Esquilino
uno dei sette colli di Roma Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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L'Esquilino è il più alto (58,3 metri su viale di Monte Oppio)[1] ed esteso dei sette colli sui quali fu fondata Roma. Il Colle è formato da tre alture: l'Opius nel settore meridionale, il Fagutal in quello occidentale, confinante con la Velia, e il Cispius nella parte settentrionale, dove si trova attualmente la basilica di Santa Maria Maggiore.
Amministrativamente solo la parte nordorientale del colle ricade sotto il rione omonimo, mentre il suo settore sudoccidentale è ricompreso nel rione Monti. I due rioni sono separati da via Merulana, rettifilo di collegamento tra le piazze dove sorgono le basiliche patriarcali di S. Maria Maggiore e di S. Giovanni in Laterano.
Il nome Esquilino ha dato adito a numerose interpretazioni da parte degli studiosi, tutte credibili ma nessuna che ne stabilisca con certezza l'origine: gli stessi autori latini non precisano l'etimo da cui esso deriva.
Alcuni affermano che gli exquilini erano gli abitanti della fascia suburbana per distinguerli dagli inquilini che risiedevano nell'Urbe. Aexquilae deriva dalla radice di ex-colere, che significa appunto "abitare fuori" (dalle mura).
Altri sostengono che il toponimo provenga da aesculi (eschi), arbusti di leccio cari a Giove: sul colle, alle origini, si trovavano appunto un tempio e un bosco sacro a Mefite e Giunone Lucina, divinità cui gli antichi abitanti si rivolgevano affinché fugassero i miasmi della malsana zona circostante.
Una terza ipotesi è che esso derivi da excubiae, ovvero le guardie mandate da Romolo per difendersi dalle insidie sabine di Tito Tazio.
Il nucleo abitato dell'Esquilino ha origini risalenti all'VIII secolo a.C., quando gli abitanti costituivano una sorta di sobborgo della città palatina. Ciò è testimoniato per esempio dai resti di una estesa necropoli con una fase, fra le altre, databile tra la metà dell'VIII e la metà del VII secolo a.C..[2]
Il colle doveva essere abitato in epoca antecedente alla costituzione della Roma quadrata di Romolo (VIII secolo a.C.), come attestato dal riferimento agli originali Saepti Montes, che includevano le cime dell'Oppio, Fagutale e Cispio dell'Esquilino.[3][4]
Parte del colle fu poi incluso nel pomerium da Servio Tullio, sesto Re di Roma, che così espanse quello originario della Roma quadrata romulea, andando poi a formare una delle quattro regioni in cui venne suddiviso il territorio urbano,[5] anche se poi tutto il pianoro che dal Cispio si estendeva verso il Laterano rimase fuori dalle mura.
Tra il Fagutal e la parte nordoccidentale del colle Oppio si trovava il quartiere delle Carinae[6][7], dove secondo la tradizione romana, Tullia avrebbe ucciso il padre Servio Tullio, travolgendolo con il suo carro trainato dai cavalli[8].
Nel 494 a.C. i plebei, ancora scontenti delle promesse non mantenute presenti negli editti di Publio Servilio Prisco Strutto, decisero di riunirsi sull'Esquilino e sull'Aventino, per prendere le proprie decisioni, rifiutandosi di andare in guerra contro Sabini, gli Equi ed i Volsci, come proponevano i Patrizi[9], se non fossero state accolte le richieste e le promesse già fatte in precedenza, soprattutto quelle riguardanti la riduzione in schiavitù dei debitori.
In epoca augustea la parte del colle rimasta fuori le mura, era abitata dalla popolazione più povera della città, era destinata a sepolcreti, e in parte era destinata a campo comune. Mecenate ottenne da Augusto vasti terreni, e vi costrui i suoi Giardini, presto imitato da altri nobili e facoltosi uomini romani.[10]
Annessa Roma al Regno d'Italia tramite il plebiscito del 2 ottobre 1870, di cui divenne capitale il 3 febbraio 1871,[11] allo Stato sabaudo si pose il problema di dover trovare spazi dove installare i Ministeri, e dove edificare le abitazioni per chi in quei Ministeri avrebbe lavorato. La zona individuata - l'altura tra Porta Pia e il Quirinale, compresi sia l'area delle Terme di Diocleziano fino al Viminale sia l'Esquilino fino a via Labicana - era poco urbanizzata, occupata da ville, orti e vigne; i proprietari delle ville cominciarono a lottizzare, altri investitori si misero ad acquistare terreni sulle orme di Francesco Saverio de Mérode, proprietatio dei terreni dove fu costruita la Stazione Termini, e infine lo Stato stesso, nella persona di Quintino Sella, grande dominus della prima organizzazione di Roma capitale, scelse quella direttrice come spazio di espansione dell'edilizia pubblica, con i nuovi ministeri allineati tra Porta Pia e il Quirinale lungo quella che sarebbe diventata via XX Settembre, orientando la prima urbanizzazione postunitaria nella zona "alta" a nordest della città. Nel 1874 quest'area, oggetto della forte urbanizzazione post-unitaria, fu distaccata dal R. I Monti e andò a costituire un nuovo rione, il R. XV Esquilino, incentrato su piazza Vittorio Emanuele II[12].
Le infrastrutture all'edilizia privata furono assicurate da convenzioni, con le quali i proprietari dei terreni ne cedevano una parte allo Stato, che provvedeva alle opere di urbanizzazione (strade e fognature soprattutto), ed autorizzava i privati a costruire "per pubblica utilità" - dichiarazione grazie alla quale le imprese potevano anche, se necessario, procedere direttamente ad espropri. In questo modo lo Stato non doveva farsi carico del costo dei terreni e dell'eventuale contenzioso. Già nel 1871 furono firmate le primve convenzioni, tra le quali quella per l'Esquilino, seguita da quella del 1873 per la zona intorno a Santa Maria Maggiore.
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