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attore e pittore italiano (1916-1974) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Andrea Checchi (Firenze, 21 ottobre 1916 – Roma, 29 marzo 1974) è stato un attore italiano.
Nato a Firenze, si trasferì giovanissimo a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. Figlio del pittore fiorentino Amedeo Checchi, fu pittore a sua volta, esponendo le sue opere in diverse mostre personali. Esordì come attore nel 1934, a diciotto anni, sotto la regia di Alessandro Blasetti con 1860. Meno di un anno più tardi interpretò un ruolo secondario in Vecchia guardia, sempre diretto da Blasetti. Seguirono molti film con parti da comprimario fino a imporsi all'attenzione di tutti con L'assedio dell'Alcazar (1940) e soprattutto con Ore 9: lezione di chimica di Mario Mattoli nel (1941), film in cui ebbe al suo fianco Alida Valli, Irasema Dilian e Bianca Della Corte. Seguì Avanti c'è posto... di Mario Bonnard e, almeno fino alla metà degli anni quaranta, fu fra i giovani attori italiani più ricercati, sia per ruoli drammatici che per quelli brillanti.
Considerato attore moderno e antidivo, incarnò per anni la figura del perdente, del rassegnato e insicuro (per esempio lo scrittore Corrado Silla in Malombra di Mario Soldati, 1942), facendo da contraltare agli spumeggianti ruoli ricoperti da Rossano Brazzi, Roberto Villa, Massimo Serato e Leonardo Cortese, o del divo in assoluto di quell'epoca, Amedeo Nazzari. I suoi personaggi abbigliati con vestiti spesso stropicciati e con la cravatta sistematicamente sghemba, gli consentirono di contendere a Massimo Girotti, pur apparendo meno aitante dell'attore marchigiano, il ruolo del protagonista tormentato e fragile. Erede naturale perciò di Fosco Giachetti fu, a differenza del divo toscano, più duttile, sprigionando minor durezza ed inflessibilità e caricando i personaggi interpretati di quella vulnerabilità a cui il cinema degli anni trenta non era abituato.
Fu proprio servendosi di attori dalle caratteristiche di Checchi, Girotti, Anna Magnani e per certi versi di Gino Cervi e Roldano Lupi, che il cinema italiano seppe progressivamente approdare al neorealismo. Dotato di una voce roca ma sensuale che contribuì notevolmente a rafforzare la sua immagine di uomo dalla personalità a tratti debole ma animato da buoni sentimenti, può sicuramente essere considerato un divo del cinema degli anni quaranta tanto da venir immortalato, al pari dei grandi divi dell'epoca, dai famosi fotografi Luxardo - dell'omonima galleria di via del Tritone a Roma - in una posa molto originale: con la sigaretta fra le labbra e il volto in parte coperto dal fumo della stessa.
Ma già dal primo dopoguerra le cose cambiarono. Pur vincendo il primo Nastro d'argento al migliore attore protagonista della storia per il film Due lettere anonime nel 1946, le occasioni di avere ruoli da protagonista si diradarono velocemente e il suo volto, segnato già in giovane età, si prestò soprattutto a raffigurare perdenti, sconfitti, ai quali però non veniva mai meno la dignità. La sua recitazione sobria e misurata venne sempre più indirizzata a parti da comprimario che impreziosirono grandi film come Caccia tragica (1947) di De Santis, Achtung! Banditi! (1950) di Lizzani, La signora senza camelie (1953) di Antonioni (con cui vinse la Grolla d'oro quale miglior attore), L'assassino (1961) di Elio Petri e La lunga notte del '43 di Florestano Vancini. In questa nuova veste artistica bissò il successo del 1946 vincendo, nel 1958, il Nastro d'argento al migliore attore non protagonista per il film Parola di ladro.
Numerosi in questa seconda parte di carriera i film interpretati, in ruoli talvolta di secondo piano che gli hanno comunque permesso di lavorare con i più grandi registi italiani dell'epoca e di ritagliarsi un suo spazio, seppur minore che in passato, nella grande stagione che il cinema italiano visse col neorealismo. Nella sua carriera va sottolineata anche la particolarità di aver interpretato svariati personaggi di militari e aver ricoperto più volte la parte del fascista, anche in pieno regime, per poi, dopo la seconda guerra mondiale aver dato volto a personaggi di partigiani e antifascisti.
Dagli anni sessanta fu intensa anche l'attività televisiva, soprattutto sotto la direzione di Anton Giulio Majano. Nel 1962 fu padre McMillan nello sceneggiato Una tragedia americana; nel 1965 interpretò il capitano Ivan Mironov ne La figlia del capitano e interpretò Valkov in Resurrezione. Nel 1967 fu John Sedley ne La fiera della vanità. Infine impersonò Robert Fenwick in E le stelle stanno a guardare (da A. J. Cronin, 1971), il commissario Bonsanti nel fortunato Il segno del comando, dove ritrovò il Girotti di Caccia tragica. L'anno successivo fu Betteredge ne La pietra di Luna. Affetto da una malattia autoimmune (la poliarterite nodosa), dopo un ricovero in una clinica specializzata di Ginevra rientrò a Roma, dove morì a 57 anni all'ospedale Salvator Mundi.[1]
Checchi era sposato con l'ungherese Erika Schwarze dalla quale ebbe un figlio, Enrico Roberto Checchi, scenografo televisivo.
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