Mazzarino (Italia)
comune italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Mazzarino (Mazzarinu in siciliano) è un comune italiano di 10 963 abitanti[1] del libero consorzio comunale di Caltanissetta in Sicilia.
Mazzarino comune | |
---|---|
Piazza Vittorio Veneto | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Sicilia |
Libero consorzio comunale | Caltanissetta |
Amministrazione | |
Sindaco | Domenico Faraci (lista civica) dal 12-6-2024 |
Territorio | |
Coordinate | 37°18′N 14°12′E |
Altitudine | 553 m s.l.m. |
Superficie | 295,59 km² |
Abitanti | 10 963[1] (31-10-2022) |
Densità | 37,09 ab./km² |
Comuni confinanti | Barrafranca (EN), Butera, Caltagirone (CT), Caltanissetta, Gela, Niscemi, Piazza Armerina (EN), Pietraperzia (EN), Ravanusa (AG), Riesi, San Cono (CT), San Michele di Ganzaria (CT), Sommatino |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 93013 |
Prefisso | 0934 |
Fuso orario | UTC+1 |
Codice ISTAT | 085009 |
Cod. catastale | F065 |
Targa | CL |
Cl. sismica | zona 3 (sismicità bassa)[2] |
Cl. climatica | zona D, 1 544 GG[3] |
Nome abitanti | mazzarinesi |
Patrono | Maria Santissima del Mazzaro |
Giorno festivo | terza domenica di settembre |
Cartografia | |
Posizione del comune di Mazzarino nel libero consorzio comunale di Caltanissetta | |
Sito istituzionale | |
Mazzarino sorge su un altipiano della Sicilia centro-meridionale, alle pendici dei monti Erei, nell'entroterra dell'area sud-orientale della provincia nissena che si affaccia sulla piana di Gela. Il territorio è prevalentemente collinare, ed ha una superficie boschiva di circa 7.100 ettari, una zona seminativa di circa 10.896 ettari di cui 6.260 ettari a grano duro.
Amministrativamente confina a nord con i comuni di Barrafranca e Piazza Armerina (in provincia di Enna), ad est con San Cono, San Michele di Ganzaria e Caltagirone (in provincia di Catania), a sud-est con Niscemi, a sud con Gela, a sud-ovest con Butera e ad ovest con Riesi. Appartengono, inoltre, al territorio comunale di Mazzarino due exclavi: l'ex feudo Brigadieci, ad ovest, confinante con Butera, Riesi e l'agrigentino e l'ex feudo di Gallitano a nord-ovest, confinante con Caltanissetta, Riesi e l'ennese.
Per l'estensione della superficie territoriale, pari a 295,59 km², è il decimo tra i comuni della Sicilia[4] e quarantaduesimo sul territorio nazionale.
Buona parte del territorio del Comune di Mazzarino è sottoposto a vincolo idrogeologico, ai sensi della legge n°3267 del 30/12/1923. La superficie complessiva vincolata risulta di Ha 12.020, pari al 41.87% della superficie agraria e forestale. Nel territorio si riscontra anche il vincolo archeologico derivante dalla legge n.1089 del 01/06/1939.
Il settore centro-meridionale della Sicilia è costituito da quattro gruppi di terreni, dei quali tre di essi rappresentano dei complessi tettonici, mentre l'ultimo è costituito da successioni di piggy-back depositatesi sul dorso dei tre complessi tettonici.
I tre complessi tettonici rappresentano, dal basso verso l'alto:
Le unità tettoniche che compongono Falda sono generalmente costituite da:
I terreni dei tre complessi tettonici sono ricoperti in discordanza dalle successioni argilloso-sabbioso-calcarenitiche pliopleistoceniche.
Il territorio di Mazzarino geologicamente è parte integrante di un ampio bacino attivamente subsidente durante il Neogene ed il Pleistocene inferiore che comprendente tutta la Sicilia centro-meridionale, noto come “Bacino di Caltanissetta” o “Bacino della Sicilia centro-meridionale”. Strutturalmente tale bacino rappresenta l’avanfossa che separa l’avampaese ibleo rispetto alla catena appenninica, costituita da argille scagliose variegate alloctone e da argille brune con blocchi di quarzareniti, parautoctone. La successione neoautoctona inizia con una formazione marnosa; seguono il tripoli e le evaporiti messiniane con i giacimenti solfiferi ed i depositi di salgemma e sali potassici. I sovrastanti depositi pliocenici sono rappresentati da marne calcaree a globigerine (Trubi) passanti verso l’alto a marne grigio-azzurre e quindi ad argille sabbiose, sabbie ed arenarie comprendenti tutti i livelli più alti del Pliocene fino al Pleistocene inferiore. Quest’ultima successione è interrotta da lacune di sedimentazione e da discordanze, oltreché essere intensamente piegata.
Lo spessore complessivo della falda alloctona e dei sovrastanti depositi postorogeni raggiunge al centro del Bacino di Caltanissetta alcune migliaia di metri[6].
Il territorio del Comune di Mazzarino è classificato sismico di classe 3 (ag,475=0,05÷0,15g, pericolosità sismica bassa), per il quale, secondo la vigente legislazione, sono previste le verifiche sismiche delle strutture agli stati limite[6].
Storicamente sono stati i terremoti di maggiore intensità, registrati nelle zone sismogenetiche della Sicilia Sud-orientale, a far risentire i propri effetti, seppure in modo limitato, anche nel territorio comunale di Mazzarino. In particolare il sisma del 11 gennaio 1693 (terremoto del Val di Noto) è quello che è stato risentito maggiormente; geologicamente, in quest'area, si realizza una sovrapposizione delle compressioni neogeniche della “Falda di Gela” sulla coeva tettonica distensiva che porta allo sprofondamento progressivo dell’Avampaese Ibleo nella “Fossa di Caltanissetta” caratterizzata da un minimo gravimetrico molto accentuato, contrapposto alla zona ad alta densità dell’Altopiano Ibleo. La presenza di terreni clastici relativamente recenti costituiti da argille, sabbie, limi (Falda di Gela), con uno spessore variabile tra 1000 e 2000 mt. , caratterizzati da bassa trasmissività sismica, fungerebbero da "ammortizzatore sismico", con rapido assorbimento dell’energia liberatasi dal sisma. Pertanto, la trasmissività sismica dalla zona epicentrale dell’avampaese ibleo in direzione Ovest – Nord-Ovest (territorio di Mazzarino) incontrando l’anzidetta coltre sedimentaria a bassa trasmissività, subirebbe una drastica riduzione energetica, con conseguente attenuazione degli effetti sismici[6].
Dal punto di vista orografico, il territorio di Mazzarino, per la quasi totalità è di tipo medio-collinare.
Rispetto al centro abitato si susseguono i seguenti rilievi montuosi, in direzione nord-est: Monte Cardai (486 m), Monte Alzacuda (656 m), Alzacudella (m.622), monte Schinoso (607 m), monte San Nicola (736 m), monte Floresta (529 m), monte Salveria (610 m); verso est: Poggio San Giovanni (560 m), Monte Formaggio (636 m), monte Castellazzo (412 m), monte Bubbonia (795 m), monte Garrasia (311 m); verso sud-est i monti: Manca del Toro-Canalotto (524 m), Verdecanne (500 m), Poggio Mistra (550 m), Cutrubello (434 m), Lavanca Nera (495 m), Ficari (595 m), Gibliscemi (695 m), verso Sud ovest i monti: Gibli (604 m), Favara (510 m), Contrasto (468 m), Castelluzzo (514 m)[7].
Il territorio comunale di Mazzarino rientra nel Bacino idrografico del Fiume Imera meridionale, nel Bacino idrografico del Torrente Rizzuto, Bacino idrografico del Torrente Comunelli e, nel Bacino idrografico del Fiume Gela e Acate.
Il territorio di Mazzarino è attraversato da due corsi d'acqua a prevalente carattere torrentizio: il fiume Braemi a nord (che segna confine con i territori di Piazza Armerina e Barrafranca) e il fiume Gela, che attraversa il territorio da nord-est a sud. Quest'ultimo sorge a Piazza Armerina (in contrada Bellia), proseguendo il percorso nel territorio comunale di Mazzarino, in Contrada Minolto, nella porzione centrale del suo bacino, prende il nome di Torrente Porcheria e poi di Torrente dei Cassari fino alla confluenza con il Torrente Paparella, uno dei suoi affluenti in destra idraulica, dalla quale continua il suo corso come Fiume Porcheria.
Dopo lo sbarramento determinato dalla Diga Disueri prosegue come Fiume Disueri e assume la denominazione definitiva di Fiume Gela alla confluenza con il Lavinaro Tredenari. Nella porzione centrale del bacino sorgono la Diga Disueri, sita in territorio comunale di Mazzarino, e la Diga Cimia che sbarra le acque del Torrente Cimia, nel sottobacino del Fiume Maroglio, il principale affluente del Fiume Gela.
Il Gela, lungo il suo percorso in territorio mazzarinese muta più volte il proprio nome in: torrente Nociara, nei pressi di Alzacuda; fiume Porcaria, nei pressi di Monte Formaggio; in torrente Cassari nei pressi di contrada Santa Croce, in fiume Disueri in contrada Gibliscemi, prima di riversarsi nella diga Disueri,.[8].
Il clima è “Mediterraneo”, temperato-caldo, la temperatura in genere è mite, gli inverni sono brevi e tiepidi, mentre le estati sono calde e afose. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +7,2 °C; quella del mese più caldo, luglio, è di +25,3 °C. La temperatura media in luglio ed agosto è di 26° - 28 °C, con punte massime di 40° - 43 °C. L’analisi comparata dei climogrammi di Peguy e dei valori medi di temperatura delle tre stazioni disponibili per la provincia di Caltanissetta, zona interna (Caltanissetta), intermedia (Mazzarino) e costiera (Gela) permette di distinguere le seguenti due aree:
Nei mesi più caldi (luglio e agosto) normalmente (50° percentile) nelle stazioni delle aree interne si supera abbondantemente la soglia di 30°C (Caltanissetta oltre 33°C, Mazzarino oltre 32°C).[9]
La classificazione climatica è la seguente: zona D, 1.544 GG.
Per quanto riguarda le precipitazioni, nell’ambito della provincia possiamo distinguere le seguenti aggregazioni territoriali, sulla base dei valori medi annui:
Raramente nevica. Le estati sono asciutte, a causa delle alte temperature, e spesso si verificano periodi anche prolungati di siccità, con grandi disagi per la popolazione. Dall’analisi condotta sul bilancio idrico dei suoli è possibile notare che i valori normali di evapotraspirazione potenziale media annua oscillano dagli 865 mm di Mazzarino fino ai 1002 mm di Gela, con punte eccezionali minime di 789 e massime di 1069. Il primo mese dell’anno in cui si presenta il deficit idrico è normalmente marzo; inoltre, mentre a Caltanissetta e Mazzarino vi sono 7-8 mesi di deficit idrico ,a Gela se ne riscontrano mediamente 9-10.[9]Nel centro urbano, per la sua posizione altimetrica soffiano quasi tutti i venti, anche se in inverno e in autunno domina il vento di Tramontana delle Madonie, mentre in primavera e in estate prevalgono i venti di Levante e di Scirocco.[9]
Numerose fonti antiche fanno derivare il nome Mazzarino da Mazaris, deformazione dall'antico toponimo greco Μακτώριον (Maktorion | etn. Maktorínos). Il sito, centro indigeno ellenizzato, è ricordato dalla storia di Gela per avere accolto, sul finire del VI sec. a.C., alcuni cittadini ghelòi che si era ammutinati contro il governo della propria città. In quell'occasione, viene citato il nome di un antenato del tiranno Gelone, un certo Teline, sacerdote di Démetra, a cui viene dato il merito di aver riappacificato gli animi, persuadendo i ribelli a rientrare in città.[10]
L'unica indicazione geografica esistente su Maktorion, è fornita da Erodoto nelle sue "Storie" (VII,153), in cui lo storico afferma che questo centro era situato "sopra Gela" (a nord, NdR), verso l'interno dell'isola. Pertanto, a esso potrebbero appartenere i resti archeologici rinvenuti sul Monte Bubbonia, in territorio di Mazzarino, scoperti dall'archeologo Paolo Orsi intorno ai primi del Novecento.[11] Il luogo, in epoca greca, ebbe una certa importanza strategica per la sua posizione a guardia dei “campi ghelòi”. Le testimonianze archeologiche, costituite principalmente da corredi funerari e utensili, dimostrano che a partire dal VI sec a.C. il centro indigeno siculo subì un processo di ellenizzazione proveniente dalla vicina pólis di Ghéla [12].
Sin dalla prima campagna scavi, condotta nel 1904 dallo stesso Orsi, fu riportata alla luce la necropoli indigena di età protostorica, nonché l'acropoli interamente circondata da mura, al cui interno uno degli edifici venuti alla luce sarebbe stato, secondo l'archeologo trentino, l’Anaktoron, ovvero il palazzo dove il signore capo indigeno del luogo aveva la residenza e amministrava il suo potere[13]. Il nome Maktorion è riportato anche in una epitome dell'opera di Stefano di Bisanzio dal titolo Ethniká, ripreso da una storia della Sicilia (Sikeliká) scritta nel IV sec. a.C. dallo storico siracusano Filisto: Maktorion, città della Sicilia, menzionata per prima da Filisto, fu fondata da Mònen (o Mòmno, NdR)[14]. Comunque sia, la storia di quest'antica cittadina e la sua effettiva ubicazione rimangono ancora sconosciute: dalle ultime indagini archeologiche, sembrerebbe che intorno al IV secolo a.C. l'acropoli di Monte Bubbonia sia divenuta sede di un avamposto militare dotato di caserma e torre di guardia[15] rase al suolo a seguito di una probabile incursione punica.
«...E tutti mossero, in un corteo festoso e vociante, coi barbieri che attaccarono a suonare la marcia d’Orsomando, il maestro della banda. Mossero per via Bivona e Castelvecchio, su per la mulattiera al bordo della vallata del Canale, lasciarono le ultime case sul poggio Immacolata, arrivarono all’eremo di San Corrado, già convento dei padri Carmelitani e lazzaretto in tempo di colera e di vaiolo arabo, ma luogo di sepoltura anche di morti impenitenti e di morti per morte di coltello o di lupara. Furono subito sotto le mura e la torre superstite dell’antico castello dei Branciforti, Carafa e Santapau, principi di Butèra, della Roccella e del Sacro Impero, conti di Mazzarino e di Grassuliato, eccetera eccetera. Castello, mura e torri così eminenti in cima a questo poggio sulle falde del monte Diliàno, evidente d’ogni luogo e d’ogni parte, tutti, che in quel momento vi passavano di sotto, avevano negli occhi, la fantasia e la memoria, fin dalla nascita, come una cosa che minaccia, di legatura o magarìa, di maledizione antica...»
Nel 1061 il condottiero normanno Ruggero d'Altavilla sbarcò a Messina dando inizio alla battaglia per la conquista della Sicilia occupata dai musulmani (all'epoca sotto dominio arabo come Emirato di Sicilia). Nonostante l'arrivo di rinforzi dall’Ifriqiya, la superiorità militare normanna prevalse su quella araba ormai lacerata delle contese tra i comandanti (qāʾid) musulmani. Nel 1063 nei pressi del fiume Cerami, Ruggero sconfisse un esercito di arabi siciliani e ifriqiyani, e proseguì la conquista verso la Sicilia centro meridionale, fino alla conquista della postazione musulmana di Butera, come riporta lo storico Palmeri[16]:
«Nel 1082, Ruggero parte da Troina, ove si era ridotto per abbattere i Saraceni, e fece una incursione dalla parte sud di Castrogovanni fino a Butera, donde trasse molto bestiame e molti prigioni; ma per la via lunga e difficile, per l'eccessivo calore d'estate e la mancanza d'acqua, perdè gran numero di cavalli»
riporta ulteriormente lo storico Ingala[17]:
«...nell'approssimarsi all'attuale sito di Mazzarino, adocchiarono il Castello e li si diressero, guadagnandone la salita. L'astrinsero all'intorno, gridando alla vittoria, ma un saluto di frecce rispose alle loro grida. Cercando altri mezzi di farlo arrendere, demolirono in parte la Cinta di mura che ne difendeva l'ingresso, e riuscendo a penetrare nel Castello, catturarono i Saraceni ivi rinchiusi, i quali furono con loro condotti, dopo essersi alquanto rifocellato l'esercito normanno. I Saraceni di Mazaranu, inconsci di quanto era accaduto nel castello perché non furono in tempo ad esserne avvertiti [...] nė si avvidero che Ruggero moveva alla loro volta tanto che il Conte ebbe a penetrare nella città ed essi, invan ricorrendo ad una intempestivá difesa, furono tutti presi e fatti prigioni, la citta fu dall'esercito e distruta. L'esercito normanno [...]riportata vittoria e del bottino fatto, discese alla conquista di Butera e, continuando la marcia, scopri che alla Favara eranví alquanti Saraceni...»
La sottomissione dei Saraceni di Mazzarino al conte Ruggero è, ulteriormente, confermata nell'atto di donazione del conte Manfredi in favore della Chiesa di Santa Maria del Mazzarino ove riporta «...et comproficiant ad salulem et gloriam gloriosi Comitis Rogerii pro avi mei; qui hanc patriam de impiorum Saracinorum manu, ac tirannide potenter eripuit Sanctae Fidei subiugavit etc".
Le fonti indicano un altro sito nel territorio di Mazzarino, dove in epoca normanna sorse la fortezza di Garsiliato, edificata su una rupe scoscesa e impervia. Essa rivestì per alcuni secoli un'importanza strategica, a guardia della vallata per la quale la piana di Gela si diparte verso l'interno con una serie di vallate in direzione di Enna, Catania e Caltagirone.
Il feudo e il castello di Grassuliato appaiono per la prima volta in un documento del 1091, legato alla figura di Simone de Garsiliat, corretto successivamente in Grassuliato. Il castello dominava non soltanto il borgo attiguo, ma un vastissimo territorio costituito da nove feudi che lo rendevano una terra ambita, di rilevante importanza militare, politica ed amministrativa. Successivamente sotto l'imperatore Federico II di Svevia, il feudo di Grassuliato visse un periodo di prosperità, grazie alle risorse ricavate del suo vasto e ricco territorio che il geografo arabo Edrisi descriveva come “terra ferace, ubertosi poderi solcati dal fiume del Miele, abbondanti di ogni produzione del suolo…”[18].
Nella seconda metà del XIII secolo, la “terra” venne elevata a Contea, e del nuovo titolo sì fregiò Ruggero Passaneto, personaggio di spicco durante la guerra del Vespro per avere sollevato nel 1282 gli abitanti contro gli Angioini e iniziatore di una dinastia da cui discesero: Bernardo Raimondo de Bellis, conte di Grassuliato, difensore della nave regia di Federico d'Aragona nella battaglia di Capo d'Orlando (1299), e Blasco di Passaneto, tra i fedelissimi della Corona di Federico IV d'Aragona. Tuttavia col successore di quest'ultimo ebbe inizio la progressiva rovina di Grassuliato, dato in feudo, nel 1393, a Nicolò Branciforte, barone della terra di Mazzarino[18].
Il centro attuale, invece, sorse in età medievale, nelle adiacenze di un castello edificato tra il XI e XIV sec.
Nel 1090, in epoca normanna, successivamente al respingimento degli Arabi dalla Sicilia, la città di Mazzarino venne infeudata e concessa in signoria all'aleramico Enrico del Vasto da parte del Gran Conte Ruggero I d'Altavilla[19].
Enrico del Vasto era giunto in Sicilia, insieme a molti suoi conterranei della Marca Aleramica, per aiutare il condottiero normanno Ruggero nelle ultime e decisive fasi della battaglia per la conquista dell'isola; egli divenne personaggio di spicco presso la corte normanna, allorquando la sorella Adelaide del Vasto andò in sposa al conte Ruggero, oltreché per i vasti possedimenti familiari tra Piemonte e Liguria.
Gli aleramici al seguito di Enrico costituirono il primo flusso migratorio di lombardi (piemontesi e liguri), che ripopolarono tra l'XI e il XIII secolo alcuni dei centri della Sicilia centrale, tra cui Mazzarino, Aidone, Piazza Armerina e Caltagirone. I normanni, infatti, favorirono una politica d'immigrazione della loro gentes, proveniente dalla Francia e dall'Italia settentrionale, attraverso la concessione di privilegi feudali, con l'obiettivo di rafforzare il "ceppo franco-latino" che in Sicilia era minoranza rispetto a quello greco-bizantino e arabo-saraceno[20].
Un diploma del 1143, allorquando signore di Mazzarino divenne Manfredo del Vasto, nipote di Enrico, e figlio di Simone, stabilì la concessione alla Diocesi di Siracusa dei proventi e delle rendite derivanti da questo Stato, come ulteriormente confermato da alcune missive del 1157 sottoscritte dal medesimo feudatario[21].
Nel 1143 l'aleramico Manfredi, divenne pertanto il primo signore di Mazzarino.
I discendenti di Manfredi del Vasto col tempo patrionimizzarono il nome con quello del loro feudo. La famiglia conservò il possesso della baronia di Mazzarino fino al 1286, allorquando re aragonese Giacomo I di Sicilia la confiscò al barone Giovanni da Mazzarino, poiché accusato di aver cospirato assieme ad Alaimo da Lentini ed allo zio Adenolfo di Mineo contro la Corona d'Aragona, quando al trono del regno di Sicilia sedeva Pietro il Grande. Il barone Giovanni, insieme agli altri due imputati di tradimento, venne condannato a morte nel 1287 e gettato in mare.
Con privilegio dato il 31 luglio 1288 il sovrano aragonese concesse la signoria di Mazzarino al nobile messinese Vitale di Villanova.
Nel 1324 il nobile piacentino Raffaele Branciforte sposa Graziana, figlia di Calcerando di Villanova, signore di Mazzarino.
La signoria di Mazzarino passò quindi definitivamente ai Branciforte, famiglia di origine piacentina, attraverso il matrimonio, per l'appunto, tra Graziana Villanova Palmerio, figlia di Calcerando, con il miles Raffaele Branciforte, figlio di Stefano, Maestro razionale del Regno, che prese investitura del feudo con privilegio del re Federico III di Sicilia il 4 aprile 1325.
Al territorio della Contea di Mazzarino venne successivamente annesso il castello di Grassuliato o Garsiliato, confiscato a Ruggero Passaneto, ed assegnato a Niccolò Branciforte degli Uberti nel 1393[21].
La città tra il XVI e il XIX secolo fu sede della contea di Mazzarino e Grassuliato (in latino Comitatus Mazarini et Grassuliatum, in spagnolo Condado de Mazarino y Grassuliato), nota semplicemente come Contea di Mazzarino (o di Mazarino)[22].
La baronia di Mazzarino fu elevata a rango di contea con Niccolò Melchiorre Branciforte Rosso, che con privilegio dato dal re Ferdinando II d'Aragona il 21 febbraio 1507, esecutoriato il 30 marzo dell'anno medesimo, fu investito del titolo di I conte di Mazzarino[21].
La contea di Mazzarino rappresentò sino alla seconda metà del XIV secolo il principale possedimento feudale della famiglia Branciforte.
Fabrizio Branciforte Barresi, V conte di Mazzarino, nel 1580 ereditò dal prozio materno Francesco Santapau Branciforte il Principato di Butera, di cui ebbe investitura nel 1591[21]. A seguito di ciò i Branciforte si fregiarono del titolo di Principi di Butera, ma ciò nonostante si stabilirono a Mazzarino.
Nel XVll secolo, sotto la signoria di Giuseppe Branciforte, V principe di Butera (1624 - 1675) e successivamente del nipote Carlo Maria Carafa Branciforte (tra il 1675 e il 1695) la cittadina registrò una considerevole crescita demografica ed urbanistica[23]. In particolare Giuseppe Branciforte cambiò l'assetto urbanistico del borgo, conferendogli un aspetto tardo barocco[24]. Vi fece edificare il palazzo baronale, nonché i principali edifici di culto, quali la chiesa e convento di Santa Maria del Carmelo, la chiesa del Santo Spirito e la chiesa di Sant'Anna[18].
Carlo Maria Carafa, succeduto allo zio nel 1675, con il titolo di Principe di Butera e del Sacro Romano Impero, conte di Mazzarino e di Grassuliato, fu un abile politico, un erudito, filosofo, scienziato, scrittore, umanista e mecenate. Fu Grande di spagna di prima classe, ambasciatore straordinario di Re Carlo II e, al primo posto nel braccio nobile del Parlamento di Sicilia, amava stupire ostentando la propria ricchezza e prestigio; recandosi a Palermo per presiedere il Parlamento siciliano, soleva portarsi al seguito centinaia di vassalli. Memorabili rimasero le cavalcate da Napoli a Roma per la tradizionale offerta al Papa della chinea, la mula bianca che i re di Napoli offrivano ogni anno al Pontefice in segno di vassallaggio. Il Carafa continuò nell'intento di contribuire allo sviluppo urbanistico della cittadina, che elesse a residenza abituale. Adornò il palazzo di splendidi saloni, giardini pensili, amplissimi cortili, scuderie, abitazioni per servitori e vassalli, alloggi per la compagnia feudale, prigioni e segrete, in quanto esercitava sui suoi domini il diritto di mero e misto impero;[25]. Ne sono testimonianza i numerosi edifici religiosi con annessi monasteri fatti edificare o portati a compimento dallo stesso principe. Diversi ordini monastici, in quel periodo, si stabilirono nella città di Mazzarino. Fece ampliare la dimora dei Branciforte, fondò un teatro e due tipografie, impiantati per la diffusione di pensieri e idee novatrici. Sotto la sua signoria giunsero a Mazzarino nobili e facoltosi proprietari, finanzieri pisani, genovesi e di altre città, richiamati dai fiorenti commerci, mercanti catalani attratti soprattutto dal commercio del grano, umanisti, artisti, ma anche abili artigiani della pietra, del legno e del ferro[18].
L'11 gennaio 1693 un forte terremoto scosse la Sicilia sud-orientale provocando distruzione e vittime. Mazzarino come le altre città del Val di Noto e della diocesi di Siracusa, cui giurisdizionalmente apparteneva, registrò diversi danni agli edifici di culto più antichi a causa delle scosse, tra si essi la vecchia chiesa madre di Sant'Antonio Abate, che divenne inagibile, la Chiesa del Crocifisso dell'Olmo o dell 'Itria e la normanna chiesa di Santa Maria del Mazzaro, per quanto, come risulta dai registri della chiesa "matrice", il sisma non abbia provocato vittime in città. Da qui la volontà del Principe Carlo Maria Carafa di voler riedificare tali monumenti, in particolare la chiesa Madre e il Collegio dei Padri Gesuiti, facendo giungere in città gli architetti gesuiti Angelo Italia e Frà Michele da Ferla, che progettarono, tra l'altro, anche la ricostruzione di Occhiolà, oggi Grammichele[22][25].
Alla morte prematura del principe Carlo Maria Carafa, avvenuta 1 giugno 1695, i titoli e i possedimenti feudali pervennero alla sorella Giulia[26].
Il dominio di casa Branciforti, elevata nel frattempo a primo titolo del Regno, prosegui col nipote Nicolò Placido Branciforti (1703), con Ercole Michele Branciforti (1722), col figlio di Salvatore che ne ereditò i beni e i titoli (1764), col nipote Ercole Michele Branciforti Pignatelli, investito nel 1800 della Contea e "terra" di Mazzarino. Abolito il feudalesimo, sarà l'ultima portare i titoli per investitura regia; titoli che, da ora in avanti, transiteranno per successione.
Sino al 1818 il territorio del comune di Mazzarino era ricompreso giurisdizionalmente in quello del Vallo di Noto.
La casata dei Branciforte mantenne il possesso feudale della Contea di Mazzarino fino all'abolizione del feudalesimo avvenuta nel Regno di Sicilia nel 1812, a seguito della promulgazione della Costituzione siciliana concessa dal re Ferdinando III di Borbone.
In epoca Borbonica, con la legge dell'11 ottobre 1817, fu avviata la riforma della suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie, secondo la quale la struttura amministrativa dello Stato si sarebbe dovuta basata su una struttura a 4 livelli; il primo livello costituito dalle provincie, il secondo livello dai distretti, il terzo dai circondari, il quarto, infine, dai comuni.
A seguito della riforma, la provincia di Caltanissetta venne suddivisa in sotto-livelli amministrativi ad essa gerarchicamente dipendenti, ovvero i distretti di Caltanissetta, Piazza e Terranova, istituiti nel 1812 con la Costituzione del Regno di Sicilia. I "distretti", a loro volta, erano suddivisi in "circondari", costituiti dai comuni, che rappresentavano l'unità di base della struttura politico-amministrativa
Nel 1818, quindi, cessata la feudalità, Mazzarino entrò a far parte della provincia di Caltanissetta.
Il circondario di Mazzarino fino al 1860 fece parte del distretto di Terranova che, con l'occupazione garibaldina e annessione al Regno di Sardegna, nel 1860,venne soppresso.
I Principi di Butera si estinsero a metà XIX secolo, con l'ultima erede del casato, Stefania Branciforte Branciforte (1788-1843), che nel 1805 sposò Giuseppe Lanza Branciforte, ed in conseguenza di ciò tutti i titoli e beni della famiglia Branciforte, tra cui il titolo di Conte di Mazzarino e Grassuliato, pervennero ai Lanza.[27]
Gli avvenimenti storici di maggior rilievo che hanno caratterizzato la storia del XIX secolo sono riconducibili ai vari tentativi della masse popolari agrarie di rivendicare migliori condizioni economiche verso i latifondisti. Da un lato, vi erano, infatti, dalle lotte tra vari signori per l'egemonia dei territori e, dall'altro, l'oppressione, e le precarie condizioni, subite della popolazione sottoposta a gravose imposte e balzelli dai latifondisti[28].
Un primo timido tentativo di ribellione si avrà nel 1820, quando anche a Mazzarino si formò un gruppo aderente alla carboneria. Tra suoi fondatori due religiosi: il Sac Giacinto Infuso e il carmelitano Padre Elia Trimarchi. Riporta, lo storico Ingala, che "si vide arrivare a Mazzarino, dal Monte Gibli un folto gruppi di soldati regi, armati di fucili, pronti a sopprimere il movimento, di fronte ad una popolazione che ancora non conosceva bene l'uso delle armi da fuoco e che, pur tuttavia, riusciva a respingere i soldati che erano costretti a batter in ritirata"[18].
Una prima vera rivolta, sfociata nel sangue, si ebbe il 30 aprile 1848, quando i braccianti, soggetti ad uno sfruttamento non più sopportabile, guidati da un certo Sanfilippo, al grido di "Morte ai civili! Morte ai galantuomini!" si impadroniranno delle armi della "Guardia Nazionale", provocarono incendi e saccheggi in ogni quartiere del paese. La rivolta causò un fuggi fuggi generale, molti si barricarono in casa. I rivoltosi si diressero anche verso il carcere cittadino per liberare i detenuti. Fu occupato il Palazzo Comunale, distrutti i mobili e bruciati gli archivi. Lo stesso avvenne all'Ospedale cittadino e all'Archivio Notarile[18]. Tra i notabili, molti riuscirono a scappare e a raggiungere i vicini paesi di Barrafranca e Piazza Armerina, altri si nascosero nei campanili e nelle chiese. Riporta lo storico l'Ingala, furono visti uomini decapitati ed i cui corpi portati per il paese[28].
«I popolani, appropriandosi violentemente delle armi della Guardia Nazionale, con a capo un certo Sanfilippo procedettero pel carcere, per dare la libertà a quanti eranvi detenuti; costoro si amminutarono contro i tumultuanti, i quali, da sopra i tetti delle carceri stesse, compirono dei misfatti e delitti i più inauditi. A calmare la loro ferocia il Canonico Don Antonino Lo Nobile, preso il SS. dalla chiesa Madre, portossi dietro la porta delle prigioni, scongiurando quei malnati a smettere dalla loro barbarie per amor di Dio; ma non ebbe che risposte insolenti e minacce, e dovette retrocederne dolentissimo. Nel frattempo altri popolani invasero il palazzo comunale, che aveva sede lungo il Corso, n. civ. 236, e li, buttando dai balconi tutte le scritture, vandalicamente vi appiccarono il fuoco, che tutte le divorò. Similmente fecero con l'archivio comunale, esistente nell'ex ospedale, ed ivi, alle fiamme unendo la loro ridda, vi bruciarono uno della fazione dei Nobili. La medesima sorte toccò agli archivi notarili. I più ragguardevoli della fazione dei Nobili, vedendo il malandare delle cose, cercarono sottrarsi all'eccidio con la fuga; ma uno di essi, sopraggiunto dai Popolani, fu spento nell'aperta campagna. Alcuni ebbero l'agio di rifuggiarsi a Barrafranca ed a Piazza Armerina, altri nella sommità del Vecchio Castello feudale, e tali altri asilarono sopra i campanili delle chiese. Furono visti uomini tanto barbari che, dopo avere decapitato un infelice, ne portavano la testa, appuntata ad una falce fienaia per la città, quale trofeo di loro ribalderie, accompagnata dal suono di uno zufolo e da orribili schiamazzi, e la famosa donna detta Verna si vide, anche più barbara, con fiaccole andar bruciando le carni di un trucidato ignudo, che veniva strascinato lungo il Corso. Sparsasi la notizia del tumulto, altri predoni di Favara e di Girgenti corsero per far bottino, Sopraggiunti da alquanti Riesini, venuti in nostro soccorso furono fugati, e qualcuno di essi ebbe a trovare la morte.»
Subito dopo i fatti i latifondisti ripresero nuovamente in mano la situazione e il 2 maggio, fecero fucilare pubblicamente il capopopolo e con lui altri rivoltosi, ristabilendo l'ordine. Le truppe borboniche, infine, provenienti da tutte le Province della Sicilia ed appoggiate dai c. d. compagni d'arme, ovvero elementi militarizzati fidi ai proprietari terrieri, ebbero la meglio sui rivoltosi disarmati, mal guidati ed impreparati a resistere[29].
Le amministrazioni pubbliche, che da li in poi si susseguirono a Mazzarino, saranno conservatrici e appoggeranno sempre i ceti possidenti[28].
A aggravare le precarie condizioni dei braccianti agricoli contribuirono diverse calamità naturali e sanitarie: la grave carestia del 1822 che, a causa della siccità, portò il popolo alla fame e alla disperazione, cui seguirono quelle del 1853 e del 1864l'epidemia di colera del 1867; altre fasi di grave siccità, si ebbero nel 1879 e poi nel 1881 seguiti ancora dall'infestazione di filoxera, che distruggerà i vigneti l'anno dopo; e, infine, l'epidemia di vaiolo, la prima nel 1883 e poi nel 1889[18].
quanto alla grave epidemia di Colera che colpì la città nel 1867 lo storico Ingala, testimone dell' epoca, riporta:
«...Il terribile morbo, il Cholera, spiegò quivi tutta la sua pienezza distruggitrice il martedì 18 giugno, e le vittime mietute dall'immane falce, nel campo del nostro popolo, furono moltissime. Che strage ! Che sterminio ! Che crudeltà e barbarie !... A nulla valsero le precauzioni ed i cordoni sanitari. Il morbo penetrò in città, e vi stiede buona pezza a scorrazzare.. I morti erano numerosi, e si vollero chiamare dai vicini comuni alquanti becchini, i quali ne commisero di ogni sorta. I carri stracarichi stridevano per le vie della città con delle persone sopravvi, o semivive, o del tutto spente, o assopite dall'oppio che loro erasi somministrato per medicinale... Qui un beccamorto con tre o quattro bambini sotto le braccia per ammonticchiarli sul carro funebre; là un altro creduto estinto, legato sur una scala a piuoli per cataletto, dimenando il capo e.... Che dire poi dello squallore e desolazione che il morbo apportò nelle campagne, ove la strage fu maggiore, non risparmiando le capanne dei contadini, le cascine dei privati, le palazzine dei signori ?... Mi viene il raccapriccio in rappresentare scena si triste di che fui spettatore ! Pure la carità girava fra tanta desolazione, (...) noncurante del micidiale contaggio; e memorandi restarono gli atti di abnegazione operati cristianamente dal P. Carmelo Nicolosi e dal Sac. Rocco Bognanni, cappellani di quel tempo. Le messi, Dio sa come, fra tanto scompiglio si raccolsero, e molti miserelli ebbero a mangiare il durissimo cruscherello, il pane d'orzo o di fave o di cicerchie infrante. (...) E qual sepoltura si ebbero i corpi di tanti infelici? Alcuni fra le fessure dei monti coperti di poche frasche; altri fra i condotti di acqua di già rasciugati coperti di poca terra, o sotto qualche siepe, o dentro i covili delle volpi e delle belve, o sotto qualche masso di dura pietra..»
Nel 1860, anno in cui nacque nuovo Regno d'Italia, anche il popolo di Mazzarino parteciperà all'impresa garibaldina, prima con la partenza dei volontari armati i c.d. "picciotti", e successivamente unendosi il 21 ottobre 1860, al plebiscito per l'unità nazionale[18]. Tale avvenimento tuttavia non comportò alcun significativo vantaggio per le classi agrarie e, pertanto, si sollevarono nuovi malumori che sfociarono in movimenti di lotta tra il 1893-94, che culmineranno nella fase dei Fasci Siciliani dei lavoratori. A Mazzarino la locale sezione nascerà nell'ottobre 1893, raggiungendo in poco tempo centinaia di aderenti. Iniziava così anche a Mazzarino, come in altri centri siciliani, una fase di lotta caratterizzata da scioperi e manifestazioni e che si interromperà, bruscamente, nel dicembre 1893, con l'arrivo di numerosi contingenti militari di soldati regi, seguito dalla dichiarazione dello "stato di assedio", nella notte tra l'8 e il 9 gennaio 1894[30]. A seguito di tali avvenimenti il Consiglio Comunale, deliberò la riduzione di alcune tasse, tra cui quella sugli animali e sulla farina[28].
La lotta contro il latifondismo continuerà agli inizi del 900, con la fondazione del Circolo Democratico, di una Cassa Rurale e di una Cooperativa Agricola, che avviò per prima la lottizzazione dei feudi "Porcaria" e "Strada". Nel 1902, a causa della messa all'asta di alcune terre, divenute demaniali per insolvenza fiscale di alcuni possidenti, e del tentativo speculativo messo in atto da alcuni possidenti ai danni dei contadini, si accese una nuova ondata di proteste che l'intervento di un plotone militare proveniente da Caltanissetta, costringerà a placarsi[28].
All'indomani della fine della prima guerra mondiale, nel 1919, sarà costituita anche a Mazzarino una sezione socialista e la prima Camera del Lavoro, cui aderiranno centinaia di reduci delle campagne militari d'Africa e della Grande Guerra, malcontenti delle non mantenute promesse di redistribuzione delle terre ai contadini[28].
Nel 1922, a Mazzarino sorge una sezione del Fascio, che vede tra i suoi promotori, alcuni agrari, tra i quali i Bartoli, i Cannada ed altri notabili. Il movimento fascista sarà alimentato, inizialmente, da giovani disoccupati, che aderendo allo squadrismo locale riceveranno in cambio ricompense. Primo podestà sarà nel 1927 il Comm. Giuseppe Bartoli, che manterrà tale carica per oltre un decennio, vice podestà il Cav. Salvatore Cannada[28].
A Mazzarino, in quello stesso anno, la Camera del Lavoro verrà completamente distrutta dagli squadristi[28].
Nel luglio 1941, in pieno conflitto mondiale, Mazzarino conobbe i primi bombardamenti, quando, la domenica sera del giorno 20 luglio 1941, aerei alleati bombardarono le vie Toti, Cavour e D'Azeglio, causando morti e feriti. Si era trattato di un errore poiché aerei anglo-americani, furono attratti, in quella sera estiva, dalla luce di una proiezione cinematografica all'aperto, proveniente dal cortile della vecchia "Badia", e scambiando quei bagliori per obiettivo nemico, bombardarono la popolazione civile[31].
Ai primi di giugno del 1943, aerei di ricognizione alleati, a Mazzarino, come in molti comuni siciliani, lanciavano volantini, che invitavano le popolazioni a ripararsi nelle campagne. Nella mattina del venerdì 9 luglio, nell'imminenza dell'Operazione Husky, la città subì altri bombardamenti che costrinsero la popolazione a riversarsi, in massa, nelle campagne circostanti. Nell'intento di colpire alcune postazioni militari italiane della divisione Livorno, di istanza nei pressi della Chiesa Maria SS. del Mazzaro, colpirono il centro abitato devastando la via Catania, I 'attuale via Zara e via Briga e causando decine di morti. Altri bombardamenti si avranno nella notte tra il 9 e il 10 luglio, in contrada Commenda, quando l'aviazione alleata, in ricognizione sul territorio mazzarinese, scambiando dei civili per bersagli militari causarono altri bombardamenti, con decine di morti. Alla fine di quelle operazioni, i decessi saranno 61, e decine i feriti[26].
Le truppe anglo-americane sbarcate nella costa meridionale tra Gela e Licata, nella notte tra il 9 e 10 luglio 1943, raggiunsero Mazzarino nella tarda mattinata del mercoledì 14 luglio, alla guida del Maggiore scozzese Abell. Ad accogliere gli alleati, provenienti da Gela vi era un gruppo di persone guidate dal Sac. Carmelo Cannarozzo[26]. Quell'incontro, nelle campagne antistanti Mazzarino, volle sottolineare ai soldati in arrivo che non c'era bisogno di attacchi militari e che in paese non vi erano presidi. Il sacerdote salì su uno di quei carri armati diretti alla volta del paese, e inneggiando ai "liberatori", entrò nell'abitato al seguito dei militari che si diedero subito a distribuire cioccolata, caramelle, sigarette, tabacco, e indumenti. Gli alleati si stanziarono in alcune tende da campo in zone come, contrada "Fiorentino", nell'allora campo sportivo, nei quartieri "Badia, e nelle Campagne adiacenti al belvedere, vicino la Chiesa di Maria SS. del Mazzaro e nella zona del Castello.[31]
Il comandante Abell, dopo un breve periodo di reggenza nominò Sindaco il prof. Andronico, socialista, sostituito, dopo appena un mese, dall'Avv. Giorgio Caico, in rappresentanza del ceto degli agrari. Andronico era stato accusato, e successivamente prosciolto, di presunte irregolarità amministrative per aver dato l'ordine di togliere i sigilli dai magazzini dei notabili, dove era ammassato il grano, che egli aveva ritenuto, visto lo stato di fame della popolazione, di distribuirlo, secondo le disposizioni di razionamento. Il ceto agrario ritornava, così, ad avere in mano il municipio e l'esattoria. Tale stato di cose tornò ad alimentare il malcontento della popolazione vessata dalla guerra e dal latifondismo[28][26].
Negli anni 40, Mazzarino rappresentava, infatti, uno dei territori più latifondisti della Sicilia, ben il 70% della sua superficie agricola era costituita da feudi. Fra i maggiori possessori del Comune si incontra l’Opera Pia Branciforti che aveva in dotazione il feudo Rafforusso per una superficie di Ett. 1961 di latifondo. Il professore Lorenzoni nel 1907 riscontrava nel Comune di Mazzarino una percentuale di superficie latifondistica del 56,60%, mentre il prof. Molè, nel 1927, la riscontrava del 42%.[29]
Proprio durante la reggenza di Caico, si verificherà, a Mazzarino, una rivolta spontanea di contadini, il 17 dicembre 1944, che porterà alla distruzione, tra l'altro, di parte degli archivi anagrafici comunali[29].
I primi disordini pubblici si verificavano il 17 dicembre 1944, a seguito di una manifestazione di ex fascisti, che istigavano i giovani di leva a non partire per il fronte al grido di "Basta con le chiamate alle armi", "La guerra è finita". Bruciarono in piazza le cartoline precetto. Alla protesta si unirono gli strati popolari, esasperati dall'esaurimento delle scorte di grano. Quest'ultimi, diedero vita a un'altra manifestazione al grido di "Pane e lavoro", "Abbasso i proprietari", "Abbasso il Municipio ". La protesta prima si manifestò con un corteo che sfilò lungo le vie principali del centro, per poi degenerare. Dal palazzo comunale e da altri uffici pubblici volarono carte, registri, suppellettili, che vennero accatastati e dati alle fiamme. Si passò poi ai palazzi signorili, abbandonati dai proprietari che riuscirono a mettersi in fuga; non venne risparmiato neanche il circolo dei galantuomini[26]. La razzia durò molte ore, finché, arrivata la sera si placò. A tali manifestazioni spontanee sarà posta fine con l'intervento delle forze dell'ordine a cui seguirono numerosi arresti. Qualche giorno dopo, di fronte a quel grave episodio, che sarebbe potuto sfociare in altre disorganizzate e più gravi iniziative, sarà presente in città Girolamo Li Causi, che in un comizio pubblico esortò la popolazione a seguire la strada della lotta organizzata e non quella delle reazioni scomposte o violente[28][26][32][33].
Tale comizio aprì la strada verso un periodo di scioperi e occupazioni delle terre e dei feudi dei notabili, che vide il partito comunista locale e le altre forze politiche di sinistra, impegnati a sostegno delle richieste dei braccianti, che condusse, dapprima all'applicazione del c.d. Decreto Gullo, ovvero decreto legislativo luogotenenziale del 19 ottobre 1944, n.279, che limitava la proprietà privata in relazione alla produzione agricola[34], e successivamente all'approvazione della riforma agraria con la L.R. del 27 dicembre 1950, n. 104[35][36].
Il 2 giugno del 1946, per il referendum istituzionale "Monarchia/Repubblica", la città si schierò nettamente a favore della nascente Repubblica italiana con oltre il 60% dei voti di preferenza.
Lo stemma comunale è stato concesso con D.P.R. del 5 settembre 1995.[37]
«D'argento, al fascio consolare, di rosso, rovesciato, munito della scure d'oro, con il taglio posto a sinistra, il fascio attraversato dalla banda diminuita, di azzurro, caricata da tre stelle di sei raggi d'oro. Ornamenti esteriori da Comune.»
Lo stemma del comunale riprende quello della famiglia Mazzarino.[19]
Il gonfalone è un drappo di azzurro.
«...videro le stesse facce dei villani, delle donne, dei bambini, camminarono per le stesse strade, guardarono i campanili, le cupole, i conventi, le mensole grottesche dei balconi a Mazzarino...»
Il centro storico presenta un impianto urbanistico tipicamente medievale, caratterizzato da strade strette e irregolari, che si svilupparono progressivamente tra il XV-XVIIl secolo attorno alla residenza dei Branciforte e alla chiesa madre della città, allorquando esse divennero il fulcro della vita politica, economica e religiosa.
In prossimità del principale asse viario, ovvero il corso Vittorio Emanuele III, sorsero i principali monumenti e luoghi di interesse storico artistico, in particolare le principali chiese, i conventi e i palazzi baronali.
Nel 2007, per la presenza di siti di interesse culturale, ai sensi dell'art 13 co. V della L.R. n.28/99,il comune di Mazzarino è stato incluso tra le c.d. ''Città d'Arte", ad economia a vocazione turistica.
Nel 2020, inoltre, per le caratteristiche architettoniche tardo barocche che caratterizzano i principali monumenti della cittadina, è stato avviato l'iter volto all'inserimento del Comune nel sito UNESCO delle "città tardo barocche del Val di Noto", che comprende già otto città della Sicilia orientale (Catania, Caltagirone, Militello in Val di Catania, Noto, Ragusa, Modica, Scicli, Palazzolo Acreide), e punta a includere cinque nuovi comuni che presentano caratteristiche, valori e motivazioni comuni: Acireale, Grammichele, Ispica, Mazzarino e Vizzini[38].
Il Duomo di Santa Maria della Neve è la chiesa madre e l'Arcipretura della città di Mazzarino.
Fu edificato a partire dal 1694 sull'area dove prima sorgeva una chiesa risalente al XV secolo dedicata a Santa Maria della Neve, danneggiata dal terremoto del 1693.
Il progetto della nuova "madrice", voluta dal principe Carlo Maria Carafa, venne affidato all'architetto gesuita Angelo Italia.
II progetto originario, che prevedeva un edificio ad unica navata con volta a botte di grandi dimensioni, venne riformulato per volontà testamentaria del principe Carlo Maria Carafa, che dispose la trasformazione dell'impianto a tre navate e il ribassamento della volta, che venne operata dall'architetto Giuseppe Ferrara e dal capomastro mazzarinese Matteo Buccola. Le modifiche si resero necessarie a causa delle difficoltà tecniche e finanziarie e alla prematura scomparsa del finanziatore. La facciata in pietra arenaria intagliata, in stile tardo-barocco è rimasta in parte incompleta.
L'interno venne completato nel 1872 dopo diverse interruzioni. Il Duomo di Santa Maria della Neve è la chiesa madre della città dal 1763.[22].
La prima chiesa venne eretta intorno al 1125 dal conte aleramico Enrico di Lombardia in seguito al ritrovamento dell'icona della Vergine Maria santissima del Mazzaro, patrona della città.
La primitiva chiesa venne ampliata successivamente da Manfredi del Vasto nel 1154, divenuto nuovo signore di Mazzarino. Dopo aver subito gravi danni a causa dal terremoto del 1693, venne ricostruita, in stile tardo barocco, per volontà del Frate cappuccino Ludovico Napoli grazie al contributo di tutto il popolo mazzarinese a partire dal 1739.
La basilica è suddivisa in tre navate, con pareti e le volte decorate con stucchi in stile tardo barocco siciliano su progetto dell'architetto Natale Bonajuto da Siracusa[39].
L'ex chiesa di Sant'Ignazio di Loyola e l'annesso collegio dei Padri Gesuiti costituiscono un ex complesso monumentale monastico fondati dal principe di Butera e conte di Mazzarino, don Carlo Maria Carafa Branciforte nel 1694, al fine di poter accogliere nella cittadina la Compagnia di Gesù.
La struttura, secondo le fonti pervenute, fu progettata dall'architetto gesuita Angelo Italia, con la collaborazione del Carafa. A seguito della morte prematura del principe e a seguire dello stesso Italia, i lavori di costruzione furono portati a termine sotto la supervisione di fra Michele da Ferla[18].
La chiesa e il convento sono un tipico esempio di architettura tardo - barocca del Val di Noto affermatasi dopo il terremoto del 1693.[22]
La chiesa di Santa Maria del Carmelo e l'ex convento dei Padri Carmelitani costituiscono un complesso monumentale monastico edificato nel corso del XVII secolo per volere del conte Giuseppe Branciforte e portati a termine dal Priore carmelitano Marco Ferranti.
Il Branciforte dal 1664 al 1675, accrebbe la chiesa delle tre cappelle maggiori, al centro delle quali fece erigere la cupola dedicata a Santo Stefano. Fece, inoltre, decorare le stesse con balaustrate in marmo intarsiato, e a traforo, oltre a far costruire un altare maggiore in marmi policromi intarsiati, adornato ai lati da due statue in marmo che rappresentano la Fede e la Speranza e due putti, sculture di scuola palermitana, ed una tela del pittore seicentesco Mattia Preti, raffigurante il martirio di santo Stefano (trafugato nel 1973)[18]. Gli interni e gli altari laterali sono decorati con stucchi in stile barocco[8]. Nei transetti sono ubicati i sarcofagi marmorei del Principe Giuseppe Branciforte-Branciforte e della moglie Agata Branciforte-Branciforte.
Nell'ex convento oggi hanno sede gli uffici comunali.
L'impianto originario della chiesa risale al X-XI secolo, ovvero al periodo successivo alla riconquista normanna della Sicilia, e alla cacciata degli arabi, essa, infatti, fu fondata dagli aleramici divenuti signori della città di Mazzarino, come riporta lo storico Ingala, al fine di ripristinare il culto cristiano. Secondo le fonti la chiesa era in stile siculo-normanno, con archi a sesto acuto. Essa subì ingenti danni e crolli a causa del terremoto del 11 gennaio del 1693 e venne ricostruita dalla fondamenta nel 1756 per volontà e voto del Marchese Filippo Bivona, originario di Messina, trasferitosi a Mazzarino per sfuggire alla peste del 1743[8].
Con annesso convento dei Cappuccini; eretta intorno al 1120, vi si venerava la Madonna delle Grazie e poi fu dedicata a San Francesco d'Assisi. La costruzione del convento fu voluta e finanziata nel 1574 dal barone Pietro Rivalora. La chiesa custodisce un altare ligneo, intarsiato in madre perla e legni rari e pregiati opera del XVIII secolo del frate cappuccino Angelo Gagliano. Sempre sulla macchina d'altare è presente una tela raffigurante l'Ascensione di Gesù, copia del Raffaello, attribuita la pittore Giulio Romano e altre opere di Filippo Paladini e Domenico Provenzani[40].
La chiesa ha origini molto antiche; sorse, infatti, intorno al XIV secolo, accanto ad un convento di Padri Conventuali. Come riporta l'Ingala, prima del 1606, la chiesa era dedicata a Maria Santissima della Catena, allorquando i padri conventuali, che officiavano nel convento annesso, fecero dipingere la grande pala d'altare al pittore fiorentino Filippo Paladini raffigurante l'immacolata concezione e San Francesco d'Assisi che intercede per le anime purganti, ove lo stesso pittore si autoritrae col saio francescano e mostra la scritta: «Filippus Paladini Florentinus pingebat, anno 1606.».
Nel 1604 vi fu istituita la Congregazione dei Figli di Maria Immacolata, cui fece parte anche il Conte Giuseppe Branciforte. Tra i doveri delle congregazione vi era quello di festeggiare la solennità dell'immacolata Concezione[18].
La chiesa venne eretta nel 1480 per volontà del nobile mazzarinese Antonio Alegambe e venne inizialmente dedicata a Santa Maria del Soccorso. L'edificio di culto è annesso all'ex convento dei Frati Domenicani (ventiseiesima istituzione dell'ordine in terra di Sicilia fondata nel 1518[41]);
La chiesa al suo interno, riccamente decorata con stucchi in stile barocco, custodisce la statua di Maria SS. del Rosario la cui festa ricade nella prima domenica di ottobre e un pregevole simulacro del Cristo morto in pelle di antilope africana, che viene portato in processione la sera del venerdì santo[18].
L'altare maggiore decorato con stucchi dal Signorelli espone una grande e pregevole pala d'altare raffigurante la vergine del Rosario, opera del pittore fiorentino Filippo Paladini del 1608,che ai piedi della Vergine volle dipingere se stesso a mani giunte, vestito col saio domenicano. In basso, ai piedi della Vergine si legge: Filippus Paladini Pn, ex devotio Pasca. Rondello 1608.[22] La chiesa presenta una sola navata.
L'origine della chiesa di Santa Lucia è sconosciuta, tuttavia stando alla storiografia pervenutaci, si sostiene che sia stata eretta intorno XV secolo, e che fosse annessa ad un convento di monaci benedettini. Nel corso del '700 fu ristrutturata ad fundamenta dal sac. Antonio Zanchì.[18] Venne eretta parrocchia nel 1923.
La chiesa è ad unica navata con prospettiva rivolta ad occidente, presenta un grande portone di ingresso con arco a tutto sesto, sormontato da un timpano semicircolare, al di sopra del quale si apre una finestra rettangolare con cornice in pietra intagliata e timpano spezzato. Completano la prospettiva nel fastigio sommitale una trabeazione e un timpano triangolare. Gli interni sono decorati con stucchi in stile tardo-barocco[22].
Ebbe origine da un fatto accaduto alla vista di tutti nel 1638, quando nella casa di un certo Giuseppe Peloso, si vede lacrimare un quadro della Santa Vergine. La casa venne demolita e dalle sue ceneri, per volere del popolo e per carità del conte Giuseppe Branciforte, fu eretta la chiesa attuale avente forma circolare, a tre navate, secondo la tradizione del diametro della cupola di San Pietro a Roma. Vi si venera Santa Rita la cui festa ricorre nel mese di maggio.
Con annesso convento, si presenta con una sola navata. Eretta nel 1425 e dedicata a Sant'Ippolito, annesso alla chiesa, nel 1573, venne costruito il convento di Santa Maria del Gesù, da cui prese il nome tutto il complesso. La sua erezione a parrocchia avvenne nel 1943.
Eretta intorno all'XI secolo nelle vicinanze dell'antica Mazzarino, vi si celebra la Santa Messa una volta l'anno, il 2 luglio. Nel 1973 vennero rubati il Crocifisso e un quadro della Madonna di pietra di gesso, risalente quest'ultima alla stessa epoca di erezione della chiesa, ove erano impressi dei geroglifici greci.
La chiesa dello spirito Santo venne eretta nel XVI secolo per volontà del conte Giuseppe Branciforte, è ad unica navata, la facciata è in blocchi di pietra squadrati, ai lati presenta due semi colonne che sorreggono il cornicione di finimento, alla sommità si trova la vela campanaria tripartita sormontata da un timpano semicircolare. Nel 1680 il principe Carlo Maria Carafa vi istituì la confraternita dell'addolorata.
La chiesa di San Giuseppe risale al XVI secolo, è ad unica navata, ha un artistico campanile con griglia conica in mattoni maiolicati policromi.
L'edificio venne eretto nel 1812 con fondi raccolti tramite pubblica beneficenza, per riparare durante il Venerdì Santo i Simulacri protagonisti dei Misteri Pasquali.
Venne eretta nel VI-VII secolo quando Macharina (attuale Mazzarino) era ubicata nella pianura, è considerata la prima chiesa della Mazzarino medievale sino all'anno mille.
L'impianto della chiesa risale al IV-V secolo dopo Cristo. Anticamente era dedicata a Sant'Agata oggi vi si venera il Santissimo Crocifisso detto dei Miracoli. Lo stile originario dell'edificio era quello tipico greco-bizantino con tre navate, la chiesa nel corso dei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti, in particolare nel corso dell'800 allorquando venne ricostruita la prospettiva e la chiesa arricchita degli stucchi interni ad opera dei fratelli Fantauzzi. Nel 1865 fu edificato il campanile. Questa chiesa fu la prima "Madrice" della Città di Mazzarino[18].
La chiesa di san Francesco di Paola è attualmente annessa alla ex Casa del Fanciullo Boccone del Povero. La chiesa, secondo le fonti, venne edificata nel XIII secolo, come cappella palatina ed era attigua ad un convento di padri eremiti di san Corrado. Attiguamente alla antica chiesa sorse il primo convento dei Carmelitani.
L'edificio presenta tipici elementi architettonici d'arte medievale, come le volte a crociera e finestre ogivali. L'edificio è prospiciente l'antico castello (U Cannuni).
'U Cannuni (in siciliano) è il castello di Mazzarino; Fortezza militare di origine arabo-normanna, edificata intorno al XII secolo, probabilmente sui resti di preesistente ars romana. L'edificio conserva un'unica torre superstite di forma cilindrica e alcune pareti. Sono ancora visibili le grandi finestre che illuminavano gli ambienti, i camini scavati nella spessa muratura e alcune stanze della torre e la merlatura. Fu dapprima una avamposto militare fortificato, per essere trasformato, successivamente, nella residenza dei signori della città: i Branciforte, Principi di Butera e Conti di Mazzarino che lo abitarono sin al 1550 circa.
Il castello venne progressivamente abbandonato già nel corso del 1500, sia a causa della vetustà dell'edificio, che per le frane e smottamenti tellurici che interessarono le aree adiacenti la fortezza, che lo resero in parte inagibile isolato e indussero i Branciforte ad edificare il nuovo palazzo, nel centro dell'attuale abitato, che divenne il fulcro della vita politica ed economia della città, determinandone l'espansione urbanistica nei secoli successivi[18].
Un altro castello, in territorio di Mazzarino visibile dalla strada provinciale13 per Catania, in contrada Salomone, è il Castello di Garsiliato o Grassuliato, di cui restano pochi ruderi e le antiche cisterne interrate.[18]
La storia della fortezza si ricollega a quella dei Normanni giunti in Sicilia a partire dal 1061,provenienti dalla Marca Aleramica, che occuparono dal 1076 i monti Erei e le aree interne in prossimità dei principali corsi d’acqua (fiumi Gela, Braemi, Mulinello-Calderari, Gornalunga), al fine di incunearsi e penetrare tra le forze arabe resistenti di Noto (ad est) e di Butera (ad Ovest)[8].
I mercenari lombardi dopo la riconquista dell’isola occuparono le terre e i villaggi arabi di Malga Halil, Garsiliato, Iblatasha, Anaor (Monte Navone), Fundrò e Butera, costruendo anche nuovi centri fortificati, Aidone, Rossomanno e Mazzarino, per dare alloggio e terre da coltivare a popolazioni provenienti dal savonese e dal basso Piemonte dando vita ad un'area abitata da “Lombardi” che si insediarono accanto a nuclei abitati da Arabi, Ebrei e Bizantini. Il Castello di Garsiliato o Grassuliato sorse al centro di questa area su un'altura a quota 418 metri s.l.m. a controllo della vallata circostante e del fiume Gela[22].
La storia del castello, e della sua Contea, secondo gli storici ha inizio nel periodo romano con la fondazione della Arx Saliatum, la Rocca dei Saliati, dedicata ai 12 sacerdoti del dio Marte istituiti da Numa Pompilio. Dopo la caduta dell’impero, i bizantini ne presero possesso ricostruendo la fortezza fortificandola con nuove strutture, le quali passarono poi nelle mani degli Arabi che ne sfruttarono la posizione strategica. Nel 1091 un primo riferimento al castello emerge in un elenco di donazioni effettuate alla chiesa di Santa Maria della Valle di Josaphat, a nome di un certo Salomon de Garsiliat, figlio di Guigone de Garsiliat, unitamente a Enrico de Buterae et Girondus de Mazarina[22].
Il geografo arabo Muhammad al-Idrisi, in una sua opera del 1150 circa cita il castello arabo di Gar (o Qasr) Saliatah, collocandolo "dodici miglia verso levante da Butera".
Nel 1162 il Re Guglielmo I attaccò e distrusse Grassuliato in risposta alla rivolta di Bartolomeo di Grassuliato, e nel 1199 fu concesso a Bartolomeo da Amalfi[18].
Nel 1240 il poeta Giacomo da Lentini, custode del castello, in una lettera alla corte, lamentava che la fortezza fosse priva di mezzi per la sussistenza e in risposta Federico II dispone di provvedere "pro munitione castri nostri Garsiliato", mentre nel 1274 la fortezza viene ricompresa tra i castelli demaniali "castrum Garsiliatae per castellanum unum militem et serventies quattuor"[40][18].
Sotto Re Martino I il feudo di Grassuliato unitamente al castello vengono confiscati a Ruggero Passaneto e ceduti a Raffaello Branciforte. Nel 1392 Nicolo Melchiorre Branciforte diviene signore di Grassuliato e Mazzarino, e nel 1507 elevato a primo conte di Mazzarino e Grassuliato. A partire dal 1550 inizia l’abbandono del castello e lo spopolamento del feudo per via del trasferimento degli abitanti nella vicina città di Mazzarino[18].
L'area archeologica rinvenuta nei pressi del fiume Nociara o Gela, a confine con il territorio comunale di Piazza Armerina, era una antica statio di epoca tardo-antica, lungo l’itinerario stradale che collegava Catania ad Agrigento (Itinerarium Antonini) e subì notevoli trasformazioni nelle epoche successive fino a scomparire nel XIII secolo.
Gli scavi condotti negli anni hanno riportato alla luce architetture (la domus gentilizia, l'impianto termale e, nella necropoli, la basilica) e materiali che ne confermano la continua esistenza dall’epoca arcaica (VI sec. a.C.) fino a quella federiciana, cioè per circa duemila anni.[42][20]
Il processo di ellenizzazione continuò a nord di Gela nel territorio di monte Dessueri in un sito di popolazione di origine Sicana. Desueri è sede di una necropoli preistorica rupestre "a grotticelle" risalente all’età del bronzo, appartenente alla cultura di Pantalica e datata tra il XIII e l'IX sec. a.C.. Dagli scavi condotti da Paolo Orsi, nei primi del '900 sono emersi oltre 4000 grotticelle.
All’interno delle tombe sono state ritrovate dei corredi funebri comprendenti materiali ceramici e bronzi come fibule, pugnali, rasoi, biberon. L’ingresso alla camera si apre sulla parete rocciosa ed è preceduto da un breve corridoio che immette in un vestibolo. La chiusura delle tombe era assicurata da portelli litici.
L'area archeologica rinvenuta da Paolo Orsi nei primi del novecento sulle pendici di Monte Bubbonia, presenta, secondo l'archeologo Orlandini i resti dell'antica città sicula di Maktorion, città, per l'appunto, abitata da popoli indigeni (Siculi) ed ellenizzata da greci (Rodio-cretesi provenienti dalla colonia di Ghelas) nel V-VI secolo avanti cristo e citata da Erodoto nelle sue Storie[43]. Il sito di monte Bubbonia, secondo gli archeologi, rivestiva un’importanza strategica per la sua posizione a dominio dei “campi geloi”. Il centro, inoltre, sebbene, in contatto con la cultura greca continuò ad essere abitato da popolazioni che non rinunciavano alle loro tradizioni indigene. L’assorbimento della cultura greca, quindi, come testimoniano i ritrovamenti archeologici non fu totale. Il sito mostra, inoltre, una mescolanza di generi derivanti sia dalla cultura Sicana sia quella Sicula, iGreci penetrarono in questo territorio per motivi commerciali[44][45][46].
Dalla prima campagna di scavi condotta da P. Orsi nel 1904 si capì che si trattava di un centro indigeno di epoca protostorica ellenizzato da Gela nel VI sec a.C. Dagli scavi emersero le mura di un edificio che si ritenne essere l'anaktoron. Nell'altopiano settentrionale si individuò un altro edificio ritenuto un’Araktoron frequentato, invece, nella stagione invernale.
Nel 1955 Dinu Adamesteanu condusse un'altra campagna di scavi che portarono alla luce due costruzioni: un tempietto del VI sec. ed una caserma del IV sec. La necropoli restituì altre tombe databili tra il VIII –VII –VI sec a.C.
Nel 1972 l'archeologo Domenico Pancucci rinvenne nel tempietto delle antefisse a maschera gorgonica e all’esterno un altare con cavità centrale[46].
Nel IV sec l'acropoli divenne sede di una guarnigione militare con la costruzione di una caserma e di una torre di avvistamento. Nella necropoli sono stati messi in luce altre 30 tombe: a fossa terragna a Enchytrismo, a sarcofago alla cappuccina a pianta circolare e a camera, databili tra la fine del VI e inizio del V a.C. Nelle sepolture a camera sono state rinvenute il maggior numero di oggetti di produzione indigena come anfore, scodelle e brocchette accanto a vasi tardo corinzi e attici e a ornamenti in bronzo o argento.
Abitanti censiti[48]
Quanto all'andamento demografico storico della popolazione mazzarinese si dispone dei seguenti dati: 5 178 abitanti nel 1569; 5 338 (nel 1583); 5 131 (nel 1593); 5 427 (nel 1606); 5 818 (nel 1616); 5 748 (nel 1623); 5 838 (nel 1636); 5 347 (1652); 7 696 (1681)[23].
I censimenti parrocchiali riportano altri dati: 6 567 abitanti (nel 1647); 6 111 (nel 1653); 5 289 (nel 1659); 6 926 (nel 1664); 7 449 (nel 1665); 8 590 (nel 1668); 7 300 (nel 1676); 8 465 (nel 1698).[8]
Oltre alla lingua ufficiale italiana, a Mazzarino si parla la lingua siciliana nella sua variante metafonetica centrale.
A Mazzarino, nei tempi più antichi, l'istruzione letteraria veniva impartita soltanto nei conventi. I Carmelitani , i Domenicani e i Frati minori Osservanti vi stabilirono degli studia già nel XIV e nel XV secolo.
Dal 1695 in poi l'istruzione venne impartita dai Gesuiti, stabilitisi in città per volere del Principe Carlo Maria Carafa, che fece erigere a proprie spese il collegio. I gesuiti, sino alla loro soppressione avvenuta nel 1767, insegnavano nelle scuole pubbliche da loro dirette, filosofia, Teologia, matematica, fisica, retorica ed umane lettere, sussidiati dallo Stato e dal Comune. Dal 1812 al 1860 i Gesuiti tornarono ad insegnare le discipline che si studiano nelle scuole secondarie superiori (diritto, zoologia, arti, scienze e lettere).
Con la rivoluzione del 1860, annessa la Sicilia al nuovo regno d'Italia, a Mazzarino, così come ed in altre città minori, vennero soppressi tali insegnamenti, e la pubblica istruzione si estese nella parte elementare del leggere e dello scrivere, mentre si restrinse nella parte scientifica e nella letteratura.
Oggi Mazzarino presenta la seguente offerta scolastica superiore di secondo grado:
L'Istituto di Istruzione Secondaria Superiore (I.I.S.S.) “Carlo Maria Carafa” che aggrega 8 indirizzi di studio[49]:
L'Istituzione Scolastica è in grado di interagire con l’utenza scolastica non solo di Mazzarino, ma anche della zona sud della provincia di Caltanissetta ed è in grado di offrire una variegata offerta formativa. La sua attuale popolazione scolastica, infatti, conta più di mille alunni e l’istituto è frequentato da giovani che provengono da Butera, Barrafranca, Riesi e Mazzarino. Questi comuni sono limitrofi, ubicati nel centro-sud del territorio della provincia nissena e sono adeguatamente collegati. Il bacino di utenza dell’Istituto attinge da una popolazione complessiva di 25.000 abitanti. L’attività economica prevalente dei quattro comuni è quella agricola e della forestazione, anche se negli ultimi anni si sono intraviste prospettive occupazionali nell’ambito della piccola e media imprenditoria, oltre che nel settore manifatturiero ed alimentare.
Il giorno del venerdì santo si susseguono per l'intera giornata momenti che rievocano la passione di Cristo con la processione dei simulacri del Cristo, dell'Addolorata, della Veronica e di San Giovanni apostolo.
La mattina del venerdì santo hanno inizio le celebrazioni con la processione del simulacro dell'Addolorata per le vie del paese, in cerca del Cristo "carico della croce'.
Intorno a mezzogiorno, nella piazza principale avviene l'incontro, "li funzioni", tra l'Addolorata, San Giovanni Apostolo, che accorre verso la Vergine "Addolorata" per annunciarle il ritrovamento del Cristo, a cui segue quello con la Veronica che gli asciuga il volto che rimane impresso nel fazzoletto. Dopo la rievocazione della via crucis la processione dei simulacri, scortata dalle guardie romane, prosegue, quindi, sino al calvario, ove avviene la crocifissione. La sera, invece, ha luogo la deposizione di Gesù dalla croce che viene adagiato su un letto di garofani e collocato all'interno dell'urna di cristallo; la processione preceduta dagli stendardi a lutto e dai c.d. "incappucciati", appartenenti alle diverse confraternite della città, prosegue fin verso la chiesa di San Domenico per il rientro dei simulacri.[22]
La domenica di Pasqua, a mezzogiorno, in piazza Madrice, innanzi il Palazzo dei Principi di Butera, si volge " a giunta", ovvero l'incontro festoso tra il Cristo risorto e la Vergine Maria provenienti dai lati opposti del corso principale, preceduto da quello tra gli apostoli, San Pietro e Paolo, e gli stendardi delle diverse confraternite cittadine[18].
Sino agli anni '50 al termine della "giunta" di mezzogiorno i simulacri venivano portati nella Chiesa del Carmine, e nel tardo pomeriggio aveva luogo una seconda "giunta", in piazza Vittorio Veneto, in modo da dare la possibilità ai cittadini impossibilitati a partecipare alla processione della mattina, di potervi assistere[26].
La festa esterna del Santissimo Crocifisso dell'Olmo, compatrono della città, ricorre, annualmente, la seconda domenica di maggio. L'antico Crocifisso, scolpito in legno di cipresso, risalente all'epoca normanna, alto circa un metro, viene collocato su un fercolo in legno e ferro battuto dorato (detta a vara), realizzata alla fine del '600, da cui si dipartono quattro travi in legno (dette "baiarde"). Il fercolo, pesante circa 15 quintali, è portato a spalla da oltre cento confrati dell'omonima confraternita, vestiti soltanto con un camice bianco e scalzi, come da tradizione secolare, in segno di penitenza e ringraziamento. L'origine della festa, infatti, risale al 1693, come ringraziamento e gratitudine della cittadinanza, e dei Conti di Mazzarino, per la divina protezione e lo scampato pericolo in seguito al disastroso terremoto del Val di Noto.
Dal 1814 il santissimo Crocifisso dell'olmo è compatrono della città di Mazzarino allorquando la Madonna del Mazzaro, venne proclamata patrona della città.
Sin dal ritrovamento dell'icona, nel 1125, la Madonna delle grazie detta anche del "Mazzaro", è venerata come patrona della città di Mazzarino.
Con decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 18 settembre 1814, la Madonna del Mazzaro, venne proclamata ufficialmente patrona della città di Mazzarino assegnandole la terza domenica di settembre per la ricorrenza della festa patronale, come da antica consuetudine. Il decreto venne successivamente approvato con Breve pontificio il 6 settembre del 1834. I solenni festeggiamenti in onore della patrona, ricorrono, annualmente, la terza domenica di settembre[18]. La processione della statua lignea di Maria Santissima del Mazzaro, collocata su una vara argentea (dal peso di circa 16 quintali) e portata a spalla da oltre cento confrati, vestiti di un camice azzurro, si snoda a partire dal tardo pomeriggio, e fino a la tarda serata, lungo il corso Vittorio Emanuele, addobbato per l'occasione con luminarie.
La processione domenicale è preceduta, nel primo pomeriggio, dalla tradizionale processione della Madonnina detta dal popolo "a dumannareddra", scortata dagli stendardi e da cavalli bardati, che percorre le vie del centro storico per la raccolta delle offerte (voti) in natura costituiti da frumento, fave e mandorle, offerti alla confraternita in segno di devozione.
In coincidenza dei giorni della festa patronale lungo il corso principale si svolge la tradizionale fiera di settembre.
La prima domenica di Ottobre ricorrono i solenni festeggiamenti in onore della Madonna del Rosario con processione della statua di Maria santissima del Rosario dalla chiesa di San Domenico, organizzata dal comitato dei festeggiamenti degli allevatori locali.
L'8 dicembre di ogni anno in occasione della solennità dell'Immacolata Concezione si svolge processione della settecentesca statua lignea di Maria Santissima Immacolata per le vie del centro storico della città, portata a spalla dai membri dalla Confraternita "Figli di Maria SS. Immacolata". Nei dodici giorni che precedono la festa, prima della messa vespertina, in chiesa, viene cantato il tradizionale "stellario", ovvero l'inno di preghiera in preparazione alla festività.
Anticamente, il giorno della festa, in serata a conclusione della processione, innanzi al sagrato della chiesa, si dava fuoco a "u pagghiaru", ovvero al falò, formato da cataste di legna, paglia e residui della potatura di ulivi, che i cittadini e bambini contribuivano a formare nei giorni precedenti la festa[18]. Tradizionalmente in occasione della festività dell'Immacolata si prepara il tipico "muffoletto" dolce mazzarinese.
Dal 2022 la città fa parte del progetto del Primo parco mondiale dello stile di vita mediterraneo insieme ad altre 103 città della Sicilia centrale.
Il Primo parco mondiale dello stile di vita mediterraneo o anche Primo parco mondiale policentrico e diffuso dello stile di vita mediterraneo è un progetto di sviluppo territoriale di area vasta che, grazie ad un patto di comunità riesce a coinvolgere circa 300 partner pubblici, privati e sociali, che insistono nei territori dei Peloritani, Madonie, Sicani, sul versante occidentale dell'Etna, e dell'altipiano degli Iblei, tutti nella Sicilia centrale, in territori e comuni presenti nei territori del nisseno, dell'agrigentino, dell'ennese, del palermitano e del catanese.[50]
Ogni anno nel mese giugno si svolge la rievocazione storica dei fasti della corte del Principe Carlo Maria Carafa.
L'evento, promosso dall'Istituto superiore Carlo Maria Carafa di Mazzarino, ricostruisce i fasti e il prestigio della casata dei Branciforte - Carafa .
L'intera comunità viene coinvolta nei preparativi, dalle scuole alle famiglie, dalle confraternite religiose alle associazioni culturali e musicali, dagli enti pubblici a quelli istituzionali, per rievocare, con accurati costumi d''epoca la stagione barocca che ha lasciato alla città una impronta dominante e significativa.[51]
A Mazzarino è ambientata la raccolta di racconti, Le pietre di Pantalica, di Vincenzo Consolo pubblicata nel 1988 da Mondadori.
«Nuvole nere vagavano nel cielo, dense come sbuffi di comignolo, da levante correvano a ponente, e nel loro squarciarsi e dilatarsi, rivelavano occhi azzurri e cristallini, lunghi raggi del sole che sorgeva, stecche incandescenti d’un ventaglio, giù dal fondo del Corso, dal quartiere Màzzaro, dal Borgo, d’in sul triangolo del timpano della chiesa gialla di Santa Lucia. Il largo del mercato era affollato, d’asini muli giumente leardi, luccicanti di specchietti, sgargianti di fettucce nappe piume, scroscianti di campanelle e di cianciàne. E cristiani erano a cavallo, a terra, aste di bandiere nelle mani, trùsce e cofìni pieni di mangiare, ridenti nelle facce azzurre rasate quel mattino. Aspettavano, gli occhi puntati sulla porta della Casa, l’uscita dei capi dirigenti. Dai balconi dei palazzi prospicienti lo spiazzo, detto in altro modo l’Arenazzo (luogo di sosta de’ carrettieri venuti da Butèra, Riesi o Terranova, sfregatoio di bestie a zampe in aria, riposo dentro il fondaco, tanfo di corno arso per la ferratura nella forgia, cardi bolliti e bicchier di vino dentro la potìa), dai balconi del palazzo Accardi e del palazzo Alberti, dalla farmacia Colajanni, financo dalla canonica di San Rocco, guardavano a questo assembramento di villani, a questo cominciamento di processione, a questa festa nuova, fuori d’ogni usanza e d’ogni calendario...»
In epoca normanna, la città di Mazzarino sorgeva al Piano delle Vigne, un'area pianeggiante a sud e a valle dell'attuale insediamento urbano, intorno alla Chiesa del Santissimo Salvatore (X sec). È stato ipotizzato che, nel corso del XII secolo, allorquando la città passò sotto la Signoria di Enrico del Vasto, cognato del Conte Ruggero e di Manfredi, con la costruzione della primitiva Chiesa di Santa Maria del Mazzaro, in seguito al ritrovamento della Sacra icona nel 1125, gli abitanti si siano spostati progressivamente dal Piano alla vicina collina Diliano (attuale centro), dove cominciarono ad insediarsi le prime abitazioni tra il Castello dei Signori e la nuova Chiesa, di stile normanno[8]. Ne sono testimonianza la presenza di diversi edifici di culto sorti lungo l'asse che si diparte per l'appunto dal Castello alla chiesa di Santa Maria del Mazzaro, come quella di San Corrado, poi detta di San Francesco di Paola, quella di Sant'Agata o SS. Crocifisso dei Miracoli, e quella di Santa Maria di Odigitria (volgarmente detta d'Itria), oggi nota con l'appellativo Signore dell'Olmo, ricostruita nel XVIII secolo dopo il terremoto. Attorno a queste chiese si raccolse il più antico insediamento urbano. Sorsero così i primi quartieri[18].
L'evoluzione iniziale del centro urbano avvenne, presumibilmente, tra i secc. XII e XV, a partire dal Castello, sorto sui ruderi di un'ars romana.
Accanto al Castello fu innalzata, fra le prime, la Chiesa di Sant'Agata seguita da quella di San Corrado, oggi San Francesco di Paola, di Santa Maria dell'Itria o Odigitria (a seguito dell'insediamento bizantino), di Santa Maria del Mazzaro (1154), di Sant'Ippolito, oggi Santa María di Gesù (1425), della Moschea di epoca saracena (1185) sulla quale troverà successivamente posto la Chiesa di Sant'Antonio Abate, del primo Convento dei Carmelitani (XIV sec.) nei pressi del Castello, di Santa Maria del Soccorso, oggi San Domenico, con l'annesso Convento dei Padri Predicatori Domenicani (1480), di Santa Maria della Catena (XIV sec.), oggi, Immacolata Concezione e, infine, della Chiesa di Santa Sofia (XIV sec.). Mentre alcune Chiese rimasero inizialmente isolate dal puto di vista urbanistico, quella di Santa Maria del Mazzaro venne circondata dalle prime abitazioni del nuovo nucleo abitativo[8].
La parte più antica di Mazzarino, dal punto di vista architettonico-urbanistico, è dunque quella che si formò intorno al Castello (XI-XII secolo), lungo lo stretto crinale tra i due opposti avvallamenti di Paraninfo (nord-ovest) e di Cannavera-Santa Caterina (est) e, successivamente (tra XII e XIV sec.), quella intorno alla Chiesa di Santa Maria d'Itria (Signore dell'Olmo) e di Santa Maria del Mazzaro.
La parte centrale e nord-orientale della città si sviluppò, invece, seguendo la conformazione orografica del luogo; mentre più a valle del tortuoso e lungo Corso Vittorio Emanuele III, l'organizzazione planimetrico-abitativa, seppure a comparti ancora notevolmente frastagliati, andò progressivamente avvicinandosi alla tipologia dello schema ortogonale[52].
Tra i secc. XVI e XVII, con l'incremento della popolazione, aumentò il numero delle abitazioni, delle chiese e dei complessi monastici. Furono edificati il Convento dei Padri Cappuccini (1574), dei Padri Minori Osservanti (1573-1689), ai quali succederanno i Padri Minori Riformati (1689-1866), il Convento dei Padri Minimi Conventuali (1604), tutti del ramo francescano, la Chiesa di Santa Lucia (XVI sec.), di Sant'lgnazio (1693) e del Collegio dei Gesuiti (fine XVIl e inizi XVIII sec.), di Santa Maria del Carmelo (XVII sec.) e del secondo Convento dei Padri Carmelitani (XVII sec.), di Santa Maria della Neve (XVII-XVIII sec.), del Monastero di Sant'Anna con la Chiesa omonima (1670), del Palazzo dei Principi Branciforte (XVII sec.), della Chiesa di Sant'Onofrio, poi detta di Sant'Antonio Abate (XVI sec.), di Sant'Antonio di Padova (XVII sec.), di Santa Maria della Lacrima (XVI sec.), dello Spirito Santo (XVII sec.), di San Giuseppe (XVII sec.), e del Palazzo Adonnino (XVII sec.)[8].
Nel XVII iI nucleo della città era raccolto intorno al Palazzo del Principe Branciforte, alla Chiesa di Santa Maria della Neve, al Collegio dei Gesuiti e al Convento dei Carmelitani. La superficie del centro abitato si era triplicata rispetto al primo nucleo di case attorno alla Chiesa della Madonna del Mazzaro.
Nel XVIII sec. (la popolazione raggiunse 10 706 unità nel 1748), le abitazioni trovarono posto sul lato opposto al Convento carmelitano e in direzione nord-ovest, tra l'attuale via Caltanissetta e la Chiesa di Santa Maria di Gesù. Sorgono le Chiese di San Rocco e di Santa Maria della Pietà (non più esistenti), nonché il Palazzo del Marchese Bivona, del Barone La Loggia, del Barone Cannada, di Don Camillo Accardi, dei Perno, dei De Maria[52].
Nel XIX sec., benché la popolazione raggiunse le 15 000 unità sul finire del secolo, il tessuto urbano non si espanse particolarmente. In questo periodo, sorsero la cappella del Calvario (1812), del Signore Ritrovato, il Palazzo Giuseppe Perno, il Palazzo La Loggia-Bartoli, il Palazzo Alberti cui si aggiunge il Palazzo Adonnino, che viene acquistato incompleto com'era e viene portato all'aspetto attuale e il Palazzo Nicastro.
Solo nel corso del XX sec. l'abitato raggiunse l'estensione odierna[8].
Intorno al centro abitato vi sono numerose contrade: Mastra, Ratumemmi,Contessa, gli ex feudi Piana, Balsi, Alzacuda, Porcaria, Sofiana, San Cono Sottano, Cimia grande, Bubbonia,Soprano e Sottano, Floresta, Finocchio, Cimiotta, Rafforosso Soprano e Sottano, Canalotto Soprano e Sottano, Gibiliscemi Soprano e Sottano, Ficari Soprano e Sottano, Castelluzzo e Manca del Toro, Castelluzzo Valente, Contrasto, Castelluzzo Lagnuso, Monte Formaggio, Castel Grassuliato, Salamone, Rigiurfo e gli ex feudi di Gallitano e Brigadeci.
È un centro prevalentemente agricolo, notevole è la produzione di grano, mandorle, uva, olive e carciofo.
Molto importante è inoltre l'allevamento di ovini e la produzione di prodotti caseari; e l'artigianato, e in particolar modo la lavorazione del legno e del marmo.
In passato si estraeva zolfo dalla Solfara Bubbonia.
La buona accessibilità alle principali reti stradali ed autostradali permette di raggiungere agevolmente ogni parte della Sicilia.
Attraversano il territorio Mazzarino:
Facilmente raggiungibili sono inoltre i principali Porti e Aeroporti (Catania Fontanarossa e Comiso Pio La Torre).
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.
Periodo | Primo cittadino | Partito | Carica | Note | |
---|---|---|---|---|---|
1946 | 1947 | Calogero Petralia | Democrazia Cristiana | Sindaco | |
1947 | 1952 | Serafina Quattrocchi | Democrazia Cristiana | Sindaco | |
1952 | 1954 | Filippo Siciliano | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1954 | 1956 | Salvatore La Marca | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1956 | 1960 | Salvatore La Marca | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1960 | 1963 | Salvatore La Marca | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1964 | 1966 | Arcangelo Fanzone | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1966 | 1968 | Calogero Di Dio La Leggia | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1968 | 1968 | Giuseppe Scambiato | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1969 | 1970 | Domenico Di Fatta | Comm. straordinario | ||
1970 | 1975 | Giuseppe Scambiato | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1975 | 1979 | Salvatore La Marca | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1979 | 1980 | Maria Marino | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
1980 | 1986 | Salvatore Impaglione | Democrazia cristiana | Sindaco | |
1987 | 1989 | Rocco Anzaldi | Partito Comunista Italiano | Sindaco | |
8 giugno 1989 | 18 giugno 1990 | Salvatore Impaglione | Democrazia Cristiana | Sindaco | [53] |
18 giugno 1990 | 14 ottobre 1992 | Salvatore Impaglione | Democrazia Cristiana | Sindaco | [53] |
2 dicembre 1992 | 7 agosto 1993 | Salvatore Alessi | Democrazia Cristiana | Sindaco | [53] |
7 agosto 1993 | 6 dicembre 1993 | Cataldo La Placa | Comm. straordinario | [53] | |
6 dicembre 1993 | 1º dicembre 1997 | Rocco Anzaldi | Partito Democratico della Sinistra | Sindaco | [53] |
1º dicembre 1997 | 12 maggio 1999 | Salvatore Longone | Alleanza Nazionale | Sindaco | [53] |
12 maggio 1999 | 13 dicembre 1999 | Francesco Marsala | Comm. straordinario | [53] | |
13 dicembre 1999 | 28 giugno 2004 | Giovanni Virnuccio | centro-sinistra | Sindaco | [53] |
28 giugno 2004 | 23 giugno 2009 | Giovanni Virnuccio | centro-sinistra | Sindaco | [53] |
23 giugno 2009 | 27 maggio 2014 | Vincenzo D'asaro | centro | Sindaco | [53] |
27 maggio 2014 | 30 aprile 2019 | Vincenzo Marino | lista civica | Sindaco | [53] |
30 aprile 2019 | 12 giugno 2024 | Vincenzo Marino | lista civica | Sindaco | [53] |
12 giugno 2024 | in carica | Domenico Faraci | lista civica - "Ripartiamo Mazzarino" | Sindaco | [53] |
Cinisello Balsamo, dal 1971
Grammichele, dal 2018
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