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Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Scheletri, antologia di Stephen King del 1985.
Ecco cosa successe. La sera in cui la peggiore ondata di calore della storia del New England del Nord finalmente si allentò – la sera del diciannove luglio – l'intera regione del Maine occidentale fu battuta dai più violenti temporali che io abbia mai visto.
Charles aveva proprio bisogno di andarci, in bagno.
Ormai era del tutto inutile cercare di prendersi in giro dicendosi che poteva aspettare l'intervallo. La vescica urlava e la signorina Bird lo aveva colto mentre si contorceva.
Quando Hal Shelburn la vide, quando suo figlio Dennis la tirò fuori da un cartone mezzo distrutto di Ralston-Purina che era stato spinto ben in fondo sotto una trave della soffitta, gli crebbe dento un tale senso di orrore e di sgomento che per un momento pensò che avrebbe urlato. Si portò un pugno alla bocca, come per ingoiarlo... e poi semplicemente ci tossì dentro. Né Terry, né Dennis se ne accorsero, ma Petey si guardò intorno, momentaneamente incuriosito.
Quando suo figlio Dennis la tirò fuori da un fatiscente scatolone di cartone Ralston-Purina, che era stato spinto bene in fondo, sotto a una trave della soffitta, Hal Shelburn provò un tale sentimento di orrore e di sgomento, che a stento si trattenne dall'urlare. Si portò un pugno alla bocca, come per ricacciare il grido... quindi, si limitò a tossire nel pugno. Terry e Dennis non notarono nulla, ma Petey si guardò intorno, con un pizzico di curiosità.
Garrish lasciò il vivo sole di maggio per entrare nel fresco dell'edificio del dormitorio. I suoi occhi impiegarono qualche secondo per adattarsi alla penombra e in un primo momento Harry il Castoro fu solo una voce incorporea proveniente dall'oscurità.
«Eccola là la Todd», dissi.
Homer Buckland osservò la piccola Jaguar che passava e annuì. La donna fece un cenno di saluto diretto a lui. Homer scosse la sua grossa testa irsuta, ma non le restituì il saluto. La famiglia Todd aveva una grande casa di villeggiatura a Castle Lake e Homer era da tempo immemorabile il loro custode.
«Ultima chiamata per Viaggio 701.» La gradevole voce femminile riecheggiò attraverso l'Atrio Azzurro del Port Authority Terminal di New York. Il PAT non era cambiato molto negli ultimi tre secoli: squallido e un po' paludoso come sempre. La voce automatica femminile era, lì dentro, probabilmente la cosa più piacevole.
Nell'anno 1927 si suonava jazz in una mescita clandestina a sud di Morgan, Illinois, a una settantina di miglia da Chicago. Si era proprio in piena campagna, a venti miglia dal primo centro abitato degno di questo nome. Ma c'erano un bel po' di campagnoli con addosso la voglia di qualcosa di più forte di una strimpellata di chitarra dopo un'intera giornata a sudare nei campi e un bel po' di aspiranti jazz-baby che venivano a fare quattro salti con i loro fidanzati del borgo.
Non posso più uscire.
C'è un uomo alla porta
con l'impermeabile
che fuma una sigaretta.
Ma
ne ho scritto nel mio diario
e le affrancatrici sono tutte allineate
sul letto, sanguigne nel riverbero
dell'insegna del bar accanto.
Cascade Lake distava quaranta miglia dalla Horlicks University di Pittsburgh e, anche se in ottobre la sera calava presto in quella parte del mondo, il cielo era ancora chiaro, nonostante fossero partiti dopo le sei. Viaggiavano sulla Camaro di Deke. Deke era un guidatore spericolato anche da sobrio, ma dopo un paio di birre era peggio che andar di notte.
A prima vista sembrava un Wang. Aveva una tastiera Wang e una carrozzeria Wang. Solo in un secondo tempo Richard Hagstrom notò che lo chassis era stato aperto, per di più senza tante cerimonie (pareva che avessero usato una sega da boscaiolo) per alloggiare all'interno un tubo catodico dell'IBM, un po' più grande di quello originale.
Stevens servì da bere e poco dopo le otto di quell'aspra sera d'inverno ci ritirammo quasi tutti in biblioteca, ciascuno con il proprio bicchiere. Per qualche tempo nessuno parlò e i soli rumori furono il crepitare del fuoco nel caminetto, i rintocchi ovattati delle palle del biliardo e, da fuori, il sibilo del vento. Tuttavia lì faceva abbastanza caldo, al 249B nella Trentacinquesima Est.
La nave federale ASN/29 piombò dal cielo e si schiantò al suolo. Poco dopo dal suo cranio fratturato scivolarono fuori due uomini, come materia grigia. Fecero pochi passi e si fermarono, con il casco sotto il braccio, a guardare dove erano finiti.
«L'abbiamo spostato l'anno scorso ed è stata una bella impresa» disse il signor Carlin, mentre salivano le scale. «A mano, si capisce. Altro modo non c'è. E prima ancora di toglierlo dalla bacheca in salotto, l'abbiamo assicurato con i Lloyd's nel caso di qualche incidente. Nessun'altra compagnia l'avrebbe assicurato per la somma che avevamo in mente noi.»
Ami?
Sento la sua voce pronunciare queste parole... a volte la sento ancora. Nei miei sogni.
Ami?
Sì, rispondo io. Sì... e il vero amore non muore mai.
Poi mi sveglio urlando.
Andando a scuola mi domandi
quali altre scuole hanno i voti.
Arrivo fino a quella di Fruit Street e i tuoi occhi si perdono.
Passiamo sotto questi alberi gialli
e tu hai la tua gavetta con la colazione sotto il braccio e le tue
gambe corte, nella tuta mimetica,
fanno della tua ombra una forbice
che nulla taglia sul marciapiede.
Non c'è studente di medicina che non si trovi prima o poi di fronte a questo interrogativo: qual è il massimo grado di choc traumatico che può sopportare un paziente? Professori diversi danno risposte diverse, che fondamentalmente si riducono a un'altra domanda: fino a che punto il paziente vuole sopravvivere?
È un grande sollievo scriverne. Non ho più dormito bene da quando ho ritrovato mio zio Otto morto e più di una volta mi sono veramente domandato se fossi diventato pazzo o se lo diventerò. In un certo senso sarebbe stato tutto più misericordioso se non avessi avuto l'oggetto qui, nel mio studio, dove posso guardarlo e prenderlo in mano e soppesarlo se voglio. Io non voglio. Non vorrei toccarlo. Ma a volte lo faccio.
L'alba scivolò lentamente giù per Culver Street.
Per chiunque in casa fosse già sveglio, la notte era ancora nera, ma l'alba si aggirava in punta di piedi già da quasi mezz'ora. Sul grande acero che contraddistingue l'angolo della Culver con la Balfour Avenue, un fulvo scoiattolo drizzò il capo e rivolse lo sguardo insonne alle case addormentate.
Rocky e Leo, entrambi ubriachi come gli ultimi signori del creato, scesero lentamente per Culver Street e imboccarono la Balfour Avenue in direzione di Crescent. Erano comodamente sistemati a bordo della Chrysler, modello 1957, di proprietà di Rocky. Fra loro, messa in bilico con lo zelo prudente dell'ubriaco sulla gobba mostruosa dell'albero di trasmissione della Chrysler, c'era una cassa di birra.
La madre di George andò alla porta, esitò, poi tornò indietro ad arruffargli i capelli. «Non voglio che tu ti preoccupi», disse. «Starai benissimo. E anche la nonna.»
«Certo, starò okay. Di' a Buddy di mantenersi freddo.»
«Scusami?»
George sorrise. «Di stare calmo.»
Il barbecue era finito. Era stato soddisfacente: bevande, bistecche con l'osso alla carbonella, al sangue, insalata verde e il condimento speciale di Meg. Avevano iniziato alle cinque. Ora erano le otto e mezzo e quasi il crepuscolo; il momento in cui una grande festa comincia a diventare scalmanata.
«Il Braccio a quei tempi era più largo», raccontò ai pronipoti Stella Flanders in quell'ultima estate della sua vita, l'estate prima che cominciasse a vedere i fantasmi. I bambini la fissavano con occhi grandi e curiosi e suo figlio, Alden, si girò dalla sedia sotto il portico su cui sedeva a intagliare il legno. Era domenica, e di domenica Alden non usciva con la barca neppure quando il prezzo dell'aragosta saliva alle stelle.
Non a tutti interessa sapere da dove nascono i racconti e ciò è perfettamente lecito. Non è necessario conoscere il funzionamento di un motore a combustione interna per guidare un'automobile, come non è necessario conoscere le circostanze dalle quali è scaturito un racconto per provare piacere nel leggerlo. I motori interessano ai meccanici e la creazione letteraria interessa agli accademici, gli ammiratori e gli impiccioni (i primi e gli ultimi sono quasi sinonimi, ma pazienza). Ho accluso qui qualche cenno su alcuni dei racconti dell'antologia, annotazioni che ho pensato potessero interessare il lettore non professionale. Ma se mi rivolgo a un lettore ancor meno professionale di così, giuro che può chiudere a questo punto il libro senza rimpianti. Non perderà molto.
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