Marco Tullio Cicerone, in latino Marcus Tullius Cicero (106 a.C. – 43 a.C.), filosofo, oratore, politico e scrittore romano.
[Riferendosi a Caninio Rebilo, che restò in carica come console un giorno soltanto] Abbiamo finalmente avuto un console così vigile, che non ha dormito una sola notte durante il suo consolato.[1]
Approvo che ci sia qualcosa del vecchio in un giovane, e qualcosa del giovane in un vecchio.[2]
Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande città greca, e la più bella di tutte. La sua fama non è usurpata: occupa una posizione molto forte, e inoltre bellissima da qualsiasi direzione vi si arrivi, sia per terra che per mare, e possiede due porti quasi racchiusi e abbracciati dagli edifici della città. Questi porti hanno ingressi diversi, ma che si congiungono e confluiscono all'altra estremità. Nel punto di contatto, la parte della città chiamata l'isola, separata da un braccio di mare, è però riunita e collegata al resto da uno stretto ponte. La città è così grande da essere considerata come l'unione di quattro città, e grandissime: una di queste è la già ricordata "isola ", che, cinta dai due porti, si spinge fino all'apertura che da accesso ad entrambi. Nell'isola è la reggia che appartenne a Ierone II, ora utilizzata dai pretori, e vi sono molti templi, tra i quali però i più importanti sono di gran lunga quello di Diana e quello di Minerva, ricco di opere d'arte prima dell'arrivo di Verre. All'estremità dell'isola è una sorgente di acqua dolce, chiamata Aretusa, di straordinaria abbondanza, ricolma di pesci, che sarebbe completamente ricoperta dal mare, se non lo impedisse una diga di pietra. L'altra città è chiamata Acradina, dove è un grandissimo Foro, bellissimi portici, un pritaneo ricco di opere d'arte, un'amplissima curia e un notevole tempio di Giove Olimpio; il resto della città, che è occupato da edifici privati, è diviso per tutta la sua lunghezza da una larga via, tagliata da molte vie trasversali. La terza città, chiamata Tycha perché in essa era un antico tempio della Fortuna, contiene un amplissimo ginnasio e molti templi: si tratta di un quartiere molto ricercato e con molte abitazioni. La quarta viene chiamata Neapolis (città nuova), perché costruita per ultima: nella parte più alta di essa è un grandissimo teatro, e inoltre due importanti templi, di Cerere e di Libera, e la statua di Apollo chiamata Temenite, molto bella e grande, che Verre, se avesse potuto, non avrebbe esitato a portar via.[3]
[Riferendosi a Catilina] Aveva risposto [...] che se un qualsiasi incendio fosse stato appiccato al suo avvenire, quello avrebbe spento non con l'acqua, ma fra le rovine.[4]
[...] credi tu nell'esistenza di innumerevoli mondi, alcuni dissimili e altri uguali, e al di sopra del nostro e al di sotto, a destra e a sinistra, avanti e indietro? E credi tu nell'esistenza di innumerevoli altri uomini, abitanti in località uguali a queste e aventi gli stessi nomi, gli stessi titoli pubblici, il vanto delle medesime imprese, le medesime doti naturali, le stesse fattezze, la stessa età e che discutono degli stessi problemi, così come stiamo facendo noi qui a Bacoli, mentre vediamo Pozzuoli qui di fronte?[7][Cicerone immagina che la domanda possa essergli rivolta dagli interlocutori una volta dato il suo assenso alla dottrina di Democrito]
Diversamente da te, non ho bisogno di esporre il motivo per cui il dio, facendo ogni cosa in funzione nostra (così almeno voi pretendete che sia), abbia munito natrici e vipere di tanta potenza.[8]
È impossibile che non sia felice chi dipende totalmente da se stesso e che punta tutto soltanto su di sé.
Nemo potest non beatissimus esse, qui est totus aptus ex sese, quique in se uno sua ponit omnia.[9]
[...] fra i quali [gli alatrini] nessuno di voi, secondo me, ignora quanto splendore ci sia, quanto il modo di vivere sia abbastanza uniforme e quanto quasi in tutti sia regolare e moderato.
[...] in quibus quantus splendor sit, quam prope aequabilis, quam fere omnium constans et moderata ratio vitae, nemo vestrum, ut mea fert opinio, ignorat.[12]
Il buon cittadino è quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretenda d'essere superiore alle leggi.
Bonus civis est, qui non potest pati eam in sua civitate potentiam quae supra leges esse velit.[13]
Il saggio stesso formula spesso opinioni su ciò che non conosce, non di rado è in preda alla collera, cede alle preghiere e si calma, corregge talora – se così è meglio – le sue affermazioni e talora cambia parere; tutte le virtù sono temperate dal giusto mezzo.[15]
L'opera poetica di Lucrezio è proprio come mi scrivi: rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica.[16]
La giustizia, se è rispetto a Dio dicesi religione, se verso i parenti pietà, se nelle cose affidate dicesi fede.
Justitia... erga Deos religio, erga parentes pietas, creditis in rebus fides... nominantur.[17]
Mandami, ti prego, i due libri di Dicearco, dell'anima e della Discesa. Non trovo il Tripolitico, e la lettera di lui scritta ad Aristosseno. Questi tre libri io mi consumo di avere; ché troppo m'acconcerebbono a quel che sto mulinando.[22]
Molte previsioni giuste le fanno i medici, molte i naviganti, molte anche i contadini, ma nessuna di esse io chiamo divinazione: nemmeno quella famosa previsione con cui il filosofo della natura Anassimandro avvertì gli spartani di lasciare la città e le case e vegliare armati nei campi, poiché era imminente un terremoto: e in realtà tutta la città fu rasa al suolo e il contrafforte estremo del monte Taígeto fu divelto come la poppa di una nave.[23]
Non si può immaginare nulla di tanto assurdo che non sia sostenuto da qualche filosofo.[24]
Oh, filosofia, guida della vita! Oh, ricercatrice della virtù ed eliminatrice dei vizi! Che cosa avrebbe potuto essere la vita degli uomini nella sua totalità senza di te?[27]
[I Siciliani,] gente acuta e sospettosa, nata per le controversie.[40]
La memoria dei mali passati è gioconda. (II, XXXII)
Jucunda memoria est praeteritorum malorum.
Non ci si vergogni di dire quel che non ci si vergogna di pensare. (II, 77)[41]
[...] che la fame è il condimento del cibo. (II, 90)
[...] cibi condimentum esse famem.
Peraltro, anche nelle bestie feroci è possibile osservare la potenza della natura, poiché in esse ci sembra perfino di potere ascoltare la sua voce quando vediamo la loro fatica nel partorire i propri piccoli e poi nell'allevarli. (III, 62[42])
[si dice] con la consuetudine formarsi quasi un'altra natura (V, 25, 74)[43]
Con la consuetudine si forma quasi un'altra natura.
[dicunt]consuetudine quasi alteram naturam effici.
Non sembra privo di arguzia quel famoso proverbio sul maiale in cui si dice che l'anima sarebbe stata data a questa bestia al posto del sale, per non farla imputridire. (V, 38[44])
[...] nelle cose stesse, che s'imparano e si conoscono, trovansi gli allettamenti, onde a impararle e a conoscerle noi siam mossi.[45] (V, 52)
Sicuramente non c'è nulla di più utile che comprendere che noi siamo nati per la giustizia e che il diritto non è stato costituito dalla convenzione, bensì dalla natura. La cosa risulterà evidente, se si considererà con attenzione l'attitudine umana alla socievolezza e alla vita comunitaria. Non c'è un individuo così simile a un altro individuo, quanto noi esseri umani siamo simili l'uno all'altro. Infatti, se la depravazione delle consuetudini, se la vanità delle opinioni non contorcesse le nostre deboli anime sviandole dal punto dove avevano cominciato a mirare, nessuno sarebbe simile a se stesso come ogni essere umano è simile a tutti gli altri. E pertanto, qualunque sia la definizione dell'essere umano, essa sarebbe unica e varrebbe per tutti. [...] E non c'è nessun individuo di nessun popolo che, se guidato dalla natura, non possa pervenire alla virtù. (I, 10, 28-30[46])
La salute del popolo sia la suprema delle leggi. (III, 3)
Salus populi suprema lex esto.
Spesso gli dei immortali repressero con gli auspicia l'ingiusta irruenza del popolo.[47] (III, 27)
Saepe populi impetum iniustum auspiciis di immortales represserunt.
Di solito io non approvo il sistema che sappiamo usato dai Pitagorici: si dice che, se nella discussione facevano qualche asserzione, alla richiesta di delucidazioni solevano rispondere: «L'ha detto lui». E quel «lui» era Pitàgora. (I, V, 10; 2007)
Nec vero probare soleo id, quod de Pythagoreis accepimus, quos ferunt, si quid adfirmarent in disputando, cum ex iis quaereretur, quare ita esset, respondere solitos "ipse dixit"; ipse autem erat Pythagoras.
[Epicuro] Egli solo infatti vide che anzitutto gli dèi esistono perché nell'anima di tutti la natura stessa impresse nozioni di loro. Giacché quale popolo esiste o quale specie di uomini che non possieda, senza alcun insegnamento, una nozione primitiva degli dèi? (I, XVII, 43; 2007)
Poiché si tratta di un'opinione stabilita non da qualche istituzione o usanza o legge e rimane un fermo consenso universale dal primo all'ultimo uomo, è necessario capire l'esistenza degli dèi, perché abbiamo di essi nozioni insite o meglio innate; ma ciò su cui è d'accordo la natura di tutti, necessariamente è vero: dunque bisogna ammettere l'esistenza degli dèi. (I, XVII, 44; 2007)
Noi invece poniamo la felicità della vita nella tranquillità e nella libertà da ogni impegno. (I, XX, 53; 1992)
Sembra strano che un aruspice non rida quando vede un altro aruspice. (I, XXVI, 71; 2007)
I barbari divinizzarono le bestie per qualche beneficio. (I, XXXVI, 101; 2007)
Ha detto bene Crisippo: come l'involucro è stato creato per lo scudo e il fodero per la spada, così tutto il resto tranne il mondo è stato creato per altro: le messi e i frutti della terra per gli animali, gli animali per l'uomo, ad esempio il cavallo per trasportare, il bue per arare, il cane per andare a caccia e fare la guardia; quanto all'uomo, è stato creato per contemplare ed imitare il mondo. (II, XIV, 37; 2007)
[Epicuro] Egli infatti crede nell'esistenza degli dèi, perché deve necessariamente esservi qualche natura superiore di cui nulla sia migliore. (II, XVII, 46; 2007)
Grave è il peso della propria coscienza. (III, XXXV, 85)[49]
Grave ipsius conscientiae pondus.
[Su Diagora] Il medesimo, facendo un viaggio per mare, quando quelli dell'equipaggio, paurosi ed atterriti per il tempo avverso, gli dissero che non senza ragione ciò capitava loro perché avevano accolto lui sulla loro medesima nave, mostrò loro molte altre navi in difficoltà sulla medesima rotta e chiese se credevano che anche su quelle navi viaggiasse Diàgora. (III, XXXVII, 89; 2007)
Per dio nulla è impossibile. (III, XXXIX, 92; 2007)
Nihil esse, quod deus efficere non possit.
Giacché io sono in lotta con te per difendere gli altari e i focolari, i templi e i santuari degli dèi e le mura della città, che voi pontefici dite sante e cingete la città con la religione più diligentemente che con le stesse mura. Io, finché avrò fiato, ritengo nefando abbandonare tutto ciò. (III, XL, 94; 2007)
È vero che tu, o figlio Marco, già da un anno scolaro di Cratippo, e in Atene, devi essere di gran lunga fornito di precetti e principi filosofici per la grande rinomanza del maestro e della città, l'uno dei quali ti può accrescere il credito col suo sapere, l'altra con le istituzioni; tuttavia, come io congiunsi sempre per mio profitto le lettere latine alle greche, non solo nello studio della filosofia, ma anche nell'esercizio dell'eloquenza, così penso che tu debba fare la stessa cosa, per essere ugualmente esperto nell'uso dell'una e dell'altra lingua.
Citazioni
Non siamo nati soltanto per noi stessi. (I, 7, 22)
Non nobis solum nati sumus.
Vi sono, poi, due maniere d'ingiustizia: l'una è di quelli che fanno ingiuria; l'altra, di quelli che, pur potendo, non la respingono da coloro che la patiscono. (I, 7, 22; 1958, p. 41)
In due modi si offende la giustizia; col fare ingiuria, o col non difendere, possibilmente, colui a cui vien fatta. (1876, p. 19)
Sed iniustitiae genera duo sunt: unum eorum, qui inferunt; alterum eourum, qui ab iis, quibus infertur, si possunt, non propulsant iniuriam.
Fondamento della giustizia è la fede, cioè la costanza e la sincerità nel mantenere le cose dette e convenute. (I, 7, 23)
Fundamentum (autem) est justitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas.
Due sono infatti i modi di contendere, uno con la ragione, e un altro con la forza; e poiché quello è proprio dell'uomo, questo delle bestie, si deve ricorrere al secondo quando non è possibile valerci del primo. (I, 11; 1876, p. 28)
La ragione dovrebbe dominare e l'appetito obbedire[50]. (I, 29)
Appetitus rationi oboediant.
Perfetta giustizia perfetta ingiustizia.
Summum ius summa iniuria. (I, 33)
Le armi cedano [il posto] alla toga, l'alloro [militare] alla lode.
Cedant arma togae, concedat laurea laudi. (I, 77)
Alla fine [Callicratida] mandò tutto in rovina per non aver voluto seguire il consiglio di coloro i quali giudicavano opportuno ritirare la flotta dalle Arginuse e non venire a battaglia con gli Ateniesi. Egli rispose loro che Sparta, perduta quella flotta, ben poteva allestirne un'altra, mentre lui non poteva fuggire senza macchiarsi d'infamia. (I, 84, traduzione di P. Fedeli, 1969)
Esistono in tutto due generi di scherzo: uno volgare, violento, vergognoso e osceno, e un altro elegante, urbano, ingegnoso e fine. Di questo secondo tipo sono intrisi non solo il nostro Plauto e la Commedia greca antica, ma anche i libri dei filosofi socratici.
Duplex omnino est iocandi genus: unum illiberale, petulans, flagitiosum, obscenum; alterum elegans, urbanum, ingeniosum, facetum. Quo genere non modo Plautus noster et Atticorum antiqua comoedia, sed etiam philosophorum Socraticorum libri referti sunt. (I, 104)
Non può essere veramente onesto ciò che non è anche giusto.
[...] ogni falsità non può essere durevole. (II, 12; 1876, p. 168)
Publio Scipione, quegli che ebbe per primo il nome di Affricano, era solito dire, come racconta Catone il quale fu presso a poco suo coetaneo, che egli non era mai meno ozioso di quando era ozioso, né meno solo di quando era solo. (III, 1; 1876, p. 211)
[...] non abbiamo alcun tipo di legame con un tiranno, e piuttosto è grandissima la distanza da lui, né risulta contrario alla natura privare di mezzi colui che sarebbe addirittura giusto uccidere, e in effetti questo genere di uomini letale ed empio dovrebbe essere estirpato dalla comunità umana. Infatti, come alcune membra vengono amputate, se hanno cominciato a perdere sangue e vitalità, e dunque nuocciono al resto del corpo, così la ferinità e la crudeltà della bestia feroce in forma umana devono essere tenute lontane dal corpo comune del genere umano. (III, 6, 32; 2019)
Citazioni su De officiis
A partire dall'età carolingia gli scritti filosofici di Cicerone trasmisero anche al Medioevo l'eredità del mondo antico, contribuirono poi ad ispirare l'ideale umano del Rinascimento, e sempre fornirono le armi alla lotta di liberazione degli spiriti. Essi sono un elemento ineliminabile della cultura occidentale. Il neoumanesimo e la riscoperta di Platone posero naturalmente Cicerone nell'ombra. Ma se Federico il Grande definì il De officiis «le meilleur ouvrage de morale qu'on ait écrit et qu'on écrira»[51]e ne apprezzava il valore pedagogico a tal segno da promuoverne la traduzione in tedesco, giova chiedersi se non giacciano sopite in quest'opera energie che possano avere ancor oggi funzione vitale. E pur accertando che la sorgente donde esse provengono scaturì in Grecia, non dimenticheremo l'apporto dell'uomo il cui spirito e la cui arte ci seppero trasmettere viva quella fonte, mentre in Oriente essa si è estinta nel deserto di speculazioni dommatiche e d'una contemplativa fuga dal mondo. (Max Pohlenz)
Mi pare che il solo libro delle Dodici tavole superi per autorità e utilità le biblioteche di tutti i filosofi. (I, 44, 195)[52]
Bibliothecas me hercule omnium philosophorum unus mihi videtur XII tabularum libellus [...] et auctoritatis pondere et utilitatis ubertate superare.
Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico Empedocle scrisse un poema egregio. (I, 217)
Dicantur ei quos physikoús Graeci nominant eidem poetae, quoniam Empedocles physicus egregium poema fecerit.
E che dire di quel tesoro di tutte le nozioni che è la memoria? Se questa non assiste, come una custode, i concetti e le espressioni già trovati e meditati, possiamo essere certi che tutte le altre doti dell'oratore, anche magnifiche, andranno perdute. (I, 5, 18; 2017)
La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell'antichità. (II, 9)
Chi può negare che la prima legge della storia sia non osare di dire nulla di falso e non omettere nulla di vero, affinché non sorga neppure il sospetto che nello scrivere sia intervenuta la simpatia o l'antipatia? (II, 15, 62)
Nam quis nescit primam esse historiae legem, ne quid falsi dicere audeat? Deinde ne quid veri non audeat? Ne qua suspicio gratiae sit in scribendo? Ne qua simultatis?
Egli [Simonide], pertanto, a quanti esercitino questa facoltà dello spirito, consiglia di fissare nel cervello dei luoghi e di disporvi quindi le immagini delle cose che vogliono ricordare. Con questo sistema l'ordine dei luoghi conserverà l'ordine delle idee, le immagini delle cose richiameranno le cose stesse, i luoghi fungeranno da tavolette per scriverci sopra e le immagini serviranno da lettere con cui scrivere. (LXXXVI, 354[54])
Ben vide Simonide o chiunque ne sia stato l'inventore che le impressioni trasmesse dai nostri sensi rimangono scolpite nelle nostre menti e che di tutti i sensi il più acuto è quello della vista. Per cui dedusse che la memoria conserva molto più facilmente il possesso di quanto si ascolta o si pensa quando le loro sensazioni entrano nel cervello con l'aiuto della vista. In questo modo la rappresentazione con immagini e simboli concretizza le cose astratte ed invisibili con tanta efficacia, che riusciamo quasi a vedere realmente mediante immagini concrete quel che non siano capaci di percepire col pensiero. (LXXXVII, 357[54])
Più propria dell'oratore è la memoria delle cose; e questa possiamo annotarla mediante alcune maschere [«singulis personis»] ben disposte, in modo tale da poter afferrare i pensieri per mezzo delle immagini e l'ordine per mezzo dei luoghi. (LXXXVIII, 359[54])
La libertà, che non consiste nell'avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno. (II, 43)
Libertas, quae non in eo est ut iusto utamur domino, sed ut nullo.
Pitagora ed Empedocle avvertono che tutti gli esseri viventi hanno eguali diritti, e proclamano che pene inespiabili sovrastano a coloro che rechino offesa a un vivente. (III, 1, 19[55])
Nei dissensi civili, quando i buoni valgono più dei molti, i cittadini si devono pesare, non contare. (VI, 1)
"O Tito, se io ti porgo un aiuto o ti allevio la pena che ora, confitta nel cuore, ti angustia e tormenta, qual premio ne avrò?". Sì, a me è lecito rivolgermi a te, o Attico, con quei medesimi versi coi quali si rivolge a Flaminino "quell'uomo non ricco d'averi, ma pieno di lealtà e di fede". Veramente, io so con certezza che tu non puoi "travagliarti così, o Tito, le notti e i giorni" come Flaminino: conosco, infatti, la misurata e pacata serenità del tuo spirito, e ben comprendo che tu hai riportato da Atene non solo il soprannome, ma anche raffinata cultura e squisita saggezza. Nondimeno, io sospetto che qualche volta tu ti affligga fortemente per quelle medesime cose per le quali anch'io mi affliggo; se non che il dar conforto a tali inquiteudini è impresa alquanto difficile e da differirsi a miglior tempo. Per ora, m'è parso bene scrivere per te qualche cosa intorno alla vecchiezza. [Zanichelli, traduzione di Dario Arfelli]
Michele Battaglia
Concedi, Attico, di rivolgermi a te con i medesimi metri, che Ennio poeta, meno eminente per ricchezze che per animo sensibile alla schietta amicizia, rivolgeva a Tito Quinzio Flamminino, comunque io menomamente non ti creda la mente giorno e notte così agitata, siccome a quel personaggio. Sono a me troppo noti il senso e la mitezza tua, portando io ferma opinione che tu prendesti il soprannome da Atene non, che nel puro tuo accento greco, per l'amenità dei costumi e la giudiziosa fermezza.
Tuttavia suppongo te dagli stessi casi profondamente commosso, che me pure talvolta tengono turbato, a confortarci de' quali da noi soli non bastiamo, ed unico sollievo possiamo aspettarlo dal tempo. [Marco Tullio Cicerone, Il Catone Maggiore, ovvero Dialogo intorno alla vecchiezza fra Catone, Scipione e Lelio, dedicato a Tito Pomponio Attico, traduzione di Michele Battaglia, in "Elogio della Vecchiaia" di Paolo Mantegazza, Franco Muzzio Editore, 1993. ISBN 8870216535]
Citazioni
Anche una vita breve è abbastanza lunga per vivere con virtù e onore.
Ciascuna parte della vita ha un suo proprio carattere, sì che la debolezza dei fanciulli, la baldanza dei giovani, la serietà dell'età virile e la maturità della vecchiezza portano un loro frutto naturale che va colto a suo tempo.
Come non tutti i vini, così non tutti i caratteri inacidiscono invecchiando.
L'avarizia in età avanzata è insensata: cosa c'è di più assurdo che accumulare provviste per il viaggio quando siamo prossimi alla meta?
La leggerezza è propria dell'età che sorge, la saggezza dell'età che tramonta.
La memoria diminuisce, se non la tieni in esercizio. (VII)
Memoria minuitur ... nisi eam exerceas.
La vecchiaia è il compimento della vita, l'ultimo atto della commedia. (XXIII)
La vecchiaia, specialmente quella che ha conosciuto tutti gli onori, possiede un'autorità che vale ben più di tutti i piaceri della giovinezza.
Non con le forze, non con la prestezza e l'agilità del corpo si fanno le grandi cose, ma col senno, con l'autorità, col pensiero.
Non patisce mancanza chi non sente desiderio.
Nessuno è tanto vecchio da non credere di poter vivere ancora un anno. (VII)
Nemo est tam senex qui se annum non putet posse vivere.
Quinto Mucio augure era solito raccontare, con fedele memoria e piacevolmente, molte cose di suo suocero C. Lelio e non esitava a chiamarlo, in ogni discorso, sapiente: io, poi, presa la toga virile, da mio padre ero stato accompagnato da Scevola, in modo che, finché potessi e fosse lecito, non mi allontanassi mai dal fianco di quel vecchio. E così mi scolpivo nella mente molte cose da lui saggiamente discusse, ed anche molte dette in modo conciso ed elegante e mi sforzavo di diventare più dotto grazie alla sua esperienza. Ma di lui parlerò un'altra volta: ora torno all'augure. [Marco Tullio Cicerone, L'amicizia, traduzione di Emma Maria Gigliozzi, Newton, 1993. ISBN 8879830589]
Citazioni
Bisogna volere bene come se un giorno si dovesse arrivare a odiare.[56] (16, 59)
Ita amare oportere, ut si aliquando esset osurus.
Bisogna mangiare insieme molti moggi di sale, perché il dovere dell'amicizia sia compiuto.[57] (19, 67)
Multos modios salis simul edendos esse, ut amicitiae munus expletum sit.
È necessario scegliere dopo aver giudicato e non giudicare dopo aver scelto.
I successi l'amicizia li rende più splendidi, le avversità le rende più lievi, perché le condivide e le mette in comune. (VI, 22, 72; 2007)
Prima di dirvi ciò che penso sulla situazione della repubblica, onorevoli senatori, accennerò alle ragioni per cui, dopo aver lasciato Roma, ho deciso di ritornarvi. [dalla "Prima Filippica contro M. Antonio", citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Citazioni
Annibale è alle porte. (I, 5)
Hannibal ad portas.
Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra. (VII, 19)
Si pace frui volumus, bellum gerendum est.
La vita dei morti è riposta nel ricordo dei vivi. (IX, 10)
Vita [...] mortuorum in memoria est posita vivorum.
Chiunque può sbagliare, ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore. (XII, 5)
Cuiusvis hominis est errare; nullius, nisi insipientis, in errore perseverare.
Essendo io, o in tutto, o in maggior parte, talora liberato dalle fatiche delle difensioni, e degli uffici del Senato, mi sono rivolto, specialmente per tuoi conforti, o Bruto, a quegli studi, i quali, ritenuti nell'animo, e lasciati per tempi, e per lungo spazio di tempo intermessi, ho rivocati.[59]
In realtà, quando Archimede racchiuse in una sfera i movimenti della luna, del sole e dei cinque pianeti, fece lo stesso che colui che nel Timeo edificò l'universo, il dio di Platone, e cioè che un'unica rivoluzione regolasse movimenti molto diversi per lentezza e velocità. E se questo non può avvenire nel nostro universo senza la divinità, neanche nella sfera Archimede avrebbe potuto imitare i medesimi movimenti senza un'intelligenza divina.
Nam cum Archimedes lunae solis quinque errantium motus in sphaeram inligavit, effecit idem quod ille, qui in Timaeo mundum aedificavit, Platonis deus, ut tarditate et celeritate dissimillimos motus una regeret conversio. Quod si in hoc mundo fieri sine deo non potest, ne in sphaera quidem eosdem motus Archimedes sine divino ingenio potuisset imitari. (I, 63)
Siamo pronti a contraddire senza ostinazione, ed a lasciare, senza adirarci, che altri ci contraddica. (II, I, 2)
Et refellere sine pertinacia et refelli sine iracundia parati sumus.
Io quand'ero questore scoprii la sua tomba [di Archimede], sconosciuta ai Siracusani, cinta con una siepe da ogni lato e vestita da rovi e spineti, sebbene negassero completamente che esistesse. Tenevo, infatti, alcuni piccoli senari, che avevo sentito essere scritti nel suo sepolcro, i quali dichiaravano che alla sommità del sepolcro era posta una sfera con un cilindro. Io, poi, osservando con gl'occhi tutte le cose – c'è, infatti, alle porte Agrigentine una grande abbondanza di sepolcri – volsi l'attenzione ad una colonnetta non molto sporgente in fuori da dei cespugli, sulla quale c'era sopra la figura di una sfera e di un cilindro. E allora dissi subito ai Siracusani – c'erano ora dei principi con me – che io ero testimone di quella stessa cosa che stavo cercando. Mandati dentro con falci, molti ripulirono e aprirono il luogo. Per il quale, dopo che era stato aperto l'accesso, arrivammo alla base posta di fronte. Appariva un epigramma sulle parti posteriori corrose, di brevi righe, quasi dimezzato. Così la nobilissima cittadinanza della Grecia, una volta veramente molto dotta, avrebbe ignorato il monumento del suo unico cittadino acutissimo, se non lo fosse venuto a sapere da un uomo di Arpino. (V, 23, 64-66)
Cuius ego quaestor ignoratum ab Syracusanis, cum esse omnino negarent, saeptum undique et vestitum vepribus et dumetis indagavi sepulcrum. Tenebam enim quosdam senariolos, quos in eius monumento esse inscriptos acceperam, qui declarabant in summo sepulcro sphaeram esse positam cum cylindro. Ego autem cum omnia collustrarem oculis – est enim ad portas Agragantinas magna frequentia sepulcrorum – animum adverti columellam non multum e dumis eminentem, in qua inerat sphaerae figura er cylindri. Atque ego statim Syracusanis – erant autem principes mecum – dixi me illud ipsum arbitrari esse, quod quaererem. Immissi cum falcibus multi purgarunt et aperuerunt locum. Quo cum patefactus esset aditus, ad adversam basim accessimus. Apparebat epigramma exesis posterioribus partibus versiculorum dimidiatum fere. ita nobilissima Graeciae civitas, quondam vero etiam doctissima, sui civis unius acutissimi monumentum ignorasset, nisi ab homine Arpinate didicisset.
Fino a quando abuserai, Catilina, della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora cotesta tua condotta temeraria riuscirà a sfuggirci? A quali estremi oserà spingersi il tuo sfrenato ardire? Né il presidio notturno sul Palatino né le ronde per la città né il panico del popolo né l'opposizione unanime di tutti i cittadini onesti né il fatto che la seduta si tenga in questo edificio, il più sicuro, ti hanno sgomentato e neppure i volti, il contegno dei presenti?[62]
Cicerone divertente? Cicerone uomo di spirito? si domandano increduli i licealisti di tutto il mondo; i quali da generazioni hanno ormai bollato l'Arpinate col marchio indelebile di oratore retorico, di scrittore fastidiosissimo. (Maffio Maffii)
Cicerone fu il creatore di una prosa oratoria perché fu l'architetto unificatore di altre prose oratorie. La sua prosa non ha una sorgente nascosta nello spirito suo: ché altrimenti sarebbe inimitabile; essa scaturisce da una molteplicità di fonti letterarie per raccogliersi in unico fiume. (Concetto Marchesi)
Confrontando Cicerone con Demostene, dirò che il carattere di Demostene è l'evidenza della ragione, l'impeto e la veemenza di un'anima accesa ed eloquente; quello di Cicerone, l'ordine, la fecondità, e lo splendor dell'orazione. Il primo più aspro, talvolta secco e duro, ma più sublime e più robusto; il secondo più florido e più ornato, ma talvolta, come lo rimprovera Bruto, cascante e distemperato. In due parole: ammiro Cicerone, ma vorrei Demostene per difensore. (Guglielmo Audisio)
Fu ad Archimede conceduto l'onor del sepolcro, quale l'avea egli desiderato. Ma questo sepolcro medesimo era ito in dimenticanza più di 100 anni dopo, quando Cicerone andò questore in Sicilia. Narra egli stesso in qual maniera gli venisse fatto di scoprirlo a' Siracusani, i quali tanto ne avean perduta ogni memoria, che assicuravano il sepolcro di Archimede non essere certamente tra loro. Così un Romano riparò in certo modo l'ingiuria che questo valentuomo avea da un altro Romano ricevuta. Ad alcuni han data noia in questo racconto di Cicerone quelle parole humilem homunculum, con cui egli chiama Archimede, come se dirlo volesse uom dappoco e spregevole... Ma senza inutilmente perderci in dissertare, basta il riflettere che sì gran concetto avea Cicerone di Archimede, che volle cercarne il sepolcro, e che chiamolo, come fu detto sopra, uomo di divino ingegno, per comprendere che quelle parole humilem homunculum non significano già uomo da nulla, ma uom privato e povero, e vissuto lungi dalla luce de' pubblici onori. (Girolamo Tiraboschi)
L'umorismo è per l'Arpinate, oltre che un efficace, intelligente strumento per vincere le cause senz'annoiare il prossimo, anche un segno di humanitas, di raffinata cultura, di amabilità nei rapporti umani. (Maffio Maffii)
– Le abbiamo assegnato un nome convenzionale: Cicerone. – Cicerone? Nobile romano, eloquente, raffinato e insoddisfatto. Mi piace questo nome. (Operazione Cicero)
Mai lo leggo. A me fa ch'egli abbia difeso Rabirio o Cluenzio? Mi bastano i processi che devo giudicare io. Avrei avuto più genio per le sue opere filosofiche, ma quando ho visto che dubitava di tutto, ho concluso che ne sapevo quanto lui, e che non m'occorre nessuno, per essere ignorante. (Voltaire)
Nessun greco ebbe la potenza animatrice e divulgatrice di Cicerone: perché nessun greco poteva imprimere ai concetti astratti della filosofia l'impulso dell'azione; nessun greco poteva riscaldare col calore della vita vissuta l'ideale massimo della cultura ellenistica, quello della humanitas (che era specialmente insegnato dai filosofi ellenistici, Panezio, Posidonio, ecc.) . e trasformarlo, come romanamente lo trasformò Cicerone, in principio operante su tutte le genti. Maestro di humanitas per il suo popolo, egli divenne maestro di tutto il mondo occidentale, operando attraverso il Cristianesimo, al Medioevo, alla Rinascenza, ininterrottamente. (Augusto Rostagni)
Nessun personaggio storico ha messo a nudo sé stesso davanti ai posteri, come Cicerone. Ora, dato un uomo come Cicerone, amantissimo della patria e della virtù, radicalmente onesto e leale, che sentiva profondamente gli affetti della famiglia e dell'amicizia; ma insieme pieno di ambizione e di ingenua vanità, appassionato, nervoso, irritabile, sensibilissimo agli onori e alle offese, più forte contro il pericolo che nella sventura; qual meraviglia che nell'espansione così intera e così a lungo continuata dell'animo suo, noi troviamo molti momenti di debolezza, contraddizioni con dichiarazioni pubbliche, giudizi irosi, continua mescolanza delle preoccupazioni personali nelle preoccupazioni per la cosa pubblica? (Carlo Giussani)
S'io credessi quelle armi che assiepano il Foro, dicea Cicerone, starsene qui a minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto fu che quelle armi nel Foro inducevano per sé sole una fiera minaccia, tanto ch'egli parlò poco e male, e la paura ammazzò l'eloquenza. (Terenzio Mamiani)
Siamo al maggiore, non solo degli oratori, ma degli scrittori romani, e di gran lunga il più importante. Il più importante, se si considera la letteratura d'un popolo tutto come l'espressione dello spirito di quel popolo, poiché di nessun altro scrittore romano le opere sono cosi intimamente e multiformemente connesse colla vita tutta del popolo romano; il più importante perché da nessun altro abbiamo tanta copia di informazioni dirette intorno alle condizioni politiche e istituzioni politiche e sociali, istituzioni giuridiche e religiose, movimento letterario, idee e costumi, uomini e cose; il più importante nella storia stessa della letteratura, per la quantità degli scritti e la varietà dei generi a cui si riferiscono, e nella storia della lingua, la quale con lui arrivò al massimo svolgimento delle sue forze, e diventò strumento non mai inadeguato al pensiero, alla civiltà, all'arte romana, pur conservando ancora tutta la sua viva e vigorosa spontaneità e naturalezza. (Carlo Giussani)
Un al cui passar l'erba fioriva: | questo è quel Marco Tullio in cui si mostra | chiaro quanti eloquenzia ha frutti e fiori. (Francesco Petrarca)
E più maraviglioso ancora dovrà parere lo stile di Cicerone a chi consideri che per creare tante bellezze a lui non fu d'uopo introdurre nella lingua novelle voci, delle quali anzi egli si dichiara più volte aperto riprovatore; ma studiossi di condurre con accorto senno alla significazione di nuove idee vocaboli già in uso; nel che non solamente fece opera di acuto filosofo, ma ancora di magnanimo cittadino.
Pochi sono gli uomini veramente grandi dell'antichità, di cui la morte affrettata per tirannesca violenza fosse tanto sinceramente e tanto lungamente compianta, esecratone l'abominevole autore, quanto quella di Cicerone.
Tra la fine del settimo e i primi anni dell'ottavo secolo di Roma la prosa latina si vide sollevata a tanta altezza da nulla invidiare alla greca, per opera singolarmente di Cicerone, dal quale conseguì quello ch'egli solo poteva darle e tutto quanto poteva ella ricevere di vigor filosofico, di splendida eloquenza, di vario fraseggiare e di soavissimo temperamento di suoni.
↑ Citato in (FR)Paul Henri Thiry d'Holbach, La Morale universelle, Ou Les devoirs de l'homme fondés sur sa nature, vol. II, Masson et Fils, Parigi, 1820, p. 57.
↑ Citato in Claudio Malagoli, Etica dell'alimentazione: prodotti tipici e biologici, Ogm e nutraceutici, commercio equo e solidale, Aracne, 2006, p. 117.
↑ Da De consulatu suo; citato in Quintiliano, Institutio Oratoria, come verso particolarmente cacofonico e sgradevole; e da Giovenale, Satire, X, 122.
↑ Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 14. ISBN 9788858014165
↑ Da Oratio pro Rege Deiotaro, XI, 31; Oratio I in Catilinam, I, 2; In Verrem, IV, 45.
↑ Da Pro P. Sextio, cap. 45; De Oratore, 1; Epistolae ad familiares, I, 9, 21.
↑ Da Epistulae ad Atticum XII, 28,2. Citato con traduzione in Jean Louis Burnouf, Metodo per studiare la lingua latina adottato dall'Università di Francia, presso Ricordi e Jouhaud, Firenze 1850, p. 276.
↑ (DE)Citato in Ausgewählte Briefe. Herausgegeben von Friedrich Hofmann, vol. I, Weidmann, Berlino, 18743, nota, p. 134.
↑ Queste sono le ultime parole di Cicerone, che, vedendosi costretto a non poter fuggire, a causa del mare in tempesta, da Gaeta, viene colto dal desiderio di farla finita.
↑ Citato in Ippolito Pindemonte, Rura mihi et rigui placeant in vallibus amnes, in Le prose e poesie campestri d'Ippolito Pindemonte, Tipografia Mainardi, Verona, 1817, p. 66.
↑ La migliore opera di morale che si sia scritta e sarà scritta.
↑ Citato in AA.VV., Il libro della legge, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2021, p. 30. ISBN 9788858029596
↑ Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
1 2 3 Da Dell'oratore, a cura di A. Pacitti, 3 voll., Zanichelli, Bologna, 1974, vol. II, libro II.
↑ Citato in Claudio Tugnoli (a cura di), Zooantropologia: Storia, etica e pedagogia dell'interazione uomo/animale, FrancoAngeli, Milano, 2003, p. 21.
↑ Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 19. ISBN 978-88-04-47133-2.
↑ Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 17. ISBN 978-88-04-47133-2.
↑ Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 16. ISBN 978-88-04-47133-2.
↑ Marco Tullio Cicerone, Quistioni tusculane, traduzione di anonimo toscano cinquecentesco, a cura di Michele dello Russo, Stamperia del Diogene, Napoli, 1851.
↑ Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 10. ISBN 978-88-04-47133-2.
Aristotele, frammenti stoici, Plutarco, Porfirio, L'anima degli animali, a cura di Pietro Li Causi e Roberto Pomelli, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 978-88-06-21101-1
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Marco Tullio Cicerone, Opere politiche e filosofiche, vol. III, a cura di Domenico Lassandro e Giuseppe Minunco, traduzione di Domenico Lassandro, Giuseppe Minunco e Nino Marinone, UTET, Torino, 2007.
Marco Tullio Cicerone, Opere politiche e filosofiche, a cura di Leonardo Ferrero, Nevio Zorzetti e Nino Marinone, UTET, Torino, 2013. ISBN 978-88-418-9003-5
Tito Livio, Storia di Roma dalla fondazione, traduzione di Gian Domenico Mazzocato, Newton & Compton, Roma, 1997.