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regista e sceneggiatore austriaco (1890–1976) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Fritz Lang, all'anagrafe Friedrich Christian Anton Lang (Vienna, 5 dicembre 1890 – Beverly Hills, 2 agosto 1976), è stato un regista, sceneggiatore e scrittore austriaco naturalizzato statunitense.
Il suo ruolo nella storia del cinema è unanimemente considerato di primaria importanza. È stato definito "uno dei maestri universalmente riconosciuti del cinema" (Aurélien Ferenczi)[1], "il più grande maestro del cinema tedesco" (Sandro Bernardi)[2], "il simbolo stesso del cinema" (Jean-Luc Godard[3], che ha voluto Lang come attore nel suo film Il disprezzo[4]).
Fritz Lang è uno dei primi registi consapevoli del proprio ruolo creativo:
«Più ancora di Murnau, il regista che afferma con decisione totale il ruolo creativo del metteur en scène come coordinatore di tutte le componenti finalizzate alla produzione dell'immagine filmica e come interprete di una specifica volontà di stile è in ogni modo Fritz Lang, che attraversa la storia del cinema muto e poi del sonoro in Europa e in America, con un impegno formale assoluto.»
In quarant'anni di attività ha realizzato un'opera imponente.
«Dal 1919 al 1960, Fritz Lang ha girato 15 film muti e 30 sonori. Ha attraversato il melodramma, le avventure da feuilleton, la storia edificante, la leggenda, la fantascienza, lo spionaggio, il poliziesco talvolta psicanalitico, la commedia musicale e non, la testimonianza sociale, il western, il film resistenziale o di guerra.[…]»[5]
Inizia la sua carriera con grande successo nella Germania della Repubblica di Weimar; con l'avvento di Hitler al governo sceglie l'esilio, vive una breve parentesi in Francia, ricomincia da capo in America, a Hollywood, e ritorna infine in Europa nell'ultimo periodo. Vicino alle correnti artistiche cinematografiche a lui contemporanee, la scuola espressionista tedesca, il teatro da camera Kammerspiel e il movimento denominato Nuova oggettività (Neue Sachlichkeit), non si identifica in nessuna di esse.
Lotte Eisner, conoscitrice profonda del suo lavoro, afferma che
"...la ricca personalità di Fritz Lang e la complessità della sua opera impediscono di schedare il regista sotto una semplice etichetta".[6]
Di se stesso Lang dice:
«Innanzitutto dovrei dire: io sono una persona che guarda. Recepisco le esperienze solo attraverso gli occhi…»
e del suo mestiere:
«Sono molto felice quando faccio un film. Non è una seconda vita per me, "è la vita". Forse è per questo che mi disinteresso del film una volta che è stato scritto, girato, montato. A quel punto non posso più fare niente per lui: il film ha una sua vita propria e non fa più parte della mia.»
Le fonti sulle notizie biografiche di Fritz Lang non sono sempre univoche e documentate, specialmente per quel che riguarda il primo periodo della vita del regista.
Egli stesso aveva inviato a Lotte Eisner un proprio profilo autobiografico (dall'anno della nascita alla partenza per l'America, 1890-1933), intitolato Fritz Lang: Autobiografia[7]. La monografia di Lotte H. Eisner, pubblicata a Londra nel 1976, è un testo fondamentale per la conoscenza dell'opera di Lang. In Italia è stato tradotto da Margaret Kunzle e Graziella Controzzi e pubblicato da Mazzotta nel 1978:
Un altro profilo autobiografico, redatto da Lang e risalente agli anni '60, intitolato Autobiografia Parigina[8] (dal 1890, anno della nascita, al 1966), è inserito in un volume, in lingua italiana, la cui consultazione, per la ricchezza e serietà dei documenti raccolti, risulta indispensabile per lo studio delle opere di Lang:
Paolo Bertetto, infine, rimanda, per un'informazione più precisa sullo stato attuale della ricerca relativa alla biografia di Lang, alla cronologia stabilita in:
Per quel che riguarda l'attività del regista durante il periodo americano la fonte principale di notizie è rappresentata dall'intervista concessa da Lang a Peter Bogdanovich nella sua casa di Beverly Hills, in California, durante un periodo di sei giorni, nei mesi di agosto e settembre del 1963, pubblicata nel 1967 con il titolo Fritz Lang in America, tradotto poi in italiano da Massimo Armenzoni e pubblicato nel 1988:
Friedrich Christian Anton Lang nasce a Vienna il 5 dicembre 1890. Egli racconta che suo padre, Anton, era un architetto comunale, Stadtbaumeister, e sua madre si chiamava Paula, nata Schlesinger.
I suoi genitori si erano sposati nel 1883; suo padre era figlio illegittimo e portava il nome della madre; Paula apparteneva a una famiglia di commercianti ebrei e successivamente si convertì al cattolicesimo. Fritz ha un fratello maggiore, Adolf, detto Dolf. La famiglia risiede nella Piaristengasse. [9].
Durante l'infanzia frequenta la Volksschule e dal 1905 la Realschule. Dal 1907, assecondando i desideri del padre, inizia a studiare architettura alla Technische Hochschule di Vienna.
«Mio padre voleva che anch'io diventassi architetto. Io però avevo sentito troppo spesso le sue lamentele sugli svantaggi della professione per provare un grande entusiasmo per la carriera di Stadtbaumeister, che mi avrebbe costretto a passare tutta la vita a Vienna. Avevo altri progetti, ma per il quieto vivere accettai di seguire le lezioni di ingegneria al Politecnico. Nonostante tutti i miei buoni propositi resistetti però solo un semestre: in realtà volevo fare il pittore.»
Così avviene che si trasferisce all'Accademia di Arti Grafiche per dedicarsi alla pittura. Durante gli anni della sua formazione, legge molto, indiscriminatamente, letteratura colta e romanzi popolari o d'avventura: Karl May e Jules Verne, libri sull'occultismo, Il Golem di Meyrink, Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, i classici tedeschi e austriaci, Shakespeare, Hans Sachs. Nel 1911 lascia la famiglia e si iscrive alla Staatliche Kunstgewerbeschule di Julius Dietz di Monaco, per seguire i corsi del pittore simbolista Franz von Stuck.[10]
Nel 1912 inizia a viaggiare per l'Europa: Germania, Belgio, Paesi Bassi, Russia e, più tardi, anche per l'Asia, Turchia, Asia Minore, Bali, infine il Nordafrica. Si guadagna da vivere illustrando cartoline, vendendo disegni e vignette per qualche giornale. Nel 1913 approda a Parigi e vi rimane fino all'agosto 1914. Abita a Montmartre, prende lezioni di pittura da Maurice Denis e la sera fa ritratti dal vivo all'Académie Julien. Nel tempo libero frequenta assiduamente i cinema francesi. Il cinema lo interessa già molto da un punto di vista creativo:
«Quando dipingevo o disegnavo, i miei oggetti erano, per così dire, de-animati. Ci si metteva, infatti, di fronte a una modella e lei rimaneva immobile, mentre il cinema era un vero e proprio quadro in movimento. Già allora sentivo, inconsciamente, che una nuova arte - divenuta poi l'ARTE del nostro secolo - stava per nascere.»
Allo scoppiare della guerra fa ritorno a Vienna; è chiamato sotto le armi e dal gennaio 1915 arruolato come ufficiale di riserva per combattere nelle file dell'esercito austro-ungarico. È ferito diverse volte e riceve alcune medaglie. All'inizio del 1918, dopo essere stato gravemente ferito, è rimpatriato dal fronte italiano a Vienna, dove viene ricoverato per due mesi all'ospedale militare. Dichiarato inabile al servizio attivo, approfitta della lunga convalescenza per scrivere copioni e sceneggiature per film. Riesce a venderne due a Joe May, Die Hochzeit im Excentricclub (Matrimonio al club degli eccentrici) e Hilde Warren und der Tod (Hilde Warren e la morte). Alcuni mesi più tardi, tornato a Vienna in licenza, va a vedere il film tratto dalla prima sceneggiatura venduta: amara è la delusione di non trovare nei titoli di testa il suo nome come sceneggiatore, e soprattutto gli sembra irriconoscibile il prodotto che ne è uscito:
«Avevo immaginato diversamente la regia del film, che non mi piacque affatto. Credo che proprio in quel momento, inconsciamente, decisi di diventare un regista cinematografico. Questa decisione, che avrebbe determinato tutta la mia vita, non fu presa dopo una lunga valutazione dei pro e dei contro, ma con la stessa strana sicurezza, quasi da sonnambulo, che in seguito avrei provato nel fare tutti i miei film.»
Successivamente, in un teatro di Vienna dove recita la parte di un tenente in una commedia intitolata Der Hias per guadagnare qualcosa, viene notato dal produttore Erich Pommer che gli offre un contratto con la Decla a Berlino.
Berlino era la capitale della cinematografia tedesca. Qui Lang, all'inizio, lavora come scrittore di copioni presso la casa di produzione di Erich Pommer, la Decla, e continua anche a recitare per arrotondare i guadagni modesti.
Nel 1919 riceve l'incarico di girare il suo primo film, Halbblut. Si trova a lavorare proprio nei giorni della insurrezione spartachista:
«Il primo giorno delle riprese la mia automobile venne fermata più volte da insorti armati, ma ci voleva ben più che una rivoluzione per impedirmi di realizzare la mia prima regia»
Gira poi sempre nel 1919 un secondo film, Der Herr der Liebe. Entrambe queste prime opere risultano perdute. È sopravvissuta invece la copia del terzo film I ragni: Il lago d'oro (Die Spinnen, 1. Teil: Der Goldene See). Seguono poi Harakiri e la seconda parte de I ragni: La nave dei diamanti (Die Spinnen, 2. Teil: Das Brillantenschiff). I film a quei tempi si scrivevano e si giravano in poco tempo.
Nel 1919 si sposa con Lisa Rosenthal. Nel 1920 ottiene la cittadinanza tedesca.
I ragni sono un successo, ma Lang è deluso dalla produzione che gli ha impedito di realizzare due progetti a cui teneva molto: Das indische Grabmal erster Teil - Die Sendung des Yoghi (Il sepolcro indiano) di cui aveva scritto la sceneggiatura e che fu girato da Joe May e Il gabinetto del dottor Caligari che gli era stato promesso e che fu invece affidato a Robert Wiene. Abbandona dunque la Decla e firma un contratto con la May-Film GmbH.
Per la nuova casa di produzione scrive una sceneggiatura in quattro parti Der Silberkönig (Il re d'argento) e dirige un nuovo film Das wandernde Bild (La statua errante), la cui sceneggiatura viene scritta a due mani da lui e da Thea von Harbou. L'incontro con la scrittrice segna l'inizio di un sodalizio artistico e sentimentale che durerà fino al 1933. Thea von Harbou scriverà le sceneggiature dei suoi film più celebri e lo sposerà nel 1922.
Nel 1921 arriva il suo primo grande successo internazionale con la favola romantica d'amore e di morte Destino. Seguono Il dottor Mabuse, "un thriller che fonde in un intrigo poliziesco la mitologia del superomismo con il tema della predestinazione e il sentimento metafisico dell'inevitabile colpevolezza umana"[11]; I nibelunghi, una saga epica; Metropolis, un grandioso capolavoro fantascientifico.
«Si può parlare di due aspetti divergenti nell'opera di Lang: quello magniloquente, teatrale, scenografico, e quello drammatico, ritmico, narrativo. Ma, a ben guardare, non si tratta di aspetti divergenti, quanto di elementi complementari di una cultura che, se si è formata nell'ambito delle arti figurative, non ha trascurato gli apporti della letteratura romanzesca; e al fondo della quale, inoltre, c'è la riconsiderazione del significato della vita e della posizione dell'uomo nella società, in seguito al crollo del mito asburgico, alle miserie della guerra, alla crisi del dopoguerra.»
Nel 1931 esce sugli schermi il primo film sonoro di Lang: è M - Il mostro di Düsseldorf, un capolavoro di angoscia e di terrore, "...un'aspra, geniale parabola sui riacquistati temi della colpa e dell'ambigua giustizia umana".[11] Nel 1932, preoccupato dello svilupparsi del movimento nazista, Lang decide di girare un nuovo film su Mabuse, il personaggio creato nel 1921, Il testamento del dottor Mabuse. Di esso dirà più tardi:
«Da parte mia stavo studiando un modo per rappresentare la mia avversione per la crescente violenza nazista e il mio odio per Adolf Hitler, così feci Das Testament des Dr. Mabuse. Misi in bocca a un pazzo criminale tutti gli slogan nazisti:
"Dobbiamo terrorizzare la gente dicendo che finirà per perdere ogni autorità di cui si sente investita... finché non si solleverà distruggendo il vecchio stato... per fare con noi un nuovo mondo. Sulle rovine dello stato distrutto noi creeremo il regno del crimine..."»
Nel 1933, dopo la salita al potere del partito nazista, a Lang, già molto affermato, pare fosse stata offerta da Joseph Goebbels in persona la carica di dirigente nell'industria cinematografica tedesca[12], nonostante il regime avesse violentemente avversato una delle sue pellicole più celebri, M - Il mostro di Düsseldorf, e avesse impedito la distribuzione di Il testamento del dottor Mabuse. I due conversarono il 30 marzo. Quando Lang fece notare a Goebbels le sue origini ebraiche, il ministro della propaganda rispose: "Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!".[13] Lang ha sostenuto di avere inizialmente accettato l'offerta, ma di avere abbandonato la Germania la sera stessa, sospettando una trappola.[14] In realtà il regista avrebbe lasciato definitivamente Berlino quattro mesi dopo il preteso colloquio con Goebbels, il 31 luglio 1933.[12] Thea von Harbou resta in patria e collabora con il regime, continuando a scrivere e dirigere film.
Lang si stabilisce in un primo tempo in Francia. A Parigi incontra il produttore Erich Pommer, che aveva lasciato la Germania qualche settimana prima di lui. Alcuni amici gli procurano la "carte de travail" e dirige per la French Fox Film La leggenda di Liliom, una tragicommedia. Il film non ha successo e Lang non riceve altre proposte di lavoro dai francesi. È la Metro-Goldwyn-Mayer a proporgli un contratto e il regista lascia a malincuore Parigi per Hollywood.
Arriva negli Stati Uniti, a Hollywood, nel 1934, diventando poi cittadino statunitense nel 1939. Firma per la MGM il primo contratto negli USA il 1º giugno 1934 e la carriera hollywoodiana gli fa conoscere una nuova serie di successi. Mantiene una certa indipendenza nei confronti delle case di produzione, che cambia abbastanza spesso, firmando contratti brevi e riservandosi un margine di autonomia per portare a compimento i suoi progetti.
Realizza dapprima una trilogia realista e sociale: Fury, Furia, del 1936, un pamphlet sul linciaggio e l'irrazionalità della folla, You Only Live Once, Sono innocente, del 1937, la tragedia dell'impossibilità di reintegrarsi nella società per chi esce dal carcere, You and Me del 1938, una commedia sulla inutilità del furto, per la quale Kurt Weill scrisse la musica.
Il produttore Darryl F. Zanuck gli propone di girare due western sul tema della vendetta: The Return of Frank James, Il vendicatore di Jess il bandito, del 1940 e Western Union, Fred il ribelle, del 1941.
Negli anni della seconda guerra mondiale si impegna in opere legate al contesto bellico e politico, come Man Hunt, Duello mortale, del 1941; Hangmen Also Die!, Anche i boia muoiono, del 1943, scritto con Bertolt Brecht; Ministry of Fear, Il prigioniero del terrore, del 1944 e Cloak and Dagger, Maschere e pugnali, del 1945.
Negli anni quaranta dirige una serie di film noir, spesso venati di elementi psicoanalitici: The Woman In The Window, La donna del ritratto, del 1944, Scarlet Street, La strada scarlatta, del 1945, remake de La cagna di Jean Renoir, Secret beyond the Door, Dietro la porta chiusa, del 1948 e House by the River, Bassa marea, del 1950.
Negli anni cinquanta, a eccezione di un film di guerra, American Guerrilla in Philippines, I guerriglieri delle Filippine, del 1950, di un western romantico con Marlene Dietrich, Rancho Notorious del 1952 e di un film d'avventura Moonfleet, Il covo dei contrabbandieri, del 1954, continua a girare melodrammi, film di suspense e film noir: Clash By Night, La confessione della signora Doyle, del 1952, Human Desire, La bestia umana, del 1954, tratto da La Bête humaine di Émile Zola, remake di un altro film di Jean Renoir.
The Blue Gardenia, Gardenia blu e The Big Heat, Il grande caldo, del 1953, While The City Sleeps, Quando la città dorme e Beyond a Reasonable Doubt, L'alibi era perfetto, del 1956, si possono raggruppare per il tema comune: il ruolo svolto dai mass media nella società moderna. Il critico Renato Venturelli definisce gli ultimi tre newpaper's trilogy.[15]
Lang decide di tornare in Germania verso la fine degli anni cinquanta.
Gira due film di genere avventuroso-esotico ambientati in India, La tigre di Eschnapur (1958) e Il sepolcro indiano (1960), con i quali riprende e realizza un lontano progetto ideato e scritto con Thea Von Harbou nel 1921 e sottrattogli da Joe May. I film sono accolti in modo contrastante dalla critica ma sono apprezzati dal pubblico e ottengono un buon risultato commerciale.
L'ultimo film, Die tausend Augen des Dr. Mabuse, Il diabolico dottor Mabuse (1960), appare una specie di testamento spirituale.[16] Con esso Lang offre al pubblico una attualizzazione del personaggio creato dalla sua fantasia negli anni venti: nella società moderna il potere occulto sono i mille occhi (Die tausend Augen) che spiano attraverso la videosorveglianza e la televisione.
Lang, ricollegandosi agli inizi della sua carriera, sembra volere chiudere il cerchio della sua opera.[17]
I sedici anni che separano il suo ultimo film dalla morte, avvenuta il 2 agosto 1976 nella sua casa di Beverly Hills, sono densi di impegni e riconoscimenti. Nel 1962 viene allestita una rassegna dei suoi film al National Film Theatre di Londra. Nel 1963 partecipa come attore nelle vesti di sé stesso (Fritz Lang nella parte di Fritz Lang), a Il disprezzo di Jean-Luc Godard. Il film viene premiato al Festival di Berlino. Esce Begegnung mit Fritz Lang, un film-intervista realizzato da Peter Fleischmann.
Nel 1964 fa parte della giuria al Festival di Cannes. Presiede la giuria del festival del cinema documentario di Mannheim. Nel 1966 è parte della giuria al festival di Rio de Janeiro. Nel 1967 New York gli dedica una retrospettiva al Museum of Modern Art. Nel 1971 a Berlino e a Vienna si organizza una grande retrospettiva delle sue opere e gli viene conferita la Medaglia d'Onore.[18]
Con queste parole Fernaldo Di Giammatteo conclude la presentazione di Lang:
«A cavallo fra due culture - l'europea e l'americana - legato a una doppia ispirazione, figurativa e letteraria, il regista sviluppa le sue idee con lentezza e metodo, passo dopo passo. Sa essere monumentale e sarcastico, angoscioso e severo, esotico e divagante. Ma in ciascuna incarnazione mantiene il controllo, fermo, teutonico, del mezzo che usa, degli elementi narrativi, visivi, sonori che ha a disposizione. Godard gli dedica quel Mépris, Il disprezzo, che il settantatreenne maestro interpreta con serietà. È una dedica al cinema: un cinema che affronta i grandi temi senza paura o pudore (la morte, il destino, la colpa, il crimine ecc.) e offre allo spettatore una lezione severa, per nulla consolante, brutale a volte.»
Peter Bogdanovich: fato, assassinio, vendetta.
«L'opera di Lang è stata straordinariamente coerente nel corso degli anni, sia per quanto riguarda i temi che il punto di vista: la lotta contro il Fato si ripete da Destino (il suo primo successo in Germania) a L'alibi era perfetto (il suo ultimo film americano). E la canzone Chuck-A-Luck che esprime la morale di Rancho Notorious (1952), potrebbe adattarsi altrettanto facilmente a I nibelunghi (1924).»
Goffredo Fofi: un teatro morale.
«C'è così una continuità e non uno stacco tra le grandi opere di Lang (quelle del periodo tedesco, dal Dottor Mabuse a Metropolis a M; la straordinaria parentesi francese di La leggenda di Liliom; gli americani Furia, Sono innocente, Anche i boia muoiono, La donna del ritratto, La strada scarlatta… e i film più direttamente di genere, tedeschi o hollywoodiani, polizieschi e di guerra, western ed esotici, che è data dal rigore e dalla linearità formale non meno che dalla tematica. Che è quella di un “teatro” morale in cui il male, dentro o fuori dell'uomo, nelle pieghe della sua psiche o nella società che esso esprime e da cui è espresso, è sempre concretamente presente, e i canoni della giustizia sono labili e relativi, da riscoprire nella dimensione della lotta dell'individuo per trovare e definire una sua scelta, un suo, pur sempre precario, equilibrio.»
«Penso che questa sia la caratteristica principale, il tema principale che ricorre in tutti i miei film, questa lotta contro il destino, contro il fato...qualche volta, forse, con una forte volontà, riesci a cambiare il corso del destino, ma non hai nessuna garanzia di farcela.»
«Come creatore di incubi Lang ha pochi rivali; il suo mondo – sia che si tratti dell'Inghilterra del XVIII secolo de Il covo dei contrabbandieri o della società medio-borghese in cui vivono i ferrovieri di La bestia umana – è un mondo di ombre e notte - sinistro, tormentato – impregnato di funesti presagi e di violenza, di angoscia, di morte. Le lacrime che egli strappa per le figure dannate che lo abitano – la coppia di Sono innocente, la prostituta di Duello mortale, l'artista di La strada scarlatta, la donna del gangster de Il grande caldo – nascono dal profondo della sua personalità; con parole sue, a loro va "tutto il mio cuore".»
«Collezionando diadi antitetiche, Lang costruisce un universo di entità divergenti e non componibili. Partendo dal contrasto basilare fra bene e male, ecco le diadi classico/romantico, razionale/irrazionale, essenza/apparenza, fino al bisturi che seziona le due metà rivali dell'uomo: la parte di Jekill e quella di Hyde.[...] Il dramma dell'inconciliabilità è efficacemente simboleggiato dall'alternarsi del bianco e del nero, resi plastici dall'illuminazione accurata, nelle scenografie e nei costumi, o dagli schemi geometrici (il cerchio di bambini iscritti nel quadrato del cortile all'inizio di M), o dall'uso ossessivo della diade maschera/volto».»
Lang scriveva nel 1924:
«In tutti i secoli è esistita una lingua in cui le persone colte riuscivano a comunicare. Il cinema è l'esperanto di tutti - e un grande strumento di civiltà. Per capire il suo linguaggio non c'è bisogno di nient'altro che di avere gli occhi aperti.»
Lang, nel 1926, intervenendo sul tema Le prospettive del cinema in Germania affermava:
«Il primo regalo che il cinema ci ha fatto è stata la riscoperta del volto umano, le cui espressioni tragiche o grottesche, minacciose o felici non ci erano mai state mostrate così vicino.
Il secondo regalo che il cinema ci farà saranno le intuizioni visive nel senso più puro delle rappresentazioni espressioniste del processo mentale. Parteciperemo ai moti dell'animo non solo dall'esterno, non ci limiteremo più a vedere soltanto i risultati delle emozioni, ma le condivideremo intimamente fin dal momento della loro comparsa, dal primo bagliore di un pensiero fino alla logica conseguenza finale dell'idea.»
Nel 1929, in un intervento sul tema L'arte mimica nel film a proposito di quella che lui chiama "fisionomia degli oggetti", sosteneva:
«E per quanto riguarda la fisionomia degli oggetti: pare che essi siano diventati vivi solo con il cinema e che intervengano con la loro ambigua e affascinante immediatezza nella trama dei destini umani - perché nel cinema gli oggetti fan parte del gioco, indolenti e perfetti nella loro naturalezza. Una sedia vuota, un bicchiere rotto, l'imboccatura di un revolver che ti fissa dritto negli occhi, il vuoto spettrale di uno spazio lasciato abbandonato da anima viva, una porta che si chiude, una porta che si apre: tutto ciò che possiede vita propria presenta un volto, una personalità, una mimica, riscoperti dal tocco di una materia da poco rifiorita nella nostra epoca: la luce. Grazie alla forza e alla perfezione, che permettono di fare mutare un volto o un oggetto quando passano dalla luce all'ombra o dall'ombra alla luce, il cinema è diventato la rapsodia dei nostri tempi: il grande narratore dei destini, siano essi tragici o comici, eccezionali o validi per tutti i tempi. E, al contrario delle rapsodie dei secoli passati, il cinema ha l'immenso vantaggio di essere inteso allo stesso modo a tutte le latitudini del mondo, quando è più puramente cinematografico- e cioè muto.»
Scriveva nel 1927 sul tema La moderna regia cinematografica:
«Le doti del regista devono essere universali: deve cioè possedere le qualità più spiccate di ogni espressione artistica. Deve avere lo sguardo del pittore per il quadro, la sensibilità per le linee dello scultore, il senso del ritmo del musicista e la concentrazione spirituale del poeta. Ma gli ci vuole anche qualcosa d'altro, una dote tutta peculiare: il senso del tempo! [...] Per me senso del tempo significa la capacità di dare rilievo, comprimere, aggiungere intensità, mirare a uno scopo, fare centro.»
«Come tutti gli artisti della sua epoca, anche Lang passò attraverso l'esperienza dell'espressionismo, adattandolo ai suoi fini e al suo stile.
"Non respingo l'espressionismo - ha dichiarato a Peter Bogdanovich - ma ne sono molto lontano. Tutto ciò è superato. Quando ho cominciato a fare film negli Stati Uniti mi sono sbarazzato della mania del simbolismo."
E ancora, in una intervista con Jean Domarchi e Jacques Rivette, ha aggiunto:
"Non si può passare attraverso un'epoca senza prenderne qualcosa. Mi sono servito dell'espressionismo; ho cercato di digerirlo."»
«Il motto di Stephen Dedalus - esilio, silenzio, astuzia - avrebbe potuto essere quello di Lang; un altro indizio, se ce ne fosse bisogno, del fatto che egli non era un espressionista, ma condivideva un'estetica più vicina alle dottrine dell'impersonalità di Flaubert o di Joyce. E tuttavia, dopo non più di mezzo minuto e qualche decina di fotogrammi, in un punto qualsiasi di qualsiasi film si riconosce la firma di Lang oltre ogni ragionevole dubbio. Anche questo lo connota quale modernista. Un altro elemento accomuna Lang a Flaubert e Joyce: il fatto che egli sia sempre immanente alla sua opera: la sua scelta del materiale non distingue mai fra artistico e non artistico. Egli trasformava qualsiasi cosa su cui posasse la sua attenzione: feuilleton, leggende germaniche, ritagli di giornale, storie del West, romanzi commerciali, avventure di spionaggio [...] non si vedeva da nessuna parte ma si sentiva dappertutto.»
«Lo stile di Fritz Lang? In una sola parola: inesorabile. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni immagine, ogni spostamento d'attore, ogni gesto ha qualcosa di decisivo e di inimitabile»
«Dalla sua attività di pittore Lang ricava il suo più grande interesse per la composizione dell'inquadratura che diventa per lui il problema essenziale del cinema. Se in genere le avanguardie contestano il cinema narrativo, Lang invece non lo rifiuta affatto, ma fa in modo che la narrazione sia sempre parallela alla creazione di immagini travolgenti e simboliche. Il maestro raggiunge il rapporto perfetto fra la narrazione forte, scorrevole e sicura, e l'autonomia delle inquadrature che, pur essendo tutte subordinate al racconto, vivono anche di vita propria e anche da sole hanno un enorme valore simbolico»
«Un ideale di perfezione assoluta ispira tutta la grande avventura creativa di Fritz Lang e il suo concreto lavoro di messa in scena. Non solo Lang costruisce macchine realizzative di grande forza fascinativa e di estremo rigore, ma elabora anche una sintesi nuova tra l'applicazione sistematica delle più innovative tecnologie dell'immagine e della scena e una profonda attitudine creativa segnata da un deliberato e metodico Kunstwollen (volontà d'arte).»
Fritz Lang compare come attore nel film Il disprezzo di Jean-Luc Godard, in cui interpreta la parte di se stesso; è inoltre presente, insieme a Godard, nel documentario Le dinosaure et le bébé (1967), di André S. Labarthe e nel documentario Fritz Lang Interviewed by William Friedkin (1974) diretto appunto da William Friedkin.
Lang compare come personaggio nel film d'animazione Il conquistatore di Shamballa della serie Fullmetal Alchemist.
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