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scrittore, umorista, aforista e docente statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens (1835 – 1910), scrittore, umorista, aforista e docente statunitense.
Scriverò un racconto come mi fu narrato da un tizio al quale era stato raccontato dal padre, che a sua volta lo aveva udito narrare dal proprio padre, cui, analogamente, era stato narrato dal suo e così via, più indietro e sempre più indietro nel tempo, per trecento anni e oltre, mentre i padri lo trasmettevano ai figli tramandandolo. Può fare parte della storia, può essere soltanto leggenda, una tradizione. Può essere accaduto davvero, può non essere accaduto, ma potrebbe essere accaduto. Può darsi che i savi e i dotti lo credessero vero nei tempi antichi; può darsi che soltanto gli ignoranti e i semplici lo amassero e vi credessero. (p. 3)
Nell'antica città di Londra, in un certo giorno d'autunno nel secondo quarto del secolo sedicesimo, nacque un figlio maschio e indesiderato a una famiglia povera a nome Canty. Quello stesso giorno, un altro bambino inglese nacque, desiderato, a una famiglia ricca a nome Tudor. Anche l'intera Inghilterra lo desiderava. L'Inghilterra aveva per così lungo tempo anelato a lui, e sperato in lui, e pregato Dio per lui, che ora, essendo egli venuto per davvero, il popolo quasi impazzì di gioia. Persone, che si conoscevano appena, si abbracciarono e si baciarono e piansero. Tutti si concessero una vacanza, nobili e plebei, ricchi e poveri, banchettarono e danzarono e cantarono, e divennero molto espansivi; e in questo modo continuarono, per giorni e notti, tutti insieme. (p. 7)
Sì, Re Edoardo VI visse soltanto pochi anni, povero ragazzo, ma li visse degnamente. Più di una volta, quando qualche grande dignitario, qualche dorato vassallo della Corona, contestava la sua clemenza e sosteneva che certe leggi da lui emendate erano già sufficientemente clementi e non causavano sofferenze o oppressioni tali da giustificare proteste, il giovane re volgeva sull'interlocutore la luttuosa eloquenza dei suoi grandi occhi compassionevoli e rispondeva: «Che cosa sai tu di sofferenza e oppressioni? Io e il mio popolo le conosciamo, ma tu le ignori».
Il regno di Edoardo VI fu singolarmente misericordioso per quei tempi crudeli. Ora che stiamo per congedarci da lui, cerchiamo di tenerlo presente nel ricordo, per rendergli il giusto merito. (pp. 263-264)
Successe molti anni fa. Hadleyburg era la più retta, la più onesta città di tutta la regione circostante. S'era guadagnata questa fama intemerata nel corso di tre generazioni, ed era più fiera di essa che di qualunque altro suo bene. Ne era talmente fiera che cominciava a inculcare i principi di un onesto comportamento ai bambini quando erano ancora in fasce, continuando poi a farne il principale elemento della loro educazione. Per tutto il periodo della formazione del carattere essi venivano tenuti accuratamente lontani dalle tentazioni, di modo che in loro l'onestà avesse ogni possibilità di rafforzarsi e consolidarsi, fino a divenir parte della loro stessa carne. Le città vicine erano invidiose di questo onorevole primato, e fingevano di disprezzarlo, di considerarlo soltanto vanità; con tutto ciò erano costrette a riconoscere che Hadleyburg era proprio una città incorruttibile, e se aveste insistito, avrebbero anche finito per ammettere che per un giovanotto il semplice fatto di essere di Hadleyburg era la migliore raccomandazione per ottenere un buon posto.
Chiunque cercherà di trovare uno sco-
po in questa storia verrà perseguito a
termini di legge; chiunque cercherà di
trovare una morale verrà bandito;
chiunque cercherà di trovare una tra-
ma verrà fucilato.
PER ORDINE DELL'AUTORE
IL CAPO DELLA SUSSISTENZA
(p. 11)
Voi di me non sapete niente se non avete letto un libro che si chiama Le avventure di Tom Sawyer, ma questo non importa. Questo libro l'ha fatto Mr. Mark Twain, e lui ha detto la verità, in genere. Certe cose le ha tirate in lungo, ma di solito ha detto la verità. Ma questo è niente. Non ho mai visto nessuno che non ha contato delle balle, prima o poi, tranne zia Polly, o la vedova, o magari Mary. La zia Polly – cioè la zia Polly di Tom – e Mary e la vedova Douglas, beh, c'è tutto in quel libro, che in genere è un libro veritiero, anche se un po' tirato in lungo, come ho detto prima.
[Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, traduzione di Giovanni Baldi, Garzanti, 2002]
Voi non potete sapere niente di me, senza che avete letto un libro chiamato Le avventure di Tom Sawyer, ma non importa molto. Quel libro è stato fatto dal signor Mark Twain, che di solito ha detto la verità, o quasi. Qualche volta ha esagerato un poco, ma in genere ha detto il vero. È già qualcosa. Io non ho mai conosciuto nessuno che, in vita sua, non ha mai contato storie, se non è zia Polly, o la vedova, o forse Mary. Zia Polly è la zia Polly di Tom e di Mary; e della vedova Douglas se ne parla in quel libro, che è quasi vero. Con qualche ricamo, s'intende.
[Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, traduzione di Enzo Giachino, Einaudi, 1994]
Voi non sapete nulla di me, a meno che non abbiate letto un libro chiamato Le avventure di Tom Sawyer; ma non importa. Quel libro fu scritto dal signor Mark Twain, che per lo più disse la verità. C'erano delle esagerazioni, ma per lo più egli disse la verità. Questo non dimostra nulla. Non ho mai conosciuto nessuno che una volta o l'altra non dicesse bugie, eccetto zia Polly, o la vedova, o forse Mary. Zia Polly – la zia di Tom, cioè – e Mary, e la vedova Douglas: in quel libro ci sono tutte, ed è un libro per lo più sincero; con qualche esagerazione, come ho già detto.
[Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, traduzione di Gabriele Musumarra, Rizzoli]
Voi non sapete niente di me, senza che avete letto un libro intitolato Le avventure di Tom Sawyer, ma non importa. Quel libro l'ha fatto il signor Mark Twain, che ha detto la verità, più o meno. Certe cose le ha esagerate un po', ma è stato abbastanza sincero. Che è già qualcosa. Non ho mai visto nessuno che una volta o l'altra non ha cacciato qualche balla, a parte zia Polly, o la vedova, o forse Mary. Della zia Polly, che poi è la zia Polly di Tom, e di Mary, e della vedova Douglas, se ne parla in quel libro, che è un libro quasi vero; con qualche esagerazione, come ho detto. (p. 13)
Tom ormai è guarito, e porta la pallottola al collo attaccata alla catena dell'orologio, e guardare sempre che ora è, così non mi resta più niente da scrivere, e ne sono proprio contento forte, perché se sapevo che fatica si faceva a scrivere un libro mica mi ci mettevo, e adesso la pianto. Ma secondo me è meglio che parto per i Territori Indiani prima degli altri, perché la zia Sally dice che vuole adottarmi e incivilizzarmi e non ci penso proprio. Ci sono già passato.
(p. 285)
«Tom!»
Nessuna risposta.
«Tom!»
Nessuna risposta.
«Dove s'è cacciato sto ragazzo? Ohu, Tom!»
Nessuna risposta.
L'anziana signora abbassò gli occhiali e ci guardò per di sopra, intorno nella stanza; poi se li alzò e ci guardò per di sotto. Di rado o quasi mai ci guardava attraverso, per una cosa da niente come un bambino; dato che questi erano il suo paio da festa, l'orgoglio del suo cuore, ed erano stati fatti per lo "stile" più che per la praticità; avrebbe potuto guardare attraverso un paio di coperchi da stufa, per quello che cambiava. Rimase perplessa un attimo, e disse, neanche tanto arrabbiata, ma abbastanza forte per farsi sentire dai mobili:
«Ve', se ti metto le mani 'dosso, giuro che...»
«Tom!»
Nessuna risposta.
«Tom!»
Ancora silenzio.
«Vorrei proprio sapere che cosa sta combinando quel ragazzo. Ehi Tom!»
La vecchia signora abbassò gli occhiali e lanciò un occhiata alla stanza al di sopra delle lenti, poi li sistemò di nuovo sul naso e guardò dal di sotto. Accadeva assai di rado che ci guardasse attraverso quando l'oggetto della sua attenzione era una cosa da poco come un ragazzino, perché quegli occhiali erano i suoi migliori, roba di cui sentirsi orgogliosi, ed erano stati fatti per bellezza, non per utilità; tanto che un paio di coperchi da stufa avrebbero prodotto lo stesso effetto. Per un momento assunse un'aria perplessa, poi disse, non minacciosamente, ma con un tono abbastanza alto da farsi sentire anche dai mobili:
«Beh, se riesco a metterti le mani addosso...»
"TOM!"
Nessuna risposta.
"TOM!"
Nessuna risposta.
"Che starà combinando, quel ragazzo? Vorrei proprio saperlo! Ehi, TOM!"
Nessuna risposta
La vecchia signora abbassò gli occhiali sul naso e diede un'occhiata, da sopra, alla stanza intorno; poi li spinse di nuovo su e guardò fuori, da sotto le lenti. Ci guardava attraverso di rado, o mai, per cercare una cosa piccina come un ragazzo; quello era il suo paio di occhiali buoni, l'orgoglio del suo cuore, e non dovevano rispondere a criteri di utilità, ma di "stile"; ci avrebbe visto altrettanto bene attraverso due piastre da cucina. Per un momento parve perplessa, poi disse con meno foga ma sempre abbastanza forte per farsi sentire dalla mobilia:
"Guarda che se t'acchiappo, ti..." (p. 11)
«Tom!»
Nessuna risposta.
«Tom!»
Nessuna risposta.
«Cosa sta combinando quel ragazzo, mi domando. Ehi, Tom!»
L’anziana signora spostò verso il basso gli occhiali e si guardò intorno nella stanza al di sopra di essi; poi li spostò verso l’alto e intorno nella stanza al di sopra di essi; poi li spostò verso l’alto e guardò fuori al di sotto di essi. Ben di rado, o mai, guardava attraverso le lenti cose di poco conto come un ragazzino; quelli erano per lei gli occhiali di gala, l’orgoglio del suo cuore, fatti per «bellezza», non per utilità; avrebbe potuto vederci altrettanto bene ricorrendo a un paio di cerchi di quelli che servono per coprire i fornelli delle cucine economiche. Parve perplessa per un momento, poi disse, non in tono minaccioso, ma sempre a voce tanto alta da farsi udire anche dai mobili:
«Bene, se ti acchiappo, io…»
Termina così questo racconto. Dato che vuole essere soltanto la storia di un ragazzo, deve fermarsi qui; la narrazione non potrebbe seguitare a lungo, senza diventare la storia di un uomo. Quando si scrive un romanzo sugli adulti, tutti conoscono il punto esatto dove fermarsi: e cioè, al matrimonio; ma quando si scrive di giovani, bisogna fermarsi dove meglio si riesce.
Quasi tutti i personaggi che compaiono in questo libro sono ancora vivi, e sono ricchi e felici. Un giorno o l'altro forse varrà la pena di riprendere la storia dei personaggi più giovani, per vedere che genere di uomini e di donne sono diventati; pertanto sarà più saggio non rivelare nulla su quella parte della loro vita, per il momento.
Fine (2016, p. 258)
Stavo morendo, e lo sapevo. Respiravo con difficoltà a lunghi intervalli, e tutti erano intorno al letto, immobili, silenziosi, attendendo che me ne andassi. Di tanto in tanto parlavano; le loro parole divenivano sempre più fioche, sempre più distanti. Udivo però tutto. Il secondo disse:
«Se ne va con la marea.»
Chips il carpentiere replicò:
«Come fai a saperlo? Non ci sono maree al centro dell'oceano.»
«Sì, invece. E, comunque, i capitani fanno sempre così.» (p. 15)
Erano parole vere. E Abramo, piangendo, scosse il contenuto del suo seno e fece affiggere quindi un eloquente cartellino «Riservato»; e Pietro, piangendo, disse: «Quando verrà, sarà ricevuto con una processione e con le torce accese», e allora tutto il cielo rintronò, lieto che un giorno vi sareste giunto. E così pure l'inferno.
(p. 93)
Chi è ignorante di faccende legali può sempre commettere errori quando tenta di fotografare con la penna una scena di tribunale; per questo non ero disposto a mandare alle stampe i capitoli «legali» di questo libro, senza prima sottoporli a una revisione e correzione severa ed esauriente da parte di un avvocato con tutti i crismi, se è così che si dice. Questi capitoli adesso sono a posto nei minimi dettagli, perché sono stati riscritti sotto la diretta sorveglianza di William Hicks che ha studiato legge nel sudovest del Missouri, trentacinque anni fa, e poi è venuto qui a Firenze per motivi di salute e tuttora, per fare un po' d'esercizio e in cambio di vitto e alloggio, dà una mano nel ristoro per quadrupedi di Macaroni Vermicelli, che si trova nel vicolo non appena volti l'angolo da piazza del Duomo subito dietro la casa nel cui muro è incastrata la pietra dove Dante era solito sedersi seicento anni fa, quando fingeva di osservare la costruzione del campanile di Giotto e invece poi si stufava non appena passava di lì Beatrice che andava a comprarsi una fetta di castagnaccio per difendersi nel caso ci fosse una rivolta ghibellina prima che arrivasse a scuola. L'acquistava alla stessa vecchia bancarella dove anche oggi si vende lo stesso antico dolce che è leggero e buono proprio come allora, e questo non lo dico per complimento, anzi. Hicks era un po' arrugginito in fatto di legge, ma si aggiornò per l'occasione, quindi quei due o tre capitoli «legali» adesso sono aggiustati ed esatti. Me l'ha detto lui stesso.
[Mark Twain, Wilson lo svitato, traduzione di Franco Cordelli, Garzanti, Milano, 1979]
Uno dei miei compagni laggiù – un'altra vittima di diciotto anni di inique fatiche e di speranze infrante – era uno degli animi più nobili che avessero portato la loro croce con pazienza in uno stanco esilio; austero e semplice, Dick
Baker, era minatore in un piccolo giacimento di Dead-Horse Gulch. Aveva quarantasei anni, era grigio come un ratto, onesto, serio, scarsamente istruito, trasandato nel vestire e sporco d'argilla, ma il suo cuore era di un metallo più fine di qualsiasi oro che la sua pala avrebbe potuto portare alla luce, di qualsiasi oro che fosse mai stato estratto o coniato.
A ventisette anni, ero impiegato in un'agenzia di cambio specializzata in azioni minerarie, a San Francisco, e conoscevo a fondo il mercato di Borsa. Solo al mondo, non potevo far conto che sulla mia perizia e su una reputazione di assoluta onestà; ciò bastava, comunque, ad istradarmi sulla via del successo, ed ero soddisfatto delle prospettive che mi si schiudevano.
Avviso – Si informa il pubblico che in società con il signor Barnum ho affittato la cometa per un certo numero di anni, e desidero anche stimolare la pubblica attenzione su una vantaggiosa iniziativa benefica che abbiamo in mente. Proponiamo di attrezzare sulla cometa alloggi confortevoli e anche lussuosi per tante persone quante vorranno onorarci del loro favore, e organizzare, quindi, una prolungata gita tra i corpi celesti. Prepareremo un milione di cabine nella coda della cometa (fornite ognuna di acqua calda e fredda, gas, specchio, paracadute, ombrello, ecc.) e ne costruiremo di più se ci verrà dimostrato un congruo incoraggiamento. Avremo saloni da biliardo, salottini per giocare a carte, stanze da musica, piste per il gioco delle bocce, molti teatri spaziosi e biblioteche pubbliche; e sul ponte principale proponiamo un autodromo dotato di una estensione varia di 15 mila chilometri. Pubblicheremo anche dei quotidiani.
Affittai una grande stanza, quasi in cima a Broadway, in un enorme vecchio edificio i cui piani superiori erano rimasti sfitti per anni prima della mia venuta. Quel posto era da lungo tempo in balia della polvere e delle ragnatele, della solitudine e del silenzio. Mi sembrò di muovermi fra le tombe e di disturbare l'intimità dei morti, quella prima sera in cui salii nel mio appartamento. Per la prima volta nella mia vita, un timore superstizioso entrò in me e, quando superai un angolo oscuro della scala e una ragnatela invisibile fece ondeggiare la sua trama inconsistente sul mio viso e vi si appiccicò, fremetti come se avessi incontrato un fantasma.
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