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scrittore e sceneggiatore statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Stephen Edwin King (1947 – vivente), scrittore e sceneggiatore statunitense. Ha scritto alcune opere sotto lo pseudonimo di Richard Bachman.
24 febbraio 1999.
Einaudi, 2009, ISBN 978-88-06-19867-1
Intervista di Antonella Barina, il Venerdì di Repubblica, 2 novembre 2013, pp. 19-25.
Non sono mai stato un uomo facile alle lacrime.
Un giorno, mia moglie mi disse che il mio «gradiente emotivo pari a zero» era il motivo principale per cui mi stava lasciando. Come se il tizio che aveva conosciuto alle riunioni degli Alcolisti Anonimi non c'entrasse per niente. Christy disse che avrebbe forse potuto perdonarmi per non aver pianto al funerale di suo padre; lo conoscevo soltanto da sei anni e non potevo capire che uomo fantastico e generoso fosse stato (quando s'era diplomata le aveva regalato una Mustang decappottabile, tanto per fare un esempio); ma quando non avevo pianto a quelli dei miei genitori (morti a due anni di distanza l'uno dall'altra, papà di cancro allo stomaco e mamma fulminata da un attacco di cuore mentre passeggiava su una spiaggia della Florida), Christy aveva iniziato a capire la faccenda del «gradiente».
Per approfondire, vedi: A volte ritornano. |
Per approfondire, vedi: Al crepuscolo (antologia). |
Billy Summers è seduto nella hall dell'hotel, in attesa della sua auto. E' venerdì, mezzogiorno. Anche sta leggendo una raccolta di fumetti intitolata Archie's Pals 'n' Gals, pensa a Emile Zola e al suo terzo romanzo, il suo primo vero successo, Thérèse Raquin. Pensa che sia un'opera decisamente giovanile. Pensa che Zola avesse appena iniziato a esplorare quello che se si sarebbe rilevato un giacimento ricco e prezioso. Pensa che Zola fosse – e sia tuttora – una versione da incubo di Charles Dickens. Pensa che una tesi del genere costituirebbe la base ideale per un saggio di critica letteraria. Non che ne abbia mai scritto uno.
Ora: Sandy
Il figlio di Curt Wilcox veniva spesso alla stazione l'anno che suo padre morì – e intendo proprio spesso –, ma nessuno gli diceva mai di togliersi dai piedi o gli chiedeva che cosa diavolo volesse. Capivamo il motivo delle sue visite: cercava di aggrapparsi al ricordo di suo padre. I poliziotti la sanno lunga sulla psicologia del dolore; molti di noi ne sanno più di quanto vorrebbero.
Notizia di cronaca riportata dal settimanale Enterprise di Westover (Maine) il 19 agosto 1966:
PIOGGIA DI PIETRE.
Ci viene riferito che una pioggia di pietre è caduta da un cielo perfettamente sereno su Carlin Street, nella citta di Chamberlain, il 17 agosto. Diverse persone sarebbero state testimoni. Le pietre sono cadute sulla casa della signora Margaret White, rovinando gravemente il tetto e sfondando due grondaie e un tubo di scolo per un danno di circa 25 dollari. La signora White, vedova, abita nella casa di Grin Street con la figlioletta di tre anni, Carrie. Non si hanno commenti diretti, perché non è stato possibile avvicinare la signora White.
La civiltà scivolò nella sua seconda era di tenebre su una prevedibile scia di sangue, ma ad una velocità che nemmeno i futurologi più pessimistici avrebbero potuto pronosticare. Fu quasi come non vedesse l'ora di finirci. Il primo giorno di ottobre, Dio era nel Suo paradiso, l'indice di borsa era a 10, 140 e quasi tutti gli aerei erano puntuali (eccetto quelli che atterravano o decollavano da Chicago, e c'era da aspettarselo). Due settimane dopo il cielo apparteneva di nuovo agli uccelli e il mercato azionario era un ricordo. A Halloween, tutte le metropoli del mondo, da New York a Mosca, puzzavano fino alle stelle e il mondo di prima era un ricordo.[9]
Dennis
Canzoni da teenager
Prima vista
«Oh mio Dio!» esclamò all'improvviso il mio amico Arnie Cunningham.
«Che cosa c'è?» chiesi io. Con gli occhi strabuzzati dietro gli occhiali dalla montatura d'acciaio e una mano premuta sulla bocca, si era voltato per guardare indietro girando il collo, come se fosse montato su cuscinetti a sfera.[10]
Sei già stato qui
SÌ CHE ci sei stato. Sicuro. Io non dimentico mai una faccia.
Vieni, vieni, qua la mano! Ti dirò, guarda, ti ho riconosciuto da come camminavi prima ancora di vederti in faccia. Non avresti potuto scegliere un giorno migliore per tornare a Castle Rock. Non è un bijou? Manca poco all'apertura della caccia e poi avremo i boschi invasi da quegli scemi che tirano a tutto quello che si muove e mai che mettano la giubba arancione, e poi neve e nevischio, ma a suo tempo, a suo tempo. Adesso è ottobre, e alla Rocca ce lo teniamo buono, l'ottobre, che resti pure quanto vuole.
ma non molto tempo fa, un mostro che arrivò a Castle Rock, nel Maine. Uccise una cameriera di nome Alma Frechette nel 1970; una donna di nome Pauline Toothaker e una studentessa delle medie superiori di nome Cheryl Moody nel 1971; una graziosa ragazza di nome Carol Dunbarger nel 1974; un'insegnante di nome Etta Ringgold nell'autunno del 1975; e un'alunna delle elementari di nome Mary Kate Hendrasen nell'inverno dello stesso anno.
Per approfondire, vedi: Cuori in Atlantide. |
Per me, il terrore – il vero terrore, ben diverso da tutti i demoni e gli orchi che avrebbero potuto vivere nella mia mente – cominciò un pomeriggio di ottobre del 1957. Avevo appena compiuto dieci anni.
E, come era giusto che fosse, mi trovavo al cinema: lo Stratford Theater, nel centro di Stratford, Connecticut.
Il film che davano quel giorno era ed è uno dei miei preferiti di ogni tempo, e anche il fatto che proprio quel film – invece che un western con Randolph Scott o un film di guerra con John Wayne – fosse in programmazione era certamente appropriato.
«Oh! Oh, Gesù! Ma che schifo!»
«Cosa, Mary, cosa?»
«Non l'hai visto?»
«Visto che cosa?»
Mary si girò e nella luce cruda del deserto lui vide che il colorito le si era spento sul viso lasciandole solo le bruciature sulle guance e sulla fronte, dove non riuscivano a difenderla nemmeno le creme a più alto fattore protettivo. Era di carnagione molto chiara e si scottava con facilità.
«Su quel cartello. Quello del limite di velocità.»
«E allora?»
«Sì che lo è», aveva risposto il reverendo un po' stupito. «Deve esserlo per forza, proprio perché è così esigente.» «Ma è anche crudele, vero?» Gene Martin non aveva esitato. «Sì», aveva dichiarato. «Dio è crudele.»
Mi hai chiesto cosa, Andy Bissette? Se «capisco i diritti che mi hai spiegato»? Miseria! Com'è che certi uomini sono così gnucchi?
No, una bella calmata te la dai tu. Mettiti la lingua in saccoccia e dai retta tu a me per un po'. Ho idea che avrai da ascoltarmi per quasi tutta la notte, perciò ti consiglio di metterti il cuore in pace. Sicuro che capisco quello che mi hai letto! Credi che mi sono fatta fuori tutto il cervello da quando ti ho visto giù al mercato? È stato lunedì pomeriggio, nel caso che hai perso il conto dei giorni. Ti ho avvertito che tua moglie te ne diceva di cotte e di crude per quel pane vecchio che hai comprato. Sperperare i dollari per risparmiare i centesimi, come si suol dire. Scommetto che ci ho visto giusto, eh?
Si comincia con uno spazio bianco. Non dev'essere necessariamente carta o tela, ma secondo me dev'essere bianco. Noi diciamo bianco perché abbiamo bisogno di una parola, ma la definizione giusta è «niente». Il nero è l'assenza della luce, ma il bianco è l'assenza della memoria, il colore del non ricordo.
Come ricordiamo di ricordare? È una domanda che mi sono posto spesso dopo Duma Key, spesso nelle ore piccole della notte, perdendo lo sguardo nell'assenza della luce, ricordando amici assenti. Certe volte in quelle ore piccole penso all'orizzonte. Bisogna stabilire l'orizzonte. Bisogna segnare il bianco. Un atto abbastanza semplice, direte, ma ogni atto che rifà il mondo è eroico. O così sono giunto a concludere.
SONO sicuro di riuscire a raccontare questa storia. Sono altrettanto sicuro che nessuno ci crederà. Per me va bene così. Mi basta poterla raccontare. Il mio problema — e sono certo che ce l'hanno molti scrittori, non solo i novellini come me — è decidere da dove cominciare.
Jessie sentiva la porta di servizio che sbatteva piano, a intervalli regolari, nella brezza d'ottobre che soffiava per la casa. In autunno lo stipite si gonfiava puntualmente e occorreva tirare la porta con forza per serrarla. Questa volta se n'erano dimenticati. Pensò di dire a Gerald di andare a chiuderla prima che fossero troppo lanciati, con il rischio che quel rumore le facesse saltare i nervi. Poi rifletté che date le circostanze era ridicolo. Avrebbe guastato l'atmosfera.
Quale atmosfera?
Gli avvenimenti risalgono al 1932, quando il penitenziario di stato si trovava ancora a Cold Mountain. E là c'era anche naturalmente la sedia elettrica.
I detenuti scherzavano sulla sedia, come sempre si fa delle cose di cui si ha paura, ma da cui non ci si può sottrarre. La chiamavano Old Sparky, come dire la Scintillante, o Big Juicy, la Scaricona. Circolavano battute sulla bolletta della luce e su come e dove Moores, il direttore del nostro carcere, avrebbe cucinato il suo pranzo del Ringraziamento, quell'autunno, con la moglie Melinda troppo malata per mettersi ai fornelli.
Ma in quelli che dovevano veramente sedervisi, la voglia di scherzare si spegneva in un baleno. Nel periodo da me trascorso a Cold Mountain ho presieduto a più di settantotto esecuzioni (questo è un numero sul quale non ho mai fatto confusione; me lo ricorderò sul letto di morte) e credo che, per la maggioranza di quegli uomini, la verità di ciò che stava accadendo li colpiva finalmente come una legnata quando gli bloccavano le caviglie alla solida quercia delle gambe di Old Sparky. In quel momento (vedevi la consapevolezza riempirgli piano piano gli occhi, una specie di freddo sgomento) si rendevano conto che le gambe avevano concluso la loro carriera. Dentro vi scorreva ancora il sangue, i muscoli erano ancora reattivi, ma avevano chiuso lo stesso; non avrebbero percorso nemmeno più un metro di un sentiero fra i boschi, non avrebbero più ballato con una ragazza a qualche festa di campagna. Ai clienti di Old Sparky la coscienza della propria morte saliva dalle caviglie. C'era un sacchetto nero di seta da mettergli sulla testa quando avevano finito di pronunciare le loro ultime parole, perlopiù incoerenti. Il cappuccio era per loro, ma io ho sempre pensato che in realtà fosse per noi, per impedirci di vedere l'orribile marea di sgomento che sale nei loro occhi quando cominciano a capire che moriranno con le ginocchia piegate.
Per approfondire, vedi: Incubi & deliri. |
Nessuno, e il dottor Litchfield meno ancora, dichiarò fuori dei denti a Ralph Roberts che sua moglie stava per morire, ma venne il momento in cui Ralph lo capì senza bisogno che qualcuno glielo dicesse. Nella sua testa i mesi tra marzo e giugno erano un confuso pandemonio, un periodo di colloqui con medici, corse serali all'ospedale con Carolyn, pellegrinaggi ad altri ospedali in altri stati per analisi speciali (Ralph impiegava la gran parte del tempo dedicato ai trasferimenti a ringraziare Iddio per l'assicurazione medica di Carolyn), indagini personali alla Biblioteca Pubblica di Derry, dapprima alla ricerca di risposte che gli specialisti potessero aver trascurato, in seguito a cercare solo fili di speranza a cui aggrapparsi. Quei quattro mesi li aveva vissuti come trascinato, ubriaco, per un luna park perverso, dove le persone sulle montagne russe urlavano veramente di paura, le persone perse nella casa degli specchi si erano smarrite veramente, e gli inquilini dei baracconi dei fenomeni viventi ti guardavano con un sorriso falso sulle labbra e il terrore negli occhi.
Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse anche di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia. La barchetta beccheggiò, s'inclinò, si raddrizzò, affrontò con coraggio i gorghi infidi e proseguì per la sua rotta giù per Witcham Street, verso il semaforo che segnava l'incrocio con la Jackson. Le tre lampade disposte in verticale su tutti i lati del semaforo erano spente, in quel pomeriggio d'autunno del 1957, e spente erano anche le finestre di tutte le case. Pioveva ininterrottamente ormai da una settimana e da due giorni si erano alzati i venti.
La macchina ce l’avevo, ma la maggior parte delle volte, in quell’autunno del 1973, me la feci a piedi da Joyland agli appartamenti sulla spiaggia della signora Shoplaw, a Heaven’s Bay. Sembrava la soluzione migliore. L’unica in effetti. Ai primi di settembre, Heaven’s Beach era quasi completamente deserta, in perfetta sintonia con il mio umore. È stato l’autunno più bello della mia vita; continuo a sostenerlo anche quarant’anni dopo.
Era diventato il loro motto, e Jonesy proprio non si ricordava chi di loro avesse cominciato a dirlo per primo. 'Render pan per focaccia è una stronzata' era stata una sua creazione. 'Fanculo, Freddy' e un'altra serie di oscenità ben più colorite erano un parto di Beaver. Henry era stato quello che aveva imposto 'Tutto andrà come vorrà', il genere di cazzata zen che piaceva a lui, fin da quando erano bambini. Ma che dire di Smag? chi aveva avuto quella pensata?
Poco importava. Ciò che contava è che avevano creduto alla prima metà della sigla quando erano un quartetto e a tutta quand'erano in cinque, e poi alla seconda metà quando erano ridiventati quattro. Fu allora che i tempi divennero più cupi. Le giornate 'Fanculo, Freddy si fecero più frequenti. Se ne rendevano conto senza sapere il perché. Sapevano che qualcosa non tornava – o perlomeno che c'era c'era qualcosa di diverso– ma non capivano esattamente che cosa. Sapevano di essere intrappolati, ma non in che modo. E tutto questo molto prima delle luci nel cielo. Prima di McCaarthy e Becky Shue.
Smag: talvolta è solo un modo di dire. E talvolta non credi in nulla al di fuori dell'oscurità. E allora come procedi?
Mezz'ora dopo l'orario previsto per il decollo del volo Delta che avrebbe portato Tim Jamieson da Tampa alle luci brillanti e ai grattacieli di New York, il velivolo era ancora parcheggiato al gate. Non appena un agente della Delta e una donna bionda con un badge della sicurezza appeso al collo entrarono in cabina, i passeggeri stipati in economy si lasciarono andare a un mormorio carico di fastidio e di premonizioni.
«Sally.»
Un borbottio.
«Svegliati, Sally.»
Un borbottio più forte: 'sciami in pace.
La scosse più bruscamente.
«Svegliati. Devi svegliarti!»
Charlie.
La voce di Charlie. La stava chiamando. Da quanto tempo?
Sally emerse dal sonno.
Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare. Questo Trisha McFarland scoprì a nove anni. Alle dieci di una mattina dei primi di giugno era sul sedile posteriore della Dodge Caravan di sua madre con addosso la sua maglietta blu dei Red Sox (quella che ha 36 GORDON sulla schiena) a giocare con Mona, la sua bambola. Alle dieci e mezzo era persa nel bosco. Alle undici cercava di non essere terrorizzata, cercava di non pensare: Questa è una cosa seria, questa è una cosa molto seria. Cercava di non pensare che certe volte a perdersi nel bosco ci si poteva fare anche molto male. Certe volte si moriva.
La vita di ciascuno, intendendo quella vera, non la semplice esistenza fisica, comincia in momenti diversi. La vera vita di Thad Beaumont, un ragazzo nato e cresciuto nel quartiere di Ridgeway a Bergenfield, New Jersey, ebbe inizio nel 1960. In quell'anno gli accaddero due fatti. Il primo formò la sua vita e il secondo per poco non vi pose fine.
Agli occhi del pubblico le mogli degli scrittori popolari sono quasi invisibili e nessuno lo sapeva meglio di Lisey Landon. Suo marito aveva vinto il Pulitzer e il National Book Award, ma Lisey aveva rilasciato una sola vera intervista in tutta la sua vita.
«Roland: Certe volte proprio non mi capisci, vero?»
«Certe volte no», ammette il pistolero.
«Allora ti spiego. Ci sono persone che hanno bisogno di sentirsi necessarie ad altre persone, il motivo per cui non capisci è che tu non sei una di quelli. Tu saresti capace di usarmi per poi buttarmi via come un sacchetto di carta, se dovesse essere necessario. Dio ti ha fregato, amico mio. Tu sei abbastanza onesto da soffrirne, se dovessi farlo, e contemporaneamente abbastanza spietato da farlo lo stesso. Non potresti tirarti indietro. Se io fossi qui, abbandonato su questa spiaggia a invocare disperatamente aiuto, tu cammineresti sopra se mi trovasse fra te e la tua maledetta Torre. Sono abbastanza vicino alla verità?»
Roland non risponde, lo guarda soltanto.
«Ma non sono tutti così. Ci sono anche quelli che hanno bisogno di persone che hanno bisogno di loro. Come in quella canzone di Barbara Streisand. Stucchevole, ma sincera. È un modo come un altro per essere dipendenti da qualcosa.»
Eddie lo fissa.
«E da questo punto di vista tu non puoi ritenerti scagionato, vero?»
Roland lo osserva.
«Però c'è la tua Torre.» Eddie si concede una risatina. «Tu sei un Torredipendente, Roland.»
«Che guerra è stata?» mormora Roland.
«Come?»
«Quella in cui ti sei fatto ammazzare il senso della nobiltà e del dovere?»
Eddie sussulta ritraendosi come se Roland lo avesse schiaffeggiato.
«Vado a prendere dell'acqua», taglia corto in tono brusco.
Per approfondire, vedi: La torre nera. |
Al tempo in cui si diplomò al college, John Smith aveva scordato tutto della brutta caduta sul ghiaccio in quel giorno di gennaio del 1953. Effettivamente gli sarebbe stato difficile ricordarsene anche quando terminò le scuole secondarie. Suo padre e sua madre, poi, non ne avevano mai saputo niente.
Non mi piace cominciare con delle scuse — probabilmente esiste anche una regola che lo vieta, come non finire mai una fase con una preposizione —, ma dopo aver letto le trenta pagine abbondanti che ho scritto finora, mi sento in dovere di farlo. Le scuse riguardano una certa parola che mi ostino a utilizzare. Ho imparato diverse parolacce da mia madre e ne faccio uso da quando ero piccolo (come scoprirete), ma questa è di sole quattro lettere. La parola in questione è dopo nel senso di «tempo dopo» o «l'ho scoperto dopo» o «me ne sono reso conto solo dopo».
Quasi tutti pensavano che l'uomo e il ragazzo fossero padre e figlio.
Attraversavano il paese diretti verso sudovest su una vecchia Citroën, tenendosi sulle strade secondarie, sostando spesso. Si fermarono in tre luoghi prima di giungere a destinazione; la prima volta nel Rhode Island, dove l'uomo alto con i capelli neri lavorò in una fabbrica tessile; quindi a Youngstown, nell'Ohio, dove passò tre mesi alla catena di montaggio d'una fabbrica di trattori; e infine in una piccola città californiana vicino al confine con il Messico, dove fece il benzinaio e si mise a riparare le piccole auto europee con un successo che gli riuscì del tutto imprevisto e gradito.
umber whunnnn
yerrrnnn umber whunnnn
fayunnun
Questi suoni: nonostante la nebbia.
Ogni tanto i suoni si affievolivano, come il dolore, e allora restava solo la nebbia. Prima della nebbia ricordava l'oscurità: oscurità totale. Doveva dedurne che stava facendo progressi? Sia fatta la luce (anche se di tipo nebbioso), e la luce era cosa buona e così via e così via? Erano esistiti quei suoni nell'oscurità? Non era in grado di dare risposta a nessuna di quelle domande. Aveva senso porsele? No, non aveva risposta nemmeno a questa.
9-10 aprile, 2009
AUGIE Odenkirk aveva una Datsun del 1977 che camminava ancora bene nonostante i chilometri, ma la benzina era cara, specialmente per un disoccupato, e il City Center si trovava dalla parte opposta della città, così lui decise di prendere l'ultimo autobus della sera. Alle undici e venti scese con lo zaino sulle spalle e il sacco a pelo arrotolato sottobraccio. Pensò che l'imbottitura di piume gli avrebbe fatto comodo verso le tre del mattino. La notte si annunciava fredda e nebbiosa.
In un giorno caldissimo dell'agosto 1994, mia moglie mi disse che scendeva al Rite Aid di Derry a prendere una ricarica per il suo inalatore perché la sua era esaurita; un farmaco prescrittole dal medico, che credo oggigiorno si venda senza ricetta. Io per quella giornata avevo finito di scrivere e mi offrii di assumermi l'incombenza. Lei mi ringraziò, ma voleva comprare del pesce al supermercato lì accanto; due piccioni con una fava e compagnia bella. Mi soffiò un bacio dal palmo della mano e uscì. La rividi in TV. È così che si identificano i morti qui a Derry, non si percorre un corridoio sotterraneo di piastrelle verdi sotto lunghi tubi fluorescenti, non ti tirano fuori un cadavere nudo da una cella frigorifera. Si entra in un ufficio con la scritta PRIVATO, si guarda uno schermo TV e si dice sì o no.
La mia fortezza fu lacerata dal dolore. Se non ci fosse stato il letto, sarei caduto sul pavimento. Piangiamo dagli occhi, più di così non sappiamo fare, ma quella sera ebbi la sensazione che stesse piangendo ogni poro del mio corpo, ogni pertugio e ogni fessura.
Per approfondire, vedi: On Writing: Autobiografia di un mestiere. |
Louis Creed, che aveva perso il padre a tre anni e non aveva mai conosciuto i nonni, non si aspettava di trovare un padre quand'era ormai alle soglie della mezza età, eppure andò proprio così... sebbene egli chiamasse quell'uomo un amico, com'è logico che faccia un adulto quando l'incontro con l'uomo adatto a fargli da padre arriva relativamente tardi nella vita. Conobbe quell'uomo la sera in cui lui, sua moglie e i loro due bambini si trasferirono nella casa di Ludlow, una grande casa bianca dalle strutture in legno. Winston Churchill traslocò con loro. Church era il gatto della piccola Eileen.
Per approfondire, vedi: Quattro dopo mezzanotte. |
Per approfondire, vedi: Scheletri (raccolta di racconti). |
Jack Torrance pensò: Piccolo stronzo intrigante.
Ullman era alto poco più di un metro e sessanta, e quando si muoveva aveva la rapidità scattante che sembra essere peculiare a tutti gli ometti grassocci. Aveva i capelli spartiti da una scriminatura impeccabile, e il completo scuro era sobrio, ma severo. Sono un uomo al quale potete tranquillamente esporre i vostri problemi, diceva quel completo alla clientela solvente.
Avevamo una casa su un albero, un grande olmo che sovrastava un terreno vuoto a Castel Rock. Oggi in quel lotto c'è una societa' di traslochi e l'olmo è scomparso. Progresso. Era una specie di circolo sociale, anche se non aveva nome. Eravamo cinque, forse sei, i fissi, più qualche altro di passaggio. Li facevamo salire quando c'era una partita a carte e avevamo bisogno di sangue fresco. Il gioco di solito era il blackjack e ci giocavamo solo qualche penny. Ma prendi il doppio, con blackjack e cinque carte sotto ... e il triplo con sei carte sotto, anche se solo Teddy era così pazzo da tentarlo.
Uno come me, sono sicuro, c'è in ogni prigione d'America, statale o federale: io sono quello che vi procura la roba. Sigarette confezionate o spinelli – se è quello il vostro debole – una bottiglia di brandy per festeggiare il diploma del figlio, o della figlia, praticamente qualsiasi cosa... nei limiti del ragionevole, cioè. E non sempre è stato così.
Mentre Claudette Sanders stava prendendo una lezione di volo, osservava la cittadina di Chester's Mill brillare nella luce del mattino come qualcosa di appena fatto e lì posato giusto ora. Le macchine che percorrevano Main Street lanciavano ammiccamenti di sole. Il campanile della chiesa congregazionalista (la Congo) sembrava abbastanza aguzzo da pungere il cielo immacolato. Nel momento in cui il Seneca V lo sorvolava, il sole scorreva sulla superficie del Prestile Stream, acqua e aereo a tagliare la cittadina sulla medesima diagonale.
La pietà non è amore, pensò Barbie... ma se da bambino hai donato un indumento a chi era nudo, non può non essere un passo nella direzione giusta.
Per approfondire, vedi: Tutto è fatidico. |
Mike Enslin si trovava ancora nella porta girevole quando vide Olin, il direttore dell'Hotel Dolphin, seduto in una delle potrone fin troppo imbottite della hall. Sentì un tuffo al cuore. Dopotutto, forse era meglio portare di nuovo l'avvocato, pensò. Be', ormai era troppo tardi. E anche se Olin aveva deciso di frapporre qualche altro ostacolo tra Mike e la camera 1408, non era poi così grave; c'erano anche dei lati positivi.
Concluso che non avrebbe cavato nulla di interessante dai due vecchi che costituivano l'intero organico del Weekly Islander, il giornalista del Globe di Boston diede un'occhiata all'orologio, commentò che se si sbrigava faceva appena in tempo per il traghetto dell'una e mezzo, li ringraziò del tempo che gli avevano dedicato, lasciò il denaro sulla tovaglia, lo fermò con lo spargisale perché l'intensa brezza che spirava dal mare non se lo portasse via e scese frettoloso i gradini di pietra che dal patio del Grey Gull portavano in Bay Street e alla cittadina sottostante. Tolto qualche fugace passaggio degli occhi sulle sue tette, non si era praticamente accorto della presenza della giovane donna tra i due uomini anziani.
Oltre i monti e oltre i mari, in un regno che si chiamava Delain, c'era una volta un re con due figli. Delain era un regno antico che aveva avuto centinaia di re, se non addirittura migliaia: quando è davvero molto il tempo trascorso, nemmeno gli storici riescono a ricordare tutto. Roland il Buono non era né il migliore né il peggiore fra i re che avevano governato quel paese. Nell'evitare eccessi di malvagità metteva un grande impegno e in questo riusciva quasi sempre. Uguale buona volontà dedicava alle grandi opere, che purtroppo non gli riuscivano altrettanto bene. Ne risultava un re decisamente mediocre, tanto che lui stesso dubitava che sarebbe stato ricordato a lungo dopo la sua morte. La quale morte sarebbe potuta giungere da un momento all'altro, ormai, perché era diventato vecchio e il suo cuore era affaticato. Gli restava forse un anno, a dir molto gliene restavano tre. Tutti coloro che lo conoscevano e coloro che notavano il grigiore del suo volto e il tremito delle sue mani quando dava udienza, erano d'accordo nel pronosticare che di lì a cinque anni al massimo nella grande piazza dominata dall'Obelisco si sarebbe incoronato un nuovo re... e volendo Iddio mancavano non più di cinque anni a quel momento. Perciò dal più ricco barona e dalla più leziosa cortigiana al più povero servo della gleba e alla più umile contadina, tutti nel regno pensavano e parlavano del re prossimo venturo, Peter, figlio primogenito di Roland.
E uno solo fra tanti pensava e architettava e rimuginava su come fare in modo che venisse incoronato in sua vece Thomas, secondogenito di Roland. Costui era Flagg, il mago di corte.
Burt accese la radio. Il volume era troppo alto, ma non lo abbassò perché erano lì lì per litigare di nuovo e lui non voleva che accadesse. Disperatamente desiderava che non accadesse.
Vicky disse qualcosa.
«Come?» gridò lui.
«Abbassala! Hai deciso di rompermi i timpani?»
Lui fece uno sforzo per trattenere quello che poteva uscire dalle sue labbra e abbassò il volume.
L'agente Hunton arrivò alla lavanderia proprio mentre l'ambulanza stava partendo: lentamente senza sirene né lampeggiantori. Brutto segno. Dentro, l'ufficio era pieno zeppo di gente silenziosa, inebetita. Alcuni piangevano. L'impianto era deserto; le grandi lavatrici automatiche, all'altra estremità dello stanzone, non erano state neppure spente. Questo metteva Hunton molto in guardia. Sarebbe stato logico che la folla fosse stata sul luogo dell'incidente, non nell'ufficio. Le cose andavano così, purtroppo: l'animale umano aveva un innato bisogno di contemplare i resti. Qualcosa di molto grave, allora. Hunton avvertì un crampo allo stomaco, come sempre gli capitava quando l'incidente era molto grave. Quattordici anni passati a ripulire dai resti umani le autostrade, le strade e i marciapiedi alla base di edifici molto alti non erano serviti a cancellare quel crampo, come se qualcosa di maligno si fosse installato là per sempre.
Nessuno, e il dottor Litchfield meno ancora, dichiarò fuori dei denti a Ralph Roberts che sua moglie stava per morire, ma venne il momento in cui Ralph lo capì senza bisogno che qualcuno glielo dicesse. Nella sua testa i mesi tra marzo e giugno erano un confuso pandemonio, un periodo di colloqui con medici, corse serali all'ospedale con Carolyn, pellegrinaggi ad altri ospedali in altri stati per analisi speciali (Ralph impiegava la gran parte del tempo dedicato ai trasferimenti a ringraziare Iddio per l'assicurazione medica di Carolyn), indagini personali alla Biblioteca Pubblica di Derry, dapprima alla ricerca di risposte che gli specialisti potessero aver trascurato, in seguito a cercare solo fili di speranza a cui aggrapparsi.
[Stephen King, Insomnia, trad. di Tullio Dobner, Sperling & Kupfer, 1995]
«Sono molto stanca, papà», si lagnò la bambina in calzoni rossi e maglietta verde. «Non possiamo fermarci solamente per un poco?»
«Non ancora tesoro.»
L'uomo era alto, aveva spalle larghe e portava una giacca di velluto a coste sopra robusti calzoni di cotone. Teneva per mano la bambina e quasi la trascinava su per la Terza Strada di New York con passo frettoloso, da fuggitivo. Furtivamente guardò indietro e vide che la macchina verde li tallonava ancora, procedendo a passo d'uomo, quasi a filo del marciapiede.
«Ecco là quella Todd», dissi.
Homer Buckland osservò la piccola Jaguar che passava, e approvò col capo. La donna alzò la mano e salutò Homer. Homer fece un cenno di risposta con la sua grossa testa irsuta ma senza alzare la mano. La famiglia Todd aveva una grande casa per la villeggiatura sul lago Castle, e Homer era il loro guardiano da tempo immemorabile. Avevo una mezza idea che la seconda moglie di Worth Todd non gli piacesse nemmeno la metà di quanto gli era piaciuta la prima, Phelia Todd.
DISSOLVENZA IN APERTURA:
1 ESTERNO: MAIN STREET, LITTLE TALL ISLAND – TARDO POMERIGGIO.
La NEVE scorre davanti all'obiettivo della TELECAMERA, dapprima così veloce e intensa che non vediamo niente. IL VENTO SIBILA. LA TELECAMERA comincia ad AVANZARE e vediamo una LUCE ARANCIONE INTERMITTENTE. È il semaforo all'angolo di Main Street con Atlantic Street, l'unico incrocio cittadino di Little Tall. Il semaforo DONDOLA VIOLENTEMENTE nel vento. Le due vie sono deserte e così è giusto che sia: è in corso una feroce tormenta. Vediamo fioche luci nelle case, ma nessun essere umano. La neve già accumulata copre per metà le vetrine.
MIKE ANDERSON parla con un lieve accento del Maine.
Per un punto Martin perse la cappa. A voler guardare alla sostanza, è così che recita la saggezza popolare. In fondo tutto può essere ricondotto a qualcosa di simile: così avrebbe pensato molto tempo più tardi Roberta Anderson. Delle due l'una, o puro caso... o puro destino. E la Anderson inciampò letteralmente nel suo destino ad Haven, una cittadina del Maine, il 21 giugno 1988. Il nocciolo della questione è lì: tutto il resto è storia.
Tu ami? Quella domanda aveva preso a tormentarla senza che nemmeno lei sapesse cosa significava.
Arrivò l'autunno, e tanto sull'isola quando a Capo Procione, al di là dello Stretto, fu un autunno gelido e avaro di quelle piogge che colorano gli alberi. Il vento fischiava note lunghe e fredde che risuonavano nel cuore di Stella.
Quello della svolta era un bel giorno, una bella mattina di maggio.[15]
Siede nell'angolo e cerca di estrarre aria da una stanza che fino a pochi minuti fa ne era piena e ora sembra non averne più. Da molto lontano le giunge un suono sottile di risucchio e sa che è aria che le scende nei polmoni e poi risale ed esce in una serie di brevi ansiti febbrili, ma non muta la sensazione che ha di annegare nell'angolo del soggiorno di casa sua, con lo sguardo sulle spoglie stracciate del romanzo in edizione economica che stava leggendo quando è rincasato suo marito.
Il padre di Bobby Garfield era stato uno di quelli che cominciano a perdere i capelli sui vent'anni e sono completamente calvi intorno ai quarantacinque. La morte per infarto a trentasei anni aveva risparmiato a Randall Garfield quesito esito estremo. Era agente immobiliare e aveva esalato l'ultimo respiro sul pavimento di una cucina altrui. Quando era spirato il possibile acquirente era in soggiorno a cercare di chiamare un'ambulanza da un telefono scollegato. All'epoca Bobby aveva tre anni. Conservava ricordi vaghi di un uomo che gli faceva il solletico e lo baciava sulle guance e sulla fronte. Era più che sicuro che quell'uomo era suo padre. HA LASCIATO UN VUOTO COLMO DI TRISTEZZA, era scritto sulla lapide di Randall Garfield, ma sua madre non era poi così triste e quanto a Bobby... be', come si può rimpiangere una persona che non si riesce a ricordare?
Da qualche parte, in alto in alto, la luna risplende, bella piena... ma qui, a Tarker's Mills, infuria una tormenta di neve. Il vento fischia battendo a tutta forza la strada principale deserta; gli spazzaneve municipali hanno rinunciato da un pezzo a liberare le vie.
Arnie Westrum, segnalatore della compagnia ferroviaria GS&WM, è stato colto dalla tormenta a quindici chilometri dal paese: ha dovuto fermare il carrello azionato da un motore diesel e rifugiarsi nella baracca degli attrezzi e dei segnali, dove, aspettando che finisca la nevicata, fa, con un vecchio e unto mazzo di carte, il Solitario del Ritardatario.
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