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partito politico italiano (1947-1998) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), spesso abbreviato in Partito Socialdemocratico Italiano, è stato un partito politico italiano di ispirazione socialdemocratica. Fu fondato l'11 gennaio 1947 con la denominazione, in rievocazione dell'antecedente esperienza prefascista, di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, in seguito alla scissione di Palazzo Barberini dal Partito Socialista Italiano della corrente di Giuseppe Saragat. La denominazione mutò in PSDI nel 1952.
Partito Socialista Democratico Italiano | |
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Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (1947-1951) Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (1951-1952) Partito Socialista Unitario (1969-1971)[1] | |
Simbolo storico in uso tra il 1948 e il 1983 | |
Leader | Giuseppe Saragat Gianmatteo Matteotti Mauro Ferri Pietro Longo Antonio Cariglia Carlo Vizzini |
Segretario | vedi sezione |
Stato | Italia |
Sede | Largo Toniolo, 16 - Roma (storica) Via Sistina, 121 - Roma (attuale) |
Abbreviazione | PSDI |
Fondazione | 11 gennaio 1947 Rifondazione: 9 gennaio 2004 |
Derivato da | Partito Socialista Italiano |
Dissoluzione | 10 maggio 1998 |
Confluito in | Socialisti Democratici Italiani |
Ideologia | Socialdemocrazia Riformismo[2] Europeismo |
Collocazione | Centro-sinistra[3][4] |
Coalizione | L'Unione (2006-2008) |
Partito europeo | Partito del Socialismo Europeo (fino al 1994) |
Gruppo parl. europeo | Gruppo socialista (fino al 1994) |
Affiliazione internazionale | Internazionale Socialista |
Seggi massimi Camera | 33 / 574 (1948)
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Seggi massimi Senato | 14 / 315 (1963)
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Seggi massimi Europarlamento | 4 / 81 (1979)
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Seggi massimi Consigli regionali | 41 / 690 (1970)
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Testata | |
Organizzazione giovanile | Gioventù Socialista Democratica Italiana (GSDI) |
Colori | Rosso |
Sito web | psdi.it |
Entrato in una lunga fase di agonia dopo lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli fra il 1992 e il 1994, scomparve nel 1998 per aderire ai Socialisti Democratici Italiani. Nel 2004 il PSDI fu rifondato con nome e simbolo identici, in continuità giuridica con l'esperienza precedente, senza tuttavia riottenere una significativa consistenza politica.
Fondato l'11 gennaio 1947 come «Partito Socialista dei Lavoratori Italiani» (PSLI), il nuovo soggetto politico assume il nome di «Partito Socialista (Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista)» (PS(SIIS)) il 1º maggio 1951, dopo la fusione col Partito Socialista Unitario (PSU).
Il PSU, a sua volta, si era costituito il 7 dicembre 1949 riunendo varie formazioni dell'area riformista, nella specie l'Unione dei Socialisti di Ivan Matteo Lombardo e Ignazio Silone, il Movimento Socialista Autonomista di Giuseppe Romita e una componente di sinistra fuoriuscita dallo stesso PSLI. L'Unione dei Socialisti, peraltro, aveva avviato un percorso federativo col PSLI già in occasione delle politiche del 1948, quando entrambi i partiti avevano concorso sotto il cartello Unità Socialista.
Alle elezioni amministrative del 1951, il PSLI, ove non concorre insieme al PSU, si presenta talvolta con la denominazione di «Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani».
Il 7 gennaio 1952 il PS(SIIS) viene ribattezzato «Partito Socialista Democratico Italiano» (PSDI).
Il 30 ottobre 1966 dalla confederazione fra PSDI e Partito Socialista Italiano nasce il «PSI-PSDI Unificati».
Il 5 luglio 1969 l'ala destra del PSI-PSDI Unificati si scinde per fondare il «Partito Socialista Unitario» (PSU).
Il 6 febbraio 1971 il PSU riprende il nome Partito Socialista Democratico Italiano.
Fin dagli inizi del Novecento, quando il Partito Socialista Italiano cominciò a divenire un'importante e consistente formazione politica, al suo interno cominciarono a delinearsi due distinte correnti, una più estremista, rivoluzionaria e massimalista, e all'opposto un'altra più moderata, parlamentarista e riformista.
Le due fazioni si alternarono più volte alla guida del partito, finché nel 1912 si giunse al punto di rottura sul tema dell'atteggiamento verso la Guerra italo-turca, dagli uni vista come un esempio di aggressione imperialista, e dagli altri come un'occasione per procurare nuove terre ed occasioni d'impiego per i contadini e i lavoratori in generale: i pacifisti prevalsero, e fu così che il gruppo facente capo a Leonida Bissolati e a Ivanoe Bonomi fu espulso e costituì il Partito Socialista Riformista Italiano, dando vita alla prima esperienza socialdemocratica in Italia, le cui fortune non superarono però la prima guerra mondiale, anche se durante il conflitto il nuovo partito fu cooptato in varie compagini governative.
La seconda crisi all'interno del movimento socialista italiano avvenne nel quadro delle forti tensioni del Primo dopoguerra, quando in Italia si profilava sempre più forte la minaccia fascista.
Il PSI, nonostante avesse perso nel 1921 la sua ala di sinistra che aveva creato il Partito Comunista d'Italia, non seppe trovare al suo interno l'unità e la compattezza necessarie nell'affrontare l'ondata nera che calava sul paese. La frangia più moderata guidata da Giacomo Matteotti e Filippo Turati sosteneva la creazione di un'alleanza governativa con i moderati, a cominciare da Giovanni Giolitti, che sapesse ergersi a freno rispetto all'estrema destra, ma tale intendimento non fu accettato dalla dirigenza massimalista che il 1º ottobre 1922, appena pochi giorni prima della marcia fascista su Roma, espulse i dissidenti, i quali andarono a formare il Partito Socialista Unitario.
Il nuovo soggetto politico seppe invero raccogliere il maggior consenso nello schieramento progressista, seppur nel difficilissimo quadro delle sempre maggiori violenze fasciste, e nelle controverse elezioni politiche del 1924 riuscì a porsi come il primo partito della Sinistra, davanti sia al PSI che al PCdI, grazie anche al grande attivismo del suo giovane segretario, Giacomo Matteotti, poi rapito e assassinato dall'OVRA il 10 giugno 1924.
Sciolto come tutti i partiti democratici in seguito all'instaurazione della dittatura nel 1926, il 29 novembre dello stesso anno il PSU venne ricostituito in clandestinità da un triumvirato, composto da Claudio Treves, Giuseppe Saragat e Carlo Rosselli, con il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), riprendendo il nome deciso dal 2º Congresso socialista di Reggio Emilia nel 1893[6]. Di lì a poco, peraltro, Treves espatriò in Svizzera, Saragat a Vienna e Rosselli fu recluso al confino.
Il 12 dicembre 1926 Rosselli e Ferruccio Parri organizzarono la fuga in Corsica del leader storico del socialismo italiano Filippo Turati, assieme al giovane Sandro Pertini. Turati si rifugiò poi a Parigi, dove venne raggiunto da Treves e Saragat, e insieme ricostituirono il PSLI, che nel 1927 il partito assunse la denominazione di Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani (PSULI).
Il PSULI partecipò assieme al PSI al primo "Comitato d'attività antifascista" e, poi, alla Concentrazione d'azione antifascista costituitasi il 28 marzo 1928.
Il 19 luglio 1930, in occasione del XX Congresso del PSI, tenutosi in esilio a Parigi, il PSULI si unificò con la componente del PSI che faceva capo a Pietro Nenni, dando vita al Partito Socialista Italiano, Sezione dell'I.O.S. - Internazionale Operaia Socialista, con organo di stampa il Nuovo Avanti!.
Il 22 agosto 1943 a Roma il PSI, rappresentato dai futuri presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, dal giurista Giuliano Vassalli, dallo scrittore Ignazio Silone e dal futuro ministro della Giustizia Giuseppe Romita, si fonde col Movimento di Unità Proletaria dell'avvocato Lelio Basso e di Carlo Andreoni. Nasce così il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e, a diventare segretario del partito è il romagnolo Pietro Nenni.
Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano, con una politica di unità d'azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica, osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, è in buona parte legata alla preoccupazione che divisioni interne alla classe operaia possano favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo.
Conclusasi la seconda guerra mondiale, in Italia si reintrodussero istituzioni democratiche.
Nelle elezioni politiche del 2 giugno 1946 per l'Assemblea Costituente il PSIUP conseguì un grande risultato: con il 20,68% dei voti e 115 deputati su 556 fu il secondo partito della Repubblica dopo la Democrazia Cristiana (al 35,21 % dei voti, con 207 deputati) e il primo partito della sinistra, prima del PCI (al 18,93 % dei voti, con 104 deputati). Forte di questo risultato, senza considerare la scarsa presenza del PSIUP nel territorio, fra i giovani e nelle grandi aree urbane, Nenni insistette nella sua politica di stretta alleanza politica coi comunisti.
Il XXIV Congresso socialista, celebrato a Firenze dall'11 al 17 aprile 1946, vide accendersi lo scontro fra la maggioranza allora guidata da Pietro Nenni e la minoranza di Giuseppe Saragat, che comprendeva i simpatizzanti di Critica sociale di Ugo Guido Mondolfo e di Iniziativa socialista di Mario Zagari che sostenevano una linea politica più autonoma del PSIUP rispetto al PCI.
La linea politica di Nenni, che riteneva indispensabile l'attiva collaborazione col PCI venne confermata da un nuovo patto di unità d'azione PCI - PSIUP stretto il 25 ottobre 1946.
Il gruppo di Saragat trovò diretta conferma alle proprie tesi dai risultati delle elezioni amministrative del 10 novembre dello stesso anno. In quell'occasione il Partito Comunista superò per la prima volta i socialisti, divenendo la prima forza della sinistra italiana: mentre Nenni, tralasciando la riduzione del numero dei votanti socialisti, sottolineava la crescita elettorale globale della sinistra interpretandola come una vittoria, Saragat in un'intervista sostenne invece che la dirigenza del partito paralizzava l'azione socialista, con l'effetto ultimo che avrebbe portato lo stesso alla dissoluzione[7].
Il XXV congresso socialista, convocato in via straordinaria a Roma dal 9 al 13 gennaio 1947, voluto fortemente da Nenni per analizzare la situazione di attrito tra le componenti di maggioranza e minoranza con l'obiettivo di riunire le diverse posizioni, fallì il suo scopo primario, nonostante gli sforzi di mediazione di Sandro Pertini. "Pertini non si rassegnò e decise di gettarsi a capofitto, com'era nella sua indole, nella baraonda congressuale recandosi personalmente a Palazzo Barberini per un disperato estremo tentativo. Quando arrivò venne accolto da un grido di vittoria, "Sandro, Sandro", coi delegati scissionisti tutti in piedi, convinti che anche Pertini si fosse unito a loro. Ma quando egli volle manifestare il suo proposito unitario, Saragat gli rispose ringraziandolo, ma dichiarando che ormai la scissione era stata consumata. Simonini, invece, aveva parlato alla Città universitaria invitando i seguaci di Nenni e Basso a non rompere i ponti, a "non spezzare le possibilità, se ve ne sono ancora, e lo dico io", proseguì, "che ho l'onestà di dirvi che spiritualmente sono alla sala Borromini anche se fisicamente sono qui". Saragat volle parlare alla Città universitaria e svolse una dura requisitoria contro Nenni e poi con un gruppo di delegati se ne andò raggiungendo gli altri a Palazzo Barberini e annunciando la costituzione del nuovo partito: il PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) dopo che, su proposta di Olindo Vernocchi, il PSIUP tornò a chiamarsi PSI per il timore che gli scissionisti si impadronissero del vecchio nome del partito"[2].
Come disse Nenni, in maniera rassegnata, la scissione fu causata dalla «forza delle cose». Molti anni dopo si scoprì che la scissione venne finanziata da aziende statunitensi o comunque organizzazioni riconducibili agli Stati Uniti[8].
L'11 gennaio 1947 l'ala democratico-riformista guidata da Giuseppe Saragat, al termine di una concitata riunione presso Palazzo Barberini in Roma, uscì dal PSIUP e diede vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), riprendendo il nome deciso dal 2º Congresso socialista di Reggio Emilia nel 1893 e poi adottato negli anni dell'esilio a Parigi.
La scissione costò al PSIUP la trasmigrazione nel nuovo partito di 50 parlamentari socialisti e di una folta schiera di dirigenti e intellettuali, fra cui Paolo Treves, Ludovico D'Aragona, Giuseppe Emanuele Modigliani e Angelica Balabanoff. Il PSIUP guidato da Nenni, per evitare che il nuovo partito di ispirazione socialista fondato da Saragat potesse utilizzarne la denominazione, decise di riprendere il vecchio nome di Partito Socialista Italiano.
Nel mese di dicembre dello stesso anno, socialdemocratici e repubblicani, tramite un rimpasto governativo, entrarono nel IV Governo De Gasperi, varato il 31 maggio 1947 con l'appoggio di una coalizione centrista a guida DC che includeva anche il PLI.
In questo governo Saragat ottenne l'incarico di Vicepresidente del Consiglio dei ministri: il PSI e il PCI, presenti nel precedente governo finirono esclusi, andando all'opposizione per la prima volta dalla costituzione della Repubblica Italiana.
Il 18 aprile del 1948 si tennero le elezioni politiche, decisive per il futuro del Paese. Il PSLI si presentò come forza indipendente "autenticamente socialista e democratica", schierata su un terreno di sinistra riformista e autonomista rispetto alla scena politica italiana, ma aperta anche al contributo di altre forze laico-riformiste di centro e di centrosinistra.
L'apertura del partito ai laico-riformisti, nonché naturalmente a qualunque spezzone socialista e di sinistra che avversasse il PCI e l'Unione Sovietica, ebbe successo e tra gli altri aderì alla proposta anche il gruppo fuoriuscito dal PSI guidato da Ivan Matteo Lombardo e comprendente, tra gli altri, intellettuali quali Ignazio Silone, Piero Calamandrei e Franco Venturi. Tale operazione portò così alla costituzione della lista Unità Socialista, che con il suo 7,1% di voti alla Camera dei deputati e il 4,2% al Senato contribuì ad impedire in Italia la vittoria del "Fronte Popolare" costituito dall'alleanza fra PCI e PSI, mirante alla formazione di un governo delle sinistre in grado di avviare le riforme di struttura.
Il piazzamento del PSLI al terzo posto dopo DC e Fronte Democratico Popolare nei risultati elettorali per la Camera dei deputati, consentì ai socialdemocratici di costituire in Parlamento un gruppo consistente, formato da trentatré deputati, mentre al Senato la situazione fu ancor più rosea, dato che, con il contributo dei senatori aventiniani di diritto provenienti dall'esperienza del PSU, si riuscì a comporre una pattuglia socialdemocratica di ben ventitré membri.
Il 23 maggio 1948 nel conseguente V Governo De Gasperi entrarono a farne parte due ministri socialdemocratici: Saragat come Vicepresidente del Consiglio e Ministro della Marina mercantile e Lombardo al ministero dell'industria.
La vittoria della DC e il buon risultato di Unità Socialista favorì così la collocazione dell'Italia nell'area occidentale e permise la costituzione di governi fondati sull'alleanza dei partiti dai liberali ai riformisti (PLI, DC, PRI e PSLI, poi PSDI). Nell'arco di due anni però, tra il 1948 e il 1950, il PSLI tenne quattro congressi nei quali vi fu una continua uscita di militanti e dirigenti tra cui Giuseppe Faravelli, Ugo Guido Mondolfo, Mario Zagari.
Questi confluiscono, con Giuseppe Romita e altri piccoli gruppi laico-socialisti, nel Partito Socialista Unitario (PSU), che tenne il suo primo congresso nel dicembre 1949. In quel tempo il PSLI contava ufficialmente 80.000 iscritti e il PSU circa 170.000, ma in realtà le continue fuoriuscite nonché le pressioni del PSI, che con l'aiuto del PCI e sotto la direzione di Rodolfo Morandi riorganizzava la sua presenza sociale, ridussero gli iscritti complessivamente al di sotto dei 50.000.
Dopo breve tempo però, nel PSU si fecero sentire le sue simpatie nei confronti del PSLI di Saragat e così al II Congresso del PSU venne trattata la tematica dell'unificazione PSU-PSLI. Su tale proposito si scontrarono due correnti: una guidata da Romita favorevole all'unificazione, la seconda guidata dalla sinistra di Mondolfo e Codignola contrari. Prevalse la prima e il 1º maggio 1951 i due partiti si unificarono dando vita al Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (PS-SIIS). Il simbolo era il classico sole nascente, ma con l'unione del libro dell'Internazionale, ovviamente rosso-arancioni.
Questo nome fu però contestato dalla corrente più a destra, poiché ricordava troppo l'internazionalismo di stampo stalinista: quando l'unificazione venne sancita il 7 gennaio 1952 nel VII Congresso del partito, questo assunse dunque la denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) ed elesse segretario Giuseppe Saragat. Nelle elezioni del 1953 intanto il PSDI scese al 4,5%. Tuttavia l'esistenza del sindacato UIL, a forte carattere socialdemocratico, e l'azione di governo consentirono di portare avanti anche in Italia gli ideali della socialdemocrazia. Il PSDI si identificava nel suo leader indiscusso, nonché fondatore Giuseppe Saragat.
Gli anni del centrismo andarono dal 1948-1960 e la coalizione di governo fu comunque sempre guidata dalla DC, partito di "centro che guarda a sinistra" come disse lo stesso Alcide De Gasperi, ruolo primario ebbe anche il PSDI, mentre PLI e PRI furono penalizzati a causa degli scarsi risultati elettorali. Gli anni del "centrismo" furono segnati dalla ricostruzione e da una maggioranza politicamente forte in cui l'azione politica era accompagnata da una forte ripresa economica e benessere sociale. Gli anni del centrismo furono quelli della ricostruzione, che negli anni sessanta porterà poi al cosiddetto boom economico.
A partire dagli inizi degli anni sessanta, la Democrazia Cristiana (guidata da Amintore Fanfani e Aldo Moro), stava maturando l'apertura verso il Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni, il quale proprio allora stava affrancando il suo partito dal patto di unità d'azione che fino a quel momento aveva unito socialisti e comunisti.
Il Partito Socialista Democratico Italiano dunque (da sempre alleato leale della DC), dopo un iniziale periodo di titubanza, approvò la svolta di centro-sinistra, accelerandone il processo e conducendo un formidabile lavoro di mediazione tra socialisti e democristiani, per mezzo del suo fondatore e leader indiscusso Giuseppe Saragat.
L'apertura ai socialisti causò la fuoriuscita dalla compagine governativa del PLI, ma diede inizio a una forte fase riformatrice nel Paese e migliorò anche la performance elettorale del partito socialdemocratico, che raggiunse il 6% alle elezioni politiche. Allo stesso tempo, l'esperienza governativa nel centro-sinistra facilitò il nuovo incontro tra socialdemocratici e socialisti; così il 30 ottobre 1966, il PSDI si riunificò con il PSI, dando vita al PSI-PSDI Unificati. In contrasto con il progetto unitario, il deputato PSDI Giuseppe De Grazia fondò il movimento Socialdemocrazia[9], poi scomparso dalla vita politica nazionale.
Il 5 luglio 1969 però - a seguito degli scarsi risultati elettorali, ove la lista unificata aveva preso meno voti della somma dei singoli partiti nelle tornate precedenti - nel partito unificato (che nell'ottobre 1968 aveva assunto il nome di PSI) le strade della componente socialista e di quella socialdemocratica si dividono nuovamente: la prima mantenne la sigla PSI, mentre la seconda ricostituì un soggetto socialdemocratico chiamato Partito Socialista Unitario (PSU), che il 10 febbraio 1971 riprese la denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).
Nel frattempo, a metà degli anni settanta, Francesco De Martino mise per la prima volta - dopo oltre un decennio - in discussione la compatibilità politica tra socialisti e democristiani. In questa fase, se da un lato il PSDI rese più forti i suoi legami con la DC, dall'altro incoraggiò la corrente degli "autonomisti" di Bettino Craxi a mettere in discussione la segreteria di De Martino; quando Craxi venne eletto alla segreteria del PSI, ribadì la disponibilità dei socialisti ad entrare in nuovi esecutivi di centro-sinistra e riprese i contatti con i fratelli socialdemocratici del PSDI, chiudendo nuovamente le prospettive politiche dei socialdemocratici.
Il 1964 si apre amaramente per i socialisti a causa di una nuova scissione. L'11 gennaio la corrente di sinistra guidata da Tullio Vecchietti, Lelio Basso e Emilio Lussu, fuoriuscita dal PSI perché contraria alla formazione di un governo di centro-sinistra formato dal PSI e dal PSDI insieme alla DC, fonda il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) riprendendo la denominazione assunta dal PSI negli anni 1943-1947. Il 28 dicembre 1964, dopo le dimissioni anticipate del Presidente della repubblica Antonio Segni (DC), colto il 7 agosto da un ictus cerebrale, una vasta coalizione di parlamentari di sinistra su indicazione di Giorgio Amendola (PCI) e di Ugo La Malfa (PRI) vota Giuseppe Saragat nuovo Capo dello Stato che, con i voti dei Grandi elettori di PCI, PSI, PSDI, PRI e buona parte della DC - che aveva visto “bruciato” il suo candidato ufficiale Giovanni Leone - diviene al 21º scrutinio con 646 preferenze su 927 votanti, il primo socialista a insediarsi al Quirinale.
Colonne portanti della presidenza Saragat furono i valori della Resistenza e la volontà di attivarsi sempre per la costituzione di governi allargati all'intero centro-sinistra. Gli anni del presidente socialdemocratico, anni difficili per via del mutamento sociale in atto, furono caratterizzati dall'inizio del terrorismo, dalle drammatiche alluvioni di Firenze, Venezia e Grosseto del 1966 e dalla aspra contestazione del '68. Nel 1971 il democristiano Giovanni Leone subentrò a Giuseppe Saragat - al quale non sarebbe dispiaciuta la rielezione - nella carica di Presidente della Repubblica. Pochi altri uomini politici, tra i quali è d'obbligo annoverare Palmiro Togliatti e Giovanni Spadolini, seppero coniugare l'azione politica con l'impegno culturale come Saragat[10].
Mario Tanassi, più volte ministro della Difesa, nel 1975 era alla guida del PSDI quando fu travolto, insieme a Mariano Rumor (Dc) e Luigi Gui (Dc), dal primo grande scandalo della politica italiana, lo scandalo Lockheed, venendo posto in stato d'accusa per corruzione dalla Commissione parlamentare inquirente. La Corte Costituzionale nel 1979 condannò Tanassi a 28 mesi di carcere, per tangenti ricevute dalla società americana Lockheed per facilitare la vendita dei grandi aerei da trasporto C-130 all'Aeronautica militare italiana.
A causa dello scandalo P2, Pietro Longo, il cui nome, associato alla tessera numero 926, venne trovato negli elenchi della loggia segreta, fu costretto a dimettersi prima dal suo incarico di governo (13 luglio 1984) e poi dalla guida del PSDI nel 1985.
La fine degli anni ottanta vede il coinvolgimento di due segretari del PSDI, Carlo Vizzini e Franco Nicolazzi, in scandali giudiziari.
L'ex ministro delle Poste Carlo Vizzini, dopo alcuni avvisi di garanzia - che non porteranno però a nessuna condanna - lasciò per diversi anni la scena politica. Contemporaneamente il cosiddetto scandalo delle "carceri d'oro" travolse invece il segretario Franco Nicolazzi, che proprio in quegli anni aveva tentato di caratterizzare la propria segreteria sottraendo il partito socialdemocratico al suo ruolo subalterno rispetto alla Democrazia Cristiana e richiamando, sia pure vagamente, a una posizione alternativa riformista e compiutamente di sinistra.
Durante gli anni successivi, la maggioranza di governo si estese al PLI, rappresentante tradizionale della borghesia moderata e per questo escluso dai precedenti "governi riformatori"; iniziò così la fase del cosiddetto "Pentapartito".
Nel corso degli anni incominciarono però a riscontrarsi nel PSDI i primi dissapori: il 15 febbraio 1989 una "scissione", capeggiata da Pietro Longo e Pier Luigi Romita, portò alla costituzione del movimento di Unità e Democrazia Socialista (UDS), che aveva come obiettivo esplicito facilitare il riavvicinamento tra PSDI e PSI. L'iniziativa si risolse il 13 ottobre 1989 con la confluenza dell'UDS nel Partito Socialista Italiano.
A partire dal 1992 diversi esponenti di primo piano del PSDI furono implicati nelle inchieste giudiziarie di Mani Pulite, che nel volgere di pochi mesi determinò uno smottamento senza precedenti degli equilibri politici nazionali.
L'ex segretario nazionale Pietro Longo venne arrestato il 30 aprile 1992 per aver ricevuto una tangente di un miliardo e mezzo di lire dalla ditta milanese "Icomec" in relazione all'appalto di costruzione della centrale idroelettrica di Edolo, in provincia di Brescia, nel periodo in cui egli ricopriva anche l'incarico di consigliere di amministrazione dell'Enel, e venne successivamente condannato per concussione a quattro anni e sei mesi di reclusione. L'11 giugno 1992 Lamberto Mancini, assessore della Provincia di Roma ed ex Presidente della stessa Provincia, venne sorpreso dai Carabinieri nell'atto di intascare una tangente di 28 milioni di lire, e arrestato in flagranza di reato. Nello stesso anno Antonio Cariglia venne accusato di aver violato le regole del finanziamento pubblico ai partiti: di lui si occuperanno per diversi anni le procure di Foggia, Milano e Roma. Dopo un iter processuale di oltre dieci anni l'ex segretario del PSDI venne infine assolto dall'accusa.
Tra il 1992 e il 1994 il Partito Socialista Democratico Italiano condivise la sorte degli altri partiti della coalizione di governo, vivendo un progressivo tracollo elettorale che portò allo scardinarsi dell'apparato del partito e al moltiplicarsi di fenomeni scissionistici. Nel 1994 viene chiuso il quotidiano L'Umanità, storica pubblicazione del partito.
Alle elezioni politiche del 1994 il PSDI, come la maggior parte dei partiti protagonisti della precedente stagione politica, arrivò praticamente ridotto a brandelli, e scelse di non presentare una propria lista autonoma. Alcuni esponenti di rilievo scelsero di candidarsi a titolo personale sotto diversi simboli. Una parte consistente, comprendente anche il segretario Enrico Ferri[11], diede vita a una lista denominata Socialdemocrazia per le Libertà insieme alla Federazione dei Socialisti (nata da una scissione della parte craxiana e ribelle del PSI). La lista presentò candidati autonomi dagli schieramenti principali in alcuni collegi uninominali[12], principalmente nell'Italia meridionale, e fu presente nella quota proporzionale della Camera, dove ottenne soltanto lo 0,46% dei voti[13]. Altri esponenti (fra i quali Gian Franco Schietroma) aderirono alla coalizione centrista del Patto per l'Italia facendo riferimento all'area riformista di Giuliano Amato. Infine, pochi altri scesero di schierarsi a sinistra con i Progressisti (tra questi venne eletta alla Camera in un collegio della Basilicata Magda Cornacchione Milella).
Alle elezioni europee del 1994 il PSDI si ripresentò col proprio contrassegno[14], mentre la Federazione dei Socialisti si presentò all'interno della lista Solidarietà, presentando come propri candidati Franco Piro e Raffaele Farigu. Il PSDI ottenne lo 0,7% dei voti a livello nazionale e riuscì ad eleggere il segretario Enrico Ferri al Parlamento europeo, mentre la lista Solidarietà ottenne appena lo 0,05%.
Il 10 dicembre 1994, Enrico Ferri fondò con Luigi Preti la corrente di Socialdemocrazia Liberale Europea (SOLE)[15][16][17], favorevole a un'alleanza col centro-destra di Silvio Berlusconi. La scelta fu stigmatizzata dall'Internazionale Socialista e dal Partito del Socialismo Europeo, al quale il PSDI aderiva, che diramarono un comunicato ufficiale. Nel gennaio 1995, il congresso del partito mise in minoranza la corrente di Ferri e Preti ed elesse segretario Gian Franco Schietroma.
La corrente di SOLE abbandonò quindi il PSDI, costituendosi in partito autonomo e schierandosi alle elezioni amministrative del 1995 col Polo delle Libertà (in Lombardia sotto le insegne della lista "Pensionati del Sole"); lo stesso segretario Ferri si candidò alla presidenza della provincia di Massa-Carrara con il centro-destra di Silvio Berlusconi.
Nel 1996 il SOLE strinse una collaborazione privilegiata col Centro Cristiano Democratico. Alle elezioni politiche del 1996 Luigi Preti, in contrasto con Enrico Ferri, preferì una federazione con Forza Italia a quella col CCD. La divergenza di opinioni portò alla nascita il 17 febbraio 1996 del Movimento di Rinascita Socialdemocratica, che si federò con Forza Italia.[18]. Nel 2000 il Partito Socialista avviò un percorso federativo con Rinascita Socialdemocratica e assunse così la denominazione di "Partito Socialista - Socialdemocrazia", confluendo nel 2001 nel Nuovo PSI.
L'8 febbraio 1998 il PSDI cessa la propria attività politica, confluendo - insieme ai Socialisti Italiani e a parte del Partito Socialista e della Federazione Laburista - nel nuovo partito dei Socialisti Democratici Italiani, che poi aderì alla coalizione di centro-sinistra.
Alla fine del 2003, dopo un periodo di oblio dovuto allo sfaldamento dei ranghi nazionali, diversi esponenti socialdemocratici - alcuni dei quali inizialmente confluiti nei Socialisti Democratici Italiani - si riorganizzarono sotto le insegne dello storico Partito Socialista Democratico Italiano e avviarono una campagna di tesseramento. A gennaio 2004 fu celebrato il congresso nazionale (che assunse la denominazione di XXIV congresso nazionale del PSDI, in continuità con la numerazione dei congressi del partito storico). In quella sede Giorgio Carta fu eletto segretario e Antonio Cariglia presidente onorario.
Il 1º maggio 2004, nell'imminenza delle elezioni europee del 2004, la Corte di cassazione sancì la continuità giuridica del nuovo PSDI guidato da Giorgio Carta.
Il partito prese quindi parte alle primarie dell'Unione, sostenendo la candidatura di Romano Prodi a leader della coalizione di centro-sinistra. Alle successive elezioni, la lista del PSDI si presentò al Senato, in dieci regioni raccogliendo lo 0,2% a livello nazionale. Il segretario Carta fu candidato con successo nella lista unitaria dell'Ulivo per la Camera dei deputati nella circoscrizione Basilicata. Dopo le dimissioni di Carta dalla segreteria, a dicembre 2006 la direzione nazionale elesse Renato D'Andria in un'elezione contestata dal vicesegretario Mimmo Magistro, confermata nel congresso di gennaio 2007 ma sospesa cautelativamente dal Tribunale di Roma il successivo 13 aprile.[19] Il 15 giugno D'Andria uscì dal PSDI e fondò il Partito dei Riformatori Democratici[20]. Nell'ottobre 2007 il XXVII Congresso nazionale celebrato a Bellaria elesse quindi alla segreteria Mimmo Magistro e diede a Carta la presidenza del partito.[21]
Dopo la caduta del governo Prodi II, il partito avviò un dialogo con Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro, Rosa per l'Italia e Partito Liberale Italiano per la costituzione di un terzo polo al di fuori del bipolarismo tra Partito Democratico e il Popolo della Libertà[22]. In seguito, però, la Direzione Nazionale del PSDI si sfilò dal progetto, lamentando una gestione personalistica da parte dell'UDC e sfiduciando il presidente socialdemocratico Tomassini, promotore della fusione[23]: i socialdemocratici, dunque, nella tornata elettorale del 2009 decisero di non partecipare alle elezioni, e invitarono i propri elettori a votare scheda bianca o a scrivere "Saragat" sulla scheda come forma di protesta[24][25].
Nel 2011 il Tribunale di Roma si pronunciò sull'elezione alla segreteria del 2006 e stabilì la legittimità della convocazione della Direzione Nazionale e, conseguentemente, dell'elezione di D'Andria a segretario: il PSDI, nuovamente guidato da D'Andria, assunse quindi una posizione autonomista, alternativa sia ai due poli di centro-sinistra e centro-destra sia al polo centrista a guida UdC; la componente facente capo a Magistro decise invece di lasciare il partito, fondando il movimento "I Socialdemocratici - Federalisti per l'Euromediterraneo".[26][27]
Nel gennaio 2013 il PSDI depositò il proprio simbolo per le elezioni politiche con l'intenzione di presentare una lista al Senato in Campania, Lazio, Lombardia e Sicilia, ricercando un'alleanza con il Popolo della Libertà. A seguito del fallimento di tale progetto, il partito decise di non presentarsi[28][29][30].
In occasione delle elezioni politiche del 2018 il PSDI depositò il proprio simbolo al Viminale, salvo poi non presentare una lista e limitandosi a fare campagna elettorale per il centro-destra e Forza Italia[31][32].
Il silenzio dei vertici del partito, durato mesi, è stato rotto il 14 maggio 2020 quando presso la sede romana si è riunita la direzione nazionale. Il documento prodotto dall'incontro degli esponenti pone il partito come critico verso il Governo Conte II e propone un rilancio di alcune sedi locali[33].
Nel 2022 D'Andria presenta le proprie dimissioni dalla carica di segretario: al suo posto il 12 maggio è eletto Carlo Vizzini, più volte ministro e già segretario del partito tra il 1992 e il 1993[34]. Nel dicembre 2023, a seguito delle dimissioni di Vizzini, viene eletto segretario Paolo Preti.[35][36] In vista delle elezioni europee del 2024 il PSDI sostiene i candidati dell'Associazione Socialista Liberale nella lista di Azione - Siamo Europei.[37]
Già dal 1989 erano iniziate in seno al PSDI i primi fenomeni di scissione e le prime fratture, ma tale fenomeno divenne insostenibile a partire dal 1993. Da allora infatti il PSDI non fu più presente unitariamente su tutto il territorio nazionale e ciò favorì l'adesione di singoli dirigenti del partito, o di interi gruppi, alle nuove formazioni politiche che si identificavano, almeno in parte, con la cultura politica centrista moderata o laico-riformista. In particolare:
Qui sono elencati gli iscritti al PSDI[42]:
La prima tessera del partito nel 1947 utilizzò come simbolo le Tre frecce, seppur ancora sormontate dalla falce e martello.[43] Tale iconografia, molto diffusa all’epoca nella socialdemocrazia europea, fu tuttavia subito motivo di ulteriore grave contrasto coi vecchi compagni socialisti, già spaventati sulla questione del nome dei due partiti: le Tre frecce erano infatti in quel periodo il simbolo del più prestigioso e influente partito dell’Internazionale socialista, la SFIO, e tale correlazione non fece che gettare ulteriore benzina sul fuoco dei timori del partito di Nenni che il PSLI volesse porsi come il legittimo rappresentante della storia socialista in Italia. Per stemperare le tensioni della sinistra quindi, pur mantenendo internamente ancora le Tre frecce,[44] nel presentarsi al grande pubblico degli elettori la lista comune di Unità Socialista utilizzò il simbolo prefascista del Partito Socialista Unitario, il "Sol dell’avvenire" nascente dai flutti del mare.[45][46] Visto il discreto risultato in termini di consenso, il simbolo del PSDI fu poi sempre il sol dell'avvenire, sormontato dalla scritta SOCIALISMO.[47] Solo dal 1983 il simbolo fu leggermente modificato: il disco solare fu rimpicciolito e al suo interno comparve l'acronimo PSDI; in un secondo momento al di sopra dei raggi la scritta mutò in SOCIALDEMOCRAZIA.
Elezione | Voti | % | Seggi | |
---|---|---|---|---|
Politiche 1948 a | Camera | 1.858.116 | 7,07 | 33 / 574 |
Senato b | 943.219 | 4,16 | 10 / 237 | |
Politiche 1953 | Camera | 1.222.957 | 4,51 | 14 / 590 |
Senato | 1.046.301 | 4,31 | 4 / 237 | |
Politiche 1958 | Camera | 1.345.447 | 4,55 | 22 / 596 |
Senato | 1.136.803 | 4,35 | 5 / 246 | |
Politiche 1963 | Camera | 1.876.271 | 6,10 | 33 / 630 |
Senato | 1.743.837 | 6,35 | 14 / 315 | |
Politiche 1968 c | Camera | 4.605.832 | 14,4 | 29 / 630 |
Senato | 4.355.506 | 15,2 | 10 / 315 | |
Politiche 1972 | Camera | 1.718.142 | 5,14 | 29 / 630 |
Senato | 1.614.273 | 5,36 | 11 / 315 | |
Politiche 1976 | Camera | 1.239.492 | 3,38 | 15 / 630 |
Senato | 974.940 | 3,10 | 7 / 315 | |
Politiche 1979 | Camera | 1.407.535 | 3,84 | 20 / 630 |
Senato | 1.320.729 | 4,22 | 9 / 315 | |
Europee 1979 | 1.514.272 | 4,32 | 4 / 81 | |
Politiche 1983 | Camera | 1.508.234 | 4,09 | 23 / 630 |
Senato | 1.184.936 | 3,81 | 8 / 315 | |
Europee 1984 | 1.225.462 | 3,49 | 3 / 81 | |
Politiche 1987 | Camera | 1.140.209 | 2,96 | 17 / 630 |
Senato d | 764.370 | 2,36 | 6 / 315 | |
Europee 1989 | 945.383 | 2,72 | 2 / 81 | |
Politiche 1992 | Camera | 1.066.672 | 2,72 | 16 / 630 |
Senato e | 853.895 | 2,56 | 3 / 315 | |
Politiche 1994 f | Camera | Nella lista "Socialdemocrazia per le Libertà" | 0 / 630 | |
Senato | Nella lista "Socialdemocrazia per le Libertà" | 0 / 315 | ||
Europee 1994 | 227.439 | 0,69 | 1 / 87 | |
Politiche 1996 | Camera | Nell'Ulivo | 1 / 630 | |
Senato | 0 / 315 | |||
Politiche 2006 | Camera | Nell'Ulivo | 1 / 630 | |
Senato | 57.343 | 0,17 | 0 / 315 | |
a Lista Unità Socialista b Sono esclusi i voti della lista Unità Socialista - PRI (607.792, 2,68%, 4 seggi, di cui 2 socialdemocratici inclusi nel totale) c Voti della lista PSI-PSDI Unificati d Sono esclusi i voti ottenuti dalle liste con PSI e PR (962.215, 2,97%, 9 seggi) nonché con PSI, PR e Federazione delle Liste Verdi (58.501, 0,18%, un seggio) e Sono inclusi i voti ottenuti dalla lista PSDI - Lega Nuova f In lista con la Federazione dei Socialisti |
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