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227° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1585 al 1590 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Sisto V, nato Felice di Peretto e a trent'anni Felice Peretti (Grottammare, 13 dicembre 1521[4] – Roma, 27 agosto 1590), è stato il 227º papa della Chiesa cattolica (226º successore di Pietro) dal 1585 alla morte; apparteneva all'ordine dei frati minori conventuali.
Papa Sisto V | |
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Pietro Fachetti, Ritratto di Papa Sisto V (1590 ca.); olio su tela, 161x108,9 cm, Musei Vaticani[1] | |
227º papa della Chiesa cattolica | |
Elezione | 24 aprile 1585 |
Incoronazione | 1º maggio 1585 |
Fine pontificato | 27 agosto 1590 (5 anni e 125 giorni) |
Motto | Aqua et panis, vita canis[2] |
Cardinali creati | vedi Concistori di papa Sisto V |
Predecessore | papa Gregorio XIII |
Successore | papa Urbano VII |
Nome | Felice Piergentile |
Nascita | Grottammare, 13 dicembre 1521 |
Ordinazione sacerdotale | 1547[3] |
Nomina a vescovo | 15 novembre 1566 da papa Pio V |
Consacrazione a vescovo | 12 gennaio 1567 dal vescovo Antonio Lauro |
Creazione a cardinale | 17 maggio 1570 da papa Pio V |
Morte | Roma, 27 agosto 1590 (68 anni) |
Sepoltura | Basilica di Santa Maria Maggiore |
Firma | |
Felice nacque a Grottammare, piccolo villaggio di pescatori delle Marche meridionali, allora nella giurisdizione di Fermo[5]. Il padre, Peretto di Montalto, si era rifugiato a Grottammare per sfuggire alle angherie del Duca d'Urbino, trovandovi un lavoro come giardiniere. Qui conobbe Mariana, di Frontillo di Sopra di Pievebovigliana, che lavorava al servizio del possidente Ludovico De Vecchis (nobile famiglia originaria di Fermo), e la sposò.
Felice visse un'infanzia molto povera. Ultimo nato della famiglia, svolse lavori umili insieme ai genitori. A 25 km di distanza da Grottammare, sull'Appennino umbro-marchigiano, suo zio materno, Salvatore Ricci, viveva nel convento di San Francesco delle Fratte[6] a Montalto. All'età di nove anni Felice entrò nel convento francescano. A 12 anni iniziò il noviziato. Nel 1535 vestì l'abito francescano: assunse così il nome di fra Felice, mantenendo il nome di battesimo[7]. Da allora iniziò gli studi filosofici e teologici che lo portarono a spostarsi in diversi conventi dell'Ordine, per ascoltare i maestri migliori. Concluse gli studi nella magna domus francescana di Bologna (settembre 1544)[7]. Tre anni prima, nel 1541, era stato ordinato diacono.
Successivamente fra Felice fu “baccelliere di convento”, cioè insegnante di metafisica e diritto canonico nei monasteri dell'Ordine a Rimini e poi a Siena. Nel 1547 fu ordinato sacerdote; l'anno successivo ottenne il dottorato in teologia all'ateneo di Fermo; qui ricevette anche il titolo di maestro (1548) dal generale dell'Ordine dei Francescani conventuali, Bonaventura Fauni-Pio. Diede presto prova di una rara abilità sia come predicatore che nella dialettica. Il 14 giugno del 1551, a Montalto per affari, si dichiarò per la prima volta col cognome Peretti.
Nel 1552 si recò una prima volta a Roma su invito del cardinale Rodolfo Pio, protettore del suo ordine, per tenere alcune omelie durante la Quaresima. Come predicatore francescano tenne le omelie quaresimali nella Basilica dei Santi XII Apostoli. Ebbe modo quindi di mostrare le sue rimarchevoli abilità oratorie riscuotendo molta impressione e guadagnandosi la stima di due futuri grandi e famosi personaggi: san Filippo Neri e sant'Ignazio di Loyola. Un incontro decisivo fu quello con il cardinale Michele Ghislieri, che negli anni successivi divenne il suo grande protettore. Rimase a Roma per il resto dell'anno.
Tornò nella Città eterna nel 1556, quando fu nominato membro della commissione creata da papa Paolo IV per elaborare una riforma della Curia romana. Successivamente fu nominato reggente dell'Università di Venezia. L'anno successivo fu nominato inquisitore della città lagunare. Noto per il suo rigore, divenne inviso alle autorità locali, che ottennero che fosse richiamato a Roma; ciò avvenne effettivamente nel 1560. Tornato a Roma, padre Felice continuò l'incarico di consulente del Sant'Uffizio, ottenne la docenza all'Università La Sapienza e fu procuratore generale e vicario apostolico dei francescani conventuali.
Nel 1565 il pontefice Pio IV lo nominò membro della commissione dell'Inquisizione inviata in Spagna per il processo all'arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza. Nacquero in quell'occasione delle incomprensioni con il presidente della commissione, il cardinale Ugo Boncompagni; la forte antipatia personale che ne derivò ebbe una marcata influenza sugli eventi degli anni successivi.
Nel 1566 Michele Ghislieri, diventato papa con il nome di Pio V, lo nominò vescovo e vicario generale dei Frati conventuali e nello stesso anno, il 15 novembre, gli fu assegnata la diocesi di Sant'Agata dei Goti (nella Terra di Lavoro)[8]. Nel 1570 lo creò cardinale con il titolo di San Girolamo degli Schiavoni. Nel 1572 fu eletto papa il Boncompagni. In poco tempo, il cardinal Montalto, come veniva generalmente chiamato, perse tutte le cariche fino ad allora accumulate.
Per tutto il resto del pontificato di Gregorio XIII fece una vita ritirata. Nella sua villa sull'Esquilino iniziò a scrivere un'opera su Sant'Ambrogio[9]. Durante questi anni, uno dei segretari del cardinale fu il serissimo e affidabile perugino Scipione Tolomei, raccomandatogli da Fulvio Giulio della Corgna, che svolse impeccabilmente il servizio, prima di dedicarsi alla cancelleria del Marchesato di Castiglione del Lago.
Il cardinal Peretti partecipò al conclave del 1572, che elesse papa Gregorio XIII, e a quello del 1585, che lo vide eletto nonostante non fosse indicato da nessuno dei partiti dominanti nel collegio cardinalizio.
Il 21 aprile 1585 42 cardinali (dei 60 aventi diritto) si riunirono in conclave nel Palazzo Apostolico. Il 24 aprile il cardinale Peretti fu eletto; venne incoronato, sempre in Vaticano, il 1º maggio da Ferdinando de' Medici, cardinale protodiacono. Assunse il nome pontificale di Sisto in memoria del predecessore Sisto IV (1471-1484), appartenente anch'egli all'Ordine francescano.
Uno dei fattori che favorirono la sua vittoria fu il suo vigore fisico, che sembrava promettere un lungo pontificato[10].
L'ultimo papa francescano dopo Sisto V sarà Clemente XIV (1769-1774).
Il pontificato di Sisto V si inseriva nel percorso della Controriforma e dell'attuazione dei decreti emanati dal Concilio di Trento. Il 20 dicembre 1585 Sisto V pubblicò la costituzione apostolica Romanus pontifex: essa è ricordata per aver reinstaurato la prassi della Visita ad limina, dando concreto significato al principio dell'obbligo di residenza dei vescovi e della loro dipendenza dal Papa, ribadito sin dalla prima fase del Concilio. Tutti i patriarchi e vescovi, dopo la consacrazione, si dovevano impegnare a recarsi nell'Urbe, innanzitutto per visitare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, indi per rappresentare alla Santa Sede la situazione della propria diocesi. Se un prelato non avesse potuto recarsi a Roma personalmente, avrebbe inviato un suo rappresentante[7].
Il 3 dicembre 1586 Sisto V pubblicò la costituzione apostolica Postquam verus, con la quale riformò il Collegio cardinalizio. Il documento conteneva le seguenti prescrizioni:
Al momento della sua salita al Soglio, il governo centrale della Chiesa aveva già come perno le Congregazioni permanenti. Sisto V ne aumentò il numero e ne istituì di nuove. Il pontefice ereditò dai suoi predecessori i seguenti dicasteri: Congregazione dell'Inquisizione, Congregazioni dell'Indice, del Concilio e dei Vescovi, più altre a carattere temporaneo[7]. Il 17 maggio 1586 il pontefice creò la Congregazione per i Regolari.
Il 22 gennaio 1588 Sisto V pubblicò la costituzione apostolica Immensa Aeterni Dei, con la quale riorganizzò la Curia romana fissando in 15 il numero delle Congregazioni cardinalizie permanenti, di cui nove deputate al governo della Chiesa e le sei restanti all'amministrazione dello Stato pontificio.
In un altro provvedimento, il pontefice modificò la composizione dell'ufficio del Protonotari apostolici fissandolo in dodici membri.
Fondò infine la Stamperia vaticana, per la stampa dei documenti ufficiali della Santa Sede (breve Eam semper, 27 aprile 1587).
Il pontefice:
Rodolfo II era cattolico e rimase alleato del pontefice.
Papa Sisto V continuò la linea del predecessore Gregorio XIII: appoggiò la Lega cattolica di Enrico di Guisa (sostenuta dal re di Spagna) e contrastò gli ugonotti, il cui massimo esponente era Enrico di Navarra, erede al trono. Sisto V intervenne personalmente nella contesa il 9 settembre 1585 scomunicando Enrico di Navarra. Uno degli effetti della scomunica fu quello di cancellare i suoi diritti di successione. Nel 1588 la Santa Sede interruppe le relazioni diplomatiche con il regno di Francia a causa dell'assassinio del cardinale Luigi di Guisa.
Dopo che nel regno di Francia gli ugonotti ebbero preso il sopravvento sui cattolici, la Spagna intervenne militarmente: Filippo II dislocò sue truppe sul territorio francese poi occupò il Vermandois, parte della Piccardia, Calais ed alcune basi navali. Il pontefice prese le parti della Spagna. La partita però si complicò a causa dell'assassinio di re Enrico III di Francia, avvenuto il 2 agosto 1589. Il pontefice condannò pubblicamente l'attentato e considerò re Filippo II moralmente responsabile: egli dovette comparire, sotto pena di scomunica, davanti al suo tribunale.
Dopo la morte improvvisa di Stefano I Báthory (12 dicembre 1586), il pontefice seguì attentamente gli eventi. Si disputarono la successione l'arciduca Massimiliano d'Austria e Sigismondo III di Svezia. Il pontefice inviò in Polonia come nunzio apostolico il cardinale Ippolito Aldobrandini (anch'egli marchigiano), il quale riuscì a concludere la pace tra le opposte fazioni: Sigismondo fu eletto re.
Come il predecessore Gregorio XIII, Sisto V fece diversi tentativi per ripristinare la religione cattolica in Inghilterra. Appoggiò il progetto di invasione propostogli dal re di Spagna Filippo II con un finanziamento di un milione di scudi. Filippo II approntò un'armata navale composta da 130 vascelli e 24.000 uomini (20.000 soldati e 4.000 marinai). L' “Invincibile Armata” salpò a fine maggio 1588; lo scontro con la marina inglese (22 galeoni e 108 vascelli mercantili armati) si risolse però con la decisiva vittoria di quest'ultima (8 agosto 1588).
Con la bolla Christiana pietas (1586) Sisto V abolì parte delle disposizioni contenute nella Hebraeorum gens di Pio V (1569), ritenute troppo punitive. Consentì agli ebrei di abitare nelle città e nei centri maggiori senza più l'obbligo di risiedere nel ghetto[16], permise nuovamente l'esercizio del commercio (escludendo solo il grano ed altri generi alimentari), abolì l'uso della rotella di stoffa gialla cucita sull'abito nella parte sinistra del petto come contrassegno e consentì ai medici ebrei di curare i cristiani.[17].
Con la costituzione apostolica Romanus pontifex (1585) Sisto V attribuì al governatore di Roma i poteri di vice-camerlengo (il camerlengo era, all'epoca, il cardinale responsabile dell'amministrazione delle finanze della Curia e dei beni temporali della Santa Sede).
Nel settembre 1587 il pontefice inviò cinque esperti funzionari della Camera apostolica nelle province dello Stato pontificio, assegnando loro il compito di controllare il funzionamento degli uffici per accertare eventuali abusi di potere o segnalare episodi di malagestione. La missione fu eseguita in pochi mesi terminando nel gennaio successivo; nella relazione che ne seguì, i cinque esperti approvarono sostanzialmente l'operato degli uffici locali e suggerirono una serie di misure atte a migliorare la redditività dei beni pubblici.
Con la bolla Immensa aeterni Dei (1588) Sisto V attribuì a sei Congregazioni cardinalizie il compito di amministrare lo Stato della Chiesa. Inoltre varò nuove misure per regolamentare l'economia e le finanze pubbliche. Alcune cariche furono messe in vendita; vennero fondati nuovi "Monti" e introdotte nuove tasse. La Camera Apostolica accumulò un ampio surplus. Parte del denaro raccolto fu investita per la bonifica delle paludi pontine (solo avviata), per promuovere l'agricoltura e sostenere il commercio di lana e seta. Il pontefice si occupò anche di sicurezza e ordine pubblico: la mancanza di un vero e proprio corpo di guardie aveva generato una situazione di semi-anarchia in vaste parti dello Stato della Chiesa. Il pontefice adottò severe misure volte a reprimere il banditismo. Il pontefice vietò su tutto il territorio pontificio di portare indosso armi di media e grossa taglia. Inoltre relegò in ristrette zone la prostituzione di strada e vietò in modo deciso che le madri potessero far prostituire le figlie giovani.
Sisto V commissionò all'architetto Domenico Fontana:
Fontana si occupò anche, su ordine del pontefice, della distruzione delle rovine del Settizonio, edificio risalente all'inizio del III secolo di cui rimanevano i ruderi. Altri lavori eseguiti a Roma furono: la loggia “di Sisto” o “delle benedizioni” a San Giovanni in Laterano; l'erezione di quattro obelischi, compreso quello in Piazza San Pietro, il più alto di tutti. L'obelisco Vaticano, infatti, è alto 40 metri (25,30 senza il basamento) e pesa 332 tonnellate. Nell'estate del 1586 il pontefice commissionò all'architetto Fontana il trasferimento dell'imponente monumento dal Circo di Nerone, dove si trovava dal 40 d.C. (vi era stato portato dall'imperatore Caligola, di ritorno da Alessandria d'Egitto), al centro geometrico di Piazza San Pietro. Per il trasferimento dell'opera occorsero quattro mesi di lavoro e furono impiegati 900 uomini, 75 cavalli e 40 argani. Dal 10 settembre 1586 svetta nella piazza, come un enorme dito che punta in cielo, a ricordare che il destino di tutti risiede nella Casa del Signore.
Il pontefice ricevette la visita di una delegazione di cristiani giapponesi di alto lignaggio inviata dal gesuita Alessandro Valignano. Giunta a Roma negli ultimi giorni di regno di Gregorio XIII, la delegazione si trattenne fino al 3 giugno 1585[18]. Il pontefice insignì gli ambasciatori della cittadinanza onoraria romana[19], oltre a fare loro dono della Chiesa di Santa Maria dell'Orto. Questa rappresenta da allora il luogo di culto di riferimento per la comunità cattolica giapponese della capitale italiana[20].
Nel 1587 Sisto V acquistò dai Carafa la villa di Monte Cavallo (sul colle Quirinale) per farne la sua primaria residenza estiva. La fabbrica dell'edificio fu ampliata fino a raggiungere le dimensioni di un grande palazzo: divenne così il Palazzo di monte Cavallo, poi portato a termine dai pontefici successivi (oggi è il Palazzo del Quirinale). Sisto V inoltre concepì un progetto di grande riqualificazione urbana nell'Urbe, incentrato attorno alla basilica di Santa Maria Maggiore, comprendente l'apertura di sei nuove strade.
Il Papa fece tracciare una nuova via che, attraversando le tre colline del Rione Monti, collegava Trinità dei Monti con San Giovanni in Laterano e Santa Croce in Gerusalemme: la via Sistina il cui percorso (che attraversa le Quattro Fontane al Quirinale, il Viminale, S. Maria Maggiore all'Esquilino, fino al palazzo del Laterano) è contrassegnato da grandi obelischi egizi, eretti dall'architetto papale Domenico Fontana.
Infine, Sisto V pose le premesse per lo sviluppo urbano di Roma al di fuori dei quartieri abitati accanto al Tevere: integrò Borgo (sino a quel tempo autonomo) come quattordicesimo rione della città. Le strade realizzate all'interno delle mura aureliane indicarono le linee di sviluppo seguite nei tre secoli successivi[7].
Inoltre il pontefice:
Lo scultore Taddeo Landini eseguì un noto busto in bronzo del pontefice.
Secondo alcune fonti, il pontefice concepì il progetto del trasporto del Santo Sepolcro in Italia[21].
Papa Sisto V morì di malaria la sera del 27 agosto 1590 nel palazzo del Quirinale.
Fu sepolto nella cappella fatta costruire da lui stesso nella basilica di Santa Maria Maggiore; il suo cuore è conservato nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi, in piazza Trevi.
Non furono sereni i rapporti tra il papa marchigiano e la municipalità capitolina. Il pontefice nei suoi cinque anni di pontificato mostrò un attivismo, particolarmente in ambito politico ed edilizio, che non mancò di causare numerosi attriti con le autorità del comune, particolarmente dovuti alla manifesta intenzione di ridurne ulteriormente la sua autonomia derivante dagli Statuti e soprattutto di incamerarne le rendite e i tributi di esclusiva spettanza del Senato e dei Conservatori, che più volte furono costretti a dimostrare che tali entrate erano state concesse in passato in modo solenne.
Tali rendite del resto consentivano alla municipalità di provvedere a numerosi bisogni della cittadinanza, primi fra tutti in quel periodo, la costruzione nella città delle condutture dell'Acqua Felice, a cui la municipalità fu chiamata da Sisto V a partecipare alle spese in modo cospicuo, e la predisposizione di un deposito di grano per i bisogni della popolazione, oltre ai compiti istituzionali e tipici del Magistrato romano come la cura dei monumenti cittadini e il mantenimento dei ponti e delle strade a cui si provvedeva con la contrazione di prestiti che venivano restituiti dilazionati con la riscossione di alcuni tributi e con la vendita di uffici comunali, come quella del Notaio Capitolino, o l'appalto di alcune gabelle.
Solo la morte del pontefice ormai deciso a fare un censimento delle entrate del comune, sventò il tentativo di farne l'elenco e il conseguente molto probabile incameramento presso la Camera Apostolica, sollevando dai timori gli ufficiali capitolini che registrarono la notizia della scomparsa con queste parole:[22]
«Die lunae XXVII Augusti 1590. Hodie sanctissimus dominus noster Sixtus papa quintus hora XXII in circa apud montem Quirinalem in palatio vulgariter nuncupato di Monte Cavallo (omnibus congratulantibus et maxima omnium laetitia) diem suum clausit extremum et ab humanis excessit.[23]»
Va menzionata una leggenda secondo la quale Sisto V venne a sapere che c'era un crocefisso che sanguinava; lui allora, recatosi sul posto, prese una scure e spaccò il crocefisso, dicendo "come Cristo ti adoro, come legno ti spacco". Ed in effetti sembra che si trovassero all'interno spugne intrise di sangue. Questa leggenda ispirò al Belli il sonetto romanesco "Papa Sisto":[24]
« Fra ttutti quelli c'hanno avuto er posto
de vicarj de Dio, nun z'è mai visto
un papa rugantino, un papa tosto,
un papa matto uguale a Ppapa Sisto.
E nun zolo è da dì che dassi er pisto
a chiunqu'omo che j'annava accosto,
ma nu la perdunò neppur'a Cristo,
e nemmanco lo roppe d'anniscosto.
Aringrazziam'Iddio c'adesso er guasto
nun pò ssuccede ppiù che vienghi un fusto
d'arimette la Cchiesa in quel'incrasto.
Perché nun ce pò èsse tanto presto
un antro papa che je piji er gusto
de mèttese pe nome Sisto Sesto.»
E comunque dal papa "rugantino" e "tosto" gli ebrei romani, contro i quali si era particolarmente accanito il domenicano già inquisitore Pio V, a causa della sistematica usura che praticavano nei confronti dei cittadini dello Stato Pontificio[25], ottennero grazie alla bolla Christiana pietas, infelicem Hebreorum statum commiserans, grandi alleggerimenti del regime punitivo a cui erano sottoposti ormai da decenni[26].
Un'altra curiosità che lega Sisto V alla "vulgata" romana: con la sua riforma delle tasse, non fidandosi dei funzionari locali, il papa reclutò suoi fidati compaesani marchigiani per esercitare il mestiere di esattori. Nacque per tale motivo il famoso detto, ancora oggi presente nella memoria dei romani:
«mejo 'n morto dentro casa
cchè 'n marchisciano fori daa porta.»
Papa Sisto V durante il suo pontificato ha creato 33 cardinali nel corso di 8 distinti concistori.[27]
Papa Sisto V proclamò santo lo spagnolo Diego d'Alcalá (1588, ricorrenza il 13 novembre).
Inoltre beatificò Simonino di Trento (1588)[28].
Infine proclamò Bonaventura da Bagnoregio dottore della Chiesa (bolla Triumphantis Hierusalem del 1588).
La genealogia episcopale è:
La successione apostolica è:
Genitori | Nonni | Bisnonni | ||||||||
Giacomo Ricci | Antonio Ricci | |||||||||
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Francesco Piergentile "Peretto di Montalto" | ||||||||||
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Felice Piergentile "Peretti" (papa Sisto V)[29] |
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Mariana Ricucci di Frontillo di Sopra | ||||||||||
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