Remove ads
scrittore, poeta, critico letterario e saggista statunitense (1890-1937) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Howard Phillips Lovecraft (1890 – 1937), scrittore, poeta, critico letterario e saggista statunitense.
Per approfondire, vedi: Ciclo di Cthulhu e Racconti dell'incubo. |
Si dice che ad Ulthar, che si trova al di là del fiume Skai, nessuno può uccidere un gatto, e io non stento a crederci, mentre guardo l'animale che sta facendo le fusa davanti al caminetto.
Quando gli ultimi giorni scesero su di me, e l'orrenda futilità dell'esistenza cominciò a farmi impazzire come delle goccioline d'acqua lasciate cadere senza sosta su un punto preciso del corpo di una vittima, mi abituai al meraviglioso rifugio del sonno. Nei miei sogni trovavo un po' di quella bellezza che invano avevo cercato nella vita, e vagavo tra antichi giardini e boschi incantati.
Possano gli dèi misericordiosi, se esistono davvero, proteggerci in quelle ore in cui vengono meno sia la forza di volontà, sia le droghe inventate dagli uomini per salvarci dall'abisso del sonno. La morte è pietosa, perché da essa non c'è ritorno, mentre per colui che è uscito dalle più profonde camere della notte, consapevole e stravolto, non c'è più pace.
Se non ci fosse del buono nella pura verità, allora i nostri più bei sogni, le nostre illusioni e follie, dovrebbero essere stimati quanto le ore di lucida veglia per il conforto che ci portano.
Se la verità non vale niente, è giusto guardare ai fantasmi dei nostri sonni con la stessa serietà con cui consideriamo gli avvenimenti della vita quotidiana.
Vi ripeto, signori, che la vostra inchiesta è inutile. Trattenetemi per sempre, se volete, e imprigionatemi o giustiziatemi se vi serve una vittima da sacrificare a quell'illusione che chiamate giustizia, ma non potrò dirvi niente più di quello che ho già detto.
Ho raccontato con la massima sincerità tutto quello che ricordo. Non ho nascosto né alterato nulla e, se c'è qualcosa di poco chiaro, è solo a causa della nube oscura che mi ottenebra la mente... quella nube e la natura nebulosa degli orrori che l'hanno attirata su di me.
Eravamo seduti su una tomba priva di lapidi del XVII secolo, nel tardo pomeriggio di una giornata d'autunno nel vecchio cimitero di Arkham, a speculare sull'Innominabile.
Guardando in direzione del salice gigantesco del cimitero, il cui tronco aveva quasi completamente inghiottito una lapide antica ed illeggibile, avevo espresso una fantasiosa osservazione sul nutrimento macabro e indicibile che quelle enormi radici dovevano succhiare alla terra cinerea e putrida sottostante. Il mio amico la giudicò una assurdità: nessuno strano nutrimento poteva arrivare a quell'albero — disse — perché nel cimitero non avvenivano sepolture da oltre un secolo.
Quando Randolph Carter giunse all'età di trent'anni, perse la chiave della Porta dei Sogni.
Fino a quel momento aveva compensato la prosaicità della vita con escursioni notturne nelle strane e antiche città situate oltre lo spazio e nelle belle e incredibili terre al di là dei mari eterei. Ma, man mano che procedeva negli anni, sentiva che quella libertà gli sfuggiva a poco a poco, sino a quando, alla fine, non ne fu tagliato fuori del tutto.
Tre volte Randolph Carter sognò la meravigliosa città, e tre volte venne portato via mentre si trovava ancora sull'alta terrazza che la dominava.
Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con le sue mura, i templi, i colonnati e i ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto prismatico su ampi piazzali e giardini odorosi, e larghe strade passavano tra alberi delicati, urne ornate di boccioli e statue d'avorio disposte in file lucenti. Su vertiginosi strapiombi, rivolte verso nord, si arrampicava invece una lunga serie di tetti rossi, e antichi frontoni aguzzi si susseguivano lungo stradine erbose coperte da ciottoli.
In un ampio salone arredato con arazzi dagli strani disegni e tappeti di Boukhara estremamente antichi e preziosi, c'erano quattro uomini seduti intorno ad una scrivania. Dagli angoli più lontani, dove bizzarri tripodi di ferro battuto venivano di tanto in tanto riempiti da un negro incredibilmente vecchio, si sprigionava il fumo caotico dell'olibano. In una profonda nicchia ricavata in un canto, ticchettava invece un curioso orologio a forma di bara, il cui quadrante portava incisi dei geroglifici misteriosi, e le cui quattro lancette non si muovevano secondo il sistema orario del nostro pianeta.
Il posto era scuro, polveroso e perso
Negli intrichi di Antichi vicoli intorno al porto,
Odorosi di strane cose portate dagli oceani
E annebbiati da volute di foschia spinte dai venti occidentali,
Piccoli vetri a losanghe, oscurati dal fumo e dal ghiaccio,
Mostravano solo i libri, ammassati come alberi contorti.
Quando la sera raffredda il giallo fiume,
E l'ombra incede sui sentieri della giungla,
Il palazzo di Zimbabwe si accende d'un bagliore accecante
Per un grande re che ha paura di sognare.
Non c'era nessuna mano a trattenermi
La notte in cui trovai l'antico sentiero
Sulla collina, e mi sforzai di vedere
I campi che tormentano i miei ricordi,
Quell'albero, quel muro: li conoscevo bene,
E ogni tetto, ogni frutteto, aveva
Ai miei occhi l'aspetto familiare
Di un passato non lontano.
È una dimora a forma di boschetto circolare
Accanto ad una collina,
Dove i rami raccontano
Strane leggende sul Male.
Talvolta sono sulla riva
Ove riversano gli affanni l'impetuoso efflusso,
E le acque inquiete stridule gridano e sospirano
Di segreti che non osan rivelare.
Era l'ora innominabile della notte
In cui le illusioni in un nembo delirante
Intorno al silenzioso dormiente, ondeggiano
E si muovono furtive nelle sue visioni inconsce
Infelice chi nell'infanzia ha soltanto memorie di paura e tristezza. Sventurato chi, volgendosi indietro, non vede che ore solitarie trascorse in sale vaste e malinconiche, tappezzate di lugubri tendaggi e file esasperanti di libri antichi, o in desolate veglie in boschi crepuscolari fitti di immensi alberi grotteschi coperti di erbe, che agitano silenziosi in alto i rami contorti.
Tal sorte gli dèi hanno riservato a me... A me: l'attonito, il deluso; l'abbandonato, l'infranto. Eppure, stranamente pago, mi aggrappo in modo patetico anche a questi ricordi appassiti negli attimi in cui la mente minaccia di soverchiarli per richiamare l'altro ricordo.
Quando la vecchiaia discese sul mondo, e gli uomini persero la capacità di meravigliarsi; quando città grigie sollevarono verso cieli di fumo alte torri cupe e sgraziate, alla cui ombra era impossibile sognare il sole o i campi fioriti di primavera, quando la scienza ebbe strappato alla terra il suo manto di bellezza, e i poeti non cantarono più, se non di fantasmi contorti osservati scrutando nel proprio intimo con occhi velati, quando tutte queste cose accaddero, e le speranze più ingenue si dileguarono per sempre, ci fu un uomo che valicò i confini della vita alla ricerca di qualcosa nei vasti spazi ove erano fuggiti i sogni del mondo.
Secondo me, non c'è nulla di più sciocco della convinzione che quello che è familiare sia necessariamente rassicurante, e si tratta addirittura di una convinzione tipica della psicologia di massa.
Spesso i fatti sono più incredibili degli orrori che proviamo negli incubi. La sola differenza sta nel fatto che, se noi riusciamo a spiegarci un incubo, questo smette di opprimerci. Per l'incidente accaduto a Norton, nell'ovest del Minnesota, questo non avvenne; il mistero non fu mai risolto completamente. Molto spesso non è la vicenda in sé a terrorizzarci, quanto il fatto di non riuscire a comprenderla. È una cosa che stravolge leggi e regole, un qualcosa che va oltre il nostro incoscio e che contrasta con la vita tranquilla di tutti i giorni. Ciò che successe a Norton fu un orrore di natura così incredibile e spaventosa che, chiunque ne fosse stato coinvolto, non avrebbe mai più dimenticato quel giorno di follia.
Fu un giovedì di un mattino di dicembre che cominciò tutta la storia con quell'incomprensibile movimento che mi era parso di vedere nel mio antico specchio di Copenaghen. Mi sembrava che si muovesse qualcosa, qualcosa che veniva riflesso nello specchio, anche se in camera ero completamente solo. Rimasi fermo a scrutare attentamente l'immagine quindi, decidendo che doveva trattarsi di pura illusione, ripresi a pettinarmi i capelli.
L'uomo riposava su una roccia erosa dal vento, scrutando giù per la vallata. Sdraiato in quella posizione poteva vedere molto lontano, ma per tutto lo spazio non c'era il minimo movimento. Non si agitava nulla sulla distesa polverosa, su quel piano di sabbia formatosi dalla disintegrazione dei letti dei fiumi dove una volta scorrevano le acque della giovane Terra. C'era poco verde in quest'ultimo mondo, in questo stadio finale della prolungata presenza dell'umanità sul pianeta.
Prima di riposare scriverò qualche appunto per preparare il rapporto. Ciò che ho trovato è tanto singolare, così in contrasto con tutte le esperienze passate, da meritare una descrizione precisa.
Sono giunto al campo di atterraggio principale di Venere il 18 marzo, tempo terrestre; VI, 9 del calendario del pianeta.
Il sentimento più antico e più radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell'Ignoto. Questi assunti vengono posti in discussione da ben pochi psicologi, e la loro conclamata verità stabilisce in qualsiasi tempo la genuinità e dignità del racconto Soprannaturale e Orrorifico come forma letteraria.
Per coloro che guardano dietro la superficie, la Guerra Mondiale attualmente in corso porta mirabilmente a galla più di una verità antropologica. E di queste verità nessuna è più profonda di quella che riguarda l'essenziale immutabilità dell'umanità e dei suoi istinti.
È facile fare del sentimentalismo sullo «spirito americano», su cosa sia, su cosa possa, o su cosa debba essere. Esponenti di recenti e diverse teorie politiche, sono particolarmente inclini ad assumere questo atteggiamento, concludendo quasi sempre che il «vero Americanismo» non è niente di più o niente di meno di quello che le loro rispettive dottrine applicano nell'interno della nazione.
Il pensiero umano, con le sue infinite varietà, i suoi infiniti gradi, aspetti e conflitti, è forse lo spettacolo più divertente e, insieme, più scoraggiante, del nostro globo terracqueo.
Oggi si assiste alla nascita di una nuova ondata di interesse per la speculazione filosofica. Per un certo periodo, nel diciannovesimo secolo, la dissoluzione di antiche dottrine sotto l'influenza della scienza, favorì la diffusione di un materialismo razionale, di cui furono cospicui esempi Huxley ed Haeckel, ma il successivo infrangersi degli standard morali, nella confusione della liberazione mentale, ha provocato un senso di inquietudine e di panico cerebrale, e per il momento assistiamo al divertente spettacolo di un brancolare alla ricerca di rifugio sotto l'ala di credenze soprannaturali concepite ciecamente al di fuori della riflessione intelligente, o tenuamente modificate così da accordare un sistema di origine extrarazionale con quante più verità scientifiche possibili.
Le azioni umane, così diverse, complesse e contraddittorie, hanno sempre stimolato la curiosità degli uomini dotati di raziocinio. Fin dai tempi più remoti, i filosofi ne hanno ricercato il movente od i moventi fondamentali, senza giungere ad un accordo fino alle ultime due generazioni, quando è giunta in loro soccorso la psicologia scientifica, fornendo numerose informazioni pertinenti[16].
A parte le caratteristiche morfologiche e i riflessi nervosi, ghiandolari e organici determinati da eoni di evoluzione fisica, tutto ciò che siamo, tutto ciò che sentiamo, pensiamo, diciamo, facciamo, speriamo e sogniamo, è prodotto unicamente del nostro patrimonio ambientale.
I riconoscimenti relativamente esigui accordati sino ad oggi a Lord Dunsany, il quale è forse l'autore vivente più singolare, originale e ricco di potenza immaginativa, costituiscono un divertente commentario sulla naturale stupidità del genere umano.
Nonostante l'attuale copiosità del flusso di racconti che trattano di altri mondi e di altri universi, nonché di intrepidi viaggi tra essi attraverso lo spazio cosmico, probabilmente non è affatto esagerato affermare che soltanto una mezza dozzina di questi prodotti, compresi i romanzi di H.G. Wells, possiedono la benché minima pretesa di serietà artistica o di dignità letteraria.
Nei tempi moderni il termine Fata è stato applicato ad un'amplissima varietà di entità immaginarie, fin quasi a perdere il significato a favore di un valore semantico meno specifico e circoscritto. L'autentica Fata, nell'accezione sviluppatasi nell'ambiente del più antico folklore celtico, costituiva indubbiamente uno spirito di natura femminile corrispondente alle Driadi, alle Naiadi e ad altre ninfe locali dell'antichità classica.
La ragione che mi induce a scrivere racconti è di fatto la voglia di provare la soddisfazione di visualizzare più chiaramente, dettagliatamente e stabilmente, bellezza e avventurosa attesa che mi vengono suscitate da visioni (sceniche, architettoniche, atmosferiche, ecc.), idee, avvenimenti e immagini incontrate nella letteratura e nell'arte.
Seamless Wikipedia browsing. On steroids.
Every time you click a link to Wikipedia, Wiktionary or Wikiquote in your browser's search results, it will show the modern Wikiwand interface.
Wikiwand extension is a five stars, simple, with minimum permission required to keep your browsing private, safe and transparent.