dalle altre spugne anche per molti caratteri esclusivi, come ad esempio lo scheletro di spicole silicee con una morfologia caratteristica, il tipo e la formazione delle larve e lo strato di cellule a contatto del substrato unite da una membrana basale. Sono specie sciafile, che vivono in ambienti scarsamente illuminati come le grotte e il coralligeno.[1]
Questa classe comprende un unico ordine: Homosclerophorida.[22]
Specie di omoscleromorfe tipiche del Mediterraneo sono Oscarella lobularis e Corticium candelabrum.
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Poriferi del Mediterraneo
Riepilogo
Prospettiva

Nel Mar Mediterraneo sono state finora descritte oltre 600 specie di spugne. Questa cifra non è definitiva, ma tende ad aumentare di anno in anno. La maggior parte delle specie mediterranee (circa 500 specie) rientra nella classe delle demosponge (Demospongiae), mentre un piccolo gruppo di specie è distribuito nelle altre tre classi del phylum: calcisponge (Calcispongiae, 79 specie nel Mediterraneo) ialosponge (Hyalospongiae, 7 specie nel Mediterraneo), omoscleromorfe (Homoscleromorpha, 22 specie nel Mediterraneo). Molte delle spugne mediterranee sono specie endemiche, cioè esclusive del Mediterraneo.[1]

Gli ambienti di maggior diffusione delle spugne nel Mediterraneo sono i fondi duri e in particolare il coralligeno, una biocenosi di organismi marini bentonici che colonizza rocce e fondali rocciosi poco illuminati tra i 25 e i 200 metri di profondità; in questo ambiente le spugne sciafile sono una delle componenti più importanti del benthos. Alcune spugne mediterranee si trovano anche in ambienti illuminati o presso le praterie di fanerogame marine.






Tra le spugne più diffuse del Mediterraneo si possono citare le seguenti specie:[1][23][24]
- Spugne calcaree (Calcispongiae)
- Sycon raphanus
- Sycon elegans
- Leucosolenia variabilis
- Clathrina clathrus
- Clathrina coriacea
- Clathrina lacunosa
- Clathrina rubra
- Paraleucilla magna
- Ascandra contorta
- Petrobiona massiliana
- Spugne silicee e spugne cornee (Demospongiae)
- Spongia officinalis
- Spongia lamella
- Spongia zimocca
- Hippospongia communis
- Petrosia ficiformis
- Haliclona mediterranea
- Haliclona cinerea
- Haliclona fulva
- Dysidea fragilis
- Dysidea avara
- Sarcotragus spinosulus
- Sarcotragus foetidus
- Scalarispongia scalaris
- Cacospongia mollior
- Ircinia variabilis
- Geodia cydonium
- Tethya citrina
- Tethya aurantium
- Aplysina aerophoba
- Aplysina cavernicola
- Axinella damicornis
- Axinella polypoides
- Axinella verrucosa
- Axinella cannabina
- Acanthella acuta
- Dictyonella incisa
- Crella elegans
- Crella pulvinar
- Agelas oroides
- Chondrilla nucula
- Chondrosia reniformis
- Hexadella racovitzai
- Crambe crambe
- Hemimycale columella
- Spirastrella cunctatrix
- Diplastrella bistellata
- Phorbas fictitius
- Phorbas tenacior
- Cliona celata
- Cliona rhodensis
- Cliona viridis
- Omoscleromorfe (Homoscleromorpha)
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Rapporti con l'uomo
Riepilogo
Prospettiva
L’impiego delle spugne, e più precisamente dello scheletro corneo di alcune specie di spugne cornee, per lavare, assorbire e detergere risale nella civiltà mediterranea ai primi tempi dell’antichità classica. Vi sono diverse varietà di spugne commerciali, che si classificano secondo la qualità e la provenienza. Le specie più sfruttate nel Mediterraneo sono Spongia officinalis, Spongia lamella, Spongia zimocca, e Hippospongia communis.[2]

Alcune spugne cornee sono state raccolte e utilizzate dall’uomo in vari modi fin da tempi remoti. Erano oggetti ornamentali per gli antichi Egizi, venivano adoperate dai Fenici per dipingere vasi e altri manufatti, erano impiegate dai Greci come spugne da bagno per la loro morbidezza e l’elevato sapore assorbente. Durante i secoli successivi, le spugne assunsero ruoli sempre più diversi, da succhiotto per bambini a materiale per imbottiture, da contraccettivo a strumento chirurgico utile a recuperare il sangue del paziente, da medicinale omeopatico a supporto per miscele anestetizzanti. Attualmente le spugne, oltre ad essere impiegate nell’industria cosmetica, rappresentano una ricca fonte di molecole dalle comprovate proprietà antivirali, antibiotiche e antitumorali. Inoltre, grazie alla loro efficienza nella filtrazione e nel depurare l’acqua dai batteri, le spugne sono molto utili anche da vive, poiché sono organismi sfruttabili nel biorisanamento di aree marine soggette a forte contaminazione batterica.[1]
Pesca delle spugne

Inizialmente, la raccolta delle spugne, i cui banchi si trovano anche ad oltre 40 m di profondità, riguardava solo gli esemplari spiaggiati dopo le mareggiate. La tradizione della pesca in immersione subacquea nacque nell’antica Grecia, dove pescatori specializzati raggiungevano in apnea i banchi spongiferi anche a grandi profondità, trascinati giù da grandi pietre, e raccoglievano le spugne con le mani. In seguito, i mezzi di raccolta delle spugne si diversificarono: nelle zone costiere venivano individuate direttamente dalle imbarcazioni mediante l’uso del batiscopio e prelevate con una lunga fiocina dentata; più in profondità le spugne erano strappate dal fondo marino con il distruttivo “gangamo”, una rete dall’imboccatura rigida e pesante. Una volta prelevate, le spugne venivano sbattute sugli scogli per pulire lo scheletro ed eliminare le parti molli, risciacquate in acqua dolce e sottoposte a sbiancatura con varie sostanze chimiche tra cui permanganato di potassio.[1]
I quantitativi prelevati di spugne dal mare rimasero modesti fino alla fine dei XIX secolo, quando furono messi a punto i primi sistemi per poter “respirare” sott’acqua. Una flotta di pescatori professionisti iniziò così a pescare un numero sempre maggiore di spugne, in particolar modo le specie Spongia officinalis, Spongia lamella, Spongia zimocca e Hippospongia communis. Dalla Grecia e dalle isole del Mar Egeo il prelievo di spugne si estese e divenne importante in molte regioni mediterranee: in Italia, Dalmazia, Turchia, Egitto, Libia e Tunisia. Solo dal 1927 al 1932 si stima siano state pescate nel Mar Mediterraneo 350 tonnellate di spugne ogni anno. Alla raccolta senza controllo si aggiunsero drammatici eventi epidemici che decimarono popolazioni di spugne commercialmente già profondamente sfruttate dall'uomo.[1]
Oggi la pesca di spugne viene generalmente praticata da subacquei condotti da un'imbarcazione particolarmente attrezzata, il saccalevo, munita di una rete speciale detta gangava. La pesca delle spugne oggi si fa oltre che nel Mediterraneo (soprattutto Grecia, Asia Minore, Tunisia) sulle coste della Florida, Cuba, Bahamas, Australia e in isole dell'Oceano Pacifico.[2]
Importanza delle spugne nella depurazione delle acque
Le spugne, grazie alla loro capacità rigenerativa, sono considerate organismi ideali per la coltura in mare destinata a diverse applicazioni, tra cui la depurazione delle acque degradate dalle attività antropiche e il monitoraggio ambientale.[25]
I processi che avvengono all’interno dell’animale sono estremamente efficienti e permettono una filtrazione completa dell’acqua, oltre che un accumulo di sostanze inquinanti e non. Questa caratteristica permette di affermare che allevamenti di spugne sono in grado di abbattere in maniera notevole il tasso di inquinamento organico favorendo il mantenimento di ecosistemi in aree sensibili ad elevato rischio di degrado.[25]
La spugna Chondrilla nucula, volgarmente chiamata spugna cervello, può trattenere quantità elevate di batterio Escherichia coli, con una capacità di pompaggio dell’acqua di 14 litri per ora ed una capacità di ritenzione di 7 x 1.010 batteri/h per 1 m2 di copertura, risultando perciò utile per l’impiego nel recupero dell’ecosistema marino.[25]
Pertanto, i poriferi sono stati rivalutati come organismi sentinella per lo stato di salute delle acque, in quanto animali in grado di accumulare alte concentrazioni di metalli pesanti e altri inquinanti con maggiore efficienza rispetto ad altri organismi storicamente utilizzati come bioindicatori. Le spugne, quindi, risultano essere organismi impiegabili per azioni di monitoraggio ambientale, di biorisanamento e di restauro ambientale.[25]
Allevamento di spugne: spongicoltura
Per scongiurare un ulteriore impoverimento di popolazioni di spugne ma per non smettere di sfruttare le importanti risorse, anche in campo medico e farmaceutico, che i poriferi offrono, sono state sperimentate differenti metodologie per l’allevamento delle spugne in mare (spongicoltura). Tra gli invertebrati marini, le spugne sono in grado di rigenerare organismi perfettamente funzionali a partire da piccoli frammenti di pochi cm3 di volume. Questa caratteristica li rende soggetti ideali per la coltivazione destinata alla produzione di biomassa in un’ottica di sfruttamento sostenibile delle risorse naturali. Inoltre, i poriferi sono filtratori attivi e si nutrono trattenendo la frazione organica, particolata o disciolta, presente nell’acqua: non è pertanto necessario l’apporto di nutrimento da parte dell’uomo, al contrario di ciò che accade negli allevamenti ittici a mare. Si è pensato di sfruttare le elevate capacità rigenerative delle spugne per cercare di coltivare le spugne commerciali. Sono stati tentati, a partire dalla fine del XIX secolo, vari esperimenti di coltivazione da frammenti. La tecnica più semplice di spongicoltura consiste nel sospendere piccoli frammenti di spugne del volume di pochi cm3 a lunghi fili di nylon, le cui estremità sono legate a telai rigidi posizionati in verticale o in orizzontale rispetto al fondo marino. La coltivazione delle spugne può essere finalizzata alla depurazione delle acque soggette a pesanti carichi organici o batterici causati da intensa attività antropica quali si incontrano, ad esempio, in aree portuali, porticcioli turistici, in prossimità di allevamenti ittici e di condotte di scarico fognario urbano a mare. Le tecnologie di spongicoltura per la realizzazione di biofiltri, destinati alla depurazione naturale (biorisanamento) delle masse d’acqua della fascia costiera, rappresentano una soluzione ecologicamente ed economicamente sostenibile; si possono affrontare problematiche legate all’inquinamento organico, da derivati del petrolio e da metalli pesanti. La spongicoltura, inoltre, ha importanti finalità nella produzione su larga scala di biomassa, di alto interesse applicativo, utilizzabile nei campi farmaceutico, biomedico e dell’industria degli antifouling (il fouling è rappresentato da tutti gli organismi incrostanti che crescendo sulle chiglie delle imbarcazioni creano un serio problema). L’estrazione di composti bioattivi prodotti da poriferi e/o da batteri endosimbionti ad essi associati, rappresenta una ulteriore risorsa economica non trascurabile. La ricerca scientifica e tecnologica, relativa ai prodotti naturali di interesse farmacologico, ha superato la fase sperimentale ed è possibile una sua applicazione pratica. Le spugne sono utilizzate sin dall’antichità come rimedi naturali (tosse, ansia, etc.). L’attuale ricerca farmacologica ha individuato sostanze, come l’avarolo, il cacospongoniloide ed il manoalide, estremamente attive per stati infiammatori e tumorali. Queste sostanze rappresentano i principi attivi di alcuni medicinali entrati di recente sul mercato ed hanno prezzi elevatissimi dell’ordine di 2.500 € al grammo. Le spugne sono anche capaci di produrre potenti antibiotici naturali che attualmente vengono sperimentati come sostanze “anti-vegetative” (prevenzione dell’insediamento da organismi sessili sulla carena delle imbarcazioni e su altre strutture sommerse). Quanto sopra elevato permette di affermare che l’allevamento delle spugne rappresenta una via alternativa alle attività marinare classiche; la spongicoltura richiede tecnologie semplici ed a basso costo, è disinquinante e potrebbe rivelarsi estremamente remunerativa se praticata in parallelo ad altre attività. Gli impianti utilizzati per la spongicoltura sono mobulari e mobili, utilizzano la naturale capacità delle spugne di filtrare ingenti masse d’acqua e funzionano perfettamente anche in policoltura, associati ad altri organismi vegetali ed animali. Nonostante i frammenti di spugna tendano ad accrescersi e a mostrare tassi di mortalità molto bassi, altri problemi come i danni arrecati dalle mareggiate, dalle attività di pesca o dagli organismi del fouling che tendono a ricoprire rapidamente gli impianti hanno scoraggiato finora l’allevamento di spugne nel Mar Mediterraneo. Per vari motivi (epidemie, ostilità dei pescatori locali ecc.) non hanno portato a soddisfacenti risultati.[2][26]
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Conservazione
Riepilogo
Prospettiva

Le spugne sono minacciate dal degrado degli ambienti marini in cui vivono: l'inquinamento e l'incessante intorbidamento delle acque, la devastazione dei fondi coralligeni e delle praterie di fanerogame marine attuata dalla pesca con reti a strascico, la distruzione di substrato roccioso o di biocostruzioni ad opera dei pescatori di datteri di mare.
Non meno importanti sono i rischi legati alla competizione con specie aliene, con un sempre maggiore numero di alghe e invertebrati bentonici alieni particolarmente aggressivi e competitivi, e allo sfruttamento commerciale attuato dall'uomo in modo sconsiderato a partire dal XIX secolo.
Infine, a causa dei cambiamenti climatici e in particolar modo del riscaldamento globale, numerose anomalie termiche hanno provocato negli ultimi decenni estesi eventi di mortalità di massa di organismi bentonici, che hanno interessato anche molte specie di spugne.
Per tutti questi motivi, alcune specie di spugne particolarmente vulnerabili e oggetto di raccolta indiscriminata sono state inserite negli allegati II e III della Convenzione di Berna e nel protocollo SPA/BIO (Specially Protected Areas and Biological Diversity in the Mediterranean) della Convenzione di Barcellona.[1]
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Note
Bibliografia
Voci correlate
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