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Raccolta di canzoni tratte dai libri.
E allora vado al cesso (oh, oh) / mi soddisfo da me stesso (guarda un po') / ma non posso farlo spesso (proprio no) / sennò diventa rosso (e frizza un po').[sulle note di Laura non c'è di Nek] (Marco Malvaldi)
Era rimasto un tipo un poco brillo, un piccolo borghese, seduto davanti a una birra, e un suo compagno, grosso, enorme, con addosso una sibirka e con la barba canuta, molto sbronzo, che dormiva sulla panca e che di tanto in tanto, all'improvviso, come nel dormiveglia, cominciava a schioccare le dita, allargava le braccia, e sussultava con la parte superiore del tronco, senza sollevarsi dalla panca, e al tempo stesso cantilenava una qualche scempiaggine, sforzandosi di rammentarne le parole, del tipo: Un anno intero la moglie ho accarezzato, un an-no intero la mo-glie ho accarez-zato... O all'improvviso, ridestatosi, riattaccava: Per la Pod'jàčeskaja andai, quella di prima ritrovai... (Fëdor Dostoevskij)
I moretti battevano i piedi in un ritmo molto strano e cantavano: «Clapp e clipp e clipp e clapp, su e giù! — Il girotondo dei mori non si ferma più! Muovetevi, pesci, muovetevi, cigni. — Scricchiola, carro di conchiglie, scricchiola, clap e clip e clip e clap, su e giù!» (Ernst Theodor Amadeus Hoffmann)
La canzone dello hikikomori Parole e musica di Tatsuhiro Satō La camera da sei tatami continua a congelarsi, in questo appartamento monocolore. La mia fuga è lontana, non riesco a vederla. Sedici ore al giorno a letto a dormire e svegliarmi. Sotto l'ombra di quel kotatsu e lì intorno, uno scarafaggio si nasconde. Mangio una volta, un solo pasto al giorno, e il mio peso diminuisce sempre di più. E se anche a volte vado al konbini, lo sguardo della gente mi terrorizza. Mi vengono perfino i freddi sudori, devo pensare alle difficoltà della fuga. La ricerca della cospirazione NHK mi porta solo illusioni. Anche oggi il sole è calato e a fatica mi stendo sul mio letto umido. Sono stanco, ho la testa pesante. Aah, non ce la faccio più! Non ce la faccio più! (Welcome to the NHK)
La volta dell'alba si riempiva di araldi, e questo è ciò che cantavano: Tu, mondo che giri, che scorri sotto le nostre ali, Innalza il bianco sole ad accogliere i beniamini del mattino.
Mira, su ogni petto lo scarlatto e il vermiglio, Odi, da ogni gola la chiarina e i campanelli.
Ascolta, i liberi, vaganti ranghi in nere squadriglie, Corni e cacciatori del cielo, segugi e stalloni luminosi d'alba.
Libera, libera; lontana, lontana; e bella sulle ali ondeggianti Viene l'Anser albifrons, e canta e suona. (Terence Hanbury White)
Mentre [Merlino] danzava, cantava. Questa era la sua canzone: «Terapeutico, Elefantiaco, Diagnosi, Bum! Pancreatico, Microstatico, Antitossico, Tum! Con un normale catabolismo, Farfuglismo e balbettismo, Snip, Snap, Snorum, Taglia via il suo addomorum. Dispepsia, Anemia, Tossiemia. Uno, due, tre, E Lui sen va, Con le cinque ghinee, Cantando trallalà.» (Terence Hanbury White)
Nel silenzio, inaspettata, si levò dolcemente una voce: Cra, Cra, Cra (alla luna canto) Gruà, Cra, Cra (il mio solitario pianto) Cra, Groà, Cruà (nell'acqua io nuotavo come agil girino) Groà, Cra, Cra (adesso sono rana, ho perso il mio codino) Cra, Gra, Gra (dove sarà, come farò?). (Sette punti neri)
Ogni vallata ove l'uomo ha la sua dimora possiede la propria canzone. Vi dirò la trama; potete volgerla in versi e metterla in musica per conto vostro. C'era una volta una fanciulla, sopraggiunse un baldo giovane, l'amò e cavalcò via. È una monotona canzone scritta in molte lingue. (Jerome K. Jerome)
Sembrava di sentir cantare due armoniose vocine d'argento. «Chi nuota sul lago di rose? — La fata. Zanzaretta bim! bim! — Pesciolino sim! sim! — Cigni cin! cin! — Uccello dalle piume d'oro, trallalà — Fiumi dalle acque mosse, muovetevi — suonate, cantate, soffiate, guardate. La fatina, la fatina avanza su un cocchio! Ondine, giocate, sciacquate, sprizzate zampilli di perle, di gemme color del cobalto, spruzzate in alto, in alto!» (Ernst Theodor Amadeus Hoffmann)
Sotto i larghi rami del castagno. T'ho venduto e mi hai venduto: Là giaccion loro, qui giacciamo noi. Sotto i larghi rami del castagno. (George Orwell, 1984)
Sotto il castagno, chissà perché. Io ti ho venduto, e tu hai venduto me: sotto i suoi rami alti e forti, essi sono defunti e noi siam morti.
Sotto il castello di prua i marinai cantano. Bjerke suona la fisarmonica. Una malinconica canzone, eppure le parole della canzone non sono malinconiche. Ma è che questa gente ha l'anima invernale. «Danziamo allegramente, pescatori, – senza pensieri e senza pena. – Verrà ben l'ora d'andare sul mare, – ma le nostre gambe saranno ancora stanche – di danzare». Così dice la canzone. E poi: «Viene la brezza dell'est – e il capitano fa alzare la randa. – Noi andiamo nel Breidifjord – e là gettiamo le reti e le lenze nel mare». – Bisogna ballarla con le donne – mi dice Bjerke quando la canzone è finita. – Con le donne. Allora, sì, che mette il fuoco ai piedi. (Vittorio Giovanni Rossi)
Tutt'attorno si spandeva la voce stridula del cantante: Tu, sogno della mia mente, non mi pestar così per niente! (Fëdor Dostoevskij)
Canto alla luna [...] Tutti i porcospini cantano alla luna, per far uscire fuori le lumache. Che? non lo sapevi? Oh Luma-Luna, Luna mia Lumacchia Da' al riccio tuo fedel un po' di pacchia!
I cani della peste
Attraverso le tenebre fra i monti | La mia testa recinta di filo spinato | Cerca il luogo lontano | Dove hanno dimora i padroni, | Una città ch'è stata trafugata. | Il camion, avanzando fra la mota, | Sapeva che io scampo non avevo. | Con la testa spaccata e tutta in fiamme | Un cane sperso cerca un uomo scomparso.
Chiuse gli occhi e il vento salmastro, capriccioso e folletto, canticchiava fra gli sterpi una canzone, mentre deboli odori, rompendosi come ondicine, gli accarezzavano le narici. Noi siamo il cervello che t'hanno rubato, | Tu la vittima sei di questo furto.! La tua piaga potrebbe esser sanata | E la salute esserti ridata. | Ma tu non sei più tu, dopo quell'urto, | Né più in grado tu sei di regolarti. | Cane perso, cerchi ancora un padrone scomparso.
Da Varsavia e da Babilonia | I fantasmi non mollano la presa. | Un pesante fardello grava sopra | Il superstite che annaspa. | Questa povera bestia cerca, cerca | Ciò che è vana speranza trovare. | Al di là dei quaderni e dei coltelli | Un cane sperso cerca un uomo scomparso.
Fin in fondo hai bevuto l'amara scodella. | Non occorre che vai più vagabondando. | L'incantesimo è fatto, il libro è chiuso. | Tu sei giunto alla riva più remota. | Giaci e riposa, ormai, povero cane. | Prossimo è un altro grande mutamento. | E, dormendo, tu sogna che ritrovi, | Cane perso, il padrone scomparso.
«Gli canterò una canzone! «Oh io sono un cane ardito | anche se ho la testa fessa! | Son selvatico, orribile | e completamente pazzo!»
Poi finalmente la volpe attaccò la sua canzone. 'Na volpa di muntagna | 'mpiattata ntra la fava | vardava li galline che ruspava | e pensava "Che cuccagna!". | Il villan che birbo era | chiude i polli intel pollaro | come cala giù la sera. | Ma la volpa che l'è più birba ancora | un bel gallo li fa fôra. | Vedessi la volpa sì come ridiva! | Giuliva! giuliva!
Senza motivo e con quasi altrettanta gioia che la capinera migrante a maggio – che canta sul limitare di un boschetto inglese – senza sapere che, di lì a sei mesi, un qualche irsuto porco, in Italia o a Cipro, con zufolo da richiamo e vischio, l'ucciderà affinché un altro porco, a Parigi, la mangi in salsa tartara, Snitter si mise a cantare alla luna. «O luna amica | bianca come un osso | lassù nel cielo | marcisci sola. | Le crepe e i segni | che in te io vedo | per me non sono | mica un mistero. | Dato il mio acume | per me è chiaro: | i vermi entrano, | le mosche escono. | Se ora una mosca, | per suo piacere, | si posa sopra | i miei escrementi, | non me n'importa | un fico secco. | Io son cortese...»
Si incamminarono di nuovo. Snitter, in retroguardia, canticchiava per conto suo, con sommessi uggiolii: «I camici bianchi dipinsero un topo di blu, | Finché non si riconosceva quasi più. | E poi gli imbottiron gli orecchi di pece. | Ma il topo lo volete sapere cosa fece? | Lui li fece saltare per aria – davvero – | E annegarono tutti in un latte nero nero».
Vuoi saper chi ha composto 'sta canzone? (Tabù, tabù) È stato un cane burlone, che visse vita breve. (Tabù, tabù, tabù) Kiff si chiamava, ed era bianco e nero. È finito bruciato, e ben gli sta: Un'altra volta impara. (Tabù, tabai, ta-bubbuli-bai Siam tutti destinati ad andar in fumo.)
La collina dei ricordi
Bel gattino, esci fuori dal mio orecchio. Qui ci sono ratti in abbondanza. Inseguili e falli volare parecchio. Spezza loro il collo e riempiti la panza.
El-ahrairà ha scoperto laggiù la fonte segreta dell'eterna gioventù.
El-ahrairà non invecchierà se la sua mente risoluta resterà e il suo cuore sempre coraggioso sarà.
El-ahrairà, El-ahrairà, El-ahrairà è guarito e non è più stanco E adesso deve cercare il grande toro bianco!
Formiche, formiche, uscite ch'è festa. Qui ci sono gli Ermellini Selvaggi. Mordete loro la coda e la testa. E trasformateli in un mucchio di cadaveri!
Giunto appena dietro Al bosco delle campanule e alle ampie colline El-ahrairà più cercare non dovrà.
L'estate è passata e quasi finita, ed El-ahrairà ricomincia la partita.
L'inverno giunge con la neve e il freddo. E quando arriva, nessuno si muove. Prima che tutto geli El-ahrairà muoversi dovrà.
Per le mie ali, il mio becco e la mia coda, Ti dico che la prima mucca non è lontana. Proprio ai piedi del Colle, qui vicino, Si trova il bosco incantato delle mucche pezzate.
Venite fuori, corvi, due alla volta. Insegnate alle donnole come ci si comporta. Beccatele sulla testa. E dopo che le avrete uccise faremo festa!
Vieni fuori, ruscello, esci dal mio orecchio. Trascina con te questo puzzone. Scorri sulla sua testa, restaci parecchio. E sommergilo finché annega, questo lercio testone.
La valle dell'orso
E canticchiò fra sé il ritornello di una canzone. Un vecchio ladro disse alla consorte | (Zan, zan, zaranzanzan) | "Vita pacchia, farò, fino alla morte!"
Il silenzio fu rotto soltanto allorché un corifeo yeldascé intonò la prima strofa del celebre lamento noto come Le lacrime di Sarkid, in cui si narra della nascita, infanzia e giovinezza di U-Depariot, il liberatore della Yelda e fondatore della Casa di Sarkid. [...] Fra i covoni di grano ella si giacque, | Affranta giacque la fanciulla e sola, | Ferita, senza amici, con il marchio | Degli Strehel su di lei, e partorì | L'eroe Depariot, quando Yelda era schiava.
La cantilena dei battellieri proseguiva monotona, reiterata, a voci alterne. «Shardik a moldra konvei gau!» «Shar-dik! Shar-dik!» «Shardik a londa, Shardik a pronta!» «Shar-dik! Shar-dik!»
Lo sai come cantavano i soldati, dopo la presa di Bekla? "Adesso che la guerra l'abbiam vinta, farem l'amore e ci godrem la vita!"
Ridatemi quelle aspre solitudini | Di rovi e sterpi, asilo della belva. | Quello è il mio vero regno, impareggiabile: | Questa corte al confrronto è tetra selva.
Si mise a giocare con quei bambini, come non faceva più da anni, cantando la canzoncina che accompagna le corse e le risse: «Gatto, gatto, piglia il pesce! | Corri e portalo a casa! Corri, gatto! | Porta il pesce alla fanciulla | Che t'aspetta presso il fuoco. Corri ratto!»
Si udiva il canto di una donna: «Lui di notte, di notte lui viene. | Ho un fiore rosso, rosso fra i capelli. | Ho lasciato la fiaccola accesa, | La mia fiaccola arde. | Senandril na kora, senandril na ro».
Un altro coro si levò dal lido. Erano i pescatori di Tissarn che intonavan un loro canto, per incitare i giovani vogatori. All'alba noi spingiamo nell'acqua le barche. | Se avremo fortuna, nessuno patirà la fame oggi. | Pagar cara la saggezza è destino dell'uomo. | I poveri s'arrangiano per vivere. | La fortuna per noi è un fuoco acceso | E aver piena la pancia, una donna | Nel letto e figli cui insegnare il mestiere.
E Aramis riprese nel tono più cavalleresco: «Dimmi, caro Laboissière, Se vestita come sono, Non sto bene? Oh, non canzono! Cavalcate, in fede mia, Con perfetta leggiadria, Meglio assai di tutti quanti Siamo qui. Fra le alabarde Delle guardie nelle squadre, Alla guisa d'un cadetto Ella appare nell'aspetto.»
E la guida li precedeva cantarellando: «Dalla gotta è tormentato quel brav'uomo di Bouillon...»
Ieri e oggi tutto era alla moda della Fronda: pani, cappelli, guanti, manicotti, ventagli... E poi, ascoltate... «Un vento di Fronda S'è alzato al mattino. Io credo che soffi contro il Mazarino. Un vento di Fronda S'è alzato al mattino.»
"A, B, C, Vitamina D" canticchiava tra sé lavorando. "Il grasso è nel fegato, il merluzzo è nel mare."
Bottiglia mia, sei tu che ho sempre amato! | Bottiglia mia, perché fui travasato? | Azzurri son i cieli nel tuo seno, | È il tempo dentro te sempre sereno. | Poiché non esiste bottiglia nel creato, | O bottiglietta mia, simile a te.
Come è bella l'umanità! O mirabile mondo nuovo...
Orgy porgy, Ford e allegria, | Bacia le ragazze e fanne un'Unità. | Ragazzi e ragazze in pace e sintonia | Orgy porgy vi dà la libertà.
Stringimi fino a farmi male, accarezzami | Baciami fino a che io cada in coma: | Stringimi, accarezzami, avvinghiami; | L'amore è buono come il soma.
Bong, bong, bong, bong, bong... "Wela wela", in fretta in fretta Bong, bong, bong, bong, bong... "'Amo 'amo", strizza strizza, cantano unisoni alla terra uomini e bambù.
E se ne va a prendere finalmente possesso della sua cabina. A passo svelto e giocondo, ripetendo tra sé con gusto il ritornello di una canzonetta che gli è venuta lì per lì. Il ritmo alle sue parole lo danno gli altoparlanti di bordo che stanno strombazzando ai quattro venti la musica con i sassofoni e le trombe e i tamburi che ha sempre accompagnato le allegre navi Liberty: "Pa pa, pararira pa pa. Moderna, sì, oh sì, moderna, moderna, come no, parapira punzi pa, oh sì, moderna tara tara ta".
La canzone diceva cose come: O confine d'Occidente Firmamento Superiore Firmamento Inferiore ecco il vostro tesoro. Offrila all'uomo che governerà la terra un marito che dirige un distretto. Badate bene spiriti della notte, proteggete vostra figlia...
Sapevano di cosa si trattava, e uno dopo l'altro presero a intonare il canto pagano del re morto. Yari au malua Yari au malua Trascinatemi piano, trascinatemi piano io sono il campione della vostra terra...
«Che fate qui, compari, nel bosco che verdeggia?» cantava la voce. «Che fate qui, ehi! minchioni, che fate qui?» soggiunse il padrone della voce con la risata rauca dell'ubriaco, rimettendosi poi a cantare: Se tu bevi il buon chiaretto, | o porcon d'un Frate John, | se tu bevi e io banchetto | a dir Messa chi ci va? (La freccia nera)
E allora parlò il signore, il re dei fuorilegge | «Che fate qui, compari, nel bosco che verdeggia?» | A lui rispose Gamelyn, che mai guardava a terra: | «Errar deve nel bosco chi non può stare in villa!» (La freccia nera)
Il canto è questo della spada d'Alan: il fabbro la forgiò con rosso fuoco e or risplende nella mano d'Alan.
Molti eran gli occhi scintillanti intorno dei nemici all'assalto: ma la spada sola splendeva nella mano d'Alan.
Corsero i daini sopra i verdi colli, sciamando a schiere. Ora solitario è il colle; svaniscon quelli e solo il colle sta.
Venite a me dai colli di brughiera, venite a me dall'isole del mare: il vostro pasto è pronto, aquile nere! (Rapito)
Ma tu, cara signora, se sei tale | abbi pietà del misero mortale. (La freccia nera)
Nel verde bosco legge non c'è, | ma la carne non manca. | O com'è bello mangiare il cervo | quando viene l'estate. || E di te inverno con vento e pioggia | attendiamo il ritorno | per poter stare attorno al fuoco | a cuocere e mangiare. (La freccia nera)
Non siamo qui, signore, per fare male alcuno; | ma ci perdonerete se per dannato errore | un bel cervo regale andasse al Creatore. (La freccia nera)
Quindici uomini sulla cassa del morto | Io-ho-ho, e una bottiglia di rum! (L'isola del tesoro)
L'infinito cielo sospira | e aspetta d'udire quella voce. (Viaggio in paradiso)
Queste erano le ispirate parole: Gente delle tenebre, ehilà! | Peste e morte per chi non ci sta | A fregare malloppi e a far crepare | Chi val la pena di eliminare. || Morte arrecate, uccidete i signori | Andate qua e là con armi bastanti | Per farli fuori tutti quanti. | Quelli che hanno ben più di noi | Eliminateli per ripulirli poi. (Il principe e il povero)
Vogliamo udire la tua voce, | e contemplarti viso a viso. (Viaggio in paradiso)
Ecco quello che cantavano mentre Billy si sentiva straziare le budella: Undici cent il cotone, quaranta il manzo buono; | come fa a campare un onesto pover'uomo?| Prega che venga il sole, che tanto pioverà; | le cose vanno peggio; chiunque ammattirà. | Ho fatto una baracca e l'ho ben pitturata; | ma poi è venuto il fulmine e me l'ha scassata. | Inutile sperare di non saltare il pranzo | finché il cotone è a undici e a quaranta il manzo. | Undici cent il cotone, e tasse a tonnellate: | è un carico pesante, per spalle affaticate... E così via.
Penso a quanto mi siano stati inutili i miei ricordi di Dresda, e a quanto sono stato comunque tentato di scriverne, e mi viene in mente il famoso "limerick": C'era un giovin d'Istanbul, | che al suo attrezzo parlò: | "La borsa m'hai vuotato, | la salute hai rovinato, | e adesso, mio dannato, | non funzioni neanche un po'". E mi viene in mente anche quella canzone che fa: Mi chiamo Yon Yonson, | e sto nel Wisconsin, | a sgobbare in segheria. | Quando cammino per la via | la gente mi chiede: "Come ti chiami?". | E allora rispondo: | "Mi chiamo Yon Yonson, | e sto nel Wisconsin...". E così via, all'infinito.
Quando l'aereo si fu alzato, la macchina che era il suocero di Billy chiese al quartetto di cantare la sua canzone preferita. I quattro sapevano quale canzone intendeva, e la cantarono. La canzone diceva così: Nella cella son rinchiuso, | con la merda fin sul muso, | e le palle giù per terra. | E lo scolo maledetto | mi rovina l'uccelletto. | Mai mai più una polacca | cercherò come baldracca. Il suocero di Billy rise a lungo, ascoltando questa canzone, e pregò il quartetto di cantare l'altra canzone polacca che gli piaceva tanto. Così quelli cantarono una canzone delle miniere della Pennsylvania che cominciava così: Io e Mike scaviamo insieme, | e la vita prendiamo come viene. | Quando è sabato intaschiamo, | la domenica ronfiamo.
Era come se io fossi stato già morto in un altro mondo. La tana buia, quelle grottesche figure indistinte appena chiazzate qua e là da un bagliore di luce, e tutti che si dondolavano all'unisono cantando: – Non camminare carponi; questa è la legge. Non siamo dunque uomini? – Non bere succhiando; questa è la legge. Non siamo dunque uomini? – Non mangiare né carne né pesce; questa è la legge. Non siamo dunque uomini? – Non graffiare la corteccia degli alberi; questa è la legge. Non siamo dunque uomini? – Non dar la caccia ad altri uomini; questa è la legge. Non siamo dunque uomini? [...] Enumerammo un lungo elenco di divieti, poi il canto passò a una nuova formula: – Sua è la casa del dolore. – Sua è la mano che crea. – Sua è la mano che ferisce. – Sua è la mano che guarisce. E così via, un'altra lunghissima litania, per lo più in un gergo per me assolutamente incomprensibile, tutta consacrata a Lui, chiunque egli fosse. Poteva anche essere tutto un sogno, ma in sogno non avevo mai udito cantare. – Suo è il lampo, – noi cantavamo. – Suo il mare profondo. [...] – Sue le stelle del cielo.
Mi affacciai alla soglia. Erano già indistinguibili per la nebbia lunare. Poi Montgomery si fermò, somministrò acquavite pura a M'ling, e tutti non formarono più che una chiazza scura e informe. – Cantate, – urlò Montgomery. – Cantiamo insieme: «Maledetto il vecchio Prendick!». Benissimo! «Maledetto il vecchio Prendick!».
Vagavo come un demente. Mi ritrovai in una casa di persone premurose che nel terzo giorno mi avevano trovato a girare in lacrime farneticando per le vie di St. John's Wood. Mi dissero che canticchiavo un'assurda canzoncina su "L'ultimo uomo ancora vivo! Urrà! L'ultimo uomo ancora vivo!".