[Sul Colpo di Stato in Turchia del 2016] Negli anni novanta, ai tempi in cui c'era Silvio Berlusconi al governo in Italia, masse di persone che pensavano di essere illuminate culturalmente e dal punto di vista sociale, creavano delle azioni di boicottaggio dei prodotti pubblicizzati sulle tre reti televisive di Berlusconi. [...] Le stesse persone, oggi [...], è come se avessero chiuso gli occhi di fronte a tutto questo, l'importante è partire per le vacanze e andare in Turchia per vedere le stesse cose che vedono gli altri, per mettere le stesse foto dei cammini delle fate nella Cappadocia o delle spiagge turche su Facebook e vantarsi.
[Sulle radio libere] È andato storto che tutte le piccole emittenti locali, che dovevano essere la forza della radio, cioè parlare della località, del luogo piccolo, della regione, dare le notizie che succedevano intorno a casa, parlare nel dialetto e con la cadenza che uno sentiva propria, sono scomparse e sono apparsi tanti network potentissimi, che hanno livellato verso il basso, se non verso il peggio, la programmazione e il modo di fare la radio, che nasceva per andare contro l'accedemismo e poi l'avanguardia diventa accademismo. La stessa cosa che ha subito alla fine l'impressionismo in pittura.
Dall'intervista di Federico Russo in Labrancoteque n. 10
Se ripensi ai libri che hai scritto, qual è quello che ti piace di meno? E perché? Estasi del Pecoreccio. Lo detesto. Castelvecchi mi impose di scriverlo pochi mesi dopo Andy Warhol Era Un Coatto. Così raccolsi pezzi a caso presi da TrashWare che integrai con il diario di un convegno sulla nuova letteratura cui ero appena stato invitato e con la lettera a Calasso. Le poche volte che lo rileggo trovo cose che non riconosco e che furono aggiunte dall’editore, causandomi anche non pochi problemi visto che in quel modo si sfogava contro suoi nemici. È un libro introvabile, per fortuna. Io stesso non ne posseggo una copia, ma solo il file.
[Rubrica fissa sulla rivista FilmTv dal 2008 al 2013] Citazioni in ordine temporale.
A cento anni dal primo manifesto futurista, Simona Ventura dimostra la vitalità di quel movimento. Infiamma la televisione come Marinetti infiammava le serate teatrali, scatenando risse e domandole allo stesso tempo. Trenta secondi paroliberisti di Simona in onda rendono stucchevolmente accademiche le frasi compite di Carlo Conti e le ammiccanti presentazioni di Barbara d'Urso. Che diventano insipidi e involuti, obsoleti e poco gustosi come le poesie di Pascoli e Carducci. (Moderni, 2008)
[Su Anne Hathaway] Qualcuno l'ha paragonata a Audrey Hepburn. Purtroppo i duelli sono fuorilegge, così mi limito a ricordare che Audrey pare pronta per un party anche quando in Colazione da Tiffany apre la porta a George Peppard appena scesa dal letto e con i tappi nelle orecchie. La povera Anne anche quando nella seconda parte di Il diavolo veste Prada è rivestita di abiti firmati ha l'eleganza di una anziana profuga uzbeka appena uscita da un Centro Caritas. (Profumo, 2008)
Sono ipocondriaco e appena qualcuno parla di un sintomo me lo sento anche io. Nell'estate del 1989, quando ancora ero un giovane traduttore pieno di speranze, tradussi un Manuale della salute femminile. Furono giorni difficili. Leggendo certi sintomi ero sicuro di soffrire da anni di cisti ovariche. (Pancioni, 2008)
Madonna, che in realtà si chiama Veronica, ha tante doti, ma non sa cantare. Per far sì che i suoi fan non se ne rendano conto li bombarda di immagini, luci, ballerini, costumi, echi e basi preregistrate. Così, pagare centinaia di euro per assistere a un suo concerto è come andare da Nobu e mangiare dei surgelati. (Veroniche, 2008)
Rondò Veneziano è stato una delle prime icone postmoderne che giocava con elementi stereotipati come Vivaldi, le parrucche e gli oboi per creare qualcosa di innovativo che uccideva l'elemento folcloristico. Era Venezia che citava se stessa usando non il dialetto vero, ma il linguaggio con cui parla ai turisti internazionali. (Postmoderno, 2008)
La liturgia è fatta di riti con parole e azioni esattamente ripetute. Così l'otto marzo si mettono solo giornaliste a leggere i notiziari, le si lucida un po' e si pone sul loro tavolo un enorme mazzo di mimosa. Queste signore, spesso vessate nel resto dell'anno, sono poi costrette a presentare servizi pieni di donne che sfilano orgogliose di qua e di là. Sono donne struccate ma comunque belle, come vuole l'iconografia dei manifesti veltroniani opposta al vacca-look di certo centrodestra. Generalmente si tratta di figuranti prese pescando nell'ampio bacino del precariato, in quanto le donne vere in quel momento stanno urlando in pizzeria davanti a un burino in mutande leopardate. Così da decenni. (AIDS, 2008)
Fabrizio del Noce, uomo dal nome stendhaliano, uomo di pace, uomo cosmopolita e dalla raffinata preparazione musicale. Se uno come lei è stato messo a dirigere la principale rete televisiva pubblica italiana, anche io, con i miei 168 centimetri di statura scarsi, posso aspirare a giocare nell'Armani Jeans Milano. (Prosit!, 02/2009)
Da quando non c'è più il servizio militare obbligatorio la musica leggera italiana è decaduta. Quell'anno lontano da mamme e fidanzate aveva prodotto capolavori come i brani dei Santo California. Ma oggi è sostituito dall'Erasmus. Dodici mesi di finto studio e droghe leggere all'estero. Finora ha prodotto quella fuffa di fabiovolo e nessuna canzone. (Espagnia, 03/2009)
[Su Carla Bruni] Da sempre simpatica come un'invasione di cavallette nel giorno del tuo matrimonio, la Bruni ci ha già deliziato con le sue canzoncine profonde come quelle di Katia Svizzero. Adesso in tv esegue due brani, accompagnandosi alla chitarra come una Joan Baez più avezza ai salons de beauté che ai campus universitari. Ha una vocina che sembra una fuga di gas. Precisa che i ricavati delle vendite andranno tutti in beneficienza. Ma la vera opera di bene sarebbe smettere di cantare. (Carlà, 05/2009)
Fuck. È l'ultima parola dell'ultima scena dell'ultimo film di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut. [...] Kubrick alla fine di un film, ma anche, senza saperlo, di una carriera e di una vita, mette sulle labbra della Kidman il suo testamento. Racchiuso in una parola. Su Internet girano i pazzi, come quelli che su siti assurdi di esoterismo sbrodolano teorie secondo cui il testamento spirituale di Kubrick è tutto nella scena delle donne nude e mascherate di Eyes Wide Shut. Perché Nietzsche... perché Dioniso... perché Rudolph Steiner... Invece il lascito del regista per me è tutto in quell'invito volgare e liberatorio rivolto ai suoi vecchi insegnanti bigotti e classisti. Ai critici. A Kirk Douglas. Alle ex mogli ed amanti. Ai curiosi che lo spinsero a isolarsi. A chi domandava sempre: «Cosa significa?». A tutti, insomma. (Fuck|, 07/2009)
L'unico vero scrittore new epic che abbiamo in Italia è Paolo Villaggio. Perché è l'unico che abbia saputo descrivere oggi l'Uno contro il Mondo. Fantozzi come Enea, come il Cid, come Sigfrido, come Ulisse. (Epica, 09/2009)
[Su Adriana Volpe] Insieme ai cerchi nel grano e alle apparizioni di Medugorje, la presenza della Volpe in tv è uno dei grandi misteri dell'umanità. Sul suo sito si autodichiara «poliedrica artista cantante, modella, presentatrice». Da quello che si vede al sabato e alla domenica mattina pare sappia fare poco e quel poco lo fa anche male. Ha una voce sgradevole e una carica di simpatia pari a quella di un Intercity fermo per un guasto in mezzo alla neve con il riscaldamento rotto. (Volpi, 10/2009)
La pubblicità si ostina a ignorare che i bambini sono esseri cattivissimi, amanti dello sporco e nemici del bagno schiuma, che vorrebbero vivere in camerette disordinate in cui la polvere di settimane si raccoglie a formare spaventosi moloch divoragenitori. Esseri che godono delle disgrazie altrui seguendo Paperissima e si incantano davanti ai ricci spiaccicati sull'asfalto. I bambini odiano le auto lente e poco rumorose e sognano di sfrecciare a tutta velocità su Euro 0 che sono veri diffusori di polveri sottili. Si esaltano con le parolacce e ridono con le battute sulla cacca. I bambini sono Bart Simpson nella realtà, ma nella pubblicità li travestono da Heidi che accarezza le caprette. (6-36-66, 12/2009)
Nell'Enrico VI - Parte Seconda, atto 4, scena 2, verso 73, Shakespeare fa dire a Dick il Macellaio: «Per prima cosa, uccideremo tutti gli avvocati». Ma solo perché Shakespeare non conosceva i pubblicitari. (6-36-66, 12/2009)
La diffusione della plastica, le crisi continue, la concorrenza spietata degli asiatici hanno fatto in modo che molti opifici chiudessero. Dove sono finite quelle ragazze neorealiste? Molte sono oggi in un luogo che non richiede capacità, abilità e umiltà: la televisione. Ed è una fortuna per loro. Perché se avessero manovrato la macchina perni rullati allo stesso modo in cui conducono i loro talk-show, ditemi quale proprietario di opificio avrebbe mai concesso un lavoro a Camila Raznovich o Victoria Cabello. Con inettitudine sbalorditiva, le due avrebbero sprecato preziosa materia prima e per realizzare una sola catenina avrebbero prodotto chili di sfridi. In televisione, però, agli sfridi dell'inesperienza si rimedia con il montaggio e due ore di stentata intervista diventano un serrato e intelligente confronto di pochi minuti grazie alla pazienza di un operatore AVID. (Opifici, 13/2009)
[Sul concerto del Primo Maggio] Il contrappasso vuole che il ritorno del caldo si sconti con questa manifestazione, lanciata ogni volta come il trionfo dell'alternativo controtutto. E ogni volta talmente prevedibile da risultare più retorica di una cerimonia per reduci con sindaco, parroco e corone d'alloro. (Concertone, 19/2009)
Io voglio sempre credere che le femmine siano più intelligenti dei maschi. Idea che si sfalda ogni volta che le vedo sbavare agli strip maschili la sera dell'8 marzo. (Kalokagathos, 25/2009)
In tutta Italia saremo al massimo in dieci a non amare il mare, il calcio e la pasta. (Retrovirus, 31/2009)
I retrovirus sono virus che penetrano negli organismi di particolari specie animali e li infettano senza essere combattuti dal sistema immunitario perché hanno la capacità di integrarsi nel genoma di quella stessa specie. Come se si travestissero da cellule normali e invece sono lì a fare danni. Alle 23 di un caldo sabato di fine luglio cambio le sovraccoperte ai best seller, muto d'ordine ai cd e metto le Winx nel banco frigo accanto ai salumi locali. Nel mio piccolo, sono un retrovirus. (Retrovirus, 31/2009)
Vietare la vendita di alcol ai minori è come cercare di fermare con una diga il corso di un fiume quando questo sta per sfociare in un mare. Il problema si forma a monte di quell'estuario e ha un nome ben preciso. Non è insoddisfazione adolescenziale, disagio giovanile o altre definizioni che hanno fatto la fortuna di Crepet. Il problema si chiama Ipocrisia degli Adulti. (Alcol, 34/2009)
[...] già nel XIX secolo i produttori di champagne diffusero una finta citazione attribuita a Madame Pompadour secondo cui «le champagne est le seul vin qui laisse la femme belle après boire». Ma a quei tempi, almeno, l'ipocrisia si fermava un centimetro prima del ridicolo e sotto la parrucca incipriata della Pompadour non mettevano in caratteri minuscoli la scritta "bevi responsabilmente". (Alcol, 34/2009)
Vi sono canali satellitari che paiono specializzati nell'emissione di film italiani fallimentari. Quelli prodotti tra il 1995 e il 2005, nessuno dei quali è mai stato distribuito. A volte nei crediti ritrovo nomi di persone che ho incontrato per lavoro: tutti filmmaker dalle grandi speranze che sedevano nei bar di Cologno Monzese in pausa pranzo e discutevano della loro prossima fuga a New York. «Là c'è più spazio per la creatività. Si sta tutti in un grande appartamento, basta una digitale e si fa un film...». Anno dopo anno le stesse frasi, le stesse presunzioni. Intanto la pancia aumentava per i carboidrati e le salse dei panini, ma nessuno andava via sul serio. Quasi un remake de I vitelloni all'ombra della torre Mediaset. (Ciiiccio!, 35/2009)
La massa britannica ignora Virginia Woolf e si appassiona alle imbarazzanti canzoncine dell'ESC (quello che da noi si chiamava Eurofestival, quando c'era...) e alle corna intrecciate dei concorrenti di Big Brother. Anche perché l'edizione inglese grondava sesso esplicito molto più della nostra. E dire che ancora cinque anni fa qualche inglese, quando veniva a sapere che ero italiano, ricordava con disprezzo che nella nostra tv c'erano solo tette e si spogliavano le casalinghe. (Transit, 36/2009)
[Sugli spot delle linee telefoniche erotiche] Il livello forse più basso della presenza televisiva. Al di sotto ci sono solo le poltrone del benessere della Rossetti che mancano anche di quel glam che può dare il sesso. (Transit, 36/2009)
Il popolo si muove quando si sente toccato nel portafogli e urla quando può mandare al patibolo il potente. Lo ha dimostrato la Rivoluzione Francese. Ma anche il tremendo populismo e la cieca furia di Tangentopoli. Per questo, a parità di impegno socio-ambientale, Grillo ha successo e Celentano no. Perché Grillo tocca l'argomento "portafoglio", Celentano parla solo delle foche. E poi il politico-ladro fa indignare. Il politico-fornicatore si ammira. (Baruffe, 38/2009)
Quando mi domandano: «Hai letto Stieg Larsson? Hai letto Paolo Giordano?» rispondo sempre di no. Un po' perché non mi interessa la narrativa mainstream, un po' perché il tempo che dovrei impiegare per consumare quella mole impressionante di pagine posso usarlo per fare altro. Magari nulla. (Best-seller, 40/2009)
[...] apprezzo Dan Brown perché, come molti colleghi americani, ha un pregio: non ha pose intellettualistiche, non scrive «complessi drammi psicologici» solo per far felici critici decrepiti che poi li celebrano su Repubblica in attesa di dimenticarli e passare al prossimo «libro che fa grande la nostra narrativa». (Best-seller, 40/2009)
[Sugli scrittori italiani e statunitensi] Gli italiani se ne stanno sotto il pero e aspettano che con la frutta gli caschi in testa anche l'ispirazione aulica, nella speranza di finire in una collana Adelphi. Gli americani vanno al mattino in biblioteca a scartabellare libri scientifici, poi al pomeriggio si siedono con il portatile in uno Starbucks e realizzano dei bestseller. (Best-seller, 40/2009)
Forse l'ultimo contributo originale dato da Roma al mondo sono state le corse delle bighe e tutta quella paccottiglia in corazza ed elmo tanto grossolana da avere conquistato facilmente Hollywood più di venti secoli dopo. (Roma, 44/2009)
[...] il vero simbolo del ritardo romano si trova nei film di Carlo Verdone. Un ritardo a volte dichiarato, come in Compagni di scuola che arriva cinque anni dopo Il grande freddo. A volte più strisciante, come i sintomi di almodovarite, ma dieci anni dopo, in Stasera a casa di Alice o nella più che tardiva scoperta della psicanalisi in Che colpa abbiamo noi. Verdone è spesso sorprendente per come mostra stili di vita o solo di arredo spacciati per innovativi, ma già altrove definibili vintage. (Roma, 44/2009)
Quando ripenso alla mia vita mi rendo conto che nessuno mi ha fatto tanto male quanto i cattolici praticanti. Le persone più perfide, viscide, arroganti, pettegole, calunniatrici, malvagie erano tutte beghine, frequentatrici di oratori fino a tarda età, zerbini di sacerdoti. (Croce, 45/2009)
[Su Valentina Mela Verde] Anche se siete più giovani, anche se non siete di Milano, provate a leggere queste storie e capirete perché un decennio che abbiamo bistrattato come gli anni settanta sia stato in realtà l'ultimo grande momento di creatività originale, di colore, di sogni, di speranze, di aneliti, di rapporti umani e sociali. Veri, non feisbuccàri. (Valentina, 46/2009)
Esattamente come noi spettatori, anche il teatro odierno soffre di gravi forme di schizofrenia. Odia la tv che gli ha rubato il pubblico, ma poi cerca di rifarsi usando gli stessi personaggi catodici, al di là delle loro effettive capacità sceniche. Ti implora, piangendo, di andarti a sedere in platea e quando sei lì ti insulta, anzi quasi è infastidito della tua presenza. (Teatro, 47/2009)
Ripenso a Giorgio Gaber e mi viene in mente Ugo Tognazzi, perché entrambi hanno saputo cambiare pelle più volte. Dall’avanspettacolo al varietà a Cannes. Dal rock snodato con Jannacci e Celentano alla prima serata televisiva al teatro canzone. Restando sempre se stessi, anche negli errori. Ripenso a Giorgio Gaber e mi viene in mente Grillo. Gaber, soprattutto dopo le prime speranze frustrate di cambiamento, era diventato un antipolitico ante litteram, che lanciava attacchi veementi contro ogni schieramento. Tanto che oggi tutti, dalla sinistra alla destra a Comunione e Liberazione, tendono a spartirsene le vesti, dicendo «Era uno dei nostri», come hanno fatto anche con Pasolini. Quest'anno è uscito persino un articolo dell'Osservatore Romano pieno di lodi e che ho trovato sconcertante. Gaber aveva di sicuro un pubblico più colto, meno schiumante, rumoroso e ingenuo di quello di Grillo. Ma sono i frutti di tempi diversi. (Gaber, 48/2009)
[Su Tiziano Ferro]Nome est omen. Lo dicevano i latini e lo applicano anche a Latina, città da cui proviene l'ex idolo delle ragazzine il cui atteggiamento in scena tiene fede al proprio casato: un blocco sidereo, inamovibile come un monolite. [...] Tiziano Ferro in concerto è assolutamente inamovibile. Una statua di sale. La negazione stessa dell'idea di spettacolo. (Ferro, 49/2009)
Nella casella della posta ho trovato una comunicazione della parrocchia locale, comprensiva di busta per le offerte. Allora ne ho fatta un’altra delle mie e in quella busta ho messo i soldi del Monopoli. Una bella banconota vintage da 10.000 lire, una di quelle marrone. Non ambita come le rosse da 50.000, ma più gradita delle noiose verdi da mille o quelle ridicole da cento, azzurre. L'ho fatto perché quella finta banconota è una parvenza del denaro esattamente come le benedizioni collettive che i sacerdoti tendono sempre più a fare sono una parvenza della benedizione natalizia tradizionale. (Benedizioni, 51/2009)
L'unico [nome] che resta ancora riconoscibile è quello di Amadeus, perché il conduttore ha la tipica resistenza dei mediocri. Scegliendo il nome d'arte di Amadeus, Amedeo Sebastiani fece un'offesa, più che un omaggio, alla memoria di Mozart. [...] La sua figura artistica non acquisirebbe rilievo nemmeno se girasse un film in 3D. [...] Amadeus è come quei compagni di classe di cui ci si accorge solo a metà anno scolastico. E solo perché hanno indossato un maglione con ricamata una renna. (Amadeus, 6/2010)
[Su Evy Arnesano] Ero diffidente in origine. La ragazza viene dal Salento e abita a Bologna, due preoccupanti premesse che mi facevano temere un misto di pizzica e ragamuffin fumato. Invece quella che credevo una cedrata dolciastra si è rivelata al palato un Recioto di Soave. Nella Arnesano cogli sentori di Piccioni, profumi di Umiliani e un retrogusto di Morricone. Un disco soffuso di bossa, melodie tratte da inesistenti film degli anni Settanta, quelli con la Bolkan, dal design pervasivo e ancora attuale. Brani che ti riconciliano con la musica, con il cinema e persino con chi condivide con te un vagone di treno che viaggia a 250 km/h. E ti sembra di essere Alberto Sordi che sta per atterrare in Africa, a New York, a Londra e guarda meravigliato il nuovo mondo dal finestrino mentre Piero Piccioni lo avvolge con la sua bossa nova. (Bossa, 9/2010)
Ci sono cose che mi piacciono, per esempio il miele. Cose che mi lasciano indifferente, per esempio i prodotti di tecnologia spicciola in offerta al Lidl. E cose che detesto. Il calcio. (Calcio, 14/2010)
La sinistra ama la satira, no? L'ha fatta con meravigliosa crudeltà anche autocritica ai tempi del Male che aspettavo di leggere con ansia. Oggi tutto ciò è solo un ricordo e la satira si accetta solo se è rivolta ai nemici. (Cinismo, 17/2010)
Non molto tempo fa, per contrastare la legge contro i clandestini, le signore ben coiffées di questa opposizione da Villaggio Vacanza risposero vendendo per strada civettuole t-shirt in varie taglie e colori con stampate una mano e la scritta Schedateci tutti. Fu molto divertente e tanto chic! Oggi quelle magliette, stinte, sono dimenticate, esattamente come i clandestini vittime dei respingimenti e finiti in qualche campo di concentramento libico. Ma le signore non hanno più tempo per loro. Mezzo secolo fa circa il Quartetto Cetra, in un brano intitolato Le signore, cantava della difficile vita delle borghesi di città: "Tra la sarta, la modista, parrucchiere, cagnolino non gli resta un momentino...". Avrei voglia di farne una versione remix 2010: "Tra Santoro, la protesta, lo slow food e il clandestino non gli resta un momentino...”. (Bavagli, 22/2010)
Anche se non sembra, io ho il rispetto più profondo di tutte le religioni, opinioni politiche, sessualità e alimentazioni. Con un limite ben preciso: pretendo in cambio lo stesso rispetto che io porto loro. Purtroppo, la maggior parte dei veg con cui ho avuto a che fare non ha alcun rispetto di scelte differenti. Il primo comandamento del loro credo è: offendere anche duramente il resto del mondo. Il secondo è ancora più irritante e lo si trova spesso sui siti di vegani. Recita: noi siamo migliori degli altri. Lo pensavano anche i nazisti. Non a caso Hitler era un convinto vegetariano. (Veg, 24/2010)
Va molto di moda l'indignazione. Soprattutto se espressa davanti a quelle trasmissioni con le risate finte, condotte strabuzzando gli occhi o con i rayban neri, dove si punta l'indice contro le brutture di questa società, mentre con le altre dita residue si incassa il dovuto per aver concesso il proprio marchio a qualche automobile. (Trota, 25/2010)
[Sulla Settimana della moda di Milano] Chi ha ucciso il mondo della moda milanese? Nessuno. È stato un suicidio. Troppa presunzione di essere l'azienda trainante nazionale. Ma per uno che lavorava seriamente di ago, forbici e matita c'erano dieci cialtroni che si improvvisavano stilisti perché da piccoli avevano un album da cui ritagliavano gli abitini per rivestire bamboline di cartoncino. (Sfilate, 27/2010)
Acciaio di Silvia Avallone, secondo classificato al recente Premio Strega, è un libro brutto. [...] Avallone usa un italiano talmente piatto da sconfinare nello sciatto, un grado zerissimo della scrittura pensato per non disturbare nessuno. Non c'è un solo guizzo letterario che possa provocare un brivido lessicale. Le frasi scorrono insapori come cibo d’ospedale. [...] La scrittura di Avallone e quella di tanti best-seller è resa volutamente sciapa sin dall’inizio proprio in previsione di una traduzione, nella vana speranza di creare successi internazionali. Il problema è ancora un volta quello: noi dobbiamo subire i libri anglosassoni pieni di Tesco, Wallmart, Channel 4 e crumbles, fingendo di capire cosa sono. Però nei nostri non possiamo usare Esselunga, pastiera o Tele Sassuolo altrimenti l’editor ti dice: «È troppo italiano. Anzi, è proprio italiota!» (Registri, 29/2010)
[Sulla bellezza] In fondo sono felice di non essere mai stato bello. Almeno non ho sofferto nel perdere la più inafferrabile tra le qualità. Anzi, come epitaffio tombale voglio: «Passò dai brufoli alle rughe senza un solo attimo di bellezza». (Estetica, 31/2010)
Ascoltare la radio è la cosa più vicina alla lettura. Come il libro, la radio racconta suggerendo, offre spunti sui quali si mette in gioco la fantasia. È la solita contrapposizione: la radio stimola perché è erotica, la televisione è esplicitamente pornografica. (Radio, 33/2010)
[Su Aldo Forbice] Forbice è umile con i potenti e arrogante con gli umili, ossia servile con direttori di giornali e politici e tagliente come il suo casato con gli ascoltatori che pongono domande. Da far ascoltare ai propri figli per insegnare loro come non ci si deve comportare nella vita. (Radio, 33/2010)
[Su Lady Gaga] La cantante ruba a man bassa ritornelli e costumi a chiunque sia venuto prima di lei, si presenta come la risposta giovane a Madonna, ma sta a quest'ultima come un Kinder Sorpresa sta a un uovo Fabergé. (Immagini, 23/2010) [proporzione]
I musical italiani mi fanno tremare. Sono deprimenti, indegni anche di un villaggio vacanze, fatti da tizi che si credono ballerini solo perché stanno con i piedi in terza posizione anche quando fanno la fila in posta. (Mammamia!, 39/2010)
Sento spesso puzza di truffa quando mi si chiede di dare la somma ormai standard di due euro agli orfani albini sordomuti e con l'acidità di stomaco del Burinistan. Ammesso che esistano e che ricevano l’importo che mi è stato chiesto in uno spot strappalacrime in bianco e nero in cui l’attricetta struccata, con il sottofondo dell’Adagio di Albinoni, sollecita il mio buon cuore. (Lontano, 43/2010)
Ho capito di essere diventato vecchio perché non ho mai apprezzato Zelig. Non ne capivo il senso, l'ammasso di carne gettata allo sbaraglio, l'esercito di disperati armati di una sola battuta tormentone che finiva per dare il titolo a uno stiracchiato libro Kowalski e a un film che totalizzava diciassette spettatori paganti. (Comici, 46/2010)
Gene Gnocchi è uno dei grandi misteri dell’umanità. Non fa ridere. Non comunica simpatia. Non si capisce nemmeno quando parla. Eppure galleggia sempre mentre altri vanno a fondo, sfruttando un lontano buon momento in cui le battute gliele scriveva l’ottimo Marco Posani. (Comici, 46/2010)
[Sull'Indietronica] Nel mondo di follia e presunzione dei critici musicali d'ogni livello si tengono vere e proprie gare nel coniare termini esoterici con cui definire gruppetti musicali che, come le rose di Malherbe, "ne durent que l'espace d'un disque". Tanta fatica sprecata quando basterebbe archiviarli sotto "spazzatura". (Indietronica, 51/2010)
[...] volete farmi credere che ministri e soubrette paghino tutti i duemila euro per sedersi in platea e frasi torturare per cinque ore da ululanti soprano wagneriani? Nemmeno io credo resisterei a cinque ore di elmi cornuti e cavalcate. Wagner, come scriveva Eugenio Montale nelle sue recensioni, piace solo ai "bidelli di Bayreuth"; ovvero a quei melomani che conoscono il compositore tedesco urlo per urlo e trovano persino brevi certi duetti in riva al Reno protratti per intere mezz’ore. (Scala, 52/2010)
[Su Moni Ovadia] Moni è la versione corpulenta e intellettuale di Gabriele Paolini, quello che appare all’improvviso in onda dietro gli inviati del tg e lancia i preservativi. Ovadia, di cui nessuno credo sarà in grado di ricordare un solo titolo, piace molto ai contestatori perché aggiunge quel tocco yiddish che nobilita. L'unico suo problema è che spesso lo vediamo abbracciato a giovani contestori con la kefiah. Ma cosa non si farebbe per un passaggio televisivo? (Scala, 52/2010)
Ho conosciuto Benedetta Parodi molti anni fa, quando in una vita passata lavoravo per la scomparsa Tele+ insieme al marito, Fabio Caressa. Mi era sembrata una ragazza timida, gentile e nulla faceva presagire la sua attuale trasformazione in kamikaze della fricassea. (Cucina, 4/2011)
Si dice spesso che "una cosa non esiste se non va in televisione". Oggi si potrebbe creare una glossa a questa ormai banale dichiarazione: "una cosa non è mangiabile se non va in televisione". (Cucina, 4/2011)
[su Martina Colombari] [...] solo a qualche alieno appena giunto da Betelgeuse la Colombari potrà presentarsi come attrice. La sua filmografia comprende tre pellicole fondamentali: Abbronzatissimi di Bruno Gaburro, Paparazzi di Neri Parenti e Quello che le ragazze non dicono di Carlo Vanzina. Il primo è del 1991, l’ultimo del 2000: tre pellicole in un decennio, eventi più rari di una eclissi totale. Nel 2001 Martina prende parte a She, una favolostica produzione italo-bulgaro-canadese. Da allora nel cinema è entrata solo pagando il biglietto. (Denti, 7/2011)
[Sull'Unione europea] Oggi l'Europa ha una bandiera, un inno, un parlamento, svariate normative che decidono anche il raggio di curvatura delle banane e persino una moneta unica che ci ha stravolto l'esistenza, perché, quando cambia il denaro, cambiano la mentalità, la ricchezza, il lavoro e, alla fine, anche i rapporti umani. Eppure siamo meno europeisti che nel 1966. Più di allora, siamo una manciata di Paesi che non condividono nulla, a cominciare dalle lingue, e non conoscono solidarietà. Cerchiamo di darci una carta costituzionale basata su una origine comune che non troviamo nemmeno scomodando la radice giudaico-cristiana. (Europa, 16/2011)
Avevo un vicino di casa che lavorava al Centro Smistamento delle Poste. Per otto ore, in un gabbiotto di vetro, premeva un pulsante e faceva passare i furgoni. Ma gli avevano dato una brutta giacca grigia con il logo di Poste Italiane e lui si sentiva un generale. Quando litigava con altri vicini indossava la giacca che gli dava autorità, come una toga d'avvocato. [...] Ecco Wikipedia Italia: gentucola che riveste la propria ignoranza con la brutale prepotenza di chi indossa una brutta giacca grigia delle Poste. (Wikipedia, 03/2012)
La televisione è brutta perché è brutta l'anima di chi la fa. (Autorini, 25/2012)
Quando i casi della vita mi pongono di fronte a una cartuccia stereo 8 di Fausto Papetti, mi guardo intorno cercando negli altri uno sguardo di complicità. Ma il mio entusiasmo per l'importante rinvenimento di un reperto trash è puntualmente raffreddato poiché trovo sempre il nulla, la meraviglia, l'ignoranza e l'inesattezza. Spesso trovo anche una domanda: «Che cos'è il trash?».
Ogni volta che mi pongono questa domanda sono preso dal panico. Per me, che recepisco gli eventi trash non attraverso la mediazione culturale ma lungo i canali di una misteriosa telepatia, non è stato facile arrivare a dare una forma il più possibile razionale a questo universo in cui la materia più diffusa è l'irrazionalità. Temevo soprattutto che, descrivendo il trash, sarei dovuto ricorrere proprio a quelle mediazioni che, alla fine, l'avrebbero ucciso.
Di solito gli osservatori credono di raggiungere precisione e imparzialità ponendosi in orbita geostatica sull'oggetto del loro studio, avvertendo nel frattempo della loro totale non-appartenenza all'ambiente che analizzano. lo invece non mi trovo sopra, ma dentro al trash. Lo osservo e lo difendo attivamente dagli attacchi dei suoi molti nemici.
Citazioni
Il pregiudizio estetico è come un torrente impetuoso, inarrestabile, che con la sua forza cerca di convogliare a valle il consenso di ogni essere pensante. Ed ecco che sulle rive di quel fiume avviene la nostra trasformazione. Siamo ritti sulla sponda e osserviamo il flusso dell'acqua. Possiamo restare lì e continuare a chiamarci osservatori, ascetici e al di fuori di ogni corrente. Possiamo gettarci in quel turbinio e farci comodamente trasportare nell'esaltazione del consenso collettivo. O infine, ed è ciò che vi invito a fare, possiamo sì gettarci in acqua ma, trasformati in Giovani Salmoni del Trash, dobbiamo essere pronti a risalire questo fiume ribollente di boria e ignoranza, dobbiamo raggiungerne le fonti e renderle aride. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 1. Come nasce un Giovane Salmone, p. 8)
Ai Giovani Salmoni piacciono le cose brutte, basse e sottoculturali che brutte, basse e sottoculturali però non sono realmente, ma tali vengono ritenute dai misoneisti, soprattutto da quelli che vedono costantemente intaccato il proprio ruolo dominante. Per esempio, ai Giovani Salmoni piace guardare la televisione, non solo per fare un dispetto alla scrittrice Susanna Tamaro e ai suoi lugubri conniventi, ma proprio perché a loro piace. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 2. Come agisce un Giovane Salmone, p. 9)
Insomma, ai Giovani Salmoni piace fare tante cose che le menti eccelse dell'estetica established, se conoscessero il vero senso dell'espressione, definirebbero trash. Ma a loro piacciono senza condizioni né limiti e, quello che più conta, piacciono spontaneamente. Non è mai affettazione di un gusto degenerato. Se un Giovane Salmone dice che gli piace ascoltare technorave, la drum che pompa, le urla campionate, i giri tanto banali da cadere nel campo gravitazionale del pianeta Pace-Panzeri-Pilat, lo dice perché è vero che gli piace. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 2. Come agisce un Giovane Salmone, p. 9)
Si potrà osservare che questa è una libertà condizionata, poiché, dicono, le masse sono controllate, il loro gusto è gestito dall'alto e i loro rappresentanti non posseggono alcuna facoltà di discernimento. Ma questo non è quasi mai vero. Anzi, è vero il contrario. Sono gli intellettuali a essere rigorosamente controllati e gestiti da se stessi e dall'immagine che si sono autocostruiti. Sono gli intellettuali, vero popolo bue, a non avere alcuna facoltà di discernimento, ad accettare tutto ciò che viene porto loro con lo sviante timbro di “evento culturale” e a rifiutare platealmente il resto. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 3. I cinque pilastri del trash, p. 10)
All'apparire del trash, infatti, scattano in certi individui componenti di inaccettabile e ingiustificata superiorità. La delegittimazione di questi comportamenti deve costituire uno degli impegni di ogni Giovane Salmone. Il fallimento del tentativo di emulazione e il paragone di questo con il modello originario spingono molti a ridere del trash altrui, tacendo del proprio. Tutti ridiamo del trash e tutti sbagliamo, poiché non siamo mai motivati nella presa in giro. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 5. Territorial Pissing, p. 14)
I cani, per segnare i limiti del territorio di cui si sentono padroni, orinano lungo i confini e lungo le caricellate delle ville cui sono messi a guardia. Poveri cani: ignorano che i veri padroni di quello spazio non sono loro, ma quelle persone che preparano loro le ciotole e li portano a spasso con il guinzaglio. Questo è il territorial pissing canino. L'uomo, per segnare i limiti del territorio estetico o sociale in cui si sente dominante, non orina, ma fa di peggio: ride, compassiona o distrugge con la critica, creando così una barricata virtuale (a volte, però, addirittura fisica, come nel caso della già vista invisibilità della Gialappa's Band) dietro la quale crede di essere al sicuro dalle contaminazioni del ridicolo. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 5. Territorial Pissing, p. 15)
Quando ci si accorge del Favoloso Universo del trash è ormai troppo tardi per poterne fare ancora parte. Quando si è trash non si sa mai di esserlo. Non appena, però, nasce un primo fugace bagliore di rivelazione, quando ci si comincia a porre domande sulla struttura degli eventi estetici che costellano la nostra vita, ecco che si abbandona all'istante la Rutilante Galassia del trash. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 7. Trash, Camp & Kitsch, p. 17)
Ed ecco cos'è il camp: il trash che si è rivelato a se stesso, ma che, spintosi troppo in là nel gioco, non è più trash, poiché non è più spontaneo. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 7. Trash, Camp & Kitsch, p. 18)
Kitsch non è il risultato ottenuto ma, il processo con il quale lo si ottiene, è l'atto che Kundera, in Nesnesitelnà Lehkos Bytì, definisce come letterale eliminazione della merda dalla propria vita. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 7. Trash, Camp & Kitsch, p. 19)
E il cartone animato viene banalizzato con motivetti-fotocopia ammiccanti e pseudo-attualizzati, veri e propri crimini contro l'infanzia, concepiti da Alessandra Valeri Manera e perpetrati da Cristina d'Avena. Potremmo mai perdonare a costoro la kitschiazzazione di Lupin III, eseguita abolendo l'affascinante valzer musette che ne apriva e chiudeva gli episodi? (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 7. Trash, Camp & Kitsch, p. 20)
Lo stesso si è verificato con i tanti cantantucoli d'après Zucchero (quindi vertiginosamente sottoprodotti di un sottoprodotto), derivati da un presunto modello rock tutto birra e barbe incolte. Qui, in fondo, le basi per un tuffo nel trash ci sarebbero, soprattutto il massimalismo: l'idea-rock sulla quale si sono basati i produttori per sintetizzare questi cantanti è estremamente nebulosa e mescola nello stesso calderone gli U2 con Sting e Bruce Springsteen. Il risultato sta al rock come lo skai sta al vero cuoio. Ma queste operazioni sono con una tale base monetaria che non diventano mai ridicole. Sono solo infami. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 13. Il bakismo, pp. 33-34)
Il trash in sé non esiste. È solo un'apparenza che si rivela quando qualcuno vuole negarlo. (Parte prima: Giovani salmoni del trash. 14. Trash and Zen, p. 36)
Ecco un caso di emulazione talmente spontanea e talmente lampante che a volte mi ritrovo a pensare il contrario. Ossia, che Elvis abbia sempre copiato Little Tony. (Parte seconda: il trash e il suo doppio. Elvis Presley e Little Tony, p. 40)
Il successo di Dylan Dog ha reso possibile l'apparizione di un vero capolavoro trash: Dick Drago, ovvero l'emulazione fallitissima e ai limiti del plagio. [...] A sistemare le cose provvede però il disegno di Dick Drago: un tratto così incerto e inabile non si è mai visto nemmeno su Corna Vissute. (Parte seconda: il trash e il suo doppio. Dylan Dog e Dick Drago, p. 42)
Il mio desiderio più grande, quello che ogni volta torno a esprimere segretamente mentre spengo le candeline sulla torta del compleanno, è la scomparsa dei pregiudizi che, utilizzati in maniera erronea come criteri di valutazione, portano alla creazione di scale di valori tra gli artisti e tra le cose. (Parte terza: agiografie non autorizzate. Premessa, p. 46)
La Weltanschauung di Warolh[sic] era la stessa dei seguaci del primo Jovanotti, riconducibile alla formula lavoro-paga-discoteca-sesso. (Parte terza: agiografie non autorizzate. Andy Warhol era un coatto, p. 49)
Per prima cosa: sono un Revisionista Estetico e non Etico. Non mi interessa il giudizio morale che si può dare sulla pornografia. Con la mia azione non voglio scandalizzare, non voglio pubblicizzare la pornografia. Anzi, preferirei non rompere mai l'aura di intimità, segretezza, riservatezza che circonda la visione e il godimento di materiali X-rated. Svelare a tutti il mistero racchiuso nella protezione in cellofan significherebbe distruggere il 90 per cento della potenzialità estetica di un prodotto porno. (Parte terza: agiografie non autorizzate. L'Eros celeste is not dead!, p. 51)
La vita non è mai schematica, le cose non sono mai racchiudibili in categorie. Estasiarsi spiritualmente soltanto davanti a un'opera d'arte ed eccitarsi o scandalizzarsi soltanto davanti a una foto pomo? No. Le parti possono, devono essere scambiate. Il piccolo Mishima (grande revisionista inconscio) non si eccitava di fronte a una riproduzione del San Sebastiano di Guido Reni? Così io raggiungo l'estasi sciamanica davanti a una pagina di Caballero del 1977. (Parte terza: agiografie non autorizzate. L'Eros celeste is not dead!, p. 51)
Raramente ho provato una sensazione di coinvolgimento più totale e vicina all'hysteria lacrymosa di quando, alla Contemporanea Internazionale d'Arte Moderna di Milano del 1989, mi trovai di fronte il Desinare al Gianicolo di Riccardo Tommasi Ferroni. Caddi in ginocchio dinanzi alla tela e mi dovettero portar via a forza. (Parte terza: agiografie non autorizzate. Picnic revisionista, p. 59)
[Su Gian Carlo Mangini detto El Cubano] Molti rifiutano El Cubano, definendolo pornografico. Facile accusa. È con rabbia che mi chiedo: perché El Cubano scandalizza ed Egon Schiele no? Ma diciamo la verità: Schiele deprime, El Cubano diverte. Tra la violenza stuproistigatrice di certi fumetti erotici e l'enorme noia di erotic comics come la soporifera Valentina, El Cubano genialmente traccia la Terza Via alla Camera da Letto, quella che passa per l'umorismo. (Parte terza: agiografie non autorizzate. Contro il fumetto reso colto, p. 62)
[...] a fine gennaio 1992, Il Venerdì di Repubblica chiese a un po' di personaggi, i soliti, che cosa pensassero del Festival di Sanremo. Mi è rimasta impressa nella memoria, a lettere di fuoco, la risposta di tale Lidia Ravera che, per fare la colta kitsch, disse di disprezzare le canzoni e di ascoltare solo Mozart e Beethoven. Mozart e Beethoven, ripeto. Non Ligeti o Xenakis. Ma Mozart e Beethoven. Ossia, la signora Ravera sostituiva la melodia delle canzoni non con una ricerca intellettuale, con l'interesse nell'atonalità o nella stocastica, ma con la KV 550 (solo il primo movimento, per carità) o con la Für Elise... Chissà, magari ai vertici della hit parade che la Ravera cela in fondo al suo cuore c'è Titti Bianchi, ma questo non si può dire a un giornale. (Parte terza: agiografie non autorizzate. Musica leggera e letteratura pesante, p. 69)
Diana Est, colei che fu celebrata come la diva del postmodern intellettuale e musicale, lanciava nel 1983 con Le Louvre un manifesto libertario in cui cantava "fuori dai musei / nuovi amici miei". Con questi versi la Est annunciava la rottura delle barriere tra arte e vita quotidiana, attendeva il crollo delle pareti dei musei dove si deve tacere e la mescolanza ultima tra statue ed esseri umani. In fondo l'auspicio contenuto in quel testo era uno solo: l'abbassamento dell'opera da artistico a quotidiano, la cancellazione del valore che nasceva quasi esclusivamente dall'esposizione museale. (Vier letzte Lidl (Ultimi quattro Lidl), p. 92)
Se è già ridicolo pensare di mondarsi dei propri peccati passando sotto una porta, risulta irresistibile vedere dei perfetti ignoranti che credono di acquisire uno stato intellettuale per osmosi, con una semplice passeggiata in una città d'arte, sospirando davanti a palazzi e seminari. Non serve studiare, leggere, comparare, farsi una propria opinione: basta varcare il portone di un museo per godere di indulgenze culturali plenarie e istantanee.
Andy Warhol, che ha una citazione buona per ogni occasione, diceva: «Art is anything you can get away with». Pare abbia rubato questa frase a McLuhan, ma questo non è interessante. Quel che conta è il significato, per altro ambiguo. C'è chi traduce «l'arte è qualcosa che ti permette di cavartela sempre». Altri traducono «è arte tutto ciò che riesci a vendere ai gonzi come tale».
Ho avuto subito un'impressione che non mi è mai più capitato di avere, dopo, l'impressione di avere incontrato qualcuno che aveva trovato la formula per spiegare esattamente che cosa stava succedendo nel campo della cultura popolare. (Tommaso Pellizzari)
Il fatto di aver decodificato a beneficio del popolo italico il concetto di trash, emulazione fallita del trash, lo ha relegato, è successo anche in questi giorni, a un ruolo non suo. [...] Lui, intellettuale vero, si è trovato impigliato in un ruolo farsesco, citato, le rare volte che capitava, come se tra lui e Uomini e donne ci fosse un legame, come se un Costantino Della Gherardesca gli fosse in qualche modo parente. (Michele Monina)
Il più intelligente e il più vendicativo degli esseri umani. (Matteo B. Bianchi)
Intellettuali che come Labranca abbiano abbiano dovuto non semplicemente 'riflettere sul pop' per poi darne un parere brillante ma studiarlo per poi raccontarlo ce ne sono stati pochi, e di questi pochi nessuno aveva la sua intelligenza: anche solo questo basterebbe per meritargli un posto di rilevo nella storia della cultura italiana contemporanea. (Claudio Giunta)
Labranca faceva il contrario di ciò che ci avevano insegnato a fare a scuola e all’università: da un lato prendeva molto sul serio le cose pop (TV, cinema di serie B, canzonette, fumetti), e ne parlava con amore, ironia e intelligenza, e in più con uno stile magnifico, lontano anni-luce dai birignao demenziali dei semiologi; dall’altro trattava la cultura ‘seria’ con un’indipendenza di giudizio che per noi vittime del liceo classico e della facoltà di Lettere aveva una autentica forza liberatoria. [...] Labranca prendeva in giro tutti, gli elzeviristi pensosi, i romanzieri impegnati, i peracottari dell’arte contemporanea, ma soprattutto ce l’aveva con la Cultura, cioè con la retorica idiota che avvolgeva e avvolge, specie in Italia, le arti e il discorso sulle arti. Labranca indovinava il grottesco là dove gli altri credevano di vedere il sublime, rideva là dove gli altri indossavano la loro maschera compunta. [...] Che un uomo simile fosse quasi costretto al silenzio, e all’autopubblicazione, mentre le pagine dei quotidiani e gli scaffali delle librerie tracimano delle opinioni dei cretini, è una cosa che lascia senza parole. (Claudio Giunta)
Se la prendeva con un 'potere di sinistra' che semplicemente non esisteva [...]. Ma lo faceva con sincero spirito iconoclasta. Si scagliava, se lo riteneva opportuno, contro chiunque. Era [...] disgustato dall'inconsistenza e dalla falsità del mondo editoriale e dei media, anche se disdegnava di fare l'eremita erudito. Ma lo ha sempre tentato l'idea di una purezza senza compromessi. In un certo senso ne è stato accecato. (Aldo Nove)
Tommaso era di una intelligenza lucida e geniale. Era un intellettuale nella accezione più nobile che si possa dare a questa parola. Ci sono scrittori che usano le parole degli altri. E, rarissimi, ci sono scrittori che “inventano” parole e concetti che tutti poi usano (spesso senza citare la fonte). Tommaso era uno di questi. Era un inventore di pensieri collettivi. (Gianni Biondillo)
Tommaso Labranca aveva un carattere impossibile, algido, abrasivo, refrattario a qualsiasi mediazione. Superare tutto questo, però, apriva le porte a un universo creativo unico che noi della Maison abbiamo vissuto con la lucida consapevolezza che fosse un privilegio. (Marta Cagnola)
Tommaso Labranca ha così dovuto e/o preferito vivere di istinti, di scrittura, di sbalzi d’umore e di una marginalità difesa come un tratto identitario; delle risate che suscitavano certe sue fantastiche invenzioni e della solitudine insondabile da cui le generava. È andata così: è stato un grande peccato per tutti noi; è stato un peccato enorme, capitale, imperdonabile per lui. (Stefano Bartezzaghi)
Una persona difficile, per non dire un uomo invidioso e vendicativo. (Tiziano Scarpa)
Tommaso Labranca, Andy Warhol era un coatto. Vivere e capire il trash, edizione elettronica fuori commercio, 2004 (ridigitata e reimpaginata a partire dall'edizione originale della Castelvecchi del 1994).