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attore italiano (1929-2017) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gastone Domenico Moschin (San Giovanni Lupatoto, 8 giugno 1929 – Terni, 4 settembre 2017[1]) è stato un attore italiano.
Figlio di Giuseppe e di Amalia Baschera,[2] all'età di sette anni lasciò la provincia di Verona per Milano, dove il padre s'era trasferito per lavoro. I Moschin rientrarono a San Giovanni Lupatoto durante la guerra, per poi tornare a Milano, dove Gastone si sarebbe diplomato geometra e avrebbe iniziato a lavorare in banca. La passione per il teatro lo spinse però a Roma, per frequentare l'Accademia d'arte drammatica, dove si diplomò nel 1955.[3]
Nel 1960 sposò la collega Marzia Ubaldi, da cui nel 1963 ebbe l'unica figlia, Emanuela, a sua volta attrice per un periodo; dalla Ubaldi si separò quando la bambina aveva 7 anni[4] e negli anni settanta si sposò con Christiane Lhuillier, giovane donna francese.[5]
Alla fine degli anni 2000 ci fu il riavvicinamento con l'ex-moglie, quando per iniziativa della figlia, neo-diplomata all'Accademia, recitarono insieme alcune stagioni, tutti e tre. Fino al 1993, quando portarono in scena Tredici a tavola di Marc-Gilbert Sauvajon: in quella tournée lui fu colpito da un infarto e venne sostituito da Gianfranco D'Angelo.[6]
Dal 1990 Moschin s'era trasferito a Capitone, vicino a Narni, dove la moglie Christiane Lhuillier, medico omeopata, aveva avviato anche un maneggio di cavalli, divenuto il primo centro di ippoterapia dell'Umbria. Nel 2003 lui, la figlia e l'ex-moglie fondarono a Terni la scuola di recitazione "MUMOS" (il nome Mumos deriva dalle iniziali di Marzia Ubaldi Moschin), della quale furono docenti tutti e tre. Un'esperienza che durò un decennio, fino alla primavera 2013.[7]
Ha tra l'altro interpretato il fotoromanzo Il re si diverte (Rigoletto), con Flora Lillo e Gianni Di Benedetto (I romanzi di Sogno n. 225, 1 aprile 1966).
Gastone Moschin è morto all'età di 88 anni il 4 settembre 2017 all'ospedale Santa Maria di Terni, dove era ricoverato dal 30 agosto, ed era da tempo sotto osservazione per una grave cardiopatia cronica.[8] Dopo due giorni è stato celebrato il funerale nel santuario della Madonna del Ponte a Narni scalo, ed è stato cremato a Viterbo.[9][10]
Nel 1955, appena diplomatosi all'Accademia, intraprese la carriera teatrale debuttando[11] in Ivanov di Čechov, diretto da Mario Ferrero per la compagnia del Teatro Stabile di Genova, della quale entrò a far parte, rimanendovi fino al 1958, quando passò al Piccolo Teatro di Milano. Vi restò alcuni anni, partecipando ad alcuni degli spettacoli epocali diretti da Giorgio Strehler.[12] Ha poi collaborato con il Teatro Stabile di Torino (Zio Vanja di Čechov, 1977; I giganti della montagna di Pirandello, 1979). Nel 1968 ha interpretato il ruolo di Lopachin ne Il giardino dei ciliegi di Čechov, di nuovo sotto la direzione di Mario Ferrero.
All'inizio degli anni ottanta diede vita a una propria compagnia come capocomico, la "compagnia Teatro d'Arte", interpretando spettacoli prodotti da impresari quali Mario Chiocchio e Massimo Chiesa.[13]
Pur avendo fatto oltre cento film, e preso parte a decine di produzioni televisive, non ha mai abbandonato il palcoscenico: è stato attivo in teatro per quasi quarant'anni, e ha lavorato con i maggiori registi italiani del Novecento, da Squarzina a Strehler, da Missiroli a Calenda, a fianco di generazioni di grandi attori e attrici, spaziando in tutti i generi, dalla commedia alla tragedia, dai classici ai contemporanei.
A riprova del suo profondo amore per il palcoscenico un episodio di inizio 1991, qualche settimana prima dell'uscita italiana di Il padrino - Parte III: intervistato da un giornalista[14] durante le repliche del Gabbiano, confidò che il regista Francis Ford Coppola gli aveva chiesto di recitare anche nel nuovo film della saga, ma di aver declinato la proposta per non fermare la compagnia teatrale: « Coppola mi aveva cercato, ma ero in tournée: non si può rinunciare a sei mesi di teatro per dieci pose in un film, a parte il piacere di lavorare insieme a un uomo come lui. »
Costretto a ritirarsi dalla scene teatrali nel 1993 per ragioni di salute, girò qualche film e serie TV ambientate in Umbria, firmando l'ultima fatica teatrale nel 2006, quando – per il gruppo amatoriale “Orion Theatre” di Terni, con cui collaborava da qualche anno – curò la messa in scena di Piccola Città di Thornton Wilder, spettacolo poi inserito dal Teatro Stabile dell'Umbria nella stagione di prosa 2006-2007 dei teatri di Narni (TR) e Todi (PG).
Attore poliedrico e capace, incomincia la sua attività cinematografica nel 1955, con La rivale di Anton Giulio Majano. A partire da quello stesso periodo è stato attivo, seppur in maniera saltuaria, anche come doppiatore: per il cinema ha prestato la propria voce a Livio Lorenzon in Il vedovo di Dino Risi e ne La grande guerra di Mario Monicelli, ed infine a Morando Morandini in Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci.
Nel 1959 esordisce nella commedia all'italiana con Audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy, ma il ruolo che lo farà emergere sarà quello del fascista codardo Carmine Passante nel film Gli anni ruggenti (1962) di Luigi Zampa. Di lì in avanti Moschin si dimostrerà una presenza assidua nelle commedie dell'Italia alternando ruoli da protagonista a ruoli da spalla di lusso.
Nel 1963 è un quarantenne deluso in La rimpatriata di Damiano Damiani e un camionista innamorato in La visita di Antonio Pietrangeli, nel 1965 centra un grande successo commerciale[15] e personale con il ruolo di Adolf nella commedia d'azione di Marco Vicario 7 uomini d'oro, film di culto che generò un sequel diretto dallo stesso regista (Il grande colpo dei 7 uomini d'oro) e un paio di imitazioni/variazioni (Sette volte sette, Stanza 17-17 palazzo delle tasse, ufficio imposte) sotto la direzione di Michele Lupo, e sempre con Moschin protagonista.
Il 1966 è l'anno di due importanti interpretazioni nell'autobiografico Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini e nel memorabile Signore & signori di Pietro Germi, che gli regala un Nastro d'argento come miglior attore non protagonista. Vengono poi nel 1968 l'avvocato guascone di Italian Secret Service di Luigi Comencini e quello onnipotente e cinico del grottesco Sissignore di Ugo Tognazzi, così come del resto l'anno successivo il banchiere di Dove vai tutta nuda? di Pasquale Festa Campanile.
La poliedricità di Moschin si esprime anche nella capacità di passare da un genere all'altro senza mai fossilizzarsi in una sola tipologia di ruoli o di film. Nel 1969 Moschin esordisce nello spaghetti western con il commercialmente sfortunato Gli specialisti dello specialista del genere, Sergio Corbucci. Nel 1970 - stesso anno della sua partecipazione a Il conformista di Bernardo Bertolucci - interpreta un raro esempio di film fantasy italiano, L'inafferrabile invincibile Mr. Invisibile di Antonio Margheriti, e nello stesso anno affianca Monica Vitti in Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa. Nel 1971 è un laido monsignore in Roma bene di Carlo Lizzani.
Nel 1972 è l'ambiguo Ugo Piazza del celebre noir Milano calibro 9 di Fernando Di Leo, con al fianco Barbara Bouchet e Mario Adorf, uno dei film capostipiti del genere poliziottesco. Lo stesso anno sostituisce Fernandel in Don Camillo e i giovani d'oggi di Mario Camerini. Sempre nel 1972 prese parte al film La violenza: quinto potere di Florestano Vancini, insieme a Enrico Maria Salerno, Ciccio Ingrassia e Mariangela Melato. Nel 1973 è un convincente Filippo Turati ne Il delitto Matteotti, ancora di Vancini, mentre nel 1974 viene chiamato da Francis Ford Coppola per il ruolo del bieco don Fanucci ne Il padrino - Parte II e interpreta inoltre il crudele bandito detto Il Marsigliese nel poliziesco Squadra volante di Stelvio Massi, con Tomas Milian e Mario Carotenuto.
È però un ruolo comico e brillante quello a cui Moschin deve la popolarità maggiore: quello dell'architetto Rambaldo Melandri, scapolo ed inguaribilmente romantico ma che purtroppo non riesce mai a trovare la compagna giusta, protagonista dei film della trilogia Amici miei, insieme al conte Mascetti (Ugo Tognazzi), al giornalista Perozzi (Philippe Noiret), al chirurgo Sassaroli (Adolfo Celi) ed al barista Necchi (Duilio Del Prete nel primo film, Renzo Montagnani negli altri due). Il primo film, diretto da Mario Monicelli, esce nel 1975 e si classifica al primo posto negli incassi della stagione.[16]
Il secondo film esce nel 1982 e si rivela il terzo incasso stagionale e il film italiano più visto dell'anno.[17] Il terzo film, diretto da Nanni Loy con lo stesso cast del secondo, esce nel Natale del 1985, e pur avendo un successo inferiore, regala a Moschin un secondo Nastro d'Argento. Proprio gli anni ottanta sono quantitativamente meno intensi nella carriera di Moschin, pur regalando - sempre agli inizi del decennio - altre interpretazioni degne di nota, come il deputato comunista di Si salvi chi vuole di Roberto Faenza e il potente ministro di Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada di Lina Wertmüller.
Chiusa la trilogia di Amici miei, le apparizioni si diradano ancora di più, ma merita di essere ricordata la partecipazione al poetico I magi randagi di Sergio Citti. L'ultima interpretazione di Moschin per il grande schermo è del 1997 nel discusso Porzûs di Renzo Martinelli.
Intensa l'attività televisiva dell'attore - che ha inizio nel 1955 con Istantanea sotto l'orologio di Gastone Tanzi, ma che viene lanciata nel decennio successivo con alcuni popolari sceneggiati di Sandro Bolchi, fra cui Il mulino del Po (1963) e I miserabili (1964), nella parte del protagonista Jean Valjean. Nel 1981 doppia Roboleon e altri personaggi del cartone animato Daikengo, il guardiano dello spazio. Nel 1991 recita nel telefilm francese Macaronì, ispirato al romanzo autobiografico di François Cavanna, figlio di un muratore italiano immigrato a Nogent-sur-Marne in Francia: Moschin interpreta il ruolo del padre di Cavanna. Nel 2000 e nel 2001 partecipa alle prime due stagioni delle serie televisive Don Matteo e Sei forte, maestro, che rappresentano le ultime apparizioni del popolare attore: ad eccezioni delle partecipazioni nei panni di se stesso ai documentari Adolfo Celi, un uomo per due culture (2006) e L'ultima zingarata (2010), ricordando la realizzazione della trilogia di Amici miei.
Fin dagli esordi, e per tutta la carriera, Gastone Moschin ha ricevuto dalla critica giudizi concordemente molto positivi, in ogni campo del suo lavoro: teatrale, cinematografico e televisivo. Secondo Gianni Rondolino, per esempio, «i numerosi romanzi sceneggiati lo imposero per il carattere aperto e umano della recitazione»[3] mentre «nel cinema si affermò ben presto come uno degli attori più interessanti della [sua] generazione, sia in ruoli di cattivo sia in ruoli di burbero benefico, sia infine in ruoli più scopertamente comici e farseschi. Attore misurato – prosegue Rondolino – dalla vasta gamma espressiva, non alieno a volte da un certo tono corrivo e di facile drammaticità, Moschin ha dato vita ad alcuni dei personaggi di secondo piano più significativi nel cinema italiano.», cinema dove «si è presto imposto come validissimo caratterista nel registro comico e drammatico.»[12]
Dello stesso avviso Gianni Canova e i curatori di Le Garzantine – Cinema:[18] «Attore di grande tecnica e di istintiva carica emotiva, non bello ma dal volto particolare» ha spaziato «dai toni grotteschi ai tragici, rivelandosi molto utile a ricoprire i molti ruoli “di fianco” nel periodo d'oro della commedia all'italiana.»
Parole di elogio anche da parte di Aldo Grasso in Le Garzantine – Televisione:[19] «La sua carriera di attore è proseguita senza interruzioni in un crescendo di impegni e soddisfazioni anche in ambito cinematografico, dove si è imposto come validissimo caratterista nel registro comico.» Riguardo per esempio allo sceneggiato I miserabili, Grasso scrive che Moschin affrontò il ruolo di Jean Valjean «con una recitazione scarna e priva di indugi melodrammatici» e che poi «in tutti i ruoli televisivi interpretati (una quarantina, per lo più tratti dal repertorio classico) ha riproposto la sua tipica recitazione caratterizzata da una sapiente miscela di risorse del mestiere e stile personale.»
Una “critica” straordinaria, che gli diede particolare soddisfazione, fu quella di Arthur Miller, quando nel novembre 1984 il drammaturgo statunitense seguì il debutto di Uno sguardo dal ponte diretto da Antonio Calenda: oltre ad averlo applaudito a scena aperta, e lungamente a fine spettacolo,[20] l'autore scrisse una dedica sul copione di Moschin, definendo l'attore uno dei migliori interpreti di Eddie Carbone, il protagonista del dramma.
Moschin, nel corso della propria carriera cinematografica, dimostrò inoltre di saper efficacemente riprodurre accenti e cadenze di varie regioni italiane, ad esempio siciliana in Paolo il caldo e ne Il padrino - Parte II (napoletana, invece, nell'edizione italiana di quest'ultima), toscana nella saga di Amici miei, emiliana in Don Camillo e i giovani d'oggi ecc.
Alla sua morte, il Corriere della Sera lo definì «attore poliedrico e trasformista, con quella faccia da uomo medio che spesso si trasformava in un punto interrogativo.»[21]
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