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apostolo, martire e santo cristiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Paolo di Tarso, nato con il nome di Saulo e noto come san Paolo per il culto tributatogli (Tarso, 4[Nota 2] – Roma, 64 o 67[Nota 3]), è stato uno dei primi santi e martiri, equiparato agli Apostoli.
San Paolo | |
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Andrej Rublëv, Icona di San Paolo (1407 circa, 110x160 cm, Galleria Tret'jakov, Mosca) | |
Apostolo | |
Nascita | Tarso, 4 d.C. |
Morte | Roma, 67 d.C. |
Venerato da | Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi |
Santuario principale | Basilica di San Paolo fuori le mura, Roma |
Ricorrenza | 25 gennaio (festa della conversione di San Paolo) 29 giugno (solennità dei Santi Pietro e Paolo) 30 giugno (Commemorazione di San Paolo nella sola messa tridentina del rito romano) 18 novembre (dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo) |
Attributi | libro (rotolo o codice), fune, cesta, spada[Nota 1] |
Patrono di | Roma, Lazio, Grecia, Malta, Ponte San Pietro, Palazzolo Acreide, Solarino, Aversa, Villafranca di Verona, Lonate Ceppino, Provaglio d'Iseo, Brinzio, Massa Lombarda |
È stato l'«apostolo dei Gentili», ἐθνῶν ἀπόστολος,[1] ovvero il principale (secondo gli Atti degli Apostoli non il primo[2]) missionario del Vangelo di Gesù tra i pagani greci e romani. Secondo i testi biblici, Paolo era un ebreo ellenizzato, che godeva della cittadinanza romana sin dalla nascita. Non conobbe direttamente Gesù e, come tanti connazionali, avversava la neo-istituita Chiesa cristiana, arrivando a perseguitarla direttamente. Sempre secondo la narrazione biblica, Paolo si convertì al cristianesimo mentre, recandosi da Gerusalemme a Damasco per organizzare la repressione dei cristiani della città, fu improvvisamente avvolto da una luce fortissima e udì la voce di Gesù che gli diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?".[3] Reso cieco da quella luce divina, vagò per tre giorni a Damasco, dove fu poi guarito dal capo della piccola comunità cristiana di quella città, Anania. L'episodio, noto come "conversione di Paolo", diede inizio alla sua opera di evangelizzazione.
Come gli altri primi missionari cristiani, rivolse inizialmente la sua predicazione agli ebrei, ma in seguito si dedicò prevalentemente ai «Gentili». I territori da lui toccati nella predicazione itinerante furono in principio l'Arabia (attuale Giordania), poi soprattutto l'Acaia (attuale Grecia) e l'Asia minore (attuale Turchia). Il successo di questa predicazione lo spinse a scontrarsi con alcuni cristiani di origine ebraica, che volevano imporre ai pagani convertiti l'osservanza dell'intera legge religiosa ebraica, soprattutto la circoncisione. Paolo si oppose fortemente a questa richiesta e, con il suo carattere energico e appassionato, ne uscì vittorioso. Fu fatto imprigionare dai romani a Gerusalemme con l'accusa di turbare l'ordine pubblico. Appellatosi al giudizio dell'imperatore – come era suo diritto, in quanto cittadino romano – Paolo fu condotto a Roma, dove fu costretto per alcuni anni agli arresti domiciliari, riuscendo però a continuare la sua predicazione. Morì vittima della persecuzione di Nerone e venne decapitato nel 64 d.C. o nel 67 d.C..
L'influenza storica di Paolo nell'elaborazione della teologia cristiana è stata enorme: mentre i Vangeli si occupano prevalentemente di narrare le parole e le opere di Gesù, le lettere paoline definiscono i fondamenti dottrinali del valore salvifico della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione – ripresi dai più eminenti pensatori cristiani dei due millenni successivi. Paolo, nelle stesse lettere paoline, nel merito ci informa anche che alcuni "SuperApostoli" si rivolgevano alle stesse nuove comunità cui egli si rivolgeva insegnando una dottrina diversa, un "Gesù diverso" ed un "Vangelo diverso", da quelli che insegnava lui (2Corinzi 11,4-23).
Non esistono riferimenti archeologici diretti (come epigrafi) o testimonianze di autori extra-cristiani che si riferiscano direttamente alla vita e all'operato di Paolo. Le fonti storiche sono sostanzialmente di quattro tipi.
Sono composti ambi in greco attorno agli anni 80. Infatti in essi non si narra la morte di Paolo avvenuta probabilmente intorno al 63-64 d.C. Le vicende di Paolo sono narrate principalmente nella seconda parte dello scritto (capitoli 9; 11; 13-28[5]): vi sono descritti i suoi viaggi missionari, a partire dalla sua conversione miracolosa sulla "via di Damasco" (collocabile intorno ai primi anni 30, cioè poco tempo dopo la crocifissione di Gesù) fino all'arrivo a Roma agli arresti domiciliari (intorno ai primi anni 60). In alcune sezioni (cosiddette sezioni noi), il racconto, passa ,dalla terza alla prima persona (16,10-17; 20,5-15; 21,1-18; 27,1-28,16[6]), lasciando ipotizzare che l'autore fosse compartecipe degli avvenimenti narrati. Attualmente molti studiosi, anche cristiani, ritengono inverosimile che Luca sia stato compagno di viaggio di Paolo[Nota 4]. Gli Atti hanno un finale brusco e non raccontano gli ultimi eventi di Paolo e il suo martirio; secondo alcuni studiosi perché interrotti nella loro stesura dall'incendio di Roma del 64 d.C. e dall'inizio della persecuzione dei cristiani.
In epoca contemporanea, con lo svilupparsi del metodo storico-critico, sono stati sollevati dubbi circa l'autenticità di alcune di queste lettere. Dal punto di vista storico, comunque, la discussione sull'effettiva autenticità delle lettere dubbie – che difficilmente potrà arrivare a risultati chiari e condivisi basandosi sui soli dati intrinseci dei testi – non lede il ritratto della vita e dell'operato di Paolo: le lettere di dubbia paternità non sono infatti in contrasto col messaggio teologico contenuto nelle lettere sicuramente autentiche. Solo gli ultimi anni della sua vita, attorno agli anni sessanta e successivi all'arrivo a Roma descritto dagli Atti, possono essere ricostruiti in maniera differenziata, ammettendone o meno l'autenticità, ipotizzando dopo Roma un nuovo viaggio missionario in Oriente (Grecia e/o Turchia) o in Spagna.[7]
Nelle sue prime apparizioni negli Atti il nome proprio usato è Saul (nell'originale greco, Σαούλ, Saùl,[8] oppure Σαῦλος, Sàulos,[9] traslitterazione dell'ebraico שאול, Shaʾùl). L'etimologia è connessa al verbo ebraico שאל, shaʾal (= «domandare», «pregare»): il nome significa dunque «colui che è stato chiesto (a Dio)», «colui per il quale si è pregato».[10] Il nome è lo stesso del primo re degli Ebrei, vissuto nell'XI secolo a.C. – nelle traduzioni italiane reso solitamente con «Saul». Questo nome non risulta essere ricorrente tra i personaggi successivi della tradizione biblica, probabilmente per la descrizione negativa che il Primo libro di Samuele fornisce dell'operato del re – inizialmente scelto da Dio tramite il profeta stesso. La tribù del re era quella di Beniamino – la stessa di Saul-Paolo (Rm 11,1; Fl 3,5[11]) – e il re Saul probabilmente poteva rappresentare per questa tribù minore una sorta di "eroe nazionale".
Nel suo epistolario, però, Paolo non si identifica mai con questo nome, anche se si dichiara appartenente alla tribù di Beniamino: il nome più ricorrente negli Atti, e l'unico usato nelle lettere, è Paolo (nell'originale greco, Παῦλος, Pàulos). Si tratta della traslitterazione greca del nome latino Paulus. L'etimologia -che significa "piccolo"- non è correlata al significato del nome ebraico in latino Saulus anche se potrebbe derivarne; sulla sua derivazione si sono fatte anche altre ipotesi:
Nella Prima Lettera ai Corinzi, annuncia l'apparizione di Gesù risorto agli apostoli e ai Cinquecento. Dopo esser apparso a Cefa e agli altri, "ultimo fra tutti apparve anche a me, come a un aborto. [9] Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. [10] Per grazia di Dio però sono quello che sono"[19]. L'infimo degli apostoli potrebbe aver scelto questo nuovo nome proprio, dopo esser rinato nel battesimo, ed esser stato "chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio"[20], che è l'unico nome proprio utilizzato nella lettera per riferirsi a lui.
«Apostolo» è il titolo principale che Paolo si attribuisce nelle sue lettere (vedi ad esempio Rm 1,1; 1Cor 1,1; Ef 1,1; Col 1,1[21]) e che la tradizione cristiana successiva gli ha poi confermato; non gli è invece attribuito negli Atti. Il titolo è la traslitterazione del termine greco ἀπόστολος, apòstolos, che significa «inviato». In senso proprio, il titolo è applicato nei testi del Nuovo Testamento ai dodici apostoli che seguirono Gesù durante il suo ministero pubblico. Paolo, che non compare nei vangeli e che non fece parte del suo seguito, non può essere identificato come apostolo in tal senso – lui stesso specifica infatti in Rm 1,1[22] di essere «apostolo per vocazione». Come Paolo, del resto, anche altri personaggi del Nuovo Testamento sono detti «apostoli», sebbene non lo siano stati in senso proprio (Barnaba in At 14,14[23]; Andronico e Giunia in Rm 16,7[24]; Sila e Timoteo vescovo in 1Ts 1,1; 2,6[25]; Apollo in 1Cor 4,9[26]). In alcuni passi (Rm 11,13; Gal 2,8[27]), Paolo si definisce «apostolo dei Gentili».
In At 9,11; 21,39; 22,3[28], Paolo è detto «di Tarso», essendo originario di quella città della Cilicia, nell'attuale Turchia del Sud.
Paolo nasce a Tarso, in attuale Turchia nel 4 d.C. da una famiglia benestante ebrea. Paolo era ebreo, della tribù di Beniamino (Rm11,1; Fl3,5[29]). Sebbene il territorio tradizionale della tribù fosse collocato nel centro della Palestina, poco a nord di Gerusalemme tra la Giudea e la Samaria, quest'appartenenza etnica non era correlata alla zona geografica in quanto lungo i secoli il significato territoriale si era progressivamente perso. È il caso, ad esempio, di Giuseppe e Gesù, della tribù di Giuda e della casa di Davide (sud della Palestina), che vivevano però a Nazaret, nel nord della Palestina.
Paolo era, per nascita, cittadino romano (At16,37-38; 22,25-29; 25,7-12[30]). Fino all'Editto di Caracalla del 212 d.C., la cittadinanza romana era riservata a chi nasceva nella penisola italica da genitori liberi; gli altri abitanti dell'impero erano peregrini e per loro ottenere la cittadinanza romana era piuttosto difficile (uno dei metodi più diffusi era l'aver militato nell'esercito romano fino all'età per il congedo). Dalla cittadinanza romana discendevano notevoli diritti: solo i cittadini romani potevano partecipare ai comizi e ricoprire cariche pubbliche; erano esentati dai tributi che invece gravavano sui provinciali; potevano accedere alla tutela giurisdizionale secondo le norme del diritto civile, il che includeva il diritto a un processo in caso di accuse criminali.
Poiché Paolo non era nato nella penisola italica e non aveva militato nell'esercito, non è chiara l'origine di questo suo status. Su questo argomento sono state elaborate diverse ipotesi:
Paolo appare un ebreo perfettamente ellenizzato. Come tutti gli Ebrei, conosceva l'ebraico, lingua nella quale è composta la Tanakh, che all'inizio dell'era cristiana non era più usata nella vita quotidiana, ma riservata al culto religioso. Lingua vernacolare degli Ebrei in Palestina (tra i quali Gesù) era l'aramaico, alla quale si riferisce verosimilmente At21,40[37]: il testo originale usa il termine "ebraico" che va però inteso come "lingua degli Ebrei", cioè l'aramaico. Conosceva il greco, lingua franca della parte orientale dell'Impero romano, nella quale sono composte le sue lettere, cosa non comune tra gli Ebrei e che destò meraviglia nel tribuno di Gerusalemme (At21,37[38]). In quanto cittadino romano doveva conoscere il latino, ma non ve n'è traccia diretta nei passi neotestamentari (nel greco delle lettere pastorali che, se autentiche, furono scritte a Roma, sono presenti alcuni latinismi[39]). Circa i dialetti locali parlati nella zona di Tarso, ufficialmente ellenista ma situata al confine tra l'area linguistica indoeuropea (greco e galata) e semita (siriaco, una variante dell'aramaico), attualmente estinti e poco conosciuti, non sembra che Paolo ne avesse conoscenza. In At14,11[40] mostra di non comprendere il dialetto della Licaonia, regione confinante a nord con la sua Cilicia natale.
Sebbene nelle fonti non venga direttamente affermato, Paolo dimostra di avere ricevuto una solida formazione greco-ellenista, probabilmente nella prima giovinezza nella natale Tarso importante centro culturale o in seguito a Gerusalemme.[41] Il geografo greco Strabone (58 - 21,25 a.C.) in Geografia, 14, V, 13. sostiene infatti che Tarso come centro culturale superava in quel periodo perfino Atene e Alessandria, tanto che Paolo parlando della città natale, a un comandante militare, poté ben dire che era "una non oscura città" At21, 37-39[42]. Nelle sue lettere e nella sua predicazione riferita negli Atti, traspare la conoscenza della Bibbia in greco (Septuaginta), il metodo retorico della diatriba (Rm2,27-3,8[43]), alcune citazioni implicite di concetti e pensatori ellenisti: i temi stoici dell'autosufficienza in 2Cor9,8; Fl4,11-12[44], dell'immanenza di Dio in Rm11,36; Col1,16[45], della "teologia naturale" in Rm1,19-20[46]; la "moderazione" cinica in 1Ts2,1-8[47]; Epimenide e in At17,28[48] citando Fenomeni del poeta cilicio Arato di Soli e Inno a Zeus del filosofo stoico greco Cleante; Menandro in 1Cor15,33[49]; la conoscenza delle "cose invisibili", le idee di Platone, in 2Cor4,18; 5,7; Col1,5[50]; l'uso dell'allegoria com'è usata da Filone, ad esempio in Gal4,24-26[51].[52]
L'ebreo Paolo appare innanzitutto come un laico, cioè non appartenente a nessuna delle classi sacerdotali che gestivano il culto del tempio di Gerusalemme. In Fl3,5[53] si definisce «fariseo quanto alla legge» (v. anche At23,6; 26,5[54]), cioè facente parte di quel movimento che si era sviluppato pochi secoli prima dell'era cristiana e che nel I secolo era fortemente contrapposto al movimento aristocratico-sacerdotale dei sadducei su diversi aspetti dottrinali: diversamente da questi ultimi, i farisei accettavano l'immortalità dell'anima, l'esistenza degli angeli, gli altri libri della Tanakh e una tradizione orale (poi confluita nei Talmud), oltre ai cinque della Torah e adottavano un'interpretazione delle scritture tendenzialmente meno rigorosa e rigida, più vicina alle esigenze del popolo. I farisei si formavano in scuole collegate alle sinagoghe, cioè luoghi di culto da loro gestiti e presenti ovunque vi fossero comunità giudaiche. In queste scuole tutti gli Ebrei imparavano a leggere le scritture ebraiche e i fondamenti della dottrina. È verosimile che Paolo abbia iniziato la sua formazione farisaica in una di queste scuole a Tarso e secondo At22,3[55] continuò e perfezionò gli studi a Gerusalemme presso l'autorevole maestro Gamaliele. Dalle sue lettere traspaiono i metodi argomentativi tipici delle scuole rabbiniche del tempo, testimoniati poi nei Talmud, come, ad esempio, la gezerah shavah ("decreto simile"), che accosta argomentativamente a un passo biblico un altro per un semplice legame di similitudine-analogia (si veda Rm9,6-28[56] o 3,1-5,12[57]). L'appartenenza di Paolo al Sinedrio, che sembra essere suggerita da At26,10[58] è solitamente esclusa dai biblisti (vedi infra). At18,18[59] indica che Paolo era un nazireo, cioè aveva fatto uno speciale voto di consacrazione a Dio, che implicava una vita particolarmente sobria e rigorosa e il portare i capelli lunghi.
Non ci è noto quale aspetto avesse. Il nome Paolo ("piccolo") non deriva dalla statura, come inteso dall'iconografia successiva, ma verosimilmente dall'assonanza con "Saulo" (vedi sopra). La più antica descrizione fisica a lui riferita (influenzata, forse, dalla tradizionale bruttezza attribuita a Socrate) è contenuta nell'apocrifo Atti di Paolo e Tecla, della seconda metà del II secolo, nel quale si legge che "era un uomo di bassa statura, la testa calva, le gambe arcuate, il corpo vigoroso, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente".[61] Come per questo e altri apocrifi, la datazione tardiva rende difficile attribuire un effettivo valore storico al testo e a questa descrizione di Paolo. Difficilmente fondata è anche la notizia riportata in uno scritto del V secolo, tradizionalmente ma erroneamente attribuito a Giovanni Crisostomo, che attribuisce a Paolo la statura di 3 cubiti (circa 133 cm).[62]
Altri testi sono ancora più tardivi. Giovanni Malala (VI secolo) riporta questa descrizione: "Paolo mentre visse fu di statura bassa, calvo con testa e barba brizzolate, con bel naso, occhi azzurrognoli, sopracciglia congiunte, carnagione bianca, d'aspetto florido, con barba folta, sorridente per carattere, sapiente, mite, affabile, dolce, animato dallo Spirito Santo, taumaturgo".[63] Niceforo Callisto (XIV secolo) descrive così Paolo: "Era piccolo e ristretto quanto a grandezza corporea, fatto come a curva e un po' ripiegato, di bianco aspetto, con segni di un'età precocemente avanzata, con testa priva di capelli, sguardo pieno di grazia, sopracciglia piegate in giù: aveva il naso bellamente incurvato e che dominava tutta la faccia, barba folta e piuttosto aguzza ch'era brizzolata come la testa".[64]
L'unico dato desumibile dai passi del Nuovo Testamento, certo ma generico, è che Paolo era afflitto da una malattia (1Cor2,3-4; 2Cor10,10; 12,7; Gal4,13-14[65]). Sull'effettiva diagnosi di questa "spina nella carne" non è possibile dare risposte precise e sono state ipotizzate,[66] oltre a generiche tentazioni carnali, epilessia (derivante dall'esperienza della conversione), isteria, emicrania, depressione, sciatica, reumatismi, sordità, lebbra, balbuzie, un disturbo agli occhi (così Joseph Lightfoot sulla base di Gal4,15[67])[68].
Il Nuovo Testamento non fornisce informazioni dirette intorno alla famiglia di Paolo. Questa risiedeva verosimilmente a Tarso, dove egli nacque, e, come accennato sopra, è possibile che fosse originaria di Giscala, in Giudea. L'attività lavorativa familiare era, verosimilmente, come per Paolo, la manifattura di tende.[senza fonte] In At23,16[69] (probabilmente attorno al 58) viene fatto cenno al "figlio della sorella di Paolo", presente a Gerusalemme, ed è possibile che questa (forse con altri familiari) si fosse trasferita nella città. Circa lo stato civile di Paolo, in nessun passo si accenna a moglie o a figli e in 1Cor7,8[70] (inizio anni 50) si dichiara celibe.
La ricostruzione cronologica della vita e del ministero di Paolo, come per tutti i personaggi del Nuovo Testamento (incluso Gesù), è in gran parte ipotetica. La narrazione degli Atti, che descrive in maniera particolareggiata il suo ministero pubblico con alcuni accenni al mondo greco-romano, unita ad alcune preziose seppur sporadiche integrazioni cronologiche presenti nelle lettere di Paolo e in altri scritti successivi, permette tuttavia di ricostruire un quadro verosimile, condiviso nelle linee fondamentali da biblisti e storici contemporanei.
Talvolta si riscontrano differenze tra le lettere e gli Atti: p.es. in Gal1,17[71] Paolo accenna a un viaggio in Arabia (attuale Giordania) dopo la conversione, particolare assente nella narrazione di Atti. In questi casi gli studiosi propendono per l'armonizzazione complementare delle fonti.[senza fonte]
Molti altri studiosi, anche cristiani, ritengono invece che le differenze non siano armonizzabili e, ad esempio, la Bibbia di Gerusalemme[72] rileva che, rispetto alla componente narrativa e teologica di Luca, "il valore storico degli Atti degli Apostoli non è uguale. Da una parte le fonti di cui Luca disponeva non erano omogenee; dall'altra, nell'utilizzo delle sue fonti Luca godeva di una libertà abbastanza vasta [...] e subordinava i dati storici al suo disegno letterario e soprattutto ai suoi interessi teologici [...] si constata un certo contrasto tra il ritratto di Paolo delineato negli Atti e l'autoritratto che Paolo dà di sé nelle sue lettere"[Nota 5].
Tra gli esempi delle incongruenze tra gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline, Paolo narra nella Lettera ai Galati[73] che, dopo la sua conversione a Damasco, in questa città non parlerà con nessuno e aspetterà tre anni - intraprendendo un viaggio in Arabia - prima di recarsi a Gerusalemme, dove si incontrerà solo con Pietro e poi Giacomo; tale versione non concorda con quella fornita negli Atti degli Apostoli[74] in cui, al contrario, Paolo, successivamente alla sua conversione, da Damasco - dopo aver passato invece alcuni giorni in questa città a parlare e predicare agli Ebrei - si reca subito a Gerusalemme dove incontrerà tutto il gruppo degli apostoli; il "Nuovo Grande Commentario Biblico"[75] sottolinea, in merito, come negli Atti "la principale divergenza dal racconto che Paolo fa del suo primo periodo è la omissione del suo soggiorno in Arabia (Gal1,17), il che colloca la conversione e la prima visita a Gerusalemme, molto più vicine l'una all'altra che non i «tre anni» di cui parla Gal1,18"[Nota 6].
Paolo, sempre nella stessa lettera[76], fa riferimento al suo viaggio a Gerusalemme, dove si terrà il concilio, come del suo secondo viaggio nella città, mentre secondo gli Atti degli Apostoli[77] per Paolo questo è il terzo viaggio nella città e l'interconfessionale Bibbia TOB[78] evidenzia come "in Atti si tratta di un terzo viaggio, mentre in Gal di un secondo e, d'altra parte, i due racconti presentano importanti divergenze. Se riguardano gli stessi avvenimenti, il rispettivo punto di vista è molto diverso" e, per risolvere uno dei problemi esegetici più difficili del Nuovo Testamento, la seconda visita di Gal2,1-10 può essere identificata con la terza di At15[Nota 7].
Anche nel racconto lucano della Controversia di Antiochia[77] si possono riscontrare delle incongruenze con le lettere paoline - relative ad esempio al decreto circa le osservanze della purità rituale, imposte ai cristiani provenienti dal paganesimo[79] - e la Bibbia di Gerusalemme[80] ritiene che una spiegazione possibile potrebbe essere che "Luca ha fuso insieme due distinte controversie e le differenti soluzioni che ne furono date (Paolo ha distinto più chiaramente in Gal 2)"[Nota 8].
Incongruenze nella narrazione degli Atti degli Apostoli, come meglio evidenziato nella relativa sezione, si riscontrano altresì in merito ai tre diversi resoconti sulla conversione di Paolo[81].
Il punto più oscuro della sua vita riguarda gli ultimi anni successivi alla prigionia romana, attorno ai primi anni sessanta, attorno ai quali le ricostruzioni possibili vertono sulla possibilità di una seconda prigionia, più dura della prima e sulla eventualità di un altro viaggio, in oriente o in Spagna.
CE[82] | BG[83] | TOB[84] | DP[85] | RF[86] | Evento | Redazione lettere | Atti | Lettere | Eventi correlati |
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- | 5-10 | 5-10? | - | 5-10 | Nascita a Tarso | - | 22,3[87] | - | - |
- | - | - | - | - | Trasferimento a Gerusalemme | - | 22,3; 26,4[88] | - | - |
35 | 34 o 36 | c. 37 | c. 33 | 34-35 | Poco dopo il martirio di Stefano,[Nota 10] conversione sulla via di Damasco e battesimo | - | 9,1-19[89], ripreso in 22,4-21;26,9-18[90] | Gal1,15-16[91] | - |
35-37 | - | c. 37-39 | - | - | Predicazione in Arabia e a Damasco | - | 9,19-25[92] | Gal1,17[93] | - |
37 | 36 o 38 | c. 39 | 35 | 36-37 | Fuga da Damasco controllata dal re nabateo Areta IV; prima breve ("15 giorni") visita a Gerusalemme "dopo 3 anni"[94] dalla conversione |
- | 9,25-30[95] | 2Cor11,32-33[96]; Gal1,18-20[97] |
Governo di Areta IV su Damasco (forse) tra il 37-39[98] |
37-43 | - | - | 35+ | - | Soggiorno a Tarso, predicazione in Siria e Cilicia | - | 9,30[99] | Gal1,21[100] | - |
43-44 | - | c. 43 | 45 | - | Barnaba porta Paolo da Tarso ad Antiochia di Siria, soggiorno un anno intero | - | 11,25-26[101] | - | - |
44 o 45 | 48 | - | 46 | - | Visita (coincidente con la successiva visita del Concilio?[102]) a Gerusalemme "per portare soccorso" all'annunciata carestia, morte di Erode,[103] ritorno ad Antiochia | - | 11,27-30; 12,21-25[104] | - | Erode Agrippa I muore nel marzo del 44. Carestia in diverse zone dell'impero durante l'impero di Claudio (41-54), in Giudea in particolare sotto i governatori Cuspio Fado (44-46) e Tiberio Giulio Alessandro (46-48), aggravata dall'anno sabbatico del 47-48[105] |
45-49 | 46-48 | 45-48 | 47-48 | 46-48 | Primo viaggio con Barnaba (e in parte Giovanni-Marco): Cipro (incontro con Sergio Paolo), Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe; ritorno tramite le stesse tappe ad Antiochia di Siria | - | 13-14[106] | - | Sergio Paolo proconsole di Cipro |
49-50 | - | 48-49 | 48-49 | 49-50 | Visita a Gerusalemme e Concilio "dopo 14 anni"[94] e ritorno ad Antiochia | - | 15,1-35[107] | Gal2,1-9[108] | - |
50+ | 49+ | 50+ | 49+ | 50+ | Inizio del secondo viaggio con Sila-Silvano: Siria, Cilicia, Derbe, Listra, Filippi, Tessalonica, Berea, Atene | - | 15,36-18,1[109] | - | - |
- | inverno 50 - estate 52 | inverno 50 - estate 52 | - | - | Soggiorno a Corinto (almeno) "un anno e mezzo", incontro con Aquila e Priscilla espulsi poco prima da Roma, incontro col proconsole Gallione | Prima e Seconda lettera ai Tessalonicesi a Corinto | 18,1-18[110] | - | Espulsione degli Ebrei da Roma, tra i quali Aquila e Priscilla, nel 49-50;[111] Gallione proconsole dell'Acaia attorno al 52 (vedi Iscrizione di Delfi), "data cardine" della cronologia paolina. |
53 | 52 | 52 | 51-52 | 52 | Fine del secondo viaggio: Efeso, Cesarea, visita a Gerusalemme | - | 18,18-22[112] | - | - |
- | - | 52-53 | 51-52 | - | Ritorno e permanenza ad Antiochia | - | 18,22[113] | - | - |
53+ | 53+ | 54+ | 52+ | 53+ | Inizio del terzo viaggio: Galazia, Frigia, soggiorno a Efeso per (almeno) 2 anni e 3 mesi, probabile prigionia con liberazione, Macedonia | Prima lettera ai Corinzi a Efeso; Lettera ai Galati e Lettera ai Filippesi a Efeso; Seconda lettera ai Corinzi in Macedonia |
18,23-20,1[114] | - | - |
57 | inverno 57-58 | inverno 57-58 | 57 | - | Soggiorno a Corinto per 3 mesi | Romani | 20,2-3[115] | - | - |
57 | Pasqua 58 | Pasqua 58 | - | 57 | Fine del terzo viaggio: da Filippi a Cesarea | - | 20,3-21,14[116] | - | - |
57 | Pentecoste 58 | Pentecoste 58 | 57 | - | Visita a Gerusalemme, arresto nel tempio, condotto a Cesarea dove incontra il governatore Felice | - | 21,15-24,26[117] | - | Felice governatore di Giudea (forse) tra il 52 - 59/60 |
57-59 | 58-60 | 58-60 | 57-59 | 58-60 | Prigioniero due anni a Cesarea, incontra il governatore Porcio Festo e il re Marco Giulio Agrippa II | - | 24,27-26,32[118] | - | Porcio Festo governatore di Giudea (forse) tra il 59/60 - 62 |
59-60 | 60-61 | 60-61 | 59-60 | 60 | In autunno viaggio in mare verso Roma, naufragio, inverno a Malta, arrivo a Roma | - | 27,1-28,16[119] | - | - |
60-62 | 61-63 | 61-63 | 60-62 | 61-63 | Arresti domiciliari a Roma per (almeno) 2 anni | Colossesi, Efesini, Filemone? | 28,17-31[120] | - | - |
62-66 | - | ? | - | - | Libertà e predicazione a Roma? viaggio in Spagna (BG 63)? quarto viaggio a Efeso, Creta, Macedonia (BG c. 65)? |
Prima lettera a Timoteo e Lettera a Tito in Macedonia nel 65? (BG) | - | - | - |
66 | 67 | ? | - | - | Seconda prigionia a Roma? | Seconda lettera a Timoteo? | - | - | - |
67 | c. 67 | 64-67 (?) | 65? | 63 | Decapitato a Roma | - | - | - | - |
Secondo At22,3[121] Paolo nacque a Tarso, in Cilicia (attuale Turchia del sud).
Sofronio Eusebio Girolamo invece riferisce, verso la fine del IV secolo, che era originario di "Giscala di Giudea" (attuale Jish in arabo, Gush Halav in ebraico, nell'attuale Galilea) ed emigrò a Tarso con i parentes (genitori o nonni) quando la città fu conquistata dai Romani.[17] Non è chiara la fonte ("favola") dalla quale attinge Girolamo. Il dettaglio della conquista romana della città è verosimilmente un anacronismo: vere e proprie operazioni militari romane in Giudea sono testimoniate sotto Gneo Pompeo Magno (63 a.C.) e soprattutto durante la prima guerra giudaica (66-74), che vide la cattura di Giscala nel 67 per resa all'allora generale Tito.[122] Per questo gli studiosi contemporanei rigettano l'ipotesi della nascita a Giscala, sebbene rimanga possibile un'origine galilaica dei suoi antenati, probabilmente nonni, poi trasferitisi a Tarso.[senza fonte]
Nessun dato delle fonti storiche accenna direttamente alla data di nascita, sebbene alcuni sporadici e generici accenni siano presenti nel Nuovo Testamento. In At7,58[123], in occasione del martirio di Stefano avvenuto pochi anni dopo la morte di Gesù (circa prima metà degli anni trenta), Saulo è detto giovane. In At9,1-2[124] l'incarico ufficiale ottenuto dal Sommo Sacerdote, di poco precedente alla conversione collocata attorno alla metà degli anni trenta, suggerisce una certa maturità anagrafica. In Fm9[125], scritta nei primi anni sessanta, Paolo si definisce vecchio. È diffusa convinzione tra gli studiosi che la nascita vada collocata, verosimilmente ma non sicuramente, attorno al 5-10 d.C.[senza fonte]
Circa i primi anni della sua vita, in At22,3[126] e At26,4[127] Paolo si dice cresciuto a Gerusalemme, dove studiò alla scuola di Gamaliele. Non è chiaro quando si trasferì nella città santa da Tarso. La Mishnah (fine II secolo) stabilisce a 15 anni l'inizio dello studio del Talmud[128] ed è pertanto possibile che si sia trasferito all'inizio della giovinezza.
In At7,58; 8,1[129] (ripreso da At22,20[130]), alla sua prima comparsa nella narrazione biblica, Paolo viene descritto come presente e accondiscendente all'uccisione di Stefano (attorno al 35), il primo martire cristiano, sebbene non sia stato direttamente partecipe della sua lapidazione ma il semplice "custode dei mantelli" dei lapidatori. In seguito, prima dell'adesione al Cristianesimo, Paolo aveva ricoperto ruoli di particolare rilievo nelle alte sfere religiose ebraiche relativamente alla persecuzione dei cristiani. Il suo zelante operato è accennato direttamente in diversi passi di Atti e delle lettere (At8,3; 9,1-2; 26,9-11; Gal1,13-14; 1Cor15,9; Fl3,6; 1Tm1,13[131]), mentre in altri passi sono riportati gli echi indiretti della sua persecuzione (At9,13; 9,21; 9,26; Gal1,23[132]).
Le modalità pratiche e il contesto di questa persecuzione paolina, probabilmente descritta con toni esagerati, non sono chiare. È possibile che la sua azione si fosse limitata alla sola comunità di Gerusalemme e in seguito, quando la persecuzione portò alla dispersione dei credenti, cercò di rivolgersi anche ai profughi cristiani fuori dalla città, nella fattispecie quelli residenti a Damasco (At9,2[133]). I riferimenti biblici indicano che questa persecuzione ebraica, all'interno della quale operava Paolo, inizialmente non fu rivolta a tutti i cristiani indistintamente ma solo ai cosiddetti ellenisti, cioè i cristiani di cultura greca come Stefano e Filippo. Gli apostoli (e i giudeo-cristiani) invece sembrano rimanere indisturbati (At8,1; 8,14[134]), salvati dalla loro appartenenza alla comunità giudaica e dalla adesione ai precetti religiosi della fede ebraica. Dalle fonti storiche non appare chiara l'effettiva portata di questa persecuzione ebraica: Giuseppe Flavio, principale e preziosa fonte extra-cristiana circa il medio-oriente del I secolo, non fa cenno di una sistematica persecuzione, e anche nel testo biblico le uccisioni dirette descritte sono solo quella di Stefano e dell'apostolo Giacomo "il Maggiore" (At12,1-2[135], attorno al 44), alle quali va aggiunta in seguito quella di Giacomo il Giusto (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche 20,9, attorno al 62). È possibile che la persecuzione ebraica (e paolina) sia stata più una questione giuridico-religiosa, finalizzata alla scomunica e all'interdizione dei cristiani dal culto della sinagoga e del tempio, che un sistematico eccidio.
L'accenno al voto circa la condanna capitale di At26,10[136] sembra suggerire una sua appartenenza al Gran Sinedrio di Gerusalemme, il consiglio religioso ebraico di 70 membri (71 con il Sommo Sacerdote) al quale solo spettava il voto e la delibera (ma durante l'occupazione romana non l'esecuzione, vedi il caso di Gesù) delle condanne a morte per motivi religiosi, dal quale lo stesso Paolo sarà giudicato (At22,30-23,10[137]). Questa appartenenza sinedrita farebbe di Paolo uno degli Ebrei più noti e rilevanti dell'ebraismo dell'epoca, ma viene solitamente esclusa dagli studiosi anche perché non direttamente affermata dai testi biblici e non usata nelle sue lettere quando in vari loci presenta le sue credenziali. In tal senso, il suo "voto" per la condanna a morte dei cristiani deve essere inteso come un semplice consenso.
Tradizionalmente l'adesione di Paolo al movimento cristiano viene indicata col termine "conversione".[138][139]
L'evento è descritto, pur con differenze abbastanza notevoli[140], negli Atti degli Apostoli e accennato implicitamente in alcune lettere paoline. In At9,1-9[141] c'è la descrizione narrativa dell'accaduto, che è raccontato nuovamente dallo stesso Paolo con lievi variazioni sia al termine del tentativo di linciaggio a Gerusalemme (At22,6-11[142]) che durante la comparizione a Cesarea davanti al governatore Porcio Festo e al re Marco Giulio Agrippa II (At26,12-18[143]):
« Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda. » ( At 9,1-9, su laparola.net.) |
La tradizione artistica successiva ha immaginato la caduta a terra come una caduta da cavallo ma il particolare è assente da tutti e tre i resoconti, sebbene rimanga possibile e verosimile poiché l'evento si verificò durante il viaggio. Dopo questa folgorazione-rivelazione-chiamata (il testo non usa mai metànoia, "conversione") Paolo si recò a Damasco e ricevette il battesimo da un giudeo-cristiano di nome Anania, riacquistando la vista (At9,10-19; 22,12-16[144]). Secondo il testo biblico fu tramite Anania che Gesù risorto comunicò a Paolo il mandato missionario ai gentili (At9,15[145]) che caratterizzerà il suo ministero successivo.
Gli accenni generici alla conversione contenuti in alcune lettere paoline non descrivono esplicitamente l'evento come in Atti[146] ma si riferiscono genericamente a una maturazione ed evoluzione interiore di Paolo: Gal1,11-17; Fl3,3-17; 1Tm1,12-17; Rm7,7-25[147] (Rm è così generico che non è chiaro se si riferisca o meno alla propria vicenda personale). Anche in questi passi non è usato il termine "conversione" ma in genere chiamata, scelta, conquista-cattura.
L'interpretazione storica dell'evento da parte degli studiosi contemporanei è diversificata: mentre gli studiosi cristiani ammettono -tendenzialmente- il valore storico della triplice narrazione di Atti, per gli studiosi non credenti il carattere soprannaturale e miracolistico di essa, che ha come protagonista Gesù risorto, li porta a negare valore storico alla descrizione, accettando comunque la conversione al cristianesimo come testimoniata anche dalle lettere. In questo caso la descrizione dell'evento non è altro che un prodotto narrativo di Luca.[senza fonte]
Molti studiosi, anche cristiani, fanno rilevare, in merito alla conversione, una serie di evidenti discordanze narrative interne agli Atti degli Apostoli, così come anche con le lettere paoline, imputabili a fonti storiche non omogenee di Luca e ai suoi interessi teologici, a discapito della storicità del resoconto[Nota 11] e l'interconfessionale Bibbia TOB[148] sottolinea, quindi, come gli Atti degli Apostoli raccontino "a tre riprese, con differenze notevoli, questo avvenimento" e "il contenuto e lo stile di questi discorsi sono adattati ai rispettivi uditori. Ciò spiega, almeno in parte, le differenze abbastanza notevoli che presentano tra loro". Ad esempio, secondo At9,3-7[149] sulla strada di Damasco i compagni di Paolo odono la voce ma non vedono nulla, esattamente il contrario di quanto affermato in At22,6-9[150] dove i suoi compagni invece non odono nulla ma vedono la luce; inoltre, mentre in At9,3-7[151] durante tale episodio solo Paolo cade a terra, secondo invece At26,12-14[152] anche tutti i suoi compagni di viaggio cadono a terra; ancora, secondo At9,3-19[153] Paolo a Damasco riceve le istruzioni tramite Anania, mentre secondo At26,12-18[154] Paolo a Damasco riceve le istruzioni da Gesù stesso[Nota 12].
Secondo il resoconto di Atti (9,19-25[155]), dopo la conversione sulla via di Damasco e il battesimo ricevuto da Anania, Paolo rimase nella città per un tempo indeterminato ("molti giorni"), predicando nelle sinagoghe il messaggio cristiano agli Ebrei. Questi però cercarono di ucciderlo e fu aiutato a scappare dai "suoi discepoli", che lo calarono di notte in una cesta facendolo uscire dalle mura cittadine. Da Damasco si recò poi a Gerusalemme (9,26[156]).
Questo resoconto è integrabile con alcune sporadiche informazioni presenti nelle lettere paoline. In 2Cor11,32-33[157] Paolo racconta l'episodio della fuga nella cesta, collocandolo cronologicamente durante il dominio sulla città da parte del re nabateo Areta IV (verso la fine degli anni trenta[98]). In Gal1,17[158] Paolo specifica che dopo la conversione (e quindi il suo arrivo a Damasco), si recò in Arabia (da intendersi come il regno dei Nabatei nell'attuale Giordania, poi compreso nella provincia romana di Arabia), per poi ritornare dopo un tempo indefinito nuovamente a Damasco. Il soggiorno a Damasco quindi sembra essere stato duplice, presentato come unico da Atti che omette il viaggio in Arabia. I biblisti collocano la fuga nella cesta, al termine del secondo soggiorno.[159] Circa il viaggio in Arabia non sono noti il motivo, i luoghi visitati, la durata e i risultati conseguiti. È verosimile che sia stato caratterizzato, come gli anni successivi, dalla predicazione del cristianesimo nelle sinagoghe.
Secondo At9,26-30[160], giunto a Gerusalemme fu accolto inizialmente con freddezza e timore dai cristiani della città a motivo del suo passato di persecutore dei cristiani. Il giudeo-cristiano Barnaba si fece suo garante, iniziando così con Paolo una collaborazione che durerà negli anni successivi.[161] Nella città santa continuò a predicare nelle sinagoghe ma anche qui, come a Damasco, fu costretto a fuggire nella sua città natale Tarso. Gal1,17-19[162] aggiunge alcune precisazioni: questa prima visita a Gerusalemme avvenne "3 anni dopo"[94] la sua conversione e un viaggio in Arabia, fu breve ("15 giorni"), vide l'incontro di Paolo con Pietro e Giacomo, mentre invece per gli Atti degli Apostoli[74] questa prima visita è narrata con "l'omissione del suo soggiorno in Arabia (Gal1,17), il che colloca la conversione e la prima visita a Gerusalemme, molto più vicine l'una all'altra che non i «tre anni» di cui parla Gal1,18"[Nota 13].
Dopo essere fuggito da Gerusalemme, Paolo rimase a Tarso diversi anni (tra i 5 e i 10 a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, v. sopra). Di questo lungo periodo oscuro della sua vita rimane solo l'accenno di Gal1,21[163] che vede Paolo recarsi in Siria e Cilicia, cioè nei dintorni di Tarso. Non è esplicitato il motivo di questi viaggi ma è presumibile che si riferissero a una predicazione itinerante, e come per il caso della predicazione precedente in Arabia non sono noti luoghi visitati, durata e risultati conseguiti.
In Atti Paolo fa la sua ricomparsa solo in 11,25-26[164] quando il suo mentore Barnaba, inviato dalla chiesa di Gerusalemme ad Antiochia di Siria, lo va a cercare nella vicina Tarso per farne un suo collaboratore e lo conduce nella città siriaca, allora la principale metropoli del Vicino Oriente. Qui Paolo rimarrà strettamente legato alla comunità cristiana per alcuni anni. La tradizione cristiana ha conservato memoria di una grotta, detta di San Pietro, nella quale si sarebbe riunita la chiesa di Antiochia.[165][166].
Dopo "un anno intero" di permanenza, Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme (seconda visita, vedi At11,27-30; 12,21-25[167]). Occasione del viaggio fu una colletta[168] della chiesa di Antiochia per la chiesa di Gerusalemme in vista di una carestia che, stando al racconto di Atti, era stata predetta da un cristiano di nome Agabo. Dopo aver portato le offerte della colletta ritornarono ad Antiochia. La notizia della morte di Erode Agrippa I (44 d.C.), collocata tra la partenza e il ritorno di Paolo e le informazioni pervenuteci da autori extra-cristiani circa la prolungata carestia in Palestina, collocano l'accaduto attorno alla metà degli anni quaranta.[105]
In passato da alcuni biblisti questa seconda visita veniva fatta coincidere con quella descritta in Gal2,1-9[169] (vedi paragrafo cronologico sopra), ma attualmente vi è accordo nel considerare quest'ultima come coincidente con la terza visita, quella del concilio di Gerusalemme (v. dopo).
Dopo un tempo imprecisato dal ritorno dalla seconda visita a Gerusalemme, Paolo partì per il primo di quelli che saranno i suoi tre viaggi missionari itineranti. Protagonisti furono (almeno) Paolo, Barnaba e per il tratto iniziale Giovanni-Marco, cugino di Barnaba (Col4,10[170]), che in seguito comporrà a Roma il secondo vangelo. La durata, a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, è tra i due e i cinque anni, collocabili nella seconda metà degli anni quaranta (v. sopra). I destinatari della predicazione sono principalmente gli Ebrei ma anche i pagani.
Dopo un periodo imprecisato ("non poco tempo") dal ritorno ad Antiochia scoppiò un dissidio nella comunità che porterà al cosiddetto "concilio di Gerusalemme" con la terza visita di Paolo nella città santa. La descrizione degli eventi è contenuta in At15,1-35[171] e, sotto una prospettiva diversa, in Gal2,1-9[172]. In passato alcuni biblisti hanno ipotizzato che il racconto di Galati non corrispondesse a questa terza visita ma fosse da collocare nella seconda visita, durante la quale Paolo portò le offerte per la carestia. Attualmente una parte degli esegeti però rifiuta questa ipotesi, ritenendo che At15 corrisponda a Gal2[173], mentre molti altri studiosi, anche cristiani, ritengono che si tratti di due versioni in disaccordo e "in Atti si tratta di un terzo viaggio, mentre in Gal di un secondo e, d'altra parte, i due racconti presentano importanti divergenze. Se riguardano gli stessi avvenimenti, il rispettivo punto di vista è molto diverso"[Nota 14].
La questione riguardava le recenti conversioni al cristianesimo di alcuni pagani (detti ellenisti) che erano avvenute nella città. Fino a quel momento le comunità cristiane erano composte prevalentemente da Ebrei che avevano accettato la messianicità di Gesù e la sua risurrezione (detti giudeo-cristiani), i quali accettavano le prescrizioni della Legge ebraica nella quale erano cresciuti, in primis la circoncisione. I pagani convertiti erano però estranei dalla tradizione ebraica e, soprattutto, non erano circoncisi. Per questo "alcuni" (probabilmente giudeo-cristiani di origine farisaica) venuti dalla Giudea ad Antiochia insegnavano la necessità della circoncisione che doveva essere imposta loro. A questa richiesta si opposero Paolo e Barnaba. Il confronto con la vita e la predicazione di Gesù non forniva chiare indicazioni a favore di una delle due posizioni: Gesù stesso era un ebreo circonciso e osservante i precetti della Legge ebraica, ma nella sua predicazione appare come costante ricorrente il contrasto con alcuni di questi precetti (vedi p.es. il ritornello "è stato detto... ma io vi dico" del discorso della montagna) e con la modalità esteriore e formale con la quale le autorità farisaiche li applicavano e insegnavano ad applicarli.
Per risolvere questa impasse Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme (Gal2,2 precisa che il motivo del viaggio fu "per una rivelazione"). Qui ebbe luogo la discussione, che la tradizione cristiana indica come il primo concilio, che vide in definitiva la vittoria della posizione paolina ("non cedemmo neppure un istante", Gal2,5[174]): ai nuovi convertiti non occorreva imporre l'osservanza della legge ebraica ("non fu imposto nulla di più", Gal2,6[175]), ma solo di alcune norme fondamentali, cioè l'astensione "dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia" (At15,28-29[176], particolare omesso da Gal).
Nonostante l'atmosfera irenica che traspare dal resoconto di Atti, lo scontro tra le due fazioni dovette essere abbastanza aspro, come testimoniato dalla lettera ai Galati. Inoltre il comune accordo raggiunto a Gerusalemme non impedì che la questione avesse uno strascico successivo, il cosiddetto "incidente di Antiochia" (riferito dal solo Paolo in Gal2,11-14[177]). A quanto pare la comunità giudeo-cristiana continuava a vedere gli ellenisti come una sorta di cristiani di "seconda categoria", arrivando a scindere la mensa (eucaristica?) per le due distinte comunità. Pietro si lasciò coinvolgere in questa separazione, contraria allo spirito paritario emerso al Concilio, coinvolgendo anche Barnaba e venendo per questo apertamente ripreso da Paolo.
Anche Paolo tuttavia non si attenne strettamente al Concilio: in seguito fece circoncidere Timoteo affinché venisse accettato anche dai Giudei e dai giudeo-cristiani (At16,1-3[178]).
Il secondo viaggio missionario è narrato in At15,36-18,22[179]. Protagonisti furono (almeno) Paolo e Sila-Silvano, ai quali si aggiunse poco dopo Timoteo. Le regioni toccate sono la Galazia del sud, evangelizzata nel primo viaggio, e quindi la Macedonia e la Grecia. La durata, a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, è circa 4-5 anni, collocabili attorno al 50 (v. sopra).
Dopo un periodo imprecisato, Paolo partì (da solo o con altri?[180]) per il terzo viaggio missionario, descritto in At 18,23-21,15[181]. Le regioni toccate sono le attuali Grecia e Turchia, già visitate nei viaggi precedenti. La durata, a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, è circa 5-6 anni, collocabili attorno alla metà degli anni cinquanta (v. sopra).
Il motivo dell'arrivo a Gerusalemme è dettato verosimilmente dalla necessità di portare alla chiesa locale i frutti della "colletta dei santi". Gli eventi successivi all'arrivo sono ampiamente descritti a partire da At21,15[182]. Viene narrato un nuovo incontro con Giacomo, dal quale traspare la tensione e il sospetto che ancora, nonostante le decisioni del concilio di Gerusalemme ribadite dallo stesso Giacomo in At21,25[183], dovevano esserci tra i giudeo-cristiani e le comunità paoline: "hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini" (At21,21[184]). Giacomo gli consiglia di recarsi nel tempio per purificarsi assieme a quattro uomini che avevano fatto un voto (verosimilmente il nazireato), testimoniando così pubblicamente la sua adesione formale all'ebraismo.
Dopo una settimana, mentre si trovava nella spianata del tempio, Paolo fu riconosciuto da alcuni Ebrei dell'Asia (probabilmente Efeso) e fu accusato, oltre che di aver predicato "contro la legge e contro questo luogo", anche di aver introdotto un pagano (l'ellenista Trofimo di Efeso) nel recinto del tempio riservato agli Ebrei. L'accusa era falsa (Paolo era accompagnato da Trofimo ma non nel tempio) ma il reato era grave, essendo prevista la pena di morte per il trasgressore.
Ne derivò un tumulto nel quale Paolo rischiò il linciaggio. Intervenne un tribuno romano, un certo Claudio Lisia (At23,26;24,7;24,22[185]), che dalla vicina fortezza Antonia poteva controllare la spianata del tempio e che salvò Paolo dalla morte. Questi chiese all'ufficiale di potersi rivolgere alla folla inferocita e tenne un discorso nel quale raccontava la sua chiamata da parte di Gesù a predicare ai pagani, ma non riuscì a calmare il tumulto. Il tribuno lo portò al sicuro nella fortezza e stava per flagellarlo, ma Paolo rivelò di essere cittadino romano. Il giorno seguente il tribuno dispose un regolare processo del Sinedrio e Paolo riuscì abilmente a risvegliare i conflitti che intercorrevano tra sadducei e farisei, principali componenti del Sinedrio, conquistando il favore di questi ultimi. Risolto il processo con un nulla di fatto, alcuni giudei ordirono un piano per uccidere Paolo e il tribuno lo fece trasferire a Cesarea, sede del governatore Felice, allegando una lettera nella quale specificava che «[...] in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia». Tale resoconto risulta storicamente problematico e verosimilmente va interpretato a livello teologico: "in mezzo ad un fascio di improbabilità storiche che non hanno paralleli nel resto dell'opera di Luca ci sono troppe cose di fronte alle quali ci troviamo sconcertati: il ricorso del tribuno al sinedrio, la sua improbabile competenza di convocarlo e approntarne l'ordine del giorno, il carattere dell'assemblea (incontro o processo, vv. 30.6), le percosse a Paolo e la sua maledizione, la sua incredibile protesta di non aver riconosciuto il sommo sacerdote e infine il suo sfruttamento dell'inveterato odium theologicum tra fazioni a proprio vantaggio" e, anche in merito ai soldati che dovevano condurre Paolo a Cesarea ("duecento soldati [...] insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri"[186]),"questo spropositato numero avrebbe richiesto metà della truppa assegnata alla Fortezza Antonia"[Nota 15].
A Cesarea lo raggiunsero il sommo sacerdote Anania e alcuni Giudei, che lo accusarono formalmente di fronte al governatore, ma Felice non si pronunciò né per la condanna né per la scarcerazione, permettendogli di godere durante la sua detenzione di una certa libertà (At24,23[187]) fino allo scadere del suo mandato, due anni dopo (At24,27[188]). Quest'attesa può essere dovuta all'incertezza e alla prudenza con la quale i governatori romani esitavano a pronunciarsi sulle questioni religiose ebraiche, a loro indifferenti (vedi anche il caso di Gesù e Pilato, Gv18,31[189] e Paolo con Gallione, At18,15[190]). Non sembra comunque che Felice lo trovasse colpevole, apparendo al contrario ben disposto nei suoi confronti (At24,24-27[191]), anche se lo lasciò in prigione «[...] volendo dimostrare benevolenza verso i Giudei».
Allo scadere del mandato di Felice gli successe Porcio Festo (circa 59/60 d.C.) ed ebbe luogo un secondo processo contro Paolo da parte dei capi dei Giudei. Anche in questo caso il governatore mostrò incertezza, non pronunciandosi né per una condanna né per la scarcerazione e Paolo si appellò al giudizio dell'imperatore, suo diritto in quanto cittadino romano, al quale Festo dovette acconsentire (verosimilmente con sollievo): «Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai» (At25,12[192]). Tale narrazione degli Atti deve essere valutata in chiave teologica e non storica, in quanto l'appello a Cesare "e il suo seguito nell'intervento del re Agrippa II, sono probabilmente [un] prodotto di Luca": "molti dati non sono storicamente plausibili, ma sono frutto di una massiccia attività redazionale: l'assenza di una sentenza del governatore, la sua visibile disponibilità ad abdicare alla sua competenza giudiziaria nonostante la presenza di un crimine contro Cesare tra le accuse (v. 8), la strana faccenda della competenza territoriale (v. 9)" e, inoltre, "guidare una sommossa (24,11-12) era classificato come un crimen lesae maiestatis contro la persona dell'imperatore; per cui non era pensabile che un governatore rimandasse il caso ad un tribunale giudaico. [...] Luca chiaramente pensa ad un giudizio del sinedrio con la supervisione di Festo, come in 22,30-23,10. Ma una simile proposta non è assolutamente realistica, come non lo è la scena"[193].
Dopo un tempo indeterminato ("diversi giorni") giunse a Cesarea il re Agrippa con sua sorella e amante Berenice, discendente di Erode e sovrano di un limitato territorio nel nord dell'attuale Giordania e chiese di poter ascoltare Paolo. Al termine del suo lungo racconto, nel quale narrò nuovamente la sua chiamata da parte di Gesù risorto, sia il re che il governatore sembrarono convinti della sua innocenza (At26,30-32[194]).
Verso l'autunno Paolo si imbarcò per Roma con altri prigionieri (e con Luca?), sotto la custodia di un certo Giulio.[195] Anche in questo viaggio Paolo sembra godere di una discreta libertà e indulgenza (v. p.es. At 27,3;27,43[196]), come era stato trattato in precedenza dalle varie autorità romane. Le tappe del viaggio furono Sidone, la costa nord di Cipro, Myra di Licia, Buoni Porti e Lasea a Creta. Al largo di Creta la sua nave, un ponto,[197] incappò in una tempesta e andò alla deriva per 14 giorni, durante i quali Paolo sembra essere stato la guida carismatica di passeggeri, marinai e soldati. Approdarono infine a Malta. Nell'isola è conservato il ricordo toponomastico del luogo dello sbarco nella Baia di San Paolo.
Anche in merito a questi resoconti degli Atti, la storicità appare secondaria rispetto all'aspetto teologico e il "Nuovo Grande Commentario Biblico" rileva che "gli esegeti non sono d'accordo sulla matrice del racconto: per alcuni si trattava di una narrazione nautica preesistente rilevata da Luca con inserzioni che delineano la figura del suo eroe; per altri il racconto registra le effettive memorie di un compagno di Paolo, forse Aristarco (v.2), la cui voce Luca trasmette nel «noi»" e in tale resoconto appare "improbabile il ruolo di Paolo come consigliere dell'equipaggio e capo dei compagni di viaggio quando, come prigioniero, doveva starsene sotto coperta in catene!", inoltre "una sorprendente profusione di termini tecnici relativi alla navigazione nella descrizione delle disavventure del viaggio indica la sua origine nella letteratura piuttosto che nell'esperienza"[Nota 16].
Secondo il resoconto degli Atti, a Malta Paolo compì numerosi miracoli (At 28,1-10[198]). Dopo tre mesi, finita la brutta stagione, il viaggio per mare verso Roma riprese passando per Siracusa,[199] Reggio Calabria,[200][201] Pozzuoli, Terracina (in questa città Paolo avrebbe soggiornato nella casa del diacono Cesario per sette giorni[202]) e quindi a piedi per il Foro di Appio e le Tre Taverne. A Roma la tradizione conserva il ricordo del luogo dove avrebbe dimorato Paolo agli arresti domiciliari per (almeno) due anni (At 28,30[203]), nel quale è stata poi costruita la Chiesa di San Paolo alla Regola.
Il dettagliato resoconto degli Atti degli Apostoli termina con l'arrivo di Paolo a Roma, dove rimase almeno due anni (At28,30[204]). Quello che successe dalla fine di questi due anni (circa 62/63) alla morte di Paolo (tra il 64-67, vedi dopo) non è noto con certezza e dipende in particolare dal riconoscimento o meno dell'autenticità delle lettere pastorali, Prima e Seconda lettera a Timoteo e Lettera a Tito. Gli scenari possibili sono quattro, e tutti si basano sulla scarcerazione di Paolo dalla prigionia, particolare storicamente verosimile: secondo Atti, tutte le autorità incontrate da Paolo si mostrarono ben disposte verso di lui e non trovarono nel suo comportamento motivi che potessero portare a una condanna.[205].
Secondo la tradizione cristiana Paolo morì durante la persecuzione di Nerone, decapitato (pena di morte dignitosa riservata ai cittadini romani) presso le Aquæ Salviæ, poco a sud di Roma, probabilmente nell'anno 67 d.C.
Sempre secondo la stessa tradizione secolare, morì lo stesso anno e lo stesso giorno di Pietro apostolo[206] che, invece non essendo cittadino romano, venne fatto crocifiggere durante le persecuzioni dell'imperatore Nerone.
Entrambi sono venerati come martiri: secondo le norme e la consuetudine della Chiesa Cattolica e della Chiesa Ortodossa, nel giorno in cui la tradizione ha datato la morte dei due santi.
Paolo era detto l'Apostolo delle Genti[206], mentre Pietro era detto il principe degli Apostoli[Nota 17][207][208], perché, secondo la dottrina cattolica, Gesù gli affidò il primato sugli Apostoli e quindi su tutta la Chiesa.[senza fonte].
Dalle lettere di Paolo così dagli Atti degli Apostoli, scritti attorno all'80 (che terminano la narrazione con l'arrivo a Roma e con la prima blanda prigionia, una sorta di "custodia cautelare", in attesa di comparire "di fronte a Cesare") si possono ricavare informazioni utili per collocare dal punto di vista cronologico la vita di Paolo, ma, ovviamente, non per chiarire le circostanze della morte dell'apostolo.
La già citata Lettera ai Corinzi di Clemente romano (fine I secolo) accenna a un martirio di Paolo "sotto i prefetti", ma non esplicita il nome dei prefetti né luogo, data, motivo e modalità del martirio.[209]
Tertulliano (fine II secolo) riporta che a Roma "vinse la sua corona morendo come Giovanni" (Battista, cioè decapitato).[210]
L'apocrifo Martirio di San Paolo apostolo (tr. it.), facente parte degli Atti di Paolo (fine II secolo), descrive dettagliatamente la morte di Paolo per esplicito volere di Nerone. Come per gli altri apocrifi il testo viene giudicato leggendario dagli storici contemporanei.
«In piedi, rivolto verso Oriente, Paolo pregò a lungo. Dopo aver protratta la preghiera intrattenendosi in ebraico con i padri, tese il collo senza proferire parola. Quando il carnefice gli spiccò la testa, sugli abiti del soldato sprizzò del latte. Il soldato e tutti i presenti, a questa vista, rimasero stupiti e glorificarono Dio che aveva concesso a Paolo tanta gloria; e al ritorno annunziarono a Cesare [i.e. Nerone] quanto era accaduto. Anch'egli ne rimase stupito e imbarazzato»
Eusebio attorno al 325 riporta che fu decapitato a Roma sotto Nerone (regno 54-68, che va verosimilmente ristretto al periodo 64-68 seguente al grande incendio di Roma e alla persecuzione anticristiana connessa) e citando la perduta Lettera ai Romani di Dionigi di Corinto (fine II secolo) colloca il martirio di Pietro e Paolo nello stesso giorno, senza però specificarlo.[211]
Girolamo verso fine IV secolo precisa che fu decapitato a Roma e fu sepolto lungo la via Ostiense nel 14º anno di Nerone (67),[212] due anni dopo la morte di Seneca.[213]
Importante, per la sua antichità, è anche la testimonianza del presbitero Gaio, ecclesiastico vissuto al tempo di papa Zefirino (199-217). In un suo scritto contro Proclo, capo della setta dei Montanisti (Catafrigi), parla dei luoghi ove furono deposte le sacre spoglie dei detti Apostoli (Pietro e Paolo) dicendo: «Io posso mostrarti i trofei degli Apostoli. Se vorrai recarti al Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei dei fondatori di questa Chiesa». (Historia Ecclesiastica, 11, 25; P.L. 20, 207-210)
L'apocrifo Atti di Pietro e Paolo (dopo il IV secolo, en) riferisce che la decapitazione di Paolo avvenne presso la via Ostiense lo stesso giorno della morte di Pietro, precisando la data del martirio al 29 giugno. La Storia di Perpetua,[214] aggiunta contenuta in alcuni manoscritti greci, precisa che il luogo della decapitazione era chiamato Aquæ Salviæ ed era situato "vicino al pino". La data deriva probabilmente dal fatto che il 29 giugno 258, sotto l'imperatore Valeriano (253-260), le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano e solo quasi un secolo dopo papa Silvestro I (314-335) fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura. In questa data la tradizione cattolica celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo.
Nel luogo dove secondo la tradizione avvenne il martirio, le Aquæ Salviæ, in seguito fu edificata l'abbazia delle Tre Fontane, mentre sul luogo del sepolcro è stata costruita la basilica di San Paolo fuori le mura. Per secoli il sepolcro era rimasto nascosto sotto al pavimento della basilica. Lavori archeologici svolti tra il 2002 e il 2006 sotto la guida di Giorgio Filippi lo hanno riportato alla luce.[215]
Il 29 giugno 2009, nella cerimonia ecumenica conclusiva dell'Anno Paolino (ovvero il Bimillenario della nascita di San Paolo apostolo, «dagli storici collocata tra il 7 e il 10 d.C.»[216]) papa Benedetto XVI ha annunciato i risultati della prima ricognizione canonica effettuata all'interno del sarcofago di San Paolo.[217] In particolare, il sommo pontefice ha riferito che «nel sarcofago, che non è mai stato aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato di oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani di incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree». Il papa ha poi proseguito affermando che i «piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all'esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo». «Ciò - ha concluso - sembra confermare l'unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell'apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione».
Come per altri personaggi del Nuovo Testamento la devozione cristiana ha elaborato numerose leggende e testi apocrifi relativi alla figura di Paolo.
« Vi ho trasmesso innanzitutto quello che io stesso ho ricevuto: Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto, risorse il terzo giorno secondo le scritture, apparve a Cefa, poi ai dodici. » ( Prima lettera ai Corinzi 15, 3 – 5, su laparola.net.) |
Le tredici lettere tradizionalmente attribuite a Paolo e tramandate nel Nuovo Testamento sono scritte in greco. Tradizionalmente sono considerate redatte tra gli anni Cinquanta e Sessanta del I secolo, durante il suo ministero itinerante e la prigionia a Cesarea e/o Roma.
In epoca contemporanea, con lo svilupparsi del metodo storico-critico, sono stati sollevati dubbi circa l'autenticità di alcune di queste lettere:[222]
I dubbi sono dettati principalmente da motivi di ordine filologico: per alcune lettere, il vocabolario, lo stile narrativo e gli argomenti trattati sono diversi da quelli delle lettere considerate sicuramente autentiche. Tale diversità può comunque essere ricondotta a diversi periodi storici (anni 50 contro anni sessanta), diverso atteggiamento di Paolo (energico e combattivo nelle prime lettere, stanco e affaticato nelle lettere pastorali), diverso contesto dei destinatari (sistematizzazione della dottrina cristiana nelle prime lettere, attenzione alla comunità e ai ruoli nelle lettere successive).
Tali spiegazioni non sono condivise da altri studiosi, anche cristiani, che evidenziano, ad esempio per le lettere pastorali, come «alcuni ipotizzano che i cambiamenti siano da attribuire all'età avanzata di Paolo e alle sofferenze della prigionia. Tuttavia, secondo i consueti calcoli fatti dai difensori dell'autenticità, queste lettere dovrebbero essere state composte non più di cinque anni dopo Rm [Lettera ai Romani]. Questo rende difficile spiegare tutte le divergenze, in special modo i mutamenti sintattici e grammaticali, sulla base di fattori psicologici determinanti» e, relativamente invece all'ipotesi della composizione da parte di un segretario incaricato da Paolo, tali studiosi evidenziano che «però, quando Paolo si è effettivamente servito di un segretario (vedi Rm16,22; 1Cor16,21; Gal6,11-18), il suo stile tipico è rimasto inalterato. Se è stato un segretario a comporre le lettere pastorali (ma non vi sono elementi interni che rinviino a tale persona), a quell'individuo Paolo deve aver concesso una libertà insolita. Inoltre, Paolo avrebbe dovuto servirsi del medesimo segretario sia in Asia che a Roma per tutto il tempo necessario alla composizione delle pastorali perché le tre lettere possiedono una coerenza stilistica notevole. La teoria del segretario, che tutt'al più è un'ipotesi improbabile, finisce in ogni caso con l'essere molto simile a quella della pseudonimia»[Nota 18]; anche riguardo alla Lettera agli Efesini, il Nuovo Grande Commentario Biblico sottolinea che «l'ipotesi secondo cui le molte differenze nello stile e nella teologia riflettano lo sviluppo del pensiero di Paolo negli anni più maturi della sua esistenza, pone dei problemi: essa non rende ragione del tempo in cui una tale evoluzione avrebbe dovuto aver luogo e non considera il fatto che la lettera sembra rivolgersi al passato, verso una precedente e venerata generazione di apostoli (tra cui anche Paolo) e profeti, i quali avevano gettato le fondamenta della famiglia di Dio che sarebbe vissuta nel periodo post-paolino (2,20; 3,2-11; 4,11-14)».[223]
Paolo rappresenta, dal punto di vista cronologico e anche per importanza rivestita nella tradizione successiva, il primo teologo cristiano.
Gli Ebioniti, la cui visione del Cristianesimo teneva in grande considerazione la Legge ebraica, ritenevano Paolo originario di Tarso ma di etnia e religione greca e non ebraica. Secondo quanto raccontato da Epifanio di Salamina, eresiologo del IV secolo, gli Ebioniti ritenevano che Paolo, giunto a Gerusalemme, si fosse innamorato della figlia del Sommo Sacerdote e si fosse convertito all'Ebraismo per poterla sposare. Rifiutato, si accostò al neonato movimento cristiano e iniziò a predicare e scrivere contro la circoncisione e la legge ebraica.[224] Gli Ebioniti non consideravano Paolo come apostolo e dicevano che egli era un apostata della Legge.[225]
Lo studioso ebreo britannico Hyam Maccoby (1924-2004) in alcune sue opere[226] ha in parte ripreso la concezione di Paolo che era propria degli Ebioniti. Secondo la sua ricostruzione, Paolo non era ebreo ma un gentile, cresciuto in un ambiente influenzato dalle religioni popolari misteriche ellenistiche centrate nella morte e nella resurrezione di divinità salvatrici. Successivamente si convertì al Giudaismo con la speranza di diventare un rabbino fariseo. Paolo trovò poi lavoro a Gerusalemme come un ufficiale di polizia del sommo sacerdote. Questo incarico lo condusse a un conflitto con se stesso, che si manifestò mentre viaggiava verso Damasco per svolgere una missione. Decise di aderire al Cristianesimo. Riuscì a elaborare una religione completamente nuova centrata nella passione e morte di Gesù come un sacrificio mistico, nella quale confluirono elementi delle religioni misteriche elleniste e del Giudaismo.
Nella sua personale elaborazione Paolo avrebbe ideato molti dei concetti chiave del Cristianesimo ripresi poi sia dai vangeli che dai successivi testi cristiani neotestamentari. In tale ottica, il vero fondatore del Cristianesimo sarebbe Paolo, non Gesù. Anche gli scritti dello stesso Paolo, secondo Maccoby, sarebbero stati successivamente alterati.
L. Michael White, direttore del programma di studi religiosi presso l'Università del Texas a Austin[227] sottolinea degli scritti paolini la componente escatologica (discorso sulle "cose ultime" della storia terrena, 1Ts1,10;4,13;5,1-11;5,23[228]) e apocalittica (la rivelazione di persone, situazioni o eventi ultraterreni, Gal1,15-16;2,1-2; 2Cor12,1-5[229]). L'autore evidenzia la forte attesa messianico-apocalittica presente in parte del giudaismo dell'epoca, testimoniata dal Libro di Daniele e dalle numerose apocalissi apocrife ebraiche redatte attorno all'inizio dell'era cristiana e anche dal tema dell'imminenza dell'Regno presente nella predicazione di Gesù.
In questo contesto storico, Paolo era un pio giudeo che riteneva imminente un'apocalisse con la conseguente fine del mondo e l'istituzione del Regno di Dio. Secondo l'autore quindi la predicazione di Paolo non fu particolarmente innovativa.
«Paolo non fu il primo cristiano. Infatti, Paolo non usa mai il termine "cristiano". Anzi, si dichiara chiaramente come un pio giudeo chiamato da Dio, attraverso Gesù, alla missione di portare il suo messaggio ai non ebrei. Quindi la visione di sé di Paolo rimane sempre ebraica, anche quando discute con Pietro, Giacomo (il fratello di Gesù), o altri più fedeli giudei tra i seguaci di Gesù. Paolo, quindi, deve essere visto come parte di quella diversità presente tra questi seguaci che diede vitalità e aprì nuovi orizzonti al movimento»
Tre giorni nel calendario dei santi sono dedicati a san Paolo:
Per ricordare la figura di Paolo di Tarso, papa Benedetto XVI ha indetto l'Anno Paolino nel bimillenario di quello che è considerato, simbolicamente e con una certa arbitrarietà, l'anno di nascita del santo.[230] L'Anno Paolino è iniziato il 28 giugno 2008 e si è concluso il 29 giugno 2009.
Il mondo ortodosso ha riservato a Paolo attenzione non minore di quello cattolico, anche perché esiste una ricca letteratura dei padri greci su di lui. Un esempio lo abbiamo in San Basilio (330 circa - 379), che in una lettera dice:
«Io suppongo pertanto che Paolo, il vaso di elezione, abbia pensato che non fosse sufficiente soltanto proclamare Dio il Padre, Dio il Figlio e Dio lo Spirito Santo, cosa che ha mostrato per mezzo dell'espressione «un solo Dio», se non mostrava anche, con l'aggiunta della parola «Padre», colui dal quale vengono tutte le cose, e se non indicava, con la menzione del Cristo, il Verbo per mezzo del quale tutte le cose esistono; e ancora, se non faceva conoscere l'incarnazione facendo appello a Gesù Cristo e se non metteva sotto gli occhi la passione e non rivelava la resurrezione.»
Fra le varie confessioni protestanti ed evangeliche la figura di Paolo è vista come personaggio fondamentale della storia del Cristianesimo. Le chiese che hanno un calendario liturgico come quella anglicana o luterana hanno festività dedicate a San Paolo derivate dal calendario cattolico latino. Le chiese evangeliche (Pentecostali, Battisti Riformati, ecc.)" non hanno "tali festività.
Numerosi sono i luoghi di culto dedicati a San Paolo (vedi parziale elenco). Tra questi i più noti:
Paolo è stato una figura particolarmente ricorrente nell'arte cristiana. È stato raffigurato in affreschi, dipinti, mosaici, miniature, icone, statue, bassorilievi, vetrate.[231] In epoca moderna gli sono riferiti romanzi, melodie, film e musical.
Paolo è stato tradizionalmente raffigurato secondo gli elementi presenti nella descrizione dell'apocrifo Atti di Paolo e Tecla (v. sopra). Tuttavia questa descrizione viene attualmente considerata come non storica ma influenzata da diversi stereotipi culturali dell'epoca.[232] Anzianità, barba e calvizie erano associati all'archetipo classico del filosofo. La barba inoltre era una caratteristica fisica costante degli Ebrei, ai quali era associato anche il naso sporgente. L'essere calvo può derivare anche dall'indicazione di At18,18[233], nel testo però riferito al voto di Nazireato. La bassa statura può derivare da 1Cor10,10;15,9[234], oltre che dal nome Paolo. I particolari esteticamente non positivi (gambe arcuate e sopracciglia congiunte) erano attribuiti al filosofo Socrate.
L'attributo più ricorrente nell'antichità era il rotolo o libro nella mano, per indicare le sue lettere. Dal XIII secolo compare come attributo iconografico la spada che richiama sia il suo passato di persecutore che il martirio per decapitazione.
Nelle opere relative alla conversione, soprattutto pittoriche, viene tradizionalmente rappresentato con il cavallo dal quale sarebbe caduto, ma il particolare non è esplicitamente menzionato nei tre racconti degli Atti.
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