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Vincenzo Monti (1754 – 1828), poeta, drammaturgo e scrittore italiano.
Amor vince ogni cosa, e i cuori amanti | Spoglia d'ogni più indocile austerezza, | Sian Cannibali, o Traci, o Garamanti. | Egli per tutto si ravvolge, e sprezza | Ogni riparo, e variando toglie | Alle cose create la rozzezza. (da Ad un amico che prendeva moglie, p. 604)[1]
Amor diè norma ai cieli, Amor governa | Il non mutabil corso, e la secreta | Dei lucid'astri consonanza eterna. (da Ad un amico che prendeva moglie, p. 604)[1]
Bella Italia, amate sponde, | Pur vi torno a riveder | Trema in petto, e si confonde | L'alma oppressa dal piacer. Tua bellezza, che di pianti | Fonte amara ognor ti fu, | Di stranieri e crudi amanti | T'avea posta in servitù. (da Inno per la battaglia di Marengo, p. 411)[2]
Dolce dell'alme universal sospiro, | Libertà, santa dea. (da Il fanatismo, 1-2)
Finché l'uom la desia, leggiadro oggetto | Certo è la donna, e cosa alma e divina; | Ma nel possesso il ben cangia d'aspetto; | Muore la rosa e vi riman la spina. (Per le nozze Paolucci-Mazza, 1789[1])
Ha cuor villano, e libertà non merta | chi l'amico lasciò nella catena. (da Il pericolo, p. 413)[2]
Il cuore vuole sempre la parte sua nelle operazioni dell'intelletto. (da Lezioni di eloquenza e Prolusioni accademiche)
[Sull'ideale]Il nudo | Arido vero che de' vati è tomba.[3]
Il secondo articolo delle vostre Osservazioni è un capo d'opera. Io ne sono incantato dopo la quarta e la decima lettura, e non v'è prosa che in soggetto di critica mi abbia mai fatta una si gagliarda e dolce impressione. Chiunque abbia fior di senno argomenterà dal vostro scritto che voi sarete un giorno il massimo de' Critici e per sicurezza di giudizio, e per profondila di sentimento, e per evidenza e precisione di stile, e per tutte quelle prerogative che distinguono dallo scrittore pedante lo scrittore eloquente e filosofo .... Niuno ha mai parlato di Dante così degnamente; niuno ne ha mai più sottil mente sviluppato lo spirito. Ma il vostro capo d'opera ha un difetto universale, e questo è la troppa lode che date all'imitatore di Dante. In verità mi sento impotente a sostener questo peso, e vi prego di mitigarlo. A saziare il mio amor proprio mi basta quell' Eliseo avviluppato nel mantello del suo maestro; mantello che non darei per tutte le porpore dell'universo.[4]
L'amistà fra tiranni è malsicura | E le fiere talor sbranan le fiere.[5]
L'Iliade fu sempre il poema de' valorosi. Sono ancor celebri le generose lagrime d'Alessandro sulla tomba di Achille; ed è pure fra gli uomini divulgato che quel grande conquistatore solea chiamare l'Iliade il viatico delle sue spedizioni. (dalla dedica a Eugenio Napoleone, Milano 1810)[1]
L'ira di Dio su te mormora e rugge, | O Italia, o donna sonnolenta ed orba, | Sanguigno il Sole le fresch'aure adugge, | L'aure, che il lezzo di tue colpe ammorba. (All'Italia)[1]
La stella | del viver mio s'appressa | al suo tramonto; ma sperar ti giovi | che tutto io non non morrò; pensa che un nome | non oscuro io ti lascio, e tal che un giorno | fra le italiche donne | ti fia bel vanto il dire: Io fui l'amore | del cantor di Basville, | del cantor che di care itale note | vestì l'ira di Achille.[6]
Morte, che se' tu dunque? Un'ombra oscura, | un bene, un male, che diversa prende | dagli affetti dell'uom forma e natura.[7]
Non il silenzio sempre di natura, | Né dei venti la calma e delle stelle | I disegni di Dio compie e matura: | Talvolla ancor fra i lampi e le procelle | Più luminoso il suo pensier traluce, | E le divine idee fansi più belle. (da Il pellegrino apostolico, canto II, p. 230)[2]
[A Francesco Torti] Non posso saziarmi di leggere e rileggere il primo articolo delle vostre Aristoteliche Osservazioni [Sulla Basvilliana]. Sto quasi sul punto, di progettarvi il cambio delle nostre fatiche, pigliandomi io la gloria delle Osservazioni, e voi quella della Cantica. Non vi adulo: non si può scrivere ne con più forza, né con più precisione, né con più senno. Quanti l'han letta (e son molti, perché vi so dire che qui v'ha molti che vi stimano) tanti ne sono rimasti incantati . Perloché sollecitate il vostro lavoro, che essendo in compagnia noi voleremo ambedue più allegri e più sicuri nella carriera della gloria.[8]
Oh! perché non poss'io la mia deporre | d'uom tutta dignitade, e andar confuso | col turbine che passa, e su le penne | correr del vento a lacerar le nubi, | o su i campi a destar dell'ampio mare | gli addormentati nembi e le procelle! (da Al Principe Don Sigismondo Chigi, vv. 200-205)
Oh! squarciatemi il velo, e l'inumana | storia m'aprite di que' vili astuti; | date agli occhi di pianto una fontana! | La voce alzate, o secoli caduti! | Gridi l'Africa all'Asia, e l'innocente | ombra d'Ipazia il grido orrendo aiuti. | Gridi irata l'Aurora all'Occidente, | narri le stragi dall'altare uscite; | e l'Occaso risponda all'Oriente. (da Il fanatismo)
Quando ti pose amor luci sì belle | lo giurerei che per gli eterei varchi | In quel dì si perdettero due stelle. | Da voi, begli occhi, a riguardar sì parchi | Piovon dolci sul cuore auree fiammelle. (da Sotto due neri sottilissim'archi)[1]
Questi è il rosso di pel, Foscolo detto | sì falso che falsò fino sé stesso | quando in Ugo cambiò ser Nicoletto. | Guarda la borsa se ti vien appresso.[9] (dalla lettera all'abate Urbano Lampredi, Milano, 27 marzo 1827, in Epistolario)
Se Viganò si fosse dato alla poesia, egli aveva tutte le attitudini per diventare un altro Ariosto.[10]
[Né] Sillaba di Dio mai si cancella. (da Sulla morte di Giuda, 3, 14)
Sognai d'essere venuto alle nozze d'una bella e casta vergine, e mi sono svegliato fra le braccia d'una laida meretrice.[11]
Citazioni
Il gran prodigio immobili | i riguardanti lassa, | e di terrore un palpito | in ogni cor trapassa. | Tace la terra, e suonano | del ciel le vie deserte: | stan mille volti pallidi | e mille bocche aperte. | Sorge il diletto e l'estasi | in mezzo allo spavento, | e i piè mal fermi agognano | ir dietro al guardo attento. (vv. 69-80)
Ma già di Francia il Dedalo [Noël Robert] | nel mar dell'aure è lunge: | lieve lo porta zeffiro, | e l'occhio appena il giunge. | Fosco di là profondasi | il suol fuggente ai lumi, | e come larve appaiono | città, foreste e fiumi. (vv. 97-104)
Umano ardir, pacifica | filosofia sicura, | qual forza mai, qual limite | il tuo poter misura? | Rapisti al ciel le folgori [con l'invenzione del parafulmine] | che debellate innante | con tronche ali ti caddero | e ti lambîr le piante. (vv. 113-120)
Che più ti resta [filosofia]? Infrangere
anche alla Morte il tèlo,
e della vita il nèttare
libar con Giove in cielo.
Degl'incostanti secoli | Propagator divino, | Alle cittadi incognito | Negletto peregrino, | Io ti saluto, o tenera | De' cor conquistatrice: | Amor son io; ravvisami: | Ascolta un infelice.
Citazioni
Virtude e Amor sorgevano | Con un medesmo volo, | Ed eran ambo un impeto, | Un sentimento solo. | Amor vegliava ai talami, | Amor sedea sul core; | Le leggi, i patti, i limiti, | Tutto segnava Amore. (p. 24)
Rival possente ei d'ozio | E di lascivia nacque: | Nome d'Amor gli diedero | Le cieche genti, e piacque. (p. 25)
A far dell'alme strazio | Venne così quel crudo | Di ree vicende artefice | Fanciul bendato e nudo. (p. 26)
Entro i vietati talami | II piè furtivo ei mise, | E su le piume adultere | Lasciò l'impronta, e rise.
[Amore]A far dell'alme strazio | Venne così quel crudo | Di ree vicende artefice | Fanciul bendato e nudo. (p. 251)
Nome d'Amor gli diedero | Le cieche genti, e piacque. (da L'amor pellegrino, p. 251)[2]
Deh per le guance eburnee | Che di rossor tingesti, | Per gli occhi tuoi deh piacciati | Voler che teco io resti. || Io di virtudi amabili | Sarò custode e padre; | E tu d'Amor, bellissima, | Ti chiamerai la madre.
Pudor, virtude incomoda, | Pudor, virtude ingrata; | Da colpa (ahi turpe origine!) | E da rimorso nata; | Pudor, che all'uom contamini | I più soavi affetti, | Onde in amaro aconito | Si cangiano i diletti.
Citazioni
Calmi ella dunque i fremiti | Del vinto cor smarrito | Pria che gli sguardi attendere | Del vincitor gradito. | Corregga al rivo argenteo | Del biondo crin gli errori, | II colmo petto adornino | Più ben disposti i fiori. (p. 31)
Tutta è ne' sensi attonita, | E dove sia non vede. | Al caro viso il timido | Sguardo levar non osa, | O a mezzo sguardo arrestasi | Incerta e vergognosa. (p. 32)
Ogni più lieve immagine | Nel cor le versa il foco. | Ed un desire incognito | La morde intanto e preme: | Vorria confuso intenderlo, | E intenderlo pur teme. (p. 34)
Ma che? le gote esprìmono | L'ardor che il labbro occulta, | Né molto andrà l'ingiuria | Di quel silenzio inulta. | Tirsi ed Amor congiurano | Ambo d'accordo; e Pille | Taccia, se vuol: parlarono | Assai le sue pupille.
LisandroSi, Palamede: alla regal Messene | Di pace apportator Sparta m'invia. | Sparta di guerra è stanca, e i nostri allori, | Di tanto sangue cittadin, bagnati, | Son di peso alla fronte e di vergogna. | Ira fu vinta da pietà. Prevalse | Ragione, e persuase esser follia | Per un'avara gelosia di Stato | Troncarsi a brani, e desolar la terra. | Poiché dunque a bramar pace il primiero | Fu l'inimico, la prudente Sparta| Volentier la concede, ed io la reco. | Né questo sol, ma libertade ancora | A quanluque de' nostri è qui tenuto | In servitude; e a te, diletto amico, | Principalmente, che bramato e pianto, | Compie il terz'anno, senza onor languisci | Illustre prigioniero in queste mura.
Citazioni
Aristodemo: Han forse i figli scudo migliore del paterno petto? (Atto II, Scena IV, p. 297)
Aristodemo: Se Messenia piange, Sparta non ride. (Atto II, scena VII, p. 298)
A franco | Parlar risponderò franche parole. (II, 7)
Lisandro, siedi, e libero m'esponi | Di Sparta amica od inimica i sensi. (II, 7)
Aristodemo: Tutti siamo infelici. Altro di bene | Non abbiam che la morte. (Atto III, Scena VII, p. 304)
Cesira: Qualunque ei sia | il tuo misfatto nel mio cor sta scritta | La tua difesa. (Atto IV, Scena II, p. 306)
Aristodemo: In ciel sta scritta ancora | La mia condanna, e ve la scrisse il sangue | D'un innocente. (Atto IV, Scena II, p. 306-307)
Cesira: I mali | Han lor confine. La pietà del cielo | Tarda sovente, ma giammai non manca. (Atto IV, Scena II, p. 307)
Severi, imperscrutabili, profondi | Sono i decreti di lassù, né lice | A mortal occhio penetrarne il buio. (IV, 2)
Aristodemo: Dite ai regi | che mal si compra co' delitti il soglio.[12] (V, 4) [ultime parole]
Citazione sull'opera
Dove lascio il Ben ti riveggo con piacer Lisandro (a. I, sc. 1) che gli esce (al popolano di Venezia) in tuono [sic] di scherzo abbattendosi in un amico che da vario tempo non vede; e il Sì Palamede (a. I, sc. 1) quando risponde su chicchessia in modo affermativo; tolti entrambi dall'Aristodemo, così popolare che butarla in Ristodemo denota anche oggi prendere una faccenda sul serio, anzi in tragico addirittura. (Cesare Musatti, Dal palcoscenico alla bocca del popolo, pubblicato nel "Mente e cuore" di Trieste, 1 aprile 1896, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 714)
Io leggo e rileggo, e poi torno a rileggere questa sua Tragedia, e quanto più la leggo, tanto più mi rapisce e mi piace. Ella ha cominciato ove altri si recherebbe a gloria il finire. Qual forza, qual energia di stile! Qual vivacità d'immagini! Qual varietà di affetti! Il terribile Crebillon non è mai giunto a inspirar quel terrore, che genera nei lettori questa Tragedia. (Girolamo Tiraboschi)
Si narra che il Monti scegliesse questa fanciulla [ Teresa Pikler] senza averla vista, per la sola riverenza alla grande fama del padre e a quella dell'ingegno e della virtu della figlia. E si aggiunge che ella accettasse la mano di lui, senza pure vederlo, ma solo per sapere ch'egli era l'autore dell 'Aristodemo. Sicché può dirsi che a tali nozze furono veramente pronube le sole muse. (Francesco Cassi)
Splende però nell'Aristodemo nobiltà di caratteri, energia di concetti, semplicità d'intreccio, e maraviglioso allettamento, che senza pompa esterna, e senz'amori dura vivissimo sino alla fine. Lo stile poi è portato a tale che superando quello d'Alfieri in armonia ed eleganza poetica, si ha queìla notabile sentenza che alla perfezione dell'italiana tragedia non manca se non questo, che la grandezza e pretrazione di Vittorio si congiunga allo stile del Monti. (Gianfrancesco Rambelli)
Eccoti, Cajo, in Roma. Io qui non visto | Entrai protetto dalla notte amica. | Oh patria mia, fa cor, chè Gracco è teco. | Tutto tace d'intorno, e in alto sonno | Dalle cure del dì prendon riposo | Gli operosi plebei. Oh buoni, oh veri, | Soli Romani! Il vostro sonno è dolce, | Perché fatica lo condisce; è puro, | Perché rimorso a intorbidar nol viene. | Tra il fumo delle mense ebbri frattanto | Gavazzano i patrizi, gli assassini | Del mio caro fratello; o veramente, | Chiusi in congrega tenebrosa, i vili | Stan la mia morte macchinando, e ceppi | Alla romana libertà; né sanno || Qual tremendo nemico è sopraggiunto.
Citazioni
Cajo Gracco: Ho tale un cor nel petto, | Che ne' disastri esulta; un cor che gode | Lottar col fato, e superarlo. (Atto I, p. 123)
Fulvio: Aura che passa, | Ed or da questo or da quel lato spira, | È amor di plebe. (Atto I, p. 124)
Cajo Gracco: Lìon che dorme | È la plebe romana, e la mia voce | Lo sveglierà: vedrai. (Atto I, p. 124)
Fulvio: Ha qualche volta | I suoi segreti l'amistà. (Atto I, p, 126)
Cajo Gracco: Da chi m'odia, m'è caro aver la morte | Pria che la vita. (Atto II, p. 133)
Fulvio: I miei misfatti, o donna, | Son due: l'odio a' superbi, e immenso, e ardente | Amor di libertà. (Atto II, p. 135)
Opimio: È la plebe romana una tal belva | Che, come manco il pensi, apre gli artigli, | E inferocita ciecamente sbrana | Del par chi l'accarezza, e chi l'offende. | Oggi t'adora, e dimani t'uccide, | Per tornar poscia ad onorarti estinto. (Atto II, p. 136)
Opimio: Tripudia, esulta, sfogati, | Stolida plebe, generata in seno | Alla paura: imparerai tra poco | A tacer. (Atto II, p. 139)
Cajo Gracco: Popolo ingiusto è popolo tiranno; Ed io l'amore de' tiranni abborro. (Atto II, p. 139)
Opimio: La virtù difese | L'iniquità; ma pur soggiacque. (Atto II, p. 145)
Cajo Gracco: Ben io ti dico, che mia patria è quella | Che nel popolo sta. (Atto II, p. 146)
Cajo Gracco: Consiglio di nemico è tradimento. (Atto II, p. 147)
Cajo Gracco: Fulmine colga, | Sperda que' tristi che per vie di sangue | Recando libertà recan catene, | Ed infame e crudel più che il servaggio | Fan la medesma libertà. (Atto II, p. 154)
Cornelia: Il tempo | È d'alto prezzo, e in altro che lamenti | Adoprarlo convien. (Atto III, p. 158)
Cajo Gracco: Ahi nome vano, Virtù, | ludibrio de' malvagi! (Atto III, p. 175)
Primo cittadino: No, Itali siam tutti, un popol solo | Una sola famiglia. (Atto III, p. 176)
Cornelia: Al giusto nuoce | Chi al malvagio perdona; e ti ricorda | Che comun benefizio è la vendetta | De' beneficj. (Atto IV, p. 185)
Cajo Gracco: Anche de' rei | Il sangue è sacro, né versarlo debbe | Che il ferro della legge. (Atto IV, p. 185)
Cornelia: —Amato figlio, | Vuoi tu leggi ascoltar? | Quella sol odi | Divina, eterna, che natura a tutti | Grida: Alla forza oppon la forza. —Il brando | Qui di giustizia è senza taglio, o solo | Il debole percuote, e col potente | Patteggia. (Atto IV, p. 186)
Citazioni sull'opera
È questa maraviglioaa per grandiloquenza, profondi sensi, ricchissime immagini e forse in ciò all'altre superiore. I romani caratteri veggonsi dipinti con tal dignità, forza, e verità, che l'autore non sembra averli tolti dagli storici latini, ma pare li abbia tratti dal proprio fondo. I proteggitori della romana libertà mai non furono difesi con più di affetto, e di eloquenza. Essendo poi il fine del Cajo Gracco al tutto politico, quest'opera può meritamente locarsi allato a Bruti dell'immortale Astigiano [Vittorio Alfieri]. (Gianfrancesco Rambelli)
In quel infelice esilio [in Francia a Chambery], con poca speranza del ritornare, e fra terribili strette d'ogni maniera, egli scrisse la cantica Mascheroniana, e la tragedia del Cajo Gracco. La quale tragedia è per alcuni rispetti da mettere sopra l'Aristodemo, specialmente per la sua grandiloquenza, e i profondi sensi, e le ricchissime imagini; se non che il fine essendo pienamente politico, ed assai lontano dalla presente condizione de' tempi, la ragione di quell'opera si può dire per noi perduta. (Francesco Cassi)
Or son pur solo, e in queste selve amiche | Non v'è chi ascolti i mici lugubri accenti | Altro che i tronchi delle piante antiche. || Flebile fra le tetre ombre dolenti | Regna il silenzio, e a lagrimar m'invoglia | Sotto del cupo mormorio de' venti. || Qui dunque posso piangere a mia voglia; | Qui posso lamentarmi, e alla fedele | Foresta confidar l'alta mia doglia. || Donde prima degg'io, Ninfa crudele, | II tuo sdegno accusar? donde fia mai | Ch'io cominci le mie giuste querele?
Citazioni
E perché dunque dal mio cor costante | Così diverso è il tuo? perché le parti | Di nemica tu compi, ed io d'amante? || Qual natura, qual Dio poté crearti || Sotto aspetto si mite alma si dura | Che non giunga l'altrui pianto a toccarti! (p. 225)
Pace, pace una volta al mio tormento, | Stanco di più patir, dai suoi legami | Fugge il mio spirto, e si dilegua al vento. (p. 225)
Su le penne d'Amor sciolti e leggieri | Vadan cercando pur, ch'io ti perdono, | Oggetto più felice i tuoi pensieri. || Chieggo meno da te. Misero dono | Fammi d'un guardo sol che mi conforte: | Dimmi sol che non m'odii, e pago io sono. (p. 225)
Del cammin della vita io non passai | Pur anco in mezzo: ma finor s'io vissi | Sol fra gli affanni, ho già vissuto assai. (p. 226)
Ah che incauto mirarlo io non dovea! Ma nella calma d'un amabil viso | Tanta procella chi temer potea? (p. 226)
Quel ritenuto lusinghier sorriso, | Quei lenti sguardi, quel parlar soave, | Quel dolce non so che di paradiso; || Ecco l'arme fatali, ecco la chiave | Che il sen m'aperse, e al giogo di costei | Trasse le voglie mie legate e schiave. (p. 226)
Elegie II
Tu certo non ancor conoscerai | L'almo sembiante del mio Ben; ma molto | Per rintracciarlo da vagar non hai. || Ove l'aria è più pura, ove più folto | È il suol di rose in solitaria parte, | Ivi è la luce del gentil suo volto. (p. 226)
Elegie III
Il viso | A lambirti leggero e rispettoso | Verró su l'ali d'un'auretta assiso; || Ed or m'asconderò nel rugiadoso | Grembo di qualche fortunato fiore, || Che andrà sopra il tuo petto a far riposo. || Oh soggiorno beato! oh sorte! oh amore! || Se lice in guiderdon di tanto affetto | Dopo morte abitar presso quel core, || In cui vivo non ebbi unqua ricetto. (p. 226)
Zambrino: Ubaldo, udisti? Ubaldo: Udii, Zambrino. Zambrino: Intendi | Quell'acerbo parlar? Ubaldo: L'intendo assai. Zambrino: Di profondi sospetti ingombra è certo | La gelosa Matilde. In altro amore | Traviato ella teme il suo Manfredi, | E complice ti crede. Ubaldo: E tu sei quello | Che tal credenza le risvegli in petto; | Queste ancóra v'aggiungi.
Citazioni
Ubaldo: Non ha forza il braccio | Se dal cor non la prende, (p. 234)
Manfredi: E del capo, lo sai, dovunque è regno, | Mal procede il governo ove sia rotta | L'armonia delle braccia. Ubaldo: E dove il capo | Mostrarsi infermo, delle braccia è nulla | La concordia. (Atto I, p. 237)
Ubaldo: La piaga | Sanar si può d'una beltà malvagia, | Ché in cor bennato amor malnato è breve: | Ma beltade è fatal quando è pudica. (Atto I, p. 240)
Matilde: Gran forza inspira | E fierezza il dolor quando lo move | Amor tradito. (Atto I, p. 246)
Elisa: Il cuor si serra | Nelle fortune, e sol lo schiude il tocco | Delle grandi sventure.. (Atto II, p. 252)
Citazioni sull'opera
E scrisse la tragedia del Manfredi, mosso da certi spiriti in lui destati dalla lettura di Shàkspeare. Perciò quel suo Manfredi ha molti colori che tengono a quelli della poesia inglese, per quanto l'indole de' nostri teatri il comporta; e la imitazione ne apparisce chiarissima ne' caratteri, e specialmente in quello di Zambrino, coniato ad imagine dell'Iago dell' Otello. (Francesco Cassi)
Vuolsi che questo patrio componimento senta della imitazione di Sakespeare, e non sia totalmente collocato in mezzo a costumi italici del medio evo. Le gelosie però di Matilde, le sventure d'Eloisa, la lealtà d'Ubaldo, la perfidia di Zambrino, ed il cuor grande di Galeotto che fra l'amore e il dovere si decide per quest'ultimo sono caratteri degni dell'autore dell' Aristodemo. (Gianfrancesco Rambelli)
Quando al terzo di Marte orrido Ludo | Dal Brittannico roar sul congiurato | Istro discese fulminando il Sire | Delle battaglie, e d'atro nembo avvolta | Al fianco gli venia la provocata | Dal tedesco spergiuro ira del Cielo, | Sentì dali'alta Ercinia la procella | De' volanti guerrieri il Bardo Ullino; | Ullino germe di forti, ed animoso | Cantor de' forti, e dello spirto erede | Dell'indovina vergine Velleda, | Cui l'antica paura incensi offria | Nelle selve Brutere, ove implorata | L'aspra donzella con responsi orrendi | Del temulo avvenire apria l'arcano.
Citazioni
Dell'innocente | Sangue versato | In scellerata guerra | Conta il Cielo le stille, e le schernite | Lagrime tutte della stanca terra. (Canto I, p. 366)
Perde il nome la Possanza, | che di barbari s'aita: | Vile è il trono, a cui sostegno | son quell'armi, ed onta il regno. (Canto I, p. 366)
Pallido intanto sull'Abnobie rupi | Il Sol cadendo raccogliea d'intorno | Dalle cose i colori, e alla pietosa | Notte del mondo concedea la cura. (Canto I, p. 368)
Infelice a far mia degl'infelici | La sventura imparai. (Canto II, p. 368)
[...] e gli brillava il viso | Come raggio di Sol, che dopo il nembo | Ravviva il fiore dal furor battuto | D'aquilon tempestoso. (Canto II, p. 369)
Ben di senso è privo | Chi ti conosce, Italia, e non t'adora. (Canto II, p. 371)
Non sempre di Codardia compagna è la Paura. (Canto III, p. 371)
Ma più ch'altri invade, | e al cor s'attacca del racchiuso in Ulma Austriaco duce [Karl Mack von Leiberich]. | Di quel cor già donno | la Paura ritrova un altro Nume | più deforme d'assai, la Codardia, | che d'Arcoli, di Dego e di Marengo | incessante gli tuona entro l'orecchio | i terribili nomi, né midollo | né fibrilla gli lascia che non tremi. (Canto III, p. 372-373)
Su le Noriche nevi ella già sparge | Le sue rose l'Aurora, e saltellante | Di ramo in ramo il passer mattutino | In suo garrire la saluta, e chiama | Alle cure campestri il villanello. (Canto IV, p. 373)
Dietro il valor di sue vittorie è lento | Della parola e del pensiero il corso [Napoleone Bonaparte]. (Canto V, p. 379)
Nel tripudio ognun corre ad abbracciarte | Sia nemico, od amico; l'allegrezza | Non distingue i sembianti; un caro errore | Dona gli amplessi, e negli amplessi il core. (Canto VI, p. 382)
Dimmi, Amore: In questo eletto | Giardin sacro alla pudica | Dea del senno e tua nemica, | Temerario fanciulletto, | A che vieni? O fuggì, o l'ali | Tu vi perdi, ed arco e strali.
Citazioni
Virtude io servo fede | Più che il volgo non si crede. (p. 70)
E per lei qui appunto or vegno | A spiccar dal cespo un raro | Fior gentile, un fior che caro | A lei crebbe, e di me degno. | Cosi parla; e con baldanza | Nella chiostra il passo avanza. (p. 70)
Dolce l'aura l'accarezza, | Schietto il Sol di rai l'indora, | Fresca piove a lei l'Aurora | Le sue perle; e una vaghezza, | Uno spirto intorno gira | Che ti grida al cor: Sospira (p. 72)
L'agitò, le luci affisse | Nel bel fiore, e cosi disse: | Desio d'alma generosa, | Di Minerva dolce cura, | Dolce riso di natura, | Cara al ciel Trivulzia Rosa, | II tesor che in te si chiude | Io consacro alla virtude. (p. 72)
E Virtù che sola al mondo | Fa l'uom chiaro e lo sublima, | La Virtù che sola è cima | Di grandezza, e il resto è fondo. (p. 73)
Di' che saggio ognorsarò, | Di' che al cespo tornerò, | E corrò... Ma posto il dito | Su le labbra, il dir sostenne, | E disparve. Allor mi venne | Nella mente'appien chiarito | Che a Virtude Amor tien fede | Più che il volgo non si crede.
Le tue vaghe alme pupille, | I celesti tuoi sembianti | Già t'acquistano, o mia Fille, | I sospir di cento amanti. | Ciascheduno i merti suoi | Spiega in pompa lusinghiera, | E su i cari affetti tuoi | Ciaschedun gareggia e spera.
Citazioni
Se d'Amor l'acuto strale | A ferirti il sen non va, | Che ti giova, che ti vale, | Fille mia, la tua beltà? Dunque scegli qual più vuoi, | Cui del cuore aprir le porte. (p. 62)
Ma non prendere consiglio | Sol dagli occhi; e saggia intanto | Della scelta sul periglio | I miei detti ascolta alquanto. (p. 62)
Pur sovente in bocca a un vate | Della lode il suon seduce, | Ed acquista una beltate | Maggior grido e maggior lode. (p. 64)
Quel vivace tuo talento | Qualche volta un po' incostante, | Che ti fa con bel portento | Presto irata e presto amante. | Ciò che importa? Un genio instabile | Colpa è sol di fresca età: | Non saresti sì adorabile | Senza qualche infedeltà. (p. 65)
Tal saravvi che dolente | Sempre in atto di morire, | Sempre muto e penitente | Avveleni il tuo gioire. | Norma e legge io prenderò | Dallo stato del tuo viso, | E fedele alternerò | Teco il pianto e teco il riso.
Come face al mancar dell'alimento | Lambe gli aridi stami, e di pallore | Veste il suo lume ognor più scarso e lento | E guizza irresoluta, e par che amore | Di vita la richiami, infin che scioglie | L'ultimo volo, e sfavillando muore: | Tal quest'alma gentil, che morte or toglie | All'Italica speme, e sullo stelo | Vital, che verde ancor floria, la coglie; | Dopo molto affannarsi entro il suo velo, | E anelar stanca sull'uscita, alfine | L'ali aperse, e raggiante alzossi al cielo.
Citazioni
[Al lettore] Ben provvide alla dignità delle Muse quella legge del divino Licurgo, la quale vietava l'incidere, non che il cantar versi sulla tomba degli uomini volgari, non accordando questo alto onore che alle anime generose e della patria benemerite. (p. 387)
Lui che primiero dell'intatto Urano / Co' numeri frenò la via segreta, / Orian degli astri indagator sovrano[13]
Oh mio Lorenzo — oh Borda mio! fur dette | Queste, e non più per lor, parole: il resto | Disser le braccia al collo avvinte e strette. (Canto I, p. 389)
Pace, austero intelletto. Un'altra volta | Salva è la patria: un nume entro le chiome | La man le pose, e lei dal fango ha tolta. | Bonaparte... Rizzossi a tanto nome | L'acciglialo Parini, e la severa | Fronte spianando balenó, siccome | Raggio di sole che, rotta la nera | Nube, nel fior che già parea morisse | Desta ii riso e l'amor di primavera. (Canto II, p. 390)
Reggio ancor non obblia che dal suo seno | La favilla scoppiò, donde primero | Di nostra libertà corse il baleno. Mostrò Bergamo mia che puote il vero | Amor di patria e lo mostrò l'ardita | Brescia, sdegnosa d'ogni vil pensiero. (Canto II, p. 392)
O voi che state ad ascoltar, voi puri | Spirti del ciel, cui veggio al rio pensiero | Farsi i bei volti per pietade oscuri; | Che cor fu il vostro allor che per sentiero | D'orrende stragi inferocir vedeste | E stugger Francia un solo, un Robespiero? (Canto III, p. 393)
Perché la colpa de' regnanti, o Padre, | Negli innocenti popoli è punita? (Canto III, p. 393)
Citazioni sull'opera
Alla Mascheroniana poi fu cagione la morte del celebre matematico e letterato Lorenzo Mascheroni, il quale essendo in vita tenero amico del Monti, fu da lui in morte con versi gravissimi lacrimato. (Francesco Cassi)
Questi nuovi canti che deploravano la morte del celebre matematico, e letterato Lorenzo Mascheroni sono anch'essi un frammento, che gli amici vietarono al Monti e continuarli e pubblicarli. (Gianfrancesco Rambelli)
Già vinta dell'inferno era la pugna,
E lo spirto d'abisso si partìa
Vòta stringendo la terribil ugna.
Come lion per fame egli ruggìa
Bestemmiando l'Eterno, e le commosse
Idre del capo sibilâr per via.
Allor timide l'ali aperse e scosse
L'anima d'Ugo alla seconda vita
Fuor delle membra del suo sangue rosse;
E la mortal prigione ond'era uscita
Subito indietro a riguardar si volse
Tutta ancor sospettosa e sbigottita.
Ma dolce con un riso la raccolse
E confortolla l'angelo beato
Che contro Dite a conquistarla tolse.
Citazioni
Vôta stringendo la terribil ugna. (canto I, v. 3[14])
Oltre il rogo non vive ira nemica. (canto I, v. 49)
Stolto, che volli coll'immobil fato | cozzar della gran Roma, onde ne porto | rotta la tempia, e il fianco insanguinato; | ché di Giuda il Leon non anco è morto; | ma vive e rugge, e il pelo arruffa e gli occhi. (canto III, vv. 7-11)
Tremanti i polsi e riverente il ciglio. (canto III, v. 21)
Ei sol tarpò del Franco ardir le penne; | l'onor d'Italia vilipesa e quello | del Borbonico nome egli sostenne. (canto III, vv. 55-57)
L'ali apersi a un sospiro; e l'infinito | amor nel libro, dove tutto è scritto, | il mio peccato cancellò col dito. (canto III, vv. 85-87)
Non altrimenti a volo strano e vago | d'ogni parte erompea l'oscena schiera; | ed ulular s'udiva, a quell'immago | che fan sul margo d'una fonte nera | i lupi sospettosi e vagabondi | a ber venuti a truppa in sulla sera. (canto III, vv. 214-219)
[...] il piè sì lento, | che le lumacce al paragon son veltri. (canto III, 296-297)
[Su Paul Henri Thiry d'Holbach]Colui che al discoperto e senza téma | venne contro l'Eterno ad accamparse; | e ne sfidò la folgore suprema, | secondo Capaneo, sotto lo scudo | d'un gran delirio ch'ei chiamò sistema. (canto III, vv. 320-324)
Citazioni su In morte di Ugo Bassville
Assai edizioni della Bassvilliana si moltiplicarono per Italia, e specialmente in Milano, dove l'immortale Parini, maravigliato all'ardire dal nuovo poeta, disse quella memorabile sentenza, che il Monti cioè sempre minaccia di cadere colla repentina sublimità de' suoi voli, e non cade mai. Nell'edizione di Pavia si posero alcune forti note, nelle quali magnificandosi l'autore col titolo di Dante redivivo, fu censurata quella espressione di freddo e caldo. (Francesco Cassi)
I classici versi che cantano Basville levarono plauso tale, che li più schivi appresero a venerare l'Alighieri; ed allora il felice autore fu salutato col titolo di Dante redivivo e l'acuto Parini escì in quella memorabile sentenza che il Monti sempre minaccia cadere colla repentina sublimità de'suoi voli, e non cade mai. Ma la Basvilliana non è che un frammento del gran poema che la vasta mente di Vincenzo avea concepito. (Gianfrancesco Rambelli)
Dolce de' mali obblio, dolce dell'alma
Conforto, se le cure egre talvolta
Van de' pensieri a intorbidar la calma,
O cara Solitudine, una volta
A sollevar deh! vieni i miei tormenti
Tutta nel velo della notte avvolta.
Te chiamano le amiche ombre dolenti
Di questa selva, e i placidi sospiri
Tra fronda e fronda de' nascosti venti.
Citazioni
Il pensier si sprigiona, e senza briglia | va scorrendo, quai turbo inferocito | che il dormente Ocean desta e scompiglia. | In quai caverne, in qual deserto lito | or vien egli sospinto? È forse questo | il sentier d'Acheronte e di Cocito? (p. 224)
Maledetto il pensier che ti donai; | maledette le tracce, e la scaltrita | sembianza, onde sedurre io mi lasciai; || maledetta l'infausta ombra romita | conscia de' miei trionfi, e della spene | lungo tempo felice, e poi tradita. (p. 224)
Mugge il tuono fra' lampi, e dappertutto | dal sen de' nembi la tempesta sbalza | e schianta i boschi il ruinoso flutto. (p. 224)
Sostienmi, o mio coraggio. Ecco l'orrendo | volto di morte! Arricciasi ogni pelo, | e l'alma al cor precipita fremendo. (p. 224)
Oh Morte! oh Morte! Eppur terribil tanto | non sei qual sembri. Tu sugli occhi adesso | mi chiami, in vece di spavento, il pianto. || Dunque più non fuggir, vienmi dappresso. | Ah, perché tremo ancor? Vieni, ch'io voglio | ne' tuoi sembianti contemplar me stesso. (p. 225)
Della mente di Dio candida figlia, | Prima d'Amor germana, e di Natura Amabile compagna e maraviglia, || Madre de' dolci affetti, e dolce cura | Dell'uom, che varca pellegrino errante | Questa valle d'esilio e di sciagura, || Vuoi tu, diva bellezza, un risonante | Udir inno di lode, e nel mio petto | Un raggio tramandar del tuo seminante? || Senza la luce tua l'egro intellelto | Langue oscurato, e i miei pensier sen vanno | Smarriti in faccia al nobile subbietto.
Citazioni
Tu coronasti di sereni lampi | Al Sol la fronte: e per te avvien che il crine | Delle comete rubiconde avvampi; || Che agli occhi di quaggiù, spogliate alfine | Del reo presagio di feral fortuna, Invian flamme innocenti e porporine, || Di tante faci alla silente e brunà || Notte trapunse la tua mano il lembo. E un don le festi della bianca Luna. (vv. 41-51; 1855, p. 232)
Alla terra indirizzasti l'ali, | Еd ebber dal poter de' tuoi splendori | Vita le cose inanimate e frali. | Tumide allor di nutritivi umori | Si fecondàr le glebe, e si fèr manto | Di molli erbette e d'olezzanti fiori. (vv. 55-60; 1855, p. 232)
Dalle gravide glebe, oh maraviglia! | Fuori allor si lanciò scherzante e presta | la vaga delle belve ampia famiglia. | Ecco dal suolo liberar la testa, | scuoter le giubbe, e tutto uscir d'un salto | il biondo imperator della foresta: | ecco la tigre, e il leopardo in alto | spiccarsi fuora della rotta bica, | e fuggir nelle selve a salto a salto: | vedi sotto la zolla, che l'implica, | divincolarsi il bue, che pigro e lento | isviluppa le gran membra a fatica: | vedi pien di magnanimo ardimento | sovra i piedi balzar ritto il destriero, | e nitrendo sfidar nel corso il vento; | indi il cervo ramoso, ed il leggiero | daino fugace, e mille altri animanti, | qual mansueto, e qual ritroso e fiero. | Altri per valli e per campagne erranti, | altri di tane abitator crudeli, | altri dell'uomo difensori e amanti. | E lor di macchia differente i peli | tu di tua mano dipingesti, o Diva, | con quella mano, che dipinse i cieli. (vv. 80-105; 1797, p. 129)
Anche sul dorso dei petrosi monti | Talor t'assidi maestosa, e rendi | Belle dell'alpi le nevose fronti: | Talor sul giogo abbrustolato ascendi | Del fumante Etna, e nell'orribil veste | Delle sue fiamme ti ravvolgi e splendi. (vv. 133-138; 1855, p. 233)
Chi può cantar le tue bellezze? Al petto | Manca la lena, ed il verso non ascende | Tanto, che arrivi all'alto mio concetto. (vv. 169-171; 1855, p. 233)
Citazioni sull'opera
Né faremo parola di quella miracolosa Bellezza dell'Universo, che recitata in Arcadia per le nozze Braschi e Falconieri stordì di guisa le menti d'ogni uomo, che narrasi (dopo uditi que' carmi divini) niuno degli arcadi aver voluto leggere li suoi componimenti: tanto fu il trionfo del giovane poeta. (Gianfrancesco Rambelli)
Cor di ferro ha nel petto, alma villana | Chi fa de' carmi alla bell'arte oltraggio, | Arte figlia del Cielo, arte sovrana, | Voce di Giove e di sua menle raggio. | O Muse, o sante Dee, la vostra arcana | Origine vo' dir con pio linguaggio, | Se mortal fantasia troppo non osa | Prendendo incarco di celeste cosa.
Citazioni
Chè nuova tirannia sta sempre in tema, | E cruda è sempre tirannia che trema. (p. 235)
Amor che già scendea propizio e pio, | Manifestossi in quella all'amatore, | E gli sorrise cosi caro un riso, | Che di dolcezza un sasso avria diviso. (p. 236)
E tu pur desti agli empi sepoltura, | Terribile Vesevo, che la piena | Versi rugghiando di tua lava impura | Vicino ahi troppo alla regal Sirena. | Deh sul giardin d'Italia e di natura | I tuoi torrenti incenditori affrena; | Ti basti, ohimè! l'aver di Pompejano | I bei colli sepolto e d'Ercolano. (p. 239)
Molta virtù sepolta giace accanto | Alla viltà, perché non ebbe un prode | Vate amico al suo fianco: e le bell'opre, | Che non hanno cantor, l'oblio ricopre. (p. 240)
Dolce brama delle genti, | Cara Pace, alfin scendesti, | E le spade combattenti | La tua fronda separó. || Nell'orribile vagina | Già nasconde il brando Marte; | Già l'invitto Bonaparte | Il suo fulmine posó.
Citazioni
E sian scherno sulle scene | In catene — trascinati | I tiranni detestati | Della fiera gioventù. (p. 417)
Per le case, per la via | Scorre libero il piacere; | Un'amabile follia | La ragion rapisce e il cor. (p. 418)
Libertade o morte, tutti | Esclamate, e mano al brando: | Fortunato chi pugnando | Per la patria morirá. (p. 418)
Sul muto degli Eroi sepolto frale | Eterna splende di virtù la face. | Passa il Tempo, e la sventola coll'ale, | E più bella la rende e più vivace. | Corre a inchinarla la virtù rivale; | Alessandro alla tomba entro cui tace | L'ira d'Achille, e, maggior d'ogni antico, | Bonaparte all'avel di Federico.
Citazioni
La man vi stese, e disse: Entra nel mio | Pugno, o fatal tremenda spada. Il trono | Ch'alto levasti, e i lauri onde coprio | Un dì la fronte il tuo Signor, miei sono. | Dal gorgo intatta dell'umano obblio | Sua gloria volerà. (p. 458)
Spinge l'Elba atterrile e rubiconde | Al mar le spume; e il mar incalza al lido | Anglo muggendo, e su le torbid'onde | Gl'invia del sangue sì mal compro il grido. | A quel muggir l'Odera alto risponde, | E: Rispetta il Lion, bada al tuo nido, | Crida allo Sveco dalla riva estrema; | Bada al tuo nido, Re pusillo, e trema. (p. 459)
D'Europa intanto alla Cina reina | Viaggia della Spree la trionfata | Spada, e la segue con la fronte china | La Borussa Superbia incatenata. | Densa al passar dell'arme pellegrina | Corre la gente stupefatta, e guata; | E già la fama con veloce penna | Ne pronuncia la giunta in su la Senna. (p. 459)
In questa di valor sacra contrada | Alti onori t'avrai; che riverita | Pur de' nemici è qui la gloria, e schietti | Della tua faran fede i nostri petti. | Si dicendo scoprir le rilucenti | Còlte in Rosbacco cicatrici antiche, | E vivo scintillò negli occhi ardenti | Il pensier| delle belliche fatiche. | Parve l'inclita spada a quegli accenti | Abitarsi, e sentir che fra nemiche | Desire non cadde; parve di più pura | Luce ornarsi, e obbliar la sua sventura.
Voi dormite tranquillo, signor Generale, sopra i vostri allori marittimi e sul timone della nave di cui sedete al governo, e tutt'altro vi sognate sicuramente, che di ricevere una mia lettera. Perché son io costretto di scrivervela? Qual linguaggio, qual formolario userò io con voi, io consagrato al servigio d'un principe ingiustamente offeso dal vostro? E quale sarà il Galateo che adoprerò se, nel mentre ch'io parlo, la Svezia da voi provocata prepara i suoi vascelli per portarvi a Napoli le sue ragioni sulla bocca eloquente de' suoi cannoni? Frattanto egli m' è necessario di scrivervi e voi siete quello che mi forzate. Se voi non aveste attaccata che in privato la mia persona, se aveste ancora ciò fatto in Napoli al cospetto solamente de' vostri schiavi, io vi avrei lasciato, senza commovermi, eternamente latrare e mentire. Ma voi mi avete oltraggiato alla presenza del pubblico, voi mi avete atrocemente calunniato per proteggere il traditore barone d'Armfeldt, denunciandomi a tutta l'Italia e a tutta l'Europa ordinatore d'un assassinio contro di lui voi avete cercato di dirigere a questo scopo la pubblica opinione con ogni sorta di maneggi e di scritti, e non vi siete avveduto che, togliendomi l'onore, mi toglievate egualmente la libertà di soffrire, disprezzarvi e tacere.
Citazioni
La verità non ha mai atterrito gli amici della virtù e non vi sono che i vili, che consigliano di tacerla, e le sporche coscienze, a cui torna conto che la sua luce resti sepolta nel cuore degli uomini, come una lucerna dentro una tomba. (p. 23)
La massima, che sotto Luigi XIII lasciò scritta nel suo testamento politico un gran ministro di Stato, che i sovrani si guardino con diligenza dall'impiegare nelle cariche le persone d'onore, perché non possono trarne verun partito, questa massima tanto esecrabile, quanto osservata, è del tutto sconosciuta, se nol sapete, in Isvezia. Se lo sia egualmente nel sistema della vostra politica, accordatemi l'onesta libertà di deciderlo e allora vi dirò io la ragione perché non siete ancora in grado di rispettarmi e conoscermi. (p. 24)
Oh verità! sentimento divino, idolo dei cuori onorati e tormento eterno dei perfidi, io potrò dunque far sì, che il pubblico ti contempli a viso scoperto e ti tocchi? L'impostura avea tentato di seppellirti, e nascondere, ai tanti occhi che ti cercano, le tue pure attrattive. Ma la mia mano strapperà con coraggio il velo che ti hanno posto sul volto. La tua luce brillerà come il sole, confonderà i vili che ti hanno tradito, e i buoni esulteranno tutti della tua giusta vendetta. (p. 31)
[...] per disonore dell'umana ragione non v'e cosa in Napoli tanto notoria, quanto la libera e pubblica vendita che vi si fa dei falsi attestati. La tariffa loro ordinaria è di tre ducati, o di quattro, secondo la fame di chi vende, e il bisogno di chi compra. Se tu vuoi dunque soppiantare un processo, alterare una particola di testamento, falsificare qualunque carattere, tu non hai ch'a gittar via i rimorsi, e dar mano alla borsa. Le botteghe de' falsari son sempre aperte. Tiriamo un velo sopra queste incredibili e non mai più udite abbominazioni. Il pensiero non può fissarle senza raccapriccio. (p. 32-33)
Noi entriamo in un mare che non ha sponde, in un mare di ribalderie, ove l'ingiustizia e la soverchieria veleggiano col vento in poppa, e la sola innocenza è in burrasca, da tutti abbandonata, fuorché dal Cielo che la vuole afflitta, ma non sommersa. (p. 38)
Sallo il ciel quante volte al sonno, ahi lasso! | Col desire mi corco e colla speme di mai svegliarmi | E sul mattin novello| Apro le luci, a mirar torno il Sole, | Ed infelice un'allra volta io sono. | Quale sovente con maggior disdegna | Vedi sul mar destarsi le procelle, | Che fallo dianzi avean silenzio e tregua; | Tale al tornar delia diurna luce | Più fiero de' miei mali il sentimento | Risorge, e tal dell'alma le tempeste, | Che la calma notturna avea sopite, | Svegliansi tutte, e le solleva in alto | Quel terribile Iddio che mi persegue.
Citazioni
Ah! qnando ancora colle chiuse ciglia | Tra veglia e sonno d'abbracciarla io credo, | E deluso mi desto, ahi! che del cuore | La grave oppressïon sgorgar repente | Fa di lagrime un rio dalle pupille. E al pensier disperato mi dischiude | Un avvenir d'orrendi mali, a cui | Termine non vegg'io fuorché la tomba. (p. 267)
Oh come del pensier batte alle porte | Questa fatale immago e mi persegue! | Come d'incontro mi s'arresta immota, | E tutta tutta la mia mente ingombra! | Chiudo ben io per non mirarla i rai, | E con ambe le man la fronte ascondo. | Ma su la fronte e dentro i rai la veggio | Un'allra voila comparir, fermarsi, | Riguardarmi pietosa e non far motto. (p. 267)
Torna, o delirio lusinghier deh! torna; | Né cosi ratto abbandonarmi. Io dunque | Suo sposo! ella mia sposa! Eterno Iddio, | Di cui fu dono questo cor che avvampa, | Se un tanto ben mi preparavi, io tutti | Spesi gl'istanti in adorarti avrei. (p. 268)
Oh se lontano dalle ree cittadi | In solilario lido i giorni miei | Teco mi fosse trapassar concesso! | Oh se mel fosse! Tu sorella e sposa, | Tu mia ricchezza, mia grandezza e regno, | Tu mi saresti il ciel, la terra e tutto. | Io ne' tuoi sguardi e tu ne' miei felice, | Come di schietto rivo onda soave | Scorrer gli anni vedremmo, e fonte in noi | Di perenne gioir fóra la vita. (p. 268)
Tutto pere quaggiù. Divora il Tempo | L'opre, i pensieri. Colà dove immenso | Gli astri dan suono, e qui dov'io mi assido, | E coll'aura che passa mi lamento, | Del nulla tornerà l'ombra e il silenzio. | Ma non l'intera Eternilà potria | Spegner la fiamma che non polsi e vene, | Ma la sostanza spirital n'accese, | Fiamma immortal, perché immortal lo spirito | Entro cui vive, e di cui vive e cresce. (p. 269)
E sarà nosco Amore. Noi de' sofferti | Oltraggi allor vendicheremo Amore, | Né d'uomo tirannia né di fortuna | Franger potranne, o indebolir quel nodo | Che le nostre congiunse alme fedeli. | Perché dunque a venir lenta è cotanto, | Quando è principio del gioir, la Morte? | Perché si rado la chiamata ascolta | Degl'infelici, e la sua man disdegna | Troncar le vile d'amarezza asperse?
Di velo, il sai, compiacesi | amor modesto e puro. | Va, fra quell'ombre tacite | mi troverai, tel giuro. (da La fecondità, p. 275)
Finché l'età n'invita, | cerchiam di goder. | L'aprile del piacer | passa, e non torna più. | Grave divien la vita | se non ne cogli il fior. (da All'amica, p. 275)
I nostri cori a gara | lasciamo delirar | chi sa fervente amar, | solo è felice. (da All'amica, p. 275)
Per due fedeli amanti | tutto, tutto è gioir. (da All'amica, p. 275)
Più sei bella, più devi | ad Amor voti e fè. (p. 275)
Amiam, che i dì son brevi; | un giorno senza amor, | è giorno di dolor, | Giorno perduto. (da All'amica, p. 275)
E meglio tra capanne in umil sorte, | che nel tumulto di ribalta corte, | filosofia s'impara. (da Invito d'un solitario a un cittadino, p. 275)
Vieni dunque, infelice, a queste selve; | fuggi l'empie città, fuggi i lucenti | d'oro palagi, tane di serpenti, | e di perfide belve. (da Invito d'un solitario a un cittadino, p. 276)
E te pur, dolce amico, e te pur prende | del mio soffrir pietade; ed in me fitto | lo sguardo, mostri che il dòlor ti fende | di che misero io porto il coi- trafitto. || Né la virtù che agli altrui mali intende, | in te si spense al meditar lo scritto | del fiero vate che in sentenze orrende | di Farsaglia cantò l'alto delitto. (da Al sig. conte Francesco Cassi, p. 18[15])
E diran tutti: L'italo cantore | vinse il latino; chè le Furie a quello | fur Mute, e a te, leggiadro spirto, il core. (da Al sig. conte Francesco Cassi, p. 18[15])
Più la contemplo, più vaneggio in quella | mirabil tela: e il cor, che | ne sospira, | sì nell'obbietto del suo arnor delira, | che gli amplessi n'aspetta e la favella. (da Per un dipinto del celebre sig. Filippo Agricola rappresentante la Figlia dell'Autore, p. 21[15])
Nel fiso riguardar l'amato obbietto | del mio lungo desir tanta è la piena, | la dolce piena del paterno affetto, | che il gaudio quasi a delirar mi mena. || L'anima, tutto abbandonando il petto, | corre negli occhi, e Amor ve l'incatena. (da Agli amici, p. 22[15])
Canzonetta
Amo, ed ardo per cosa | Si vaga e graziosa, | Che vederla, e trafitto | Non sentirsi è delitto. (p. 276)
Ardon dolci e tranquille | Le cerulee pupille. | Oh pupille beate! | Stolto è ben chi vi mira, | E d'amor non sospira. (p. 276)
Del color non dipende | Degli occhi la bellezza, | Ma sol dalla dolcezza | Che da lor piove e scende. (p. 276)
Quante pupille brune | Passano disprezzate | Senza palme e fortune, | Perché mute, insensate | Non san piegarsi in giro, | Né destare un sospiro? . (p. 277)
Ma voi, pupille amabili, | Pupille incomparabili, | Se uno sguardo volgete, | Già il cor rapito avete. (p. 277)
Chi misura mai puote | Il valor d'un sorriso, | Che ravviva le gote | D'un delicato viso? . (p. 277)
So che immago è del cor | La forma esterïore; | Ma l'immago sovente | È Fallace, o languente. (p. 277)
Un amor senza stento | Invita al tradimento; | E una rosa d'aprile | Quattro volte odorata | Perde il suo bello, e vile | Sen muore al suol gittata. (p. 278)
L'accorto Prometéo, l'inclito figlio | A cantar di Giapeto il cor mi sprona, | E quantji sopportò travagli e pene | Per amor de' mortali, e qual raccolse | Di largo beneficio empia mercede, | Se la Diva, cui tutta a parte a parte | La peregrina istoria è manifesta, | Del suo favor m'aita, e non ricusa | Sovra italico labbro alcuna stilla | D'antica derivar greca dolcezza.
Citazioni
La Mitologia ci offre in Prometeo il più interessante personaggio che mai esercitasse, pe' suoi rapporti morali e politici, l'intelletto de' filosofi e l'immaginazione de' poeti. Ma tante sono e si diverse e sconnesse le maraviglie che di lui si raccontano, che volendo noi trattarne l'argomento in poema, sarà pregio dell'opera il riunire a maggior comodo di chi legge le molte e disperse fila di questa tela. (in prefazione)
E dove in trono non s'asside il giusto, | Colpa divien, che mai non si perdona, | Dell'ingegno l'altezza e la virtude; | E fortunata è l'ignoranza sola. (Canto I)
Sangue corrono i campi, e sangue i fiumi; | Sangue si vende, oh dio! sangue si compra, | E tradimento e forza a piè del trono | Fan l'orrendo contratto. (Canto I)
Così talvolta il Sol, poiché di Giove | Tacquero i lampi procellosi e i tuoni, | Delle nuvole straccia il fosco velo, | E più bella che pria mostra la fronte | Che tutto allegra di suo riso il mondo. (Canto II)
Era il tempo che stanche in occidente | Piegava il Sol le rote, e raccogliendo | Dalle cose i colori, all'inimica | Notte del mondo concedea la cura. (Canto II)
Lascivo il vento le gonfiava il seno | Del bel ceruleo velo, e steso a tergo | Iva il crin somigliante ad una stella | Che di nembi foriera per la quota | Notte del ciel precipita, e fa lungo | Dopo sé biancheggiar solco di luce. (Canto III)
Oh Delo! oh culla | Del signor delle Muse e della luce, | Salve! Né mai con sanguinoso piede | Ti giunga Marte a calpestar, né mai | S'acquisii Pluto in te ragione alcuna. | Salve, o terra beata, e sempre suoni | Sul labbro de'poeti il tuo bel nome. (Canto III)
Prima e sola cagion che moto e vita | A tutte impresse le create cose, | Alma natura, che tue sante leggi | Rivelasti ai mortali, e la grandezza | Sempre narri di Lui ch'è tuo principio. (Canto IV)
Alla testa degli Oratori Italiani dee esser posto il cav. Monti, il quale è primo nella eloquenza cosi come nella poesia, nella critica e nella filologia. (Ambrogio Levati)
Amico mio, seguitate la vostra fatica la quale ad onta della debolezza dell'argomento che vi siete proposto va a procacciarvi una luminosa riputazione; e s'egli è vero che le anime di Dante e dell'autore del Basville si siano toccate in tutte le loro parti, tenete per certo che la vostra entra per terza in questo contatto, e compisce il mistero d'una triade letteraria in un'anima sola. (Francesco Torti)
Così ella vede che il Monti è assai più famoso per l'Iliade che per il Persio. (Giacomo Leopardi)
Dalle ossa di Vincenzo sorga lo spirito illustre, illumini le belle contrade d'un altro Aristodemo, d'un altro Basville, e ponendosi a bocca la tromba d'Omero colle calde parole del Ghibellino fuggiasco [Dante Alighieri] facciane uscire un tuono degno della tua gloria, degno del popolo più poetico dell'universo. (Gianfrancesco Rambelli)
Fuvvi chi dalle opere e dalle azioni di lui volle dirlo l'uomo di tutti i tempi, di tutti i partiti . Non è mio instituto purgarlo di tale accusa: io parlo del gran letterato, del sommo poeta, Monti considerato come uomo avrà qualche volta operato debolmente. E che monta codesto? Condanneremo per ciò l'autore della Basvilliana, e dell'Aristodemo? ov'è uomo sulla terra che niuna macchia possa rimproverarsi? se v'ha venga costui, e getti la prima pietra a coprire d'infamia il principe de' poeti del nostro tempo. (Gianfrancesco Rambelli)
Il cav. Monti ha pur esso voluto tradurre un latino poeta, e per esercitare il suo ingegno ha scelto il più oscuro, qual è Persio. Ma per quanti sforzi egli abbia fatto per rischiararlo, noi siam costretti ancora a sclamare con San Girolamo: Si non vis intelligi, non debes legi. (Ambrogio Levati)
Il Manzoni, in un'ora d'entusiasmo, chiamò "divino" il Monti; ma nella fuga dei giorni, quella parola è svanita. Pure, "divino" è il Monti nella meravigliosa signoria di tutt' i metri poetici, nella vena inesauribile, come Ovidio; è divino nell'armonia del verso, che al pari d'una "voce" di cui parla lord Byron, sembra discendere da un trono. Ma, nello stile, gli mancano i chiaroscuri, talvolta grandiosi, del Foscolo. (Raffaello Barbiera)
Il Monti fu, dunque rispetto ai poeti che con lui si usa mettere a contrasto, poeta di orecchio e d'immaginazione, e non punto rappresentante di un'età contro un'altra età: differenza di conformazione mentale, non di contenuto storico. E tanto poco egli chiuse un'età o appartenne a un'età chiusa, che, per contrario, formò scuola: una scuola certamente di valore scarso o nullo, ma sol perché scarso o nullo è il valore di tutte le scuole poetiche; e che per estensione e diffusione non fu inferiore ma piuttosto superiore alla foscoliana e alla leopardiana. (Benedetto Croce)
Il Monti non traduce, ma interpreta: che è pur l'unico modo di tradurre. Subito egli coglie di un episodio, di un personaggio, di un'azione, l'accento fondamentale; e a quello volge e piega il suo interpretare, che è il suo tradurre, e intona il suo canto. Non ha deviazioni o urti o arresti, come chi sia preoccupato di altro e ad altro intenda: come chi, per esempio, si affatichi su l'analisi verbale del testo, o si adoperi di seguir certo stile e di provocare e ottenere effetti voluti. Egli ha dentro una sua musica: e quella ode e a quella obbedisce. (Manara Valgimigli)
La Poesia Italiana degradata ed invilita dagli Arcadi, che l'avevan ridotta ad una obbrobriosa povertà di idee ed a sole inezie canore, risurse mercé l'ingegno e le cure del cav. Vincenzo Monti. Egli rialzò gli altari di Dante risuscitando lo studio della Divina Commedia; e pieno delle immagini dell'Alighieri e delle visioni del rapito di Patmo Evangelista spiccò il suo volo e si innalzò al cielo nelle due Cantiche della Basvilliana e della Mascheroniana, nel Pellegrino Apostolico, nella Visione di Ezechiello, nella Bellezza dell'Universo. (Ambrogio Levati)
Nella Roma di Pio VI, [...] non si perdonerà al Monti – e lo si piglierà da quel momento in sospetto – di avere, ripigliando la tesi degli Enciclopedisti, ricongiunto il suo pensiero a quello del Parini, dell'Alfieri e di tutti i contemporanei riformisti, lombardi e napoletani, intuonando nell'ode al Montgolfier l'inno trionfale della ragione e della scienza. (Ernesto Masi)
Nella severa maestà del suo volto (sì vivamente rappresentata dalla scultura di Giambatista Comolli), la grazia (non rara) di un sorriso dolce e delicato rivelava pienamente un animo sincerissimo e affettuoso. E la sincerità fu perfetta; che né voleva né poteva dissimulare non che fingere verun pensiero: e perciò detestava forte ogni falsità e simulazione: così avesse saputo da falsi e simulati difendersi! (Pietro Giordani)
O VIATORE | IN QUESTA CASA | ADI' XIX. FEBBRAIO MDCCLI | NACQUE VINCENZO MONTI | ETERNO VANTO ALLE MUSE ALLA PATRIA ALL'ITALIA. (Epigrafe sulla casa natale)
Questi è Monti poeta e cavaliero, | Gran traduttor dei traduttor d'Omero.[16](Ugo Foscolo)
Salve, o Divino a cui largì natura | il cor di Dante e nel suo Duca il canto: | Questo fia il grido dell'età ventura, | Ma l'età che fu tua tel dice il canto. (Alessandro Manzoni)
Sempre minaccia di cadere colla repentina sublimità de' suoi voli, e non cade mai. (Giuseppe Parini)
Vincenzo Monti formò su primi classici le precipue bellezze di suo stile, ma non ne seguì servilmente alcuno. Additò a poeti il vero modo d'imitar Dante più che non fecero Minzoni e il Varano, e richiamò dal torto sentiero i traviati italici verseggiatori. (Gianfrancesco Rambelli)
Vincenzo Monti sta a cavaliere dei due secoli, e partecipa delle cortigianerie dell'uno e delle libere aspirazioni dell'altro. Egli è plebeo quando segue i mutevoli omaggi resi dalle plebi a mutevoli padroni; è aristocratico nelle guise elette del dire, nelle classiche tradizioni italiane, che ricevono da lui novo lustro magnifico. Più pompa che forza in lui. (Raffaello Barbiera)
1 2 3 4 5 6 citato in Opere di Vincenzo Monti, Volume unico, Francesco Rossi-Romano, Napoli 1862
↑ Da una lettera a Francesco Torti, citato in Francesco Torti, Dante rivendicato: Lettera al sig. Cavalier Monti, Tipografia Tomassini, Fuligno, 1825, p. 11.
↑ Da Congresso di Vienna, in "Poesie liriche", a cura di G. Carducci, ed. Barbèra, p. 378.
↑ Da una lettera a Francesco Torti, citato in Francesco Torti, Dante rivendicato: Lettera al sig. Cavalier Monti, Tipografia Tomassini, Fuligno 1825.
↑ Questa quartina fu scritta dal Monti in risposta al distico dedicatogli dal Foscolo. L'ultimo verso è un riferimento alla passione del Foscolo per il gioco, nel quale egli perdeva regolarmente forti somme.
↑ Citato in Gino Monaldi, Le regine della danza nel secolo XIX, Fratelli Bocca editori, Torino, 1910, p. 61.
↑ Citato in Gianfrancesco Rambelli, Notizie intorno alla vita e alle opere del cavaliere Vincenzo Monti.
↑ Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, p. 459.
1 2 3 4 Vincenzo Monti, Poesie varie, Raccolta di poeti classici italiani antichi e moderni, Milano 1834.
↑ Il distico sarcastico allude al fatto che Vincenzo Monti tradusse in italiano l'Iliade avvalendosi di una traduzione latina o di altra italiana in prosa.
Vincenzo Monti, Al signor di Montgolfier, in Poesie, a cura di Alfonso Bertoldi, Sansoni, Firenze, 1891.
Vincenzo Monti, Amor peregrino, in Poesie varie, Raccolta di poeti classici italiani antichi e moderni, Milano, 1834.
Vincenzo Monti, Amor vergognoso, in Poesie varie, Raccolta di poeti classici italiani antichi e moderni, Milano 1834.
Vincenzo Monti, La musogonia, Poesie, Tipografia Bernardo Virzì, Palermo 1855.
Vincenzo Monti, La pace di Campoformio, Poesie, Tipografia Bernardo Virzì, Palermo 1855.
Vincenzo Monti, La spada di Federico II, Opere di Vincenzo Monti, Volume unico, Francesco Rossi-Romano, Napoli 1862.
Vincenzo Monti, Lettera a nome di Francesco Piranesi al generale D. Giovanni Acton , in Prose varie, Tomo V, Giovanni Resnati e G. Bernardoni, Milano 1841.