politico e oratore ateniese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Demostene (384 a.C. – 322 a.C.), politico e oratore ateniese.
Non pago così caro un pentimento. (citato in Aulo Gellio, Noctes Atticae, I, 8, 6)
Poenitere tanti non emo.
[Criticando la lentezza della democrazia] Noi ce ne stiamo qui seduti a non far nulla: ma quando si giace nell'ozio non si può pregare nemmeno un amico di agire in vece nostra, e tanto meno gli dei. Né c'è da stupirsi se lui [Filippo II di Macedonia], che di persona prende parte alle campagne e alle fatiche della guerra ed è sempre presente dappertutto, che non trascura mai occasioni propizie, in nessuna stagione dell'anno, riesce a prevalere su di noi, che passiamo il nostro tempo votando decreti e aspettando notizie. (Seconda Olintiaca, 23[1])
Nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera.[2]
Sapete certamente che la ragione principale è successo di Filippo è sempre consistita nell'arrivare per primo: con un esercito sul piede di guerra sempre pronto e sapendo bene quello che vuole, piomba a sorpresa addosso a quelli che ha deciso di colpire; mentre noi, solo quando abbiamo saputo che sta succedendo qualcosa solo allora ci mettiamo in agitazione e cominciamo a prepararci. (Sul Chersoneso, 11[1])
Un tempo gli uomini di stato si mostravano cosf semplici nella vita privata e i loro costumi erano così conformi al carattere della nostra città che se qualcuno di voi potesse vedere la casa di Aristide o di Milziade o di altri cittadini illustri di quei tempi, non la troverebbe pif adorna di quella del suo vicino. Essi infatti non miravano ad arricchire trattando gli affari pubblici [...] Leali verso i greci, pii verso gli dei, rispettosi dell'eguaglianza nella città, ci procurarono, come ci si doveva aspettare, una grande prosperità [...] Oggi, mi si dirà, i nostri affari non sono brillanti ma in città si è fatto di meglio. Ma cosa mi si può effettivamente citare? I parapetti degli spalti lastricati a nuovo, le strade e le fontane ristrutturate, tante cose da niente [...] Ma rivolgete la vostra attenzione agli uomini che hanno fatto questa politica: gli uni sono passati dall'indigenza alla ricchezza, gli altri dall'oscurità agli onori, alcuni si sono costruiti case più imponenti degli edifici pubblici e, nella misura che la fortuna della città declinava, la loro si ingrandiva. (III Olintica 26 e 29)[3]
[Ogniqualvolta Focione saliva alla tribuna per controbattere le sue affermazioni] Si alza l'ascia dei miei discorsi[4]. (10, 4)
Demade: Demostene insegnare a me? Il maiale che insegna ad Atena. Demostene: Questa Atena ieri è stata colta a Collito mentre commetteva adulterio. (11, 5)
Ateniesi, voi avrete sempre in me un consigliere anche se non lo volete; ma non avrete in me un sicofante, neppure se lo volete. (14, 4)
[Mentre fuggiva la prima volta da Atene, tendendo le mani verso l'Acropoli] O Signora Poliade ["signora della città", attributo di Atena], come puoi compiacerti di tre bestie intrattabilissime, la civetta, il serpente e il popolo? (26, 6)
[Ultime parole rivolte ad Archia, inviato da Antipatro per arrestarlo ed ucciderlo, quando ormai aveva già preso il veleno] Affrettati ormai a recitare la parte del Creonte della tragedia e a gettare questo mio corpo senza sepoltura[5]; io, o amato Poseidone, lascio il tuo santuario [Demostene s'era rifugiato nel tempio di Poseidone a Calauria, un'isola davanti a Trezene] ancora vivo, ma Antipatro e i Macedoni non hanno lasciato inviolato neppure il tuo tempio. (29, 6)
Orazioni
"È morto Filippo?" "No, per Zeus, è ammalato." Cosa cambia per voi? Se anche gli succedesse qualcosa, vi fabbrichereste subito un altro Filippo per poter continuare ad occuparvi delle vostre faccende. (ed. Fabbri Editori)
Gli uomini per loro natura sono portati a disprezzare i deboli e lusingare i forti. (ed. Fabbri Editori)
I politici credono di vendere tutto eccetto se stessi, per poi rendersi conto che hanno venduto innanzitutto se stessi. (ed. BUR)
Nulla è più facile che illudersi, perché ciò che ogni uomo desidera, crede anche che sia vero.
Quando dei marinai, il cui salario è appena di 30 dracme, mancano all'appello, sono messi in catene e puniti da costoro; ebbene io vorrei sapere perché, quando dei trierarchi – ai quali la città affida una somma di 30 mine per ogni campagna – non si degnano di mettersi in mare insieme con l'equipaggio, voi non li punite alla stessa maniera. Allora quando uno è un povero che commette un reato deve subire le pene estreme, e quando è un ricco a compiere, per miserabile ingordigia, lo stesso reato, otterrà tutta la comprensione? E allora dov'è andato a finire quel fondamento della democrazia che è l'uguaglianza dei diritti, se in casi come questo vuoi giudicate in modo così ingiusto? (51, 11[6])
Voi avete concesso a chi vuole agire contro giustizia una situazione ideale: se riescono a farla franca, si tengono quanto hanno ricavato dal loro reato; se vengono scoperti, ottengono comprensione. (51, 15[6])
Si comportano come se non appartenessero ad uno Stato comune a tutti e dove tutti hanno il diritto di parlare: reputano questa una loro prerogativa, come un sacerdozio ereditario. Se uno parla, al vostro cospetto, per una causa giusta, se la prendono male e lo bollano come tracotante. E sono a tal punto prigionieri di questa nuova visione delle cose, da credere di meritare a vita la reputazione di cittadini "perbene" se chiamano svergognato quel tale che si è alzato a parlare una volta tanto davanti all'assemblea. (51, 19[6])
Molte ragioni, o uomini ateniesi, mi hanno portato a intentare questo procedimento contro Neera e a presentarmi a voi. [citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Come ho già detto parlando dinanzi al popolo, voi concedete volentieri agli strateghi ed ai rhèthores di trarre grossi vantaggi dalle loro attività pubbliche; certo non sono la legge consentire ciò, ma la vostra dolcezza e tolleranza. Giacché di una cosa comunque vi preoccupate: che il denaro che questi rubano non venga rubato contro i vostri interessi ma per favorirvi. In particolare per quel che riguarda Demostene e Demade ho calcolato che, tra decreti e progenie, hanno intascato all'incirca settanta talenti ciascuno, a parte quello che hanno ricevuto dal re di Persia ed Alessandro. Eppure non è bastato loro tutto questo, Hanno addirittura voluto addirittura lucrare sul corpo stesso della città. (Iperide)
Confrontando Cicerone con Demostene, dirò che il carattere di Demostene è l'evidenza della ragione, l'impeto e la veemenza di un'anima accesa ed eloquente; quello di Cicerone, l'ordine, la fecondità, e lo splendor dell'orazione. Il primo più aspro, talvolta secco e duro, ma più sublime e più robusto; il secondo più florido e più ornato, ma talvolta, come lo rimprovera Bruto, cascante e distemperato. In due parole: ammiro Cicerone, ma vorrei Demostene per difensore. (Guglielmo Audisio)
Boileau, il cui gusto era sì dilicato, Boileau detto l'eroe della ragione, scriveva a Claude Brossette ch'egli non finiva mai di maravigliarsi leggendo l'arringa pronunciata da Demostene contro Eschine per la corona a favore di Ctesifonte. È, secondo lui, l'ultimo «sforzo» a cui possa aspirare l'intelletto dell'uomo. (Guglielmo Audisio)
Il ritmo di Demostene è maestoso come l'immenso respiro del mare, e la grandezza del più possente oratore dell'antichità sta appunto nel fatto che egli non si sottomette ad alcuna legge fissa di ordine superiore, così come l'onda del mare non si lascia determinare né per la lunghezza né per la sonorità. (Eduard Norden)
Quando questi ultimi [Eschine e Filocrate] lodarono Filippo come un uomo abilissimo nel parlare e bellissimo da vedere e, per Zeus, ottimo bevitore, Demostene non poté fare a meno di gettare il discredito e la derisione su questi discorsi dicendo che il primo elogio era adatto a un sofista, il secondo a una donna, il terzo a una spugna, nessuno a un sovrano. (Plutarco)
Se, o Demostene, la tua forza fosse stata pari al tuo senno | mai l'Ares macedone avrebbe comandato sui Greci. (epigrafe incisa sulla statua di bronzo di Demostene erettagli dopo la morte dagli Ateniesi)
Tutte le volte che io la leggo [l'arringa pronunciata da Demostene contro Eschine] mi fa pentire delle mie scritture. (Nicolas Boileau)
Una volta [Diogene di Sinope] incontrò l'oratore Demostene che faceva colazione in una taverna. Quando si ritirò, Diogene disse: «Almeno per un pezzo sarai in taverna!» Volendo una volta alcuni stranieri vedere Demostene, egli tese il dito medio e disse: «Eccovi il demagogo degli Ateniesi». (Diogene Laerzio)