Remove ads
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina (in latino Portuensis-Sanctae Rufinae) è una sede della Chiesa cattolica in Italia suffraganea della diocesi di Roma appartenente alla regione ecclesiastica Lazio. Nel 2021 contava 395000 battezzati su 449000 abitanti. È retta dal vescovo Gianrico Ruzza, mentre il titolo è del cardinale Beniamino Stella.
Sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina Portuensis-Sanctae Rufinae Chiesa latina | |||
---|---|---|---|
Suffraganea della | diocesi di Roma | ||
Regione ecclesiastica | Lazio | ||
Vescovo | Gianrico Ruzza | ||
Vicario generale | Alberto Mazzola[1] | ||
Vescovi emeriti | Gino Reali | ||
Presbiteri | 133, di cui 67 secolari e 66 regolari 2.969 battezzati per presbitero | ||
Religiosi | 198 uomini, 608 donne | ||
Diaconi | 11 permanenti | ||
Abitanti | 449.000 | ||
Battezzati | 395.000 (88,0% del totale) | ||
Stato | Italia | ||
Superficie | 2.000 km² | ||
Parrocchie | 57 (5 vicariati) | ||
Erezione | III secolo (Porto) VI secolo (Santa Rufina) in plena unione dal 30 settembre 1986 | ||
Rito | romano | ||
Cattedrale | Sacri Cuori di Gesù e Maria | ||
Concattedrale | Santi Ippolito e Lucia | ||
Santi patroni | Sant'Ippolito Sante Rufina e Seconda | ||
Indirizzo | Via del Cenacolo 53, 00123 La Storta - Roma, Italia | ||
Sito web | www.diocesiportosantarufina.it | ||
Dati dall'Annuario pontificio 2022 (ch · gc) | |||
Chiesa cattolica in Italia | |||
Porto-Santa Rufina | |
---|---|
Sede suburbicaria | |
Titolare | Beniamino Stella |
Istituzione | III secolo |
titolo di Santa Rufina unito a quello di Porto nel 1119 | |
Dati dall'Annuario pontificio | |
La diocesi comprende un vasto territorio che si estende a nord-ovest della città di Roma, costituito dai comuni di Fiumicino, Cerveteri, Ladispoli, Santa Marinella, Riano e Castelnuovo di Porto[2]; dalle frazioni di Santa Severa Nord del comune di Tolfa, e di Castel Giuliano del comune di Bracciano; e da gran parte del territorio dei municipi XI, XII, XIII, XIV e XV del comune di Roma, esterni al Grande Raccordo Anulare[3].
La chiesa cattedrale, dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, sorge in località La Storta, nel comune di Roma, dove si trovano anche gli uffici della curia vescovile e il seminario diocesano. Fino alla sua costruzione e dedicazione nel 1950, fungeva da cattedrale la chiesa dei santi Ippolito e Lucia, in località Borgo di Porto (all'interno dell'Episcopio di Porto), frazione di Fiumicino, oggi concattedrale.[4] Tra le chiese di maggior interesse storico presenti in diocesi si annoverano la chiesa di Santa Maria Maggiore, ex cattedrale della diocesi di Cerveteri, e la chiesa della Madonna di Ceri, entrambe nel comune di Cerveteri.
Il territorio si estende su 2.000 km² ed è suddiviso in 57 parrocchie, raggruppate in 5 vicariati foranei: La Storta-Castelnuovo di Porto, Porto Romano, Selva Candida, Maccarese, Cerveteri-Ladispoli-Santa Marinella.
Elenco delle parrocchie della diocesi, aggiornato al 21 ottobre 2016:[5]
Questa diocesi è formata dall'unione di due antiche sedi suburbicarie: Porto, l'antico porto principale di Roma, situato sulla riva destra del Tevere prospiciente Ostia; e Selva Candida, un villaggio sorto intorno alla basilica delle sante sorelle martiri Rufina e Seconda, situata lungo la via Cornelia, che corrisponde all'attuale via Boccea.
La fede cristiana mise radici nella zona di Porto molto presto. Sono noti i nomi di vari martiri di Porto, tra cui Aconzio; Giacinto; Ercolano e Taurino; Eutropio, Zosima e Bonosa; Marziale, Saturnino, Epitteto, Maprile, Felice e compagni.
Il più importante e patrono della diocesi è sant'Ippolito, tradizionalmente conosciuto come primo vescovo di Porto, martire verso la metà del III secolo, il cui culto è documentato già alla fine del IV secolo;[6] ad Ippolito fu edificata una basilica extramurana sul luogo del martirio, riportata alla luce negli scavi di fine Novecento nel sito archeologico dell'Isola Sacra (Fiumicino). Un'altra basilica, chiamata "basilica urbana", fu scavata a partire dal XIX secolo nei pressi del molo esagonale traianeo; benché non vi siano a tutt'oggi prove archeologiche, può essere identificata con la basilica dei Santi Pietro, Paolo e Giovanni Battista, prima cattedrale della diocesi, fatta edificare da Costantino I iuxta portum urbis Romae, ossia "presso il porto di Roma".[7]
Il primo vescovo storicamente documentato è Gregorio, che nel 314 partecipò al concilio di Arles nelle Gallie. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce due epigrafi con i nomi di due vescovi portuensi: una prima epigrafe, della fine del IV secolo, testimonia la costruzione della basilica di Sant'Ippolito per mano del vescovo Eraclida; una seconda iscrizione, datata tra IV e V secolo, riferisce della costruzione della basilica ai santi Eutropio, Zosima e Bonosa ad opera del vescovo Donato.
Tra i successivi vescovi portuensi si possono ricordare: Pietro, Erennio e Casto, che presero parte ai concili celebrati dai vescovi di Roma nel 465, nel 487 e negli anni 501 e 502; Felice, contemporaneo e corrispondente di Gregorio Magno; Giovanni, che fu delegato delle Chiese d'Occidente al concilio di Costantinopoli del 680/681; Gregorio, che accompagnò papa Costantino a Costantinopoli (710); Citonato, presente alla consacrazione dell'antipapa Costantino II (767); Rodoaldo, che agì difformemente dalle istruzioni ricevute nel caso di Fozio a Costantinopoli (862), e che fu deposto per avere favorito il divorzio di Lotario II di Lotaringia.
Nell'864 divenne vescovo di Porto Formoso, futuro papa; a causa della decadenza della città di Porto e delle incursioni dei saraceni, fu probabilmente Formoso a trasferire la sede episcopale e la cattedrale nell'isola Tiberina. Nel 1018 la bolla Quoties illa di papa Benedetto VIII[8] riferisce ormai di un totale abbandono e del definitivo trasferimento della cattedrale e dell'episcopio nella basilica di San Bartolomeo all'Isola.
Durante l'episcopato di Giovanni IV (1049-1066), papa Leone IX definì i confini della diocesi in rapporto a quella di Selva Candida[9]: la diocesi era compresa dal corso del Tevere a partire da Ponte Rotto, l'Isola Tiberina o Lycaonia fino a Porta Settimiana, da qui il confine saliva a Porta San Pancrazio e seguiva la via Aurelia fino al ponte sul fiume Arrone; si dirigeva verso il mare passando per Palidoro e, tenendo sulla destra il tenimento di Palo, passava per il tenimento di Maccarese; raggiunta la riva del mare il confine proseguiva fino alla foce del Tevere comprendendo l'Isola Sacra per risalire fino a Ponte Rotto; venivano quindi confermati a Porto tutta la zona di Trastevere e l'isola Tiberina, lasciando al vescovo il privilegio di datare i suoi documenti con la formula Datum Romae. Nel 1059 il vescovo di Porto vinse la controversia con il vescovo di Selva Candida relativamente all'intero possesso dell'Isola tiberina e delle chiese di San Bartolomeo e di San Giovanni Calibita.[10]
Sempre nell'XI secolo la sede vescovile di Cerveteri fu abbandonata e i vescovi di Porto estesero la loro giurisdizione a quella città.
La diocesi di Selva Candida deve la sua origine alla basilica sorta sul luogo del martirio delle sante Rufina e Seconda sulla via Cornelia nel fundus de Buxus o de Bucca o Boccea.[11] Altri importanti santuari martiriali presenti nel territorio erano quelli dei santi persiani Maris, Marta, Audifax e Abacuc, anch'esso sulla via Cornelia, e quello dedicato ai santi Basilide e compagni sulla via Aurelia.
Il primo vescovo noto è Adeodato che presenziò nel 501 ad un sinodo convocato dal re Teodorico per giudicare l'operato di papa Simmaco; un omonimo è menzionato in un altro sinodo del 499 come Adeodatus Lorensis; ciò fa supporre che i vescovi di Lorium sulla via Aurelia abbiano trasferito la loro residenza a Selva Candida. Dopo Adeodato è noto il vescovo Valentino, vicario di Roma durante l'assenza di papa Vigilio, che ebbe le mani tagliate da Totila, e che condivise le sorti di Vigilio a Costantinopoli sulla questione dei Tre Capitoli. Valentino è documentato nelle fonti sia come episcopus ecclesiae Silvae Candidae, con indicazione del toponimo da cui la diocesi traeva il proprio nome, sia come episcopus a sanctae Rufina et Secunda, in riferimento al principale santuario che si trovava a Selva Candida.[12]
Probabilmente a partire dal VI secolo, la diocesi di Selva Candida assorbì il territorio dell'estinta diocesi di Acquaviva.
I successivi vescovi di Selva Candida sono noti per lo più per la loro partecipazione ai concili celebrati dai pontefici a Roma. Secondo le indicazioni riportate dal Liber Pontificalis[13], la sede episcopale e la basilica delle Sante Rufina e Seconda vennero ristrutturate dai papi Adriano I (772-795) e Leone IV (847-855); distrutte dai Saraceni attorno al 900, furono ricostruite all'epoca di Sergio III (904-911) e del vescovo Ildebrando (905-910).
Tra i vescovi più importanti si ricorda nell'XI secolo Pietro, documentato come vescovo di Selva Candida tra il 1026 e il 1037. Nel 1026 papa Giovanni XIX gli confermò tutti i possedimenti dipendenti dalla sua giurisdizione vescovile, che vengono enumerati nella bolla del 17 dicembre[14]; tra questi si possono menzionare le località di Baccano, Bottaccia, Boccea, Castel di Guido, Castel Campanile, Cesano, Castel Giuliano, Formello, Isola Farnese, Leprignana, Luterno (Valle Luterana), Olgiata, Palidoro, Palo, Riano, Galeria, Santa Marinella, Santa Severa, Sasso, La Storta, Testa di Lepre, Torrimpietra, Tragliata. Nella stessa bolla il pontefice assegnava a Pietro e ai suoi successori la chiesa dei Santi Adalberto e Paolino sull'Isola Tiberina, quale episcopale domicilium et congruum receptaculum.[15] In una successiva bolla di novembre 1037, papa Benedetto IX, oltre a confermare i privilegi già concessi in precedenza, assegnò a Pietro e ai suoi successori, in perpetuo, il titolo di cancellieri e di bibliotecari della Sede Apostolica, che, dopo l'unione, passò ai vescovi di Porto.[16]
Con la bolla del 1026, ai vescovi di Selva Candida furono assegnate anche tutte le chiese della Città leonina, cinque monasteri e la facoltà di compiere le funzioni liturgiche e le ordinazioni nella basilica di San Pietro. Questi privilegi furono gradualmente aboliti solo dopo la fine della cattività avignonese, quando i pontefici trasferirono la propria residenza dal Laterano al Vaticano.
Gli ultimi due cardinali vescovi di Selva Candida furono Umberto (1051-1061) e Mainardo (1061-1073), stretti collaboratori dei pontefici nell'azione riformatrice della Chiesa, che passò alla storia come riforma gregoriana.
Papa Callisto II, nel 1119, unì in modo definitivo la sede di Porto con quella di Selva Candida (chiamata anche Santa Rufina), unione confermata da papa Adriano IV (1154-1159).[17]
Fra i cardinali vescovi più noti delle sedi unite possiamo ricordare: Teodevino (1134-1153), tedesco, inviato in varie missioni in Germania ed in Terra Santa; Bernardo (1158-1176) che si adoperò per portare la pace tra papa Adriano IV e Barbarossa; Teodino degli Atti (1178-1186) che esaminò la causa di san Tommaso Becket; Ottone Candido (1244-1251), dei marchesi di Monferrato, inviato in molte occasioni come legato di papa Innocenzo IV presso Federico II; Robert Kilwardby, già arcivescovo di Canterbury, avvelenato a Viterbo nel 1279; Matteo d'Acquasparta (1291-1302) e Giovanni da Morrovalle (1302-1312), già ministri generali dell'Ordine francescano; Jacques d'Euse (1313-1316), primo cardinale di Porto diventato papa con il nome di Giovanni XXII.
Il 21 luglio 1452 la diocesi di Santa Rufina fu separata dalla sede suburbicaria di Porto, ma già l'anno successivo, dopo la morte del cardinale Francesco Condulmer le due sedi furono riunite.[18]
In seguito occuparono la sede: Rodrigo Borgia (1476-1492) futuro papa Alessandro VI; Gian Pietro Carafa (1553) futuro papa Paolo IV; Alessandro Farnese il giovane (1578-1580); Fulvio Giulio della Corgna (1580-1583); Ulderico Carpegna (1675-1679) che lasciò un'eredità per sostenere le spese delle missioni popolari da tenersi ogni quattro anni; Pietro Ottoboni (1687-1689), futuro papa Alessandro VIII; Flavio Chigi (1689-1693) che ampliò ed abbellì la cattedrale; Vicenzo Maria Orsini (1715-1724), futuro papa Benedetto XIII.
Dal XVI secolo la sede di Porto e Santa Rufina fu riservata al vice decano del Collegio cardinalizio; quando il decano cessava dal suo servizio per decesso o per elezione al papato, gli succedeva il cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina, che optava per la sede suburbicaria di Ostia e Velletri, che era propria del decano. Questa prassi comportò episcopati generalmente molto brevi, anche di pochi mesi.
La diocesi era vastissima, andando dal Tevere a sud fino alla via Flaminia a est e ai Monti della Tolfa a nord, ma praticamente spopolata e devastata dalla malaria. Nel 1692 la popolazione residente si aggirava attorno alle 4.000 unità, mentre da una statistica ufficiale del 1853, risultava una popolazione complessiva di appena 3.030 abitanti. I centri abitati erano pochi e sparsi qua e là sul territorio; tra questi i maggiori erano Castelnuovo, Fiumicino, Cesano, Riano e Cerveteri, dove si trovavano le uniche parrocchie della diocesi. All'inizio del XIX secolo la diocesi si trovava in un tale stato di abbandono, che il cardinale Leonardo Antonelli la definì «uno scheletro arido e spolpato», indicandone le cause del declino nelle invasioni saracene del Medioevo e nell'insalubrità del clima. Tutto questo malgrado nella seconda metà del Settecento ci furono dei tentativi di mettere in atto una certa attività pastorale, con l'appoggio delle Maestre Pie, dei Gesuiti e la creazione di alcune parrocchie. La diocesi non aveva nemmeno una cattedrale, essendo quella di Sant'Ippolito a Porto oramai in decadenza, e un centro con il palazzo episcopale ed il seminario. Di fatto la sede esisteva solo perché associata al titolo cardinalizio.
Per ovviare a questi inconvenienti, il 10 dicembre 1825 Civitavecchia fu separata dalla diocesi di Viterbo e Toscanella e unita a quella di Porto e Santa Rufina; ma questa unione durò per poco tempo, fino al 14 giugno 1854, quando Civitavecchia fu nuovamente resa indipendente e unita a Corneto (odierna diocesi di Civitavecchia-Tarquinia).
Il cardinale Bartolomeo Pacca, tra il 1821 ed il 1830, restaurò la cattedrale di Sant'Ippolito, ristrutturò l'annesso episcopio e ornò il suo cortile con reperti provenienti dagli scavi dell'antica città di Porto.
Il 5 maggio 1914 papa Pio X, con il motu proprio Edita a Nobis, abolì il conferimento della sede di Porto e Santa Rufina al vice decano del Collegio cardinalizio. Lo stesso motu proprio stabilì che da quel momento in poi il decano del Sacro Collegio avrebbe unito la sede di cui era titolare con quella di Ostia e conseguentemente gli episcopati dei vescovi di Porto e Santa Rufina hanno cessato di essere particolarmente brevi.
Nel 1921 la popolazione della diocesi era pari a circa 10.000 abitanti, a cui se ne aggiungevano circa 12.000 che vi risiedevano stagionalmente per i lavori agricoli. Sorgevano 19 parrocchie. Il territorio rimase pressoché spopolato fino alle bonifiche degli anni trenta, che estirparono la malaria. La crescita della città di Roma e dei suoi dintorni e la bonifica del territorio portò in pochi decenni ad un aumento notevole della popolazione diocesana, dai circa 50.000 abitanti nel 1950 ai circa 300.000 nel 2000.
Nel 1926 il gesuita tedesco Leopold Fonck diede inizio alla costruzione di una chiesa, in località La Storta, che avrebbe voluto dedicare a santa Margherita Maria Alacoque, i lavori rimasero incompiuti fino a quando nel 1948 il cardinale Tisserant non li riprese, progettando di istituire a La Storta il centro della diocesi. Nel giro di due anni la costruzione fu completata e dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria il 25 marzo 1950; il 7 marzo era stata elevata al rango di nuova cattedrale della diocesi, al posto della precedente chiesa dei Santi Ippolito e Lucia, con il decreto Episcopalis Cathedra della Congregazione Concistoriale.[19] Contestualmente furono edificati il palazzo vescovile, la sede della curia diocesana e il seminario. Il 25 febbraio 1953 fu istituito il capitolo della cattedrale con la bolla Qui cognoverit di papa Pio XII.[20]
Nel corso del Novecento furono stabiliti con più precisione i confini tra la sede suburbicaria e la diocesi di Roma. Il 5 gennaio 1946 le contigue parrocchie di Santa Maria Immacolata a Grottarossa e dei Santi Urbano e Lorenzo a Prima Porta, entrambe sulla via Flaminia, furono annesse alla diocesi romana.[21] Il 5 aprile 1954 e l'8 febbraio 1965 vennero ridefiniti nel dettaglio i confini tra le due diocesi, in larga parte separate tra loro dal Grande Raccordo Anulare.[22]
Con la riforma delle sedi suburbicarie decisa da papa Giovanni XXIII nel 1962 con il motu proprio Suburbicariis sedibus, ai cardinali di Porto e Santa Rufina rimase solo il titolo della sede suburbicaria, mentre il governo pastorale della diocesi venne affidato ad un vescovo residenziale pleno iure. Questa disposizione entrò in vigore con la nomina, il 2 febbraio 1967, di Andrea Pangrazio, il primo vescovo, non cardinale, di Porto e Santa Rufina.
Il 30 settembre 1986 la diocesi ha assunto la denominazione di sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina per la plena unione delle due sedi.[23]
Dal 12 febbraio 2022 è unita in persona episcopi alla diocesi di Civitavecchia-Tarquinia.
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
Fino al 1986 Cardinali vescovi di Porto e Santa Rufina, poi Cardinali vescovi di Porto-Santa Rufina.
Fino al 1986 vescovi di Porto e Santa Rufina, poi vescovi di Porto-Santa Rufina.
Elenco dei santi e dei beati venerati in diocesi:[69]
La diocesi nel 2021 su una popolazione di 449.000 persone contava 395.000 battezzati, corrispondenti all'88,0% del totale. Il numero degli abitanti è in rapida crescita a motivo della forte e continua espansione abitativa della città di Roma fuori dal Grande Raccordo Anulare.
anno | popolazione | presbiteri | diaconi | religiosi | parrocchie | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
battezzati | totale | % | numero | secolari | regolari | battezzati per presbitero | uomini | donne | |||
1950 | 46.350 | 46.870 | 98,9 | 40 | 26 | 14 | 1.158 | 14 | 110 | 22 | |
1969 | 108.188 | 109.065 | 99,2 | 104 | 52 | 52 | 1.040 | 125 | 626 | 45 | |
1980 | 130.000 | 135.000 | 96,3 | 175 | 73 | 102 | 742 | 1 | 221 | 820 | 51 |
1990 | 183.000 | 185.000 | 98,9 | 205 | 79 | 126 | 892 | 1 | 297 | 804 | 51 |
1999 | 237.000 | 247.000 | 96,0 | 204 | 71 | 133 | 1.161 | 5 | 352 | 916 | 52 |
2000 | 253.630 | 259.230 | 97,8 | 181 | 60 | 121 | 1.401 | 6 | 387 | 880 | 52 |
2001 | 254.000 | 260.000 | 97,7 | 193 | 76 | 117 | 1.316 | 6 | 252 | 910 | 52 |
2002 | 273.000 | 280.000 | 97,5 | 199 | 81 | 118 | 1.371 | 7 | 204 | 880 | 52 |
2003 | 300.000 | 307.000 | 97,7 | 174 | 67 | 107 | 1.724 | 7 | 244 | 764 | 52 |
2004 | 300.000 | 307.000 | 97,7 | 215 | 72 | 143 | 1.395 | 7 | 286 | 674 | 52 |
2013 | 396.400 | 398.500 | 99,5 | 232 | 71 | 161 | 1.708 | 13 | 353 | 748 | 55 |
2016 | 374.000 | 418.000 | 89,5 | 189 | 73 | 116 | 1.978 | 13 | 293 | 711 | 56 |
2019 | 386.000 | 437.000 | 88,3 | 148 | 67 | 81 | 2.608 | 11 | 229 | 701 | 56 |
2021 | 395.000 | 449.000 | 88,0 | 133 | 67 | 66 | 2.969 | 11 | 198 | 608 | 57 |
Seamless Wikipedia browsing. On steroids.
Every time you click a link to Wikipedia, Wiktionary or Wikiquote in your browser's search results, it will show the modern Wikiwand interface.
Wikiwand extension is a five stars, simple, with minimum permission required to keep your browsing private, safe and transparent.