politico e oratore ateniese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Iperide (390/389 a.C. – 322 a.C.), oratore e politico ateniese.
Cittadini di Atene, non considerate soltanto se sono amaro, ma se lo sono gratis. (citato in Plutarco, Vita di Focione, X, 3; traduzione in Oratori attici minori, p. 12)
[Quando Demostene, venuto a fargli visita quando era malato, si lamentò perché gli aveva trovato in mano un libello diretto contro di lui] Finché sei mio amico, questo non ti farà alcun male, ma se mi diventerai nemico, t'impedirà di fare qualcosa a mio danno. (citato in Pseudo-Plutarco, Vita di Iperide, 849 E; traduzione in Oratori attici minori, p. 109)
[A Rodi, in risposta agli ambasciatori di Antipatro, che ne vantavano la bontà] Sappiamo che è buono, ma non abbiamo bisogno di un buon padrone. (citato in Pseudo-Plutarco, Vita di Iperide, 850 A; traduzione in Oratori attici minori, p. 109)
[L'ordine delle orazioni è quello presentato in Oratori attici minori.]
Penso che la cosa migliore sia vincere, o, nel caso dovesse accadere, cadere combattendo per una causa come quella per la quale abbiamo combattuto. (Contro Dionda, 6)
Personalmente, signori giudici, come appunto dicevo poco fa a quelli seduti accanto a me, il fatto che mi stupisce è questo qui: che, per Zeus, Demostene sia il solo uomo in Atene nei cui confronti non abbiano vigore né le leggi che prescrivono la validità di ogni contratto stipulato da una persona in suo proprio danno, né i decreti del popolo, secondo i quali voi avete giurato di dare il vostro voto. Tanto più che questi decreti non sono stati proposto da nessuno dei nemici di Demostene, ma da lui stesso, e il popolo li ha votati dietro suo invito e quasi con il suo volontario consenso alla propria sentenza di morte ...[1] Eppure il buon diritto, signori giudici, è semplice, penso, da stabilire: esso è in nostro favore contro Demostene. Come nelle cause private molte controversie si decidono per mezzo di intimazioni, analogamente anche quest'affare è già bell'e deciso. Consideratelo, signori giudici, nel modo seguente. Il popolo ti accusò, Demostene, di aver ricevuto venti talenti contro l'interesse dello stato e contro le leggi. Tu negasti di averli ricevuti e redigesti un'intimazione in forma di decreto, che presentasti al popolo, rimettendoti per le accuse che ti erano state mosse all'arbitrato del consiglio dell'Areopago ...[1][Frammento 1; traduzione in Oratori attici minori, pp. 119-121]
Citazioni
Come ho già detto parlando dinanzi al popolo, voi concedete volentieri agli strateghi ed ai rhèthores di trarre grossi vantaggi dalle loro attività pubbliche; certo non sono le leggi a consentire ciò, ma la vostra dolcezza e tolleranza. Giacché di una cosa comunque vi preoccupate: che il denaro che questi rubano non venga rubato contro i vostri interessi ma per favorirvi. In particolare per quel che riguarda Demostene e Demade ho calcolato che, tra decreti e progenie, hanno intascato all'incirca settanta talenti ciascuno, a parte quello che hanno ricevuto dal re di Persia ed Alessandro. Eppure non è bastato loro tutto questo, Hanno addirittura voluto addirittura lucrare sul corpo stesso della città… (XXIV-XXV[2])
Io sono venuto qui pieno di fiducia anzitutto negli dèi, nei quali appunto anche voi solete confidare sia negli affari privati, ciascuno per proprio conto, sia in quelli pubblici, poi nella legge e nel giuramento che vi impone di ascoltare del pari gli accusatori e i difensori, e ...[1]
[Frammento 1; traduzione in Oratori attici minori, p. 147]
Ciò che io ero in grado di dire in mia difesa, signori giudici, a un dipresso l'avete udito. Ma poiché il mio accusatore, pur non essendo inesperto nell'arte della parola e pur avendo frequente pratica di contese giudiziarie, ha fatto appello ad altri oratori disposti a rovinare un cittadino contro la giustizia, anch'io vi prego e vi supplico di autorizzarmi a chiedere a mia volta l'intervento di uomini che parleranno a mio favore in un processo così grave, e di ascoltare con animo benigno i congiunti e gli amici in grado di aiutarmi; ché sono vostro concittadino, e come privato, non ho pratica di parlare, e in questo processo corro il rischio non solo di essere condannato a morte – cosa, questa, di minima importanza per chi sappia ben valutare – ma di essere gettato fuori dei confini e, dopo morto, di non aver neppure sepoltura in patria. Pertanto, se mi autorizzerete, signori giudici, chiamerò un amico che venga in mio soccorso. Sali quassù, Teofilo, per favore, e di' in mia difesa ciò che puoi; hai l'autorizzazione dei giudici.
[19-20; traduzione in Oratori attici minori, pp. 160-161]
Per parte mia, signori giudici, come appunto dicevo poco fa a quelli seduti accanto a me, mi stupisco se non siete ormai stomacati di queste così fatte eisangelie. In passato venivano denunziati davanti a voi con questa procedura Timomaco, Leostene, Callistrato, Filone di Anea, Teotimo che perdette Sesto e altri personaggi del genere: erano accusati, i primi due, di avere consegnato al nemico una flotta, i due ultimi città dell'impero ateniese, l'altro infine di non fare, nella sua qualità di oratore, le proposte più conformi agl'interessi del popolo. Di questi, cinque quanti erano, nessuno affrontò il processo, ma volontariamente se ne andarono in esilio da Atene. Né diversamente fecero molti altri denunziati con eisangelia, ed era raro vedere che uno processato mediante eisangelia comparisse in tribunale; così gravi e manifeste erano le colpe che allora provocavano le eisangelie. Ma quel che ora accade nella nostra città tocca il colmo del ridicolo. Diognide e il meteco Antidoro si vedono intentare un'eisangelia con il pretesto che danno a nolo le flautiste a un prezzo superiore a quello prescritto dalla legge, Agasicle del Pireo perché si è fatto iscrivere nel demo di Alimunte, Eussenippo per ciò che dice di aver visto in sogno. Non c'è dubbio che nessuna di queste accuse ha il menomo rapporto con la legge eisangeltica.
[1-3; traduzione in Oratori attici minori, pp. 172-173]
Citazioni
Buon cittadino non è colui che, per arrecare piccoli vantaggi, causa danni ben più gravi allo stato, né chi, procurando con mezzi ingiusti un'entrata momentanea, rovina le entrate legittime dello stato; bensì chi si preoccupa degl'interessi futuri della patria, della concordia dei cittadini e della vostra fama. Beni, questi, di cui alcuni non si curano, ma spogliando gl'imprenditori delle loro entrate, si dan merito di procurarle allo stato, mentre in realtà è penuria di entrate che essi preparano. (37; traduzione in Oratori attici minori, p. 193)
Orbene a questi tali forse non è facile impedire di comportarsi così, ma voi, signori giudici, come avete già salvato molti altri cittadini ingiustamente implicati in processi, così date il vostro aiuto anche ad Eussenippo, e non disinteressatevi di lui in un affare di nessun conto e in un'eisangelia di tal genere; un'eisangelia a cui l'imputato non è soggetto, che è stata intentata contro le leggi e che inoltre è stata invalidata in certo modo dallo stesso accusatore. Infatti Polieucto gli ha rimproverato, nella sua eisangelia, di non fare le proposte più conformi agl'interessi del popolo ateniese, perché corrotto con denaro e donativi dai nemici del popolo ateniese. Se egli dunque, fuori dalla nostra città, denunziasse l'esistenza di certe persone dalle quali Eussenippo ha accettato donativi per farsi loro alleato, potrebbe sostenere che, non essendo possibile punire quelli, bisogna far pagare il fio ai loro agenti di qui. Ora invece afferma che sono Ateniesi quelli dai quali Eussenippo ha accettato donativi. Ma allora? Mentre hai in città i nemici del popolo, tu non cerchi di punirli, ma è con Eussenippo che te la prendi? Ancora poche parole sul voto che voi dovete dare, e scenderò. Quando, signori giudici, vi accingerete a votare, ordinate al cancelliere di leggervi punto per punto la eisangelia e il giuramento eliastico. Poi prescindete dai discorsi di noi tutti e considerando soltanto, sulla scorta dell'eisangelia e delle leggi, ciò che vi sembra giusto e conforme al vostro giuramento, votate di conseguenza. Io per parte mia, o Eussenippo, ti ho dato tutto l'aiuto che potevo. Ora non ti resta che supplicare i giudici, invocare l'assistenza degli amici e far salire quassù i tuoi figlioletti.
[38-41; traduzione in Oratori attici minori, p. 194-195]
Contro Filippide
Citazioni
Come i nostri corpi hanno bisogno della massima cura nelle loro infermità, così anche le città hanno bisogno del massimo riguardo nelle loro sventure. (frammento X; traduzione in Oratori attici minori, p. 199)
[Filippide] era insignificante fisicamente a causa della sua magrezza. (frammento conservato da Ateneo di Naucrati, Deipnosofisti, XII, 552 d; traduzione in Oratori attici minori, p. 201)
Dei tiranni[3] nessuno mai, dopo morto, è ritornato in vita, mentre molte città, anche dopo essere state rase al suolo, hanno riacquistato vigore e potenza. (7; traduzione in Oratori attici minori, p. 205)
Io mi sono proposto di non superare con il mio discorso un'anfora d'acqua, perciò non intendo dilungarmi oltre. Il cancelliere vi leggerà di nuovo l'atto di accusa. Voi tenete a mente le imputazioni; ascoltate la lettura delle leggi; ed emettete un verdetto conforme alla giustizia e al vostro stesso interesse.
[13; traduzione in Oratori attici minori, p. 209]
Frammenti
Di orazioni identificate
Ché altro è il tempo adatto per discutere e persuadere; ma quando il nemico armato è in vista, bisogna resistergli con le armi e non con le parole. (Contro Aristogitone, fr. 39a Jensen, conservato da Publio Rutilio Lupo in De figuris sententiarum et elocutionis, II, 12; traduzione in Oratori attici minori, p. 270)
[In risposta ad un'accusa per illegalità mossagli da un tale Aristogitone per aver fatto approvare dopo la battaglia di Cheronea un decreto che ridava i diritti politici a coloro che ne erano stati privati, richiamava gli esuli e liberava gli schiavi] E le leggi che vietavano ciò non le leggevi? Non potevo, perché le armi dei Macedoni, standomi davanti, me ne nascondevano il testo. (Contro Aristogitone, fr. 27 Jensen, conservato da Publio Rutilio Lupo in De figuris sententiarum et elocutionis, I, 19; traduzione in Oratori attici minori, p. 269)
Gli oratori sono simili ai serpenti; infatti i serpenti sono tutti odiosi, ma, anche tra essi, alcuni, le vipere, sono nocivi agli uomini, mentre altri, le parie, divorano perfino le vipere. (Contro Demade, fr. 80 Jensen, conservato da Arpocrazione in Lessico dei dieci oratori, voce παρεῖαι ὄφεις; traduzione in Oratori attici minori, p. 281)
I temerari fanno ogni cosa senza riflessione; ma i coraggiosi riflettono sui pericoli al loro sopraggiungere e li affrontano intrepidamente. (Citniaco, fr. 117 Jensen, conservato dalla Suda, voce θαρραλέον; traduzione in Oratori attici minori, p. 291)
[Rivolgendosi ad Aristofonte] Quando tenti di ingannare l'opinione degli altri, tu illudi soltanto te stesso. Infatti non convinci nessuno quando in luogo di astuto di dici saggio, in luogo d'impudente energico, in luogo di avaro parsimonioso amministratore del tuo patrimonio, in luogo di malevolo severo. Non c'è vizio di cui tu possa vantarti lodandolo come virtù. (Contro Aristofonte, fr. 44 Jensen, conservato da Rutilio Lupo in De figuris sententiarum et elocutionis, I, 4; traduzione in Oratori attici minori, p. 271)
Di orazioni non identificate
Due sono i motivi per cui gli uomini si astengono dalle colpe: la paura e la vergogna. (fr. 210 Jensen, conservato da Massimo il Confessore in Loci communes, col. 729 Migne; traduzione in Oratori attici minori, p. 313)
È nei primi stadi che bisogna sbarrare la via ai delitti; una volta che il male abbia messo radici e sia divenuto vecchio come un'infermità congenita, è difficile estinguerlo. (fr. 204 Jensen, conservato da Giovanni Stobeo in Florilegio, IV, 5, 63 ed. Wachsmuth-Hense; traduzione in Oratori attici minori, p. 311)
L'avaro e il dissipatore hanno un solo e medesimo difetto. Entrambi non sanno far uso del denaro e per entrambi esso è motivo di infamia. Perciò con ragione entrambi ricevono uguale castigo, perché ugualmente non sono degni di possedere. (fr. 216 Jensen, conservato da Rutilio Lupo in De figuris sententiarum et elocutionis, II, 9; traduzione in Oratori attici minori, pp. 313 e 315)
L'uomo buono deve mostrare nelle sue parole come pensa e nelle sue opere come agisce. (fr. 208 Jensen, conservato da Giovanni Stobeo in Florilegio, IV, 23, 34 ed. Wachsmuth-Hense; traduzione in Oratori attici minori, p. 313)
Nessuna maleducazione è più grave dell'ingiuriare. (fr. 211 Jensen, conservato da Massimo il Confessore in Loci communes, col. 729 Migne; traduzione in Oratori attici minori, p. 313)
Nessun segno dell'animo gli uomini recano impresso sul volto. (fr. 196 Jensen, conservato da Clemente Alessandrino in Miscellanea, VI, II, 18, 8 ed. Stählin; traduzione in Oratori attici minori, p. 311)
Gli [A Iperide][4] parve bello consacrare l'opera educatrice ed incivilitrice della democrazia ateniese, ormai declinante dinanzi ad un regime di ottimati protetti dalle sarisse nemiche, con la proclamazione in extremis di una universale libertà, dell'uguaglianza di tutti davanti al pericolo, alla patria e alla morte. (Piero Treves)
Iperide[4], quest'avvocato abile, questo parlatore elegante, questo politico molto mediocre, vissuto fuor della tradizione civile ateniese e punto pensoso di problemi sociali, non pare l'uomo spiritualmente più incline a drizzarsi d'un tratto banditore d'una campagna antischiavistica. (Piero Treves)
Se i pregi venissero giudicati in base al numero, e non alla grandezza, Iperide stesso, in questo modo, sarebbe in tutto superiore a Demostene. (Trattato del Sublime)
Si dice che [Iperide] abbia superato tutti nell'oratoria politica, e da alcuni viene anteposto a Demostene. (Pseudo-Plutarco)
1 2 3 In Oratori attici minori i "..." segnalano una lacuna del papiro che tramanda l'orazione.
↑ Come si apprende dalle righe precedenti, il riferimento è ai Macedoni, in particolare al loro re Filippo.
1 2 Nel 338 a.C. Iperide propose un decreto che liberava gli schiavi i quali, dopo la battaglia di Cheronea, si fossero arruolati nell'esercito ateniese (Piero Treves, Demostene e la libertà greca, pp. 30-32).
Orazioni di Iperide in Oratori attici minori, traduzione di Mario Marzi, UTET, 1995. ISBN 978-88-02-02633-6