filosofo, scrittore e politico francese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592), filosofo, scrittore e politico francese.
Citazioni in ordine temporale.
[Roma] È una città tutta corte e nobiltà: ognuno partecipa a suo modo dell'ozio ecclesiastico.[1]
Sarà troppo grande dappocaggine, et ischifiltà la mia se tutto dì ritrovadomi in caso di morte a questo modo, e facendolami più presso ogni ora, non m'ingegni sì ch'io la possa di leggieri sopportare quanto prima io ne sia sopraggiunto. Et in questo mezzo fia senno il pigliarsi allegramente il bene ch'a Dio piacerà di mandarci. Non c'è altra medicina, altra regola, o scienzia a schifare gli mali chenti e quali d'ogni canto, e ad ogni ora soprastanno l'uomo, che risolversi a umanamente sofferirgli, o animosamente e spacciatamente finirgli.[2]
In fine confessai, ch'è ragione, che Firenze si dica la bella.[2]
Tranne l'Arno, e questo suo attraversala con bellissimo modo, queste chiese, e vestigi antichi, e lavori particolari; Pisa ha poco di nobile, e piacevole. Pare una solitudine.[2]
[Milano] Questa Città è la più popolata d'Italia, grande, e piena d'ogni sorte d’artigiani, e di mercanzia: non dissimiglia troppo a Parigi, et ha molto la vista di Città Francese. Le mancano i palazzi di Roma, Napoli, Genoa, Firenze: ma di grandezza le vince tutte, e di calca di gente arriva a Venezia.[2]
[Torino] Piccola Città in un sito molto acquoso, non molto ben edificato, né piacevole con questo che per mezzo delle vie corra un fiumicello per nettarle delle lordure. [...] Qui si parla ordinariamente Francese; e paiono tutti molto divoti alla Francia. La lingua popolesca è una lingua la quale non ha quasi altro che la pronunzia Italiana: il restante sono parole delle nostre.[2]
Il giornale di Michele di Montaigne è un'opera per molti aspetti notevole, e in che si ritrova l'impronta, così originale e propria, del grande scrittore. Certo, se il Montaigne avesse avuto agio e tempo di tornarvi su, sfrondandolo e riordinandolo, il giornale del suo viaggio avrebbe formato anch'esso un capitolo, e non dei meno attraenti, degli Essais; de' quali tuttavia, nell'assidua osservazione del proprio interno e nella sagace e retta osservazione delle cose esterne, serba il costante carattere.
Le parti stesse meno gradevoli del giornale, dove si nota la qualità ed efficacia dei diversi bagni visitati dal Montaigne, e giorno per giorno si registrano gli effetti ch'ei ne provava, scritte come sono per proprio ricordo e non per offrirle al lettore, rispondono allo studio costante di accordare fra loro le forze del corpo e quelle dell'animo, e quietar questo ristorando quello e rinvigorendolo.
Là dove nei viaggi moderni è il più spesso l'autore che parla, qui si direbbe che le cose, interrogate dal viaggiatore, parlino esse stesse nel proprio loro linguaggio.
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Così, lettore, sono io stesso la materia del mio libro: non c'è ragione che tu impieghi il tuo tempo per un soggetto così futile e vano. (Al lettore; 2008, p. 18)
Libro I
L'uomo è invero un soggetto meravigliosamente vano, vario e ondeggiante. È difficile farsene un giudizio costante e uniforme. (I; 2012, p. 11)
Tutte le passioni che si lasciano assaporare e digerire sono soltanto mediocri. (I; 2012, p. 17)
Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là. Il timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso l'avvenire, e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è, per intrattenerci su ciò che sarà [...]. (III; 2012, p. 19)
[...] la guerra ha per natura molti privilegi ragionevoli a dispetto della ragione. (VI; 2012, p. 43)
Non possiamo essere impegnati al di là delle nostre forze e dei nostri mezzi. Per questo motivo, che cioè gli effetti e le attuazioni non sono affatto in nostro potere, e che nulla è realmente in nostro potere se non la volontà, in essa necessariamente si fondano e si stabiliscono tutte le regole del dovere dell'uomo. (VII; 2012, p. 47)
[...] le memorie eccellenti si uniscono volentieri agli intelletti deboli. (IX; 2012, p. 53)
Non senza ragione si dice che chi non si sente abbastanza forte di memoria non deve arrischiarsi a mentire. (IX; 2014)
Ho visto spesso uomini ineducati per troppa educazione e importuni per cortesia. (XII; 2012, p. 79)
[...] è una scienza assai utile quella di sapersi comportare tra la gente. Come la grazia e la bellezza, favorisce i primi passi della socievolezza e della familiarità: e di conseguenza ci apre la porta a istruirci con gli esempi altrui; e a mettere in opera e in mostra il nostro esempio, se ha qualcosa d'istruttivo e di comunicabile. (XII; 2012, p. 79)
Qualsiasi opinione è abbastanza forte per farsi abbracciare a prezzo della vita. (XIV; 2012, p. 85)
[...] mi contento di che aver di che soddisfare alle necessità presenti e ordinarie; per quelle straordinarie tutte le provvigioni del mondo non potrebbero bastare. (XIV; 2012, p. 113)
La fiducia nell'altrui bontà è non lieve testimonianza della propria. (XIV; 2012, p. 113)
Ognuno sta bene o male secondo come pensa di stare. Non è contento chi è creduto tale, ma chi lo crede di sé. E in questo soltanto la credenza dà a se stessa sostanza e verità. (XIV; 2012, p. 115)
La più comune e la più sana parte degli uomini ritiene una grande fortuna l'abbondanza dei figli; io e alcuni altri riteniamo un'uguale fortuna la loro mancanza. (XIV; 1994)
Essa [la paura] esplica il suo estremo potere allorché per il suo utile particolare ci risospinge a quel valore che ha sottratto al nostro dovere e al nostro onore. Nella prima battaglia regolare che i Romani perdettero contro Annibale sotto il console Sempronio, un esercito di ben diecimila fanti, preso da spavento, non vedendo dove altrimenti aprire un varco alla propria viltà, andò a gettarsi nel grosso dei nemici, che sfondò con impeto straordinario, con grande strage di Cartaginesi, comprando una fuga vergognosa al medesimo prezzo che avrebbe pagato per una gloriosa vittoria. (XVIII; 2012, p. 130)
La paura è la cosa di cui ho più paura. (XVIII; 2012, p. 130)
Checché se ne dica, anche nella virtù lo scopo ultimo della nostra mira è la voluttà. Mi piace romper loro [ai filosofi] i timpani con questa parola che va loro così poco a genio. E se vuole esprimere l'idea di un piacere supremo e di una soddisfazione eccessiva, questo si addice alla virtù più che a qualsiasi altra cosa. Questa voluttà, per il fatto di esser più gagliarda, nervosa, robusta, virile, non è che più profondamente voluttuosa. E dovremmo darle il nome del piacere, più favorevole, dolce e naturale: non quello del vigore, col quale l'abbiamo chiamata. L'altra voluttà più bassa, se meritasse un sì bel nome, dovrebbe meritarlo in concorrenza, non per privilegio. La trovo meno scevra di fastidi e di ostacoli che non la virtù. Oltre che il suo sapore è più momentaneo, fuggevole e caduco, essa ha le sue veglie, i suoi digiuni e i suoi affanni, e sudore e sangue. E inoltre, soprattutto, passioni laceranti di tante specie, ed insieme una sazietà tanto pesante da equivalere a penitenza. (XX; 2012, p. 139)
[...] tutto quello che può esser fatto domani, può esserlo oggi. (XX; 2012, p. 151)
Bisogna esser sempre con le scarpe ai piedi e pronti a partire. (XX; 2012, p. 153)
Io voglio che si agisca e si prolunghino le faccende della vita finché si può, e che la morte mi trovi mentre pianto i miei cavoli, ma incurante di essa, e ancor più del mio giardino non terminato. (XX; 2012, p. 153)
Chi insegnasse agli uomini a morire, insegnerebbe loro a vivere. (XX; 2012, p. 155)
È uguale follia piangere perché di qui a cent'anni non saremo in vita, come piangere perché non vivevamo cent'anni fa. (XX; 2012, p. 159)
Come la nostra nascita ci ha portato la nascita di tutte le cose, così la nostra morte produrrà la morte di tutte le cose. (XX; 2012, p. 159)
La continua opera della vostra vita è costruire la morte. (XX; 2012, p. 161)
Fate posto agli altri, come altri l'hanno fatto a voi. L'egualità è il primo fondamento dell'equità. Chi può lamentarsi di essere incluso in ciò in cui tutti sono inclusi? Così avete un bel vivere, non diminuirete affatto il tempo durante il quale sarete morto. (XX; 2012, p. 163)
L'utilità del vivere non è nella durata, ma nell'uso: qualcuno ha vissuto a lungo, pur avendo vissuto poco; badateci finché ci siete. Dipende dalla vostra volontà, non dal numero degli anni, l'aver vissuto abbastanza. (XX; 2012, p. 165)
La nuora di Pitagora diceva che la donna che va a letto con un uomo deve insieme con la veste abbandonare anche la vergogna, e riprenderla con la gonna. (XX; 2012, p. 177)
Il vantaggio dell'uno è danno dell'altro. (XXII; 2014)[4]
L'abitudine ci nasconde il vero aspetto delle cose. (XXIII; 2014)
Penso che i nostri vizi più grandi prendano la loro piega fin dalla nostra più tenera infanzia. (XXIII; 2014)
Penso che non venga all'immaginazione umana nessuna fantasia tanto insensata che non trovi esempio in qualche usanza pubblica, e che di conseguenza non sia sostenuta e appoggiata dalla nostra ragione. (XXIII; 2014)
Le leggi della coscienza, che noi diciamo nascere dalla natura, nascono dalla consuetudine: ciascuno, infatti, venerando intimamente le opinioni e gli usi approvati e acquisiti intorno a lui, non può disfarsene senza rimorso né conformarvisi senza soddisfazione. (XXIII; 2012, p. 205)
[...] è regola delle regole e legge generale delle leggi che ognuno osservi quelle del luogo in cui si trova. (XXIII; 2012, p. 211)
Quelli che sommuovono uno Stato sono spesso i primi ad essere coinvolti nella sua rovina. Il frutto dello sconvolgimento non rimane a colui che lo ha provocato; questi agita e intorbida l'acqua per altri pescatori. (XXIII; 2012, p. 213)
Sarebbe meglio far valere alle leggi quello che possono, poiché non possono quello che vogliono. (XXIII; 2012, p. 219)[5]
Un lettore perspicace scopre spesso negli scritti altrui perfezioni diverse da quelle che l'autore vi ha poste e intravviste, e presta loro significati e aspetti più ricchi. (XXIV; 2012, p. 227)
[...] in quell'incertezza e perplessità che ci arreca il non poter vedere e scegliere ciò che è più utile, a causa delle difficoltà che i diversi accidenti e contingenze di ogni cosa comportano, l'espediente più sicuro, quando altre considerazioni non ci inducano a ciò, è, a mio parere, appigliarsi al partito in cui vi sia più onestà e giustizia; e poiché si dubita quale sia la via più breve, tener sempre quella dritta. (XXIV; 2012, p. 229)
Non si fa nulla di nobile senza rischio. (XXIV; 2012, p. 231)
È un mezzo eccellente per guadagnare il cuore e la volontà altrui andare a sottomettersi e affidarsi ad essi, purché ciò sia fatto liberamente e senza la costrizione di alcuna necessità, e a condizione che lo si faccia con una fiducia pura e schietta e, almeno, con la fronte libera da ogni inquietudine. (XXIV; 2012, p. 233)
Ricercare le mani nemiche è una decisione un po' arrischiata; credo tuttavia che sia meglio prenderla che rimanere nella continua agitazione di un caso che non ha rimedio. Ma poiché le precauzioni che si possono usare sono piene d'inquietudine e d'incertezza, è meglio prepararsi con baldanza a tutto quello che potrà accadere e trarre qualche consolazione dal fatto che non si è sicuri che accada. (XXIV; 2012, p. 237)
Ogni altra scienza è dannosa per chi non ha la scienza della bontà. (XXV; 1994)
Non dico gli altri, se non per dirmi di più. (XXVI; 2012, p. 265)[6]
Je ne dis les autres, sinon pour d'autant plus me dire. (2012, p. 264)
Per un figlio di buona famiglia che si volga alle lettere, non per guadagno (perché uno scopo tanto abietto è indegno della grazia e del favore delle Muse, e poi riguarda altri e dipende da altri), e non tanto per i vantaggi esteriori quanto per i suoi personali, e per arricchirsene e ornarsene nell'intimo, se si desidera farne un uomo avveduto piuttosto che un dotto, vorrei anche che si avesse cura di scegliergli un precettore che avesse piuttosto la testa ben fatta che ben piena, e che si richiedessero in lui ambedue le cose ma più i costumi e l'intelligenza che la scienza. (XXVI; 2012, p. 269)
I doni della fortuna non si trovano mai uniti al merito. (XXVI; 2012, p. 281)
Il vero specchio dei nostri ragionamenti è il corso della nostra vita. (XXVI; 2012, p. 305)
Il linguaggio che mi piace, è un linguaggio semplice e spontaneo, tale sulla carta quale sulle labbra. (XXVI; 2012, p. 311)
[...] il commercio con gli uomini è straordinariamente adatto, e così la visita dei paesi stranieri [...] per riportarne soprattutto le indoli di quei popoli e la loro maniera di vivere, e per sfregare e limare il nostro cervello contro quello degli altri. (XXVI; 2012, p. 275)
Quante cose, che ieri tenevamo per articoli di fede, oggi le consideriamo favole? (XXVII; 2014)
Se sentivo parlare o degli spiriti che tornano o della profezia di cose future, degli incantesimi, delle stregonerie, o raccontare qualche altra cosa che non potevo comprendere [...] ero preso da compassione per il povero popolo ingannato con tali follie. E ora trovo che ero per lo meno altrettanto da compatire io stesso: non che l'esperienza mi abbia in seguito fatto veder nulla al di là delle mie prime opinioni (e tuttavia questo non è dipeso dalla mia curiosità); ma la ragione mi ha insegnato che condannare con tanta sicurezza una cosa come falsa e impossibile, è presumere d'avere in testa i limiti e i confini della volontà di Dio e della potenza di nostra madre natura. E che non c'è al mondo follia più grande che giudicarli in proporzione alla nostra capacità e competenza. Se chiamiamo prodigi o miracoli le cose a cui la nostra ragione non può arrivare, quanti se ne presentano continuamente al nostro sguardo? Consideriamo attraverso quali nebbie e quasi a tastoni siamo condotti alla conoscenza della maggior parte delle cose che abbiamo a portata di mano; certo troveremo che è piuttosto l'abitudine che la scienza a non farcene vedere la stranezza, [...] e che se quelle stesse cose ci venissero presentate per la prima volta, le troveremmo altrettanto o più incredibili di qualsiasi altra. (XXVII; 2012, p. 325)
In verità, se confronto tutto il resto della mia vita, che pure, per grazia di Dio, mi è trascorsa dolce, facile e, salvo la perdita di un tale amico, esente da gravi afflizioni, piena di tranquillità di spirito, essendomi accontentato dei miei agi naturali e originari senza cercarne altri; se la confronto, dico, tutta quanta ai quattro anni in cui mi è stato dato di godere della dolce compagnia e familiarità di quell'uomo, essa non è che fumo, non è che una notte oscura e noiosa. (XXVIII; 2014)
[Parlando dell'amicizia con Etienne de La Boétie] Nell'amicizia di cui parlo, [le anime] esse si mescolano e si confondono l'una nell'altra con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commessura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l'amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: «Perché era lui; perché ero io». (XXVIII; 2014)
Si può e amar troppo la virtù, e comportarsi smodatamente in un'azione giusta. (XXX; 2012, p. 357)[7]
La saggezza umana fa assai scioccamente l'ingegnosa quando si studia di diminuire il numero e la dolcezza dei piaceri che ci appartengono; come invece con bell'esito e industriosamente impiega i suoi artifici ad acconciare e adornare i mali e ad alleggerirne la sensazione. (XXX; 2012, p. 363)
La divinazione è dono di Dio: ecco perché dovrebbe essere un'impostura punibile l'abusarne. (XXXI; 2008, p. 234)
Vi sono sconfitte trionfali in confronto alle vittorie. (XXXI; 2014)
Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi. Sembra infatti che non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l'esempio e l'idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo. Ivi è sempre la perfetta religione, il perfetto governo, l'uso perfetto e compiuto di ogni cosa. Essi sono selvaggi allo stesso modo che noi chiamiamo selvatici i frutti che la natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo: laddove, in verità, sono quelli che col nostro artificio abbiamo alterati e deviati dalla regola comune che dovremmo piuttosto chiamare selvatici. (XXXI; 2014)
Nulla si crede più fermamente di quel che meno si sa. (XXXII; 2014)
I nostri giudizi sono anch'essi malati e seguono la depravazione dei nostri costumi. Io vedo la maggior parte degli ingegni del mio tempo industriarsi in ogni modo ad oscurare la gloria delle belle e generose azioni antiche, dandone qualche bassa interpretazione e inventando per esse occasioni e cause vane. Gran sottigliezza! Datemi l'azione più eccellente e più pura, e ad essa io fornirò verosimilmente cinquanta intenzioni viziose. (XXXVII; 2012, p. 415)
La più grande cosa del mondo è saper essere per sé. (XXXIX; 2014)
Nelle nostre azioni abituali, fra mille non ce n'è una che ci riguardi. (XXXIX; 2014)
L'uomo di senno non ha perduto nulla se ha se stesso. (XXXIX; 2014)
Non c'è meno travaglio nel governo di una famiglia che in quello di un intero Stato. (XXXIX; 2014)
La gloria e il riposo sono cose che non possono stare sotto lo stesso tetto. (XXXIX; 2014)
[...] il contagio è pericolosissimo nella folla. Bisogna o imitare i viziosi o odiarli. (XXXIX; 2012, p. 427)
Non c'è cosa tanto poco socievole e tanto socievole come l'uomo: questo per vizio, quello per natura. (XXXIX; 2012, p. 427)
Bisogna riservarsi una retrobottega tutta nostra, del tutto indipendente, nella quale stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra solitudine. Là noi dobbiamo trattenerci abitualmente con noi stessi, e tanto privatamente che nessuna conversazione o comunicazione con altri vi trovi luogo; ivi discorrere e ridere come se fossimo senza moglie, senza figli e senza sostanze, senza seguito e senza servitori, affinché, quando verrà il momento di perderli, non ci riesca nuovo il farne a meno. Abbiamo un'anima capace di ripiegarsi in se stessa: può farsi compagnia, ha i mezzi per assalire e per difendere, per ricevere e per donare; non dobbiamo temere di marcire d'ozio noioso in questa solitudine. (XXXIX; 2012, p. 433)
Io non giudico il filosofo Arcesilao meno austero perché so che si serviva di utensili d'oro e d'argento, secondo che lo stato dei suoi beni glielo permetteva; e lo stimo più per averne usato con moderazione e liberalità, che se se ne fosse privato. (XXXIX; 2012, p. 437)
È il godere, non il possedere, che ci rende felici [...]. (XLII; 2012, p. 471)
[...] la minima puntura di spillo e la minima passione dell'anima è sufficiente a toglierci il piacere della sovranità del mondo. (XLII; 2012, p. 471)
[...] è molto più facile e più piacevole seguire che guidare; ed è un gran riposo per lo spirito non dover far altro che seguire una via tracciata e non rispondere che di se stesso [...]. (XLII; 2012, p. 473)
Non c'è nulla di così fastidioso, di così disgustoso come l'abbondanza. (XLII; 2012, p. 475)
I vantaggi dei principi sono quasi vantaggi immaginari. Ogni grado di fortuna ha qualche apparenza di principato. (XLII; 2012, p. 477)
Il modo in cui le leggi cercano di far diminuire le nostre spese folli e vane per la tavola e per l'abbigliamento sembra essere il meno opportuno per realizzare questo obiettivo. Il modo giusto sarebbe suscitare nella gente il disprezzo per l'oro e la seta in quanto cose futili e inutili: si fa invece di tutto per accrescerne la considerazione e il pregio, che è una maniera davvero sbagliata per disgustarne il popolo. Infatti asserire che solo i principi debbono mangiare pesce pregiato, indossare velluti e broccati d'oro, e proibire tutto questo ai cittadini comuni, che senso ha se non dar più credito a queste cose e indurre in ognuno il desiderio di farne uso? (XLIII, 1994, p. 31)
[...] non è vittoria quella che non mette fine alla guerra. (XLVII; 2012, p. 503)
[...] la necessità è una maestra violenta [...]. (XLVII; 2012, p. 505)
Il giudizio è un utensile buono a tutto, e s'impiccia di tutto. (L; 2012, p. 537)
Tra le funzioni dell'anima ve ne sono alcune vili: chi non la giudica anche da quelle, non la conosce fino in fondo. E forse la si osserva meglio quando cammina col suo passo abituale. I venti delle passioni l'assalgono con più violenza nelle posizioni più alte. Si aggiunga che essa si applica interamente ad ogni materia, e vi si esercita interamente, e non ne tratta mai più di una alla volta. E la tratta non alla stregua di essa, ma di se medesima. (L; 2012, p. 539)
Sentite dire metonimia, metafora, allegoria e altri termini simili della grammatica, non sembra forse che ci si riferisca a qualche forma di linguaggio raro e peregrino? Sono termini che riguardano le ciance della vostra cameriera. (LI; 2014)
[Sulla retorica] È uno strumento inventato per governare e agitare una folla e un popolo indisciplinato, ed è uno strumento che si adopera solo negli Stati malati, come la medicina. In quelli dove il volgo, dove gli ignoranti, dove tutti hanno potuto tutto, come quello di Atene, di Rodi e di Roma, e dove le cose sono state in perpetua tempesta, là sono affluiti gli oratori. E in verità, in queste repubbliche si vedono pochi personaggi che siano saliti in gran credito senza il soccorso dell'eloquenza: Pompeo, Cesare, Crasso, Lucullo, Lentulo, Metello si sono appoggiati soprattutto ad essa per innalzarsi a quella grande autorità a cui sono infine arrivati; e se ne sono serviti più che delle armi. (LI; 2012, p. 545)
I contadini semplici sono gente onesta, e gente onesta sono i filosofi, o come si dice al tempo nostro, nature forti e limpide, arricchite da un largo corredo di utili cognizioni. I meticci, che hanno sdegnato la prima condizione di ignoranza delle lettere, e non hanno potuto raggiungere l'altra, col culo fra due selle, fra i quali ci sono anch'io, e tanti altri, sono pericolosi, inetti, importuni: sono quelli che agitano il mondo. (LV; 2012, p. 559)
Platone, nelle Leggi, espone tre specie di credenze oltraggiose a proposito degli dèi: che non ci siano affatto; che non si occupino delle nostre faccende; che non rifiutino niente ai nostri voti, alle nostre offerte e ai nostri sacrifici. Il primo errore, secondo lui, non è mai rimasto immutabile in un uomo dall'infanzia fino alla vecchiaia. Gli altri due possono essere durevoli. (LVI; 2014)
Penso che a vent'anni i nostri animi siano ormai sviluppati quanto devono esserlo, e promettano quanto potranno. Mai animo che non abbia dato a quell'età un pegno ben evidente della propria forza, ne dette la prova in seguito. Le qualità e le virtù naturali mostrano entro quel termine, o mai, quello che anno di vigoroso e di bello. (LVII; 2012, p. 583)
Libro II
C'è altrettanta differenza fra noi e noi stessi che fra noi e gli altri. (I; 2014)
Non soltanto il vento delle occasioni mi agita secondo la sua direzione, ma in più mi agito e mi turbo io stesso per l’instabilità della mia posizione; e a guardar bene, non ci troviamo mai due volte nella stessa condizione. Io do alla mia anima ora un aspetto ora un altro, secondo da che parte la volgo. Se parlo di me in vario modo, è perché mi guardo in vario modo. (I; 2012, p. 595)
La superstizione [...] presenta pure qualche aspetto di pusillanimità. (I; 2014)
L'animo più moderato del mondo ha fin troppo da fare a tenersi in piedi e a cercare di non precipitare a terra per la propria debolezza. Non ce n'è uno fra mille che sia dritto e saldo un istante della sua vita. E si potrebbe mettere in dubbio se, per la sua naturale condizione, possa mai esserlo. Ma aggiungervi la costanza è la sua estrema perfezione. Dico quando niente lo scuotesse, cosa che mille accidenti possono fare. Lucrezio, quel grande poeta, ha un bel filosofare e irrigidirsi, eccolo reso pazzo da un beveraggio amoroso. Pensano forse [i saggi] che un'apoplessia non stordisca Socrate allo stesso modo di un facchino? Alcuni hanno dimenticato perfino il loro nome per la violenza di una malattia, e ad altri una leggera ferita ha sconvolto la mente. Sia pur saggio quanto vuole, ma infine è un uomo: che cosa c'è di più caduco, di più miserabile e di più insignificante? La saggezza non modifica le nostre condizioni naturali [...]. (II; 2012, p. 613)
Il mio mestiere e la mia arte è vivere. (VI; 2014)
[...] generalmente ci sentiamo più commossi dai saltelli, dai giochi e dalle moine puerili dei nostri bambini, di quanto lo siamo in seguito per le loro azioni del tutto consapevoli: come se li avessimo amati per nostro passatempo, come scimmiette, non come uomini. (VIII; 2012, p. 687)
Questo difetto di non sapersi riconoscere per tempo, e di non sentire l'impotenza e l'estrema alterazione che l'età porta naturalmente e al corpo e all'anima, che secondo me è uguale (se l'anima non ne ha per più della metà), ha rovinato la fama della maggior parte dei grandi uomini del mondo. (VIII; 2012, p. 695)
Ci sono tante specie di difetti nella vecchiaia, tanta impotenza, essa è così esposta al disprezzo che il miglior acquisto che possa fare è l'affetto e l'amore dei familiari: comandare e farsi temere non sono più le sue armi. (VIII; 2012, p. 699)
Le donne tendono sempre a non esser d'accordo con i loro mariti. (VIII; 2012, p. 701)
A una donna irragionevole non costa nulla ignorare una ragione più che un'altra. Sono tanto più contente di sé quanto più sono nel torto. (VIII; 2012, p. 705)
La scienza e la verità possono albergare in noi senza il giudizio, e il giudizio può parimenti trovarvisi senza di esse; anzi, il riconoscimento dell'ignoranza è una delle più belle e più sicure prove di giudizio che io conosca. (X; 2012, p. 727)
Le sole buone storie sono quelle che sono state scritte da quegli stessi che erano al comando delle imprese, o che avevano parte nel condurle [...]. (X; 2012, p. 745)
[Francesco Guicciardini] È storiografo diligente e dal quale, a mio parere, con più esattezza che da qualsiasi altro, si può apprendere la verità sugli affari del suo tempo: del resto nella maggior parte di essi è stato attore lui stesso, e in posizione onorevole. Non c'è alcun indizio che per odio, adulazione o vanità, abbia travisato le cose: e di ciò fanno fede i liberi giudizi che dà dei grandi, e specialmente di coloro dai quali era stato portato avanti e rivestito di cariche, come del papa Clemente VII. Quanto alla parte di cui sembra voler farsi più forte, cioè le digressioni e i ragionamenti, ce ne sono di buoni, e ricchi di bei tratti; ma se n'è troppo compiaciuto. Di fatto, per non voler tralasciare nulla, avendo in mano un argomento così ricco ed ampio, e quasi infinito, diventa prolisso e sa un po' di chiacchiera scolastica. Ho notato anche questo, che di tanti animi e di tanti fatti che giudica, di tanti impulsi e disegni, non ne attribuisce mai neppure uno alla virtù, allo scrupolo e alla coscienza, come se tali qualità fossero completamente estinte nel mondo; e di tutte le azioni, per quanto belle appaiano in se stesse, ne rimanda la causa a qualche movente vizioso o a qualche mira d'interesse. È impossibile immaginare che nell'infinito numero di azioni che giudica, non ve ne sia stata qualcuna compiuta per un giusto motivo. Nessuna corruzione può aver soggiogato gli uomini tanto universalmente che qualcuno non sfugga al contagio; questo mi fa temere che ci sia qui un po' del vizio del suo temperamento; e può essere accaduto che egli abbia giudicato gli altri secondo se stesso. (X; 2012, pp. 745 e 747)
Ora quelli [tra gli storici] che scrivono le vite, in quanto si intrattengono più nei disegni che nei fatti, più in ciò che viene dal di dentro che in ciò che accade di fuori, quelli me li sento più vicini. Ecco perché, in ogni modo, Plutarco è il mio uomo. (X; 2008, p. 441)
Mi dispiace molto che non abbiamo una dozzina di Laerzi, ovvero che egli non sia o più esteso o più inteso. Poiché non guardo con minor interesse le vicende e la vita di quei grandi maestri dell'umanità che la varietà dei loro precetti e delle loro idee. (X; 2012, p. 741)
[La virtù] richiede un cammino aspro e spinoso: vuole avere o difficoltà esteriori da combattere, [...] per mezzo delle quali la fortuna si compiace di interrompere l'impeto della sua corsa; oppure difficoltà interiori che le apportano i desideri sfrenati e le imperfezioni della nostra condizione. (XI; 2012, p. 753)
Se presuppongo che la perfetta virtù si conosca nel combattere e nel sopportare pazientemente il dolore, nel sostenere gli attacchi della gotta senza scomporsi; se le do come oggetto necessario l'asprezza e la difficoltà: che ne sarà di quella virtù che sarà salita a tal punto che non soltanto disprezzerà il dolore, ma se ne rallegrerà, e si farà accarezzare dalle fitte di una forte colica? Tale è quella che gli epicurei hanno definito e della quale molti di loro ci hanno lasciato, con le loro azioni, prove certissime. (XI; 2012, p. 753)
Per me, io non ho potuto neppure vedere senza disgusto inseguire ed uccidere una bestia innocente, senza difesa e da cui noi non riceviamo alcuna offesa. (XI; 2008, p. 458)
Quanto a me, anche nella giustizia, tutto quello che va al di là della semplice morte mi sembra pura crudeltà. (XI; 2012, p. 767)
Non prendo mai una bestia viva a cui non ridia la libertà. Pitagora le comprava dai pescatori e dagli uccellatori per fare altrettanto [...]. Le nature sanguinarie nei riguardi delle bestie rivelano una naturale propensione alla crudeltà. (XI; 2012, p. 771)
Non esito a confessare la tenerezza della mia natura, così puerile che non so rifiutare al mio cane le feste che mi fa fuor di luogo o che mi richiede. (XI; 2012, p. 777)
Gli Agrigentini avevano in uso di seppellire con tutte le regole le bestie che avevano avuto care, come i cavalli di qualche raro merito, i cani e gli uccelli utili; o ancora che avevano servito di passatempo ai loro figli. E la magnificenza che era loro abituale in tutte le altre cose, si manifestava singolarmente anche nella sontuosità e nel numero dei monumenti innalzati a questo scopo: che hanno continuato a far mostra di sé per molti secoli dopo. (XI; 2012, p. 777)
In verità è una utilissima e grande branca la scienza. Coloro che la disprezzano, danno abbastanza prova della loro stoltezza; ma io pertanto non stimo il valore di essa a quest'estremo limite che alcuni le attribuiscono, come il filosofo Erillo, che metteva in essa il bene supremo e riteneva che stesse in quella di renderci saggi e felici [...]. (XII; 2008, p. 462)
Trovai belle le idee di quell'autore [Raimondo Sabunde], l'orditura della sua opera ben condotta, e il suo scopo pieno di religione. (XII; 2008, p. 464)
La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria. La più calamitosa e fragile di tutte le creature è l'uomo, e al tempo stesso la più orgogliosa. [...] È per la vanità di questa stessa immaginazione che egli si uguaglia a Dio, che si attribuisce le prerogative divine, che trasceglie e separa se stesso dalla folla delle altre creature, fa le parti agli animali suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro quella porzione di facoltà e di forze che gli piace. Come può egli conoscere per mezzo dell'intelligenza i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce a loro? (XII; 2014)
Quando gioco con la mia gatta, chi sa se lei non fa di me il suo passatempo più che io di lei? Platone, nella sua descrizione dell'età dell'oro sotto Saturno, annovera fra i principali vantaggi dell'uomo di allora la possibilità che aveva di comunicare con le bestie, sicché informandosi e imparando da loro, conosceva le vere qualità e differenze di ciascuna di esse; in tal modo acquistava un'estrema perspicacia e saggezza, grazie alla quale conduceva una vita di gran lunga più felice di quanto noi sapremmo fare. (XII; 2014)
[...] esse possono considerarci bestie, come noi le consideriamo. (XII; 2014)
Bisogna che osserviamo la parità che c'è fra noi [e le bestie]. Noi comprendiamo approssimativamente il loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco nella stessa misura. Esse ci lusingano, ci minacciano e ci cercano, e noi loro. Del resto, vediamo con tutta evidenza che c'è fra esse una piena e totale comunicazione, e che si capiscono fra loro, non solo quelle della stessa specie, ma anche di specie diverse. (XII; 2014)
Del resto, quale delle nostre facoltà non troviamo nelle opere degli animali? [...] Noi costatiamo ampiamente, nella maggior parte delle loro opere, quanta superiorità hanno gli animali su di noi, e quanto la nostra arte è insufficiente a imitarli. (XII; 2014)
Aristotele sostiene che gli usignoli insegnano ai loro piccoli a cantare, e vi impiegano tempo e cura, per cui avviene che quelli che noi alleviamo in gabbia, che non hanno avuto modo di andare alla scuola dei loro genitori, perdono molto della grazia del loro canto. (XII; 2014)
Tutto quello che ci sembra strano, lo condanniamo, e così tutto quello che non comprendiamo: come ci accade nel giudizio che diamo delle bestie. Esse hanno parecchie qualità che si avvicinano alle nostre: da queste, per confronto, possiamo trarre qualche congettura; ma quello che è loro particolare, come possiamo sapere che cosa sia? (XII; 2014)
Possiamo anche dire che gli elefanti hanno qualche cognizione di religione, poiché dopo molte abluzioni e purificazioni li vediamo, levando la proboscide come fosse un braccio, e tenendo gli occhi fissi verso il sol levante, rimanere a lungo in meditazione e contemplazione a certe ore del giorno, di loro proprio impulso, senza istruzione e senza precetto. (XII; 2014)
Si dice che la balena non avanzi mai senza avere davanti a sé un pesciolino simile al ghiozzo di mare, che per questo si chiama la guida: la balena lo segue, lasciandosi condurre e girare facilmente come il timone fa girare la nave; e in ricompensa, mentre ogni altra cosa, sia bestia o vascello, che entra nell'orribile caos della bocca di quel mostro è immediatamente perduta e inghiottita, questo pesciolino vi si ritira in piena sicurezza e vi dorme, e durante il suo sonno la balena non si muove; ma appena quello esce, si mette a seguirlo senza posa; e se per caso se ne discosta, va errando qua e là, e spesso urtando contro gli scogli, come un bastimento senza timone: e questo Plutarco assicura di aver visto nell'isola di Anticira. (XII; 2014)
Per cui è chiaro che non è per un vero ragionamento, ma per una folle superbia e ostinazione che ci mettiamo al di sopra degli altri animali e ci isoliamo dalla loro condizione e compagnia. (XII; 2014)
[...] Crantore aveva certo ragione di combattere l'assenza di dolore di Epicuro, se la si stabiliva così profonda da non avvertire nemmeno le avvisaglie e la nascita dei mali. Io non approvo affatto questa assenza del dolore che non è né possibile né desiderabile. Sono contento di non essere malato ma se lo sono voglio sapere che lo sono, e se mi cauterizzano o mi incidono, voglio sentirlo. Invero, chi sradicasse la cognizione del male, estirperebbe contemporaneamente la cognizione del piacere, e infine annienterebbe l'uomo. (XII; 2012, p. 891)
[...] qualsiasi apparenza di verità vi sia nella novità, non cambio facilmente, per la paura che ho di perdere nel cambio. (XII; 2012, pp. 1047 e 1049)
[...] quelque apparence qu'il y ait en la nouvelleté, je ne change pas aisément, de peur que j'ai de perdre au change. (2012, pp. 1046 e 1048)
«Accetta» dice l'Ecclesiaste[8] «di buon grado le cose con l'aspetto e col sapore con cui ti si presentano, giorno per giorno: il rimanente è fuori della tua conoscenza». (XII; 2014)
Quanto alla guerra, che è la più grande e pomposa delle azioni umane, mi piacerebbe sapere se vogliamo servircene come prova di qualche nostra prerogativa, o al contrario come testimonianza della nostra debolezza e imperfezione. (XII; 2014)
Per i cristiani è un motivo di credere il reputare una cosa incredibile. (XII; 2014)
Il molto sapere dà motivo di più dubitare. (XII; 2014)
L'uomo è davvero insensato. Non saprebbe fare un pidocchio, e fabbrica dèi a dozzine. (XII; 2014)
Noi siamo il solo animale abbandonato nudo sulla terra nuda, legato, incatenato, senza avere per armarsi e coprirsi che le spoglie altrui. (XII; 2014)
La peste dell'uomo è la presunzione di sapere. (XII; 2014)
Pochi muoiono convinti che sia la loro ultima ora, e non c'è occasione in cui la lusinga della speranza c'inganni di più. [...] E questo avviene perché facciamo troppo caso di noi. Sembra che l'universalità delle cose soffra in qualche modo del nostro annientamento, e che provi compassione per il nostro stato. (XIII; 2012, p. 1119)
Quelli che hanno paragonato la nostra vita a un sogno, hanno avuto ragione, forse più di quanto pensassero. Quando sogniamo, la nostra anima vive, agisce, esercita tutte le sue facoltà, né più né meno di quando è sveglia. Ma se le esercita più debolmente e oscuramente, non è certo di tanto che vi sia differenza come dalla notte a una luce viva. Piuttosto come dalla notte all'ombra. Là dorme, qui sonnecchia. Più e meno. Sono sempre tenebre, e tenebre cimmerie. Noi vegliamo dormendo, e vegliando dormiamo. (XV; 2014)
La difesa attira l'attacco, e la diffidenza l'offesa. (XV; 2012, p. 1141)
L'invasione riguarda tutti. La difesa no, solo i ricchi. (XV; 2014)
È così per tutto, la difficoltà dà pregio alle cose. (XV; 2014)
Ogni persona d'onore sceglie di perdere piuttosto il proprio onore, che di perdere la propria coscienza. (XVI; 2014)
[...] noi siamo, non so come, doppi in noi stessi, e questo fa sì che quello che crediamo, non lo crediamo; e non possiamo liberarci di ciò che condanniamo. (XVI; 2012, p. 1147)
[...] si può essere umile per vanagloria. (XVII; 2012, p. 1173)
Mi ritengo di stampo comune, salvo per il fatto che mi ritengo tale. (XVII; 2012, p. 1175)
Quando uno è piccolo, né l'ampiezza e la curva della fronte, né la bianchezza e la dolcezza degli occhi, né la misura media del naso, né la piccolezza dell'orecchio e della bocca, né la regolarità e la bianchezza dei denti, né la foltezza ben compatta d'una barba bruna come buccia di castagna, né i capelli ricciuti, né la giusta rotondità della testa, né la freschezza del colorito, né l'aspetto piacevole del viso, né un corpo senza cattivo odore, né la giusta proporzione delle membra possono fare un bell'uomo. Per il resto ho la corporatura forte e robusta; il viso non grasso, ma pieno; l'indole fra il gioviale e il malinconico, moderatamente sanguigna e calda, [...] la salute forte e gagliarda, fin molto avanti in età raramente turbata dalle malattie. (XVII; 2012, pp. 1187 e 1189)
Darei più volentieri il mio sangue della mia sollecitudine. (XVII; 2012, p. 1191)
Non potendo regolare gli avvenimenti, regolo me stesso, e mi adatto ad essi, se essi non si adattano a me. (XVII; 2012, p. 1193)
Sul fatto mi comporto virilmente, di fronte all'idea puerilmente. Lo spavento della caduta mi procura più febbre del colpo. Il gioco non vale la posta. L'avaro soffre della sua passione più del povero, e il geloso più del cornuto. E c'è spesso minor danno nel perder la propria vigna che nel disputarla. Il gradino più basso è il più sicuro. È la sede della costanza. Qui non avete bisogno che di voi stessi. Essa quivi si fonda e si appoggia tutta su di sé. (XVII; 2012, p. 1195)
Non c'è stato mai facchino o donnicciola che non abbia pensato di esser provvisto di una dose sufficiente di senno. Noi riconosciamo facilmente negli altri la superiorità del coraggio, della forza fisica, dell'esperienza, dell'agilità, della bellezza; ma la superiorità del giudizio non la cediamo a nessuno; e le ragioni che procedono negli altri dal semplice buon senso, ci sembra che ci sarebbe bastato guardar da quella parte per trovarle anche noi. (XVII; 2012, pp. 1217 e 1219)
I dotti [...] non conoscono altro pregio che la dottrina, e non approvano altro modo di procedere nei nostri spiriti se non quello dell'erudizione e dell'arte. [...] Chi ignora Aristotele, secondo loro ignora anche se stesso. (XVII; 2012, p. 1219)
Faccio maggior ingiuria a me stesso mentendo, di quanto faccia a colui sul conto del quale mento. (XVII; 2012, p. 1223)
Poiché i nostri rapporti si regolano per la sola via della parola, colui che la falsa tradisce la pubblica società. È il solo strumento per mezzo del quale si comunicano le nostre volontà e i nostri pensieri; è l'interprete della nostra anima: se ci viene a mancare, non abbiamo più nessun legame, non ci conosciamo più tra noi. Se ci inganna, distrugge ogni nostro scambio e dissolve tutti i vincoli del nostro ordinamento. (XVIII; 2012, p. 1237)[9]
La gioia profonda ha più severità che gaiezza. L'appagamento estremo e completo, più calma che giocondità. (XX; 2014)
C'è qualche ombra di squisitezza e delicatezza che ci ride e che ci lusinga nel grembo stesso della malinconia. Non vi sono forse dei temperamenti che ne fanno il proprio alimento? (XX; 2012, p. 1247)
Quando mi confesso scrupolosamente a me stesso, trovo che la maggior bontà ch'io abbia ha un certo colore di vizio. (XX; 2012, p. 1249)
Le imprese umane devono essere condotte più grossolanamente e superficialmente, e bisogna lasciarne gran parte ai diritti della fortuna. Non è necessario chiarire gli affari con tanta profondità e sottigliezza. È facile perdercisi, considerando tanti aspetti contrari e forme diverse. (XX; 2012, p. 1251)[10]
[...] non c'è niente che possa così giustamente disgustare un suddito dall'affaticarsi e dal rischiare per il servizio del proprio principe, quanto vederlo nel frattempo impoltronito in occupazioni vili e vane, e dall'aver cura della sua conservazione vedendolo così incurante della nostra. (XXI; 2012, p. 1253)
Chiamiamo contro natura quello che avviene contro la consuetudine. Niente esiste se non secondo lei [la natura], qualunque cosa sia. Che questa ragione universale e naturale cacci da noi l'errore e lo stupore che ci arreca la novità. (XXX; 2012, p. 1315)
Non c'è passione che sconvolga tanto l'equità dei giudizi quanto la collera. (XXXI; 2012, p. 1319)
Il dire è cosa diversa dal fare. (XXXI; 2012, p. 1319)
[...] l'ostinazione è sorella della costanza, almeno in vigore e fermezza. (XXXII; 2012, p. 1337)
[Sui Commentarii di Cesare] Questo dovrebbe essere il breviario di ogni uomo di guerra, come il vero e supremo modello dell'arte militare. E Dio sa anche di quale eleganza e bellezza egli ha ornato questa ricca materia: con un modo di esporre così puro, così fine e così perfetto che, a gusto mio, in questo campo non ci sono scritti al mondo che possano essere paragonabili ai suoi. (XXXIV; 2012, p. 1357)
A tal punto gli uomini sono impoltroniti nella loro miserabile esistenza, che non c’è condizione tanto dura che non accettino per mantenercisi. (XXXVII; 2012, p. 1403)
[La filosofia] ci educa per noi, non per altri: per essere, non per sembrare. (XXXVII; 2012, p. 1405)
[I medici] Essi hanno questa fortuna, secondo Nicocle, che il sole illumina il loro successo, e la terra nasconde il loro errore. (XXXVII; 2014)
[...] non vi furono mai al mondo due opinioni uguali, non più che due peli o due granelli. La loro più universale caratteristica è la diversità. (XXXVII; 2012, p. 1455)
Libro III
Nessuno è esente dal dire sciocchezze. Il male è dirle con pretensione. (I; 2012, p. 1459)
Non c'è niente di inutile in natura. Neppure l'inutilità stessa. Non si è introdotto in questo universo nulla che non vi occupi un posto opportuno. (I; 2012, p. 1459)
[...] in mezzo alla compassione, sentiamo dentro non so che punta agrodolce di piacere maligno nel veder soffrire gli altri. (I; 2012, p. 1459)
Il bene pubblico richiede che si tradisca e che si menta, e che si massacri [...]. (I; 2012, p. 1461)
Un parlare aperto apre un altro parlare e lo fa venir fuori, come fanno il vino e l'amore. (I; 2012, p. 1469)
La stessa innocenza non potrebbe né trafficare tra noi senza dissimulazione, né negoziare senza menzogna. (I; 1994)
Gli altri formano l'uomo. Io lo descrivo, e ne rappresento un esemplare assai mal formato, e tale che se dovessi modellarlo di nuovo lo farei in verità molto diverso da quello che è. Ma ormai è fatto. Ora, i tratti della mia pittura sono sempre fedeli, benché cambino e varino. Il mondo non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano senza posa: la terra, le rocce del Caucaso, le piramidi d'Egitto, e per l'oscillazione generale e per la loro propria. La stessa costanza non è altro che un'oscillazione più debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede incerto e vacillante, per una naturale ebbrezza. Lo prendo in questo punto, com'è, nell'istante in cui m'interesso a lui. Non descrivo l'essere. Descrivo il passaggio: non un passaggio da un'età all'altra o, come dice il popolo, di sette in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto. Bisogna che adatti il mio racconto al momento. Potrei cambiare fra poco, non solo di condizione, ma anche d'intenti. È una registrazione di diversi e mutevoli eventi e di idee incerte. E talvolta contrarie: sia che io stesso sia diverso, sia che colga gli oggetti secondo altri aspetti e considerazioni. Tant'è che forse mi contraddico, ma la verità, come diceva Demade, non la contraddico mai. Se la mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei, mi risolverei. Essa è sempre in tirocinio e in prova. (II; 2012, p. 1487)
Ogni uomo porta la forma intera dell'umana condizione. (II; 2012, p. 1487)
Un uomo dotto non è dotto in tutto; ma un uomo di talento ha talento in ogni cosa, perfino nell'ignorare. (II; 2012, p. 1489)
Fondare la ricompensa delle azioni virtuose sull'approvazione altrui, è scegliere un fondamento troppo incerto e confuso. (II; 2012, p. 1491)
Per la gente è stato un prodigio un tale in cui né la moglie né il servo hanno visto nulla di appena notevole. Pochi uomini sono stati ammirati dai loro familiari. (II; 2012, p. 1495)
La via più breve per arrivare alla gloria sarebbe fare per coscienza quello che facciamo per la gloria. (II; 2012, p. 1495)
Il pregio dell'anima non consiste nell'andar in alto, ma nell'andar con ordine. La sua grandezza non si esercita nella grandezza, ma nella mediocrità. (II; 2012, p. 1497)
Non c'è nessuno che, se si ascolta, non scopra in sé una forma sua, una forma sovrana che lotta contro l'educazione e contro la tempesta delle passioni che le sono contrarie. (II; 2012, p. 1499)
[La vecchiaia] Essa ci mette più rughe nello spirito che sul viso. (II; 2012, p. 1511)
Non bisogna inchiodarsi tanto forte ai propri umori e tendenze. La nostra dote principale è il sapersi applicare a diversi usi. È essere, ma non è vivere, tenersi attaccato e obbligato a una sola linea di condotta. Le più belle anime sono quelle che hanno maggior varietà e duttilità. [...] Se dipendesse da me foggiarmi a modo mio, non c'è alcuna forma per quanto buona in cui volessi essere conficcato così da non sapermene districare. La vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme. Non è essere amico di sé, e meno ancora padrone, è esserne schiavo, il seguire se stesso continuamente, ed essere così preso dalle proprie inclinazioni da non potersene mai distogliere, da non poterle stravolgere. (III; 2012, p. 1513)
L'ambizione ripaga bene la sua gente tenendola sempre in mostra, come la statua in un mercato. (III; 2014)
Si esaspera il male contrastandolo. Vediamo, nei discorsi comuni, che quello che posso aver detto senza pensarci, se uno viene a contestarmelo, mi ci formalizzo, lo sposo; peggio ancora se ci avessi interesse. (IV; 2012, p. 1535)
È una dolce passione la vendetta, di grande peso e naturale [...]. (VI; 2012, pp. 1543 e 1545)
[...] un acerbo pensiero mi occupa, trovo più spiccio cambiarlo che domarlo. Gliene sostituisco, se non posso uno contrario, almeno uno diverso. La variazione solleva sempre, dissolve e dissipa. Se non posso combatterlo, gli sfuggo, e sfuggendolo scantono, gioco d'astuzia: mutando luogo, occupazione, compagnia, mi salvo nella moltitudine di altre faccende e pensieri, dove esso perde la mia traccia e mi smarrisce. La natura procede così grazie al beneficio dell'incostanza. (IV; 2012, p. 1545)
Una piccola cosa ci distrae e ci distoglie, poiché una piccola cosa ci occupa. Non guardiamo mai gli oggetti all'ingrosso e da soli: sono circostanze o immagini minute e superficiali che ci colpiscono, e vane scorze che ridondano dagli oggetti [...]. (IV; 2012, p. 1547)
Guardavo con noncuranza la morte quando la guardavo nel complesso, come fine della vita: la domino in blocco, nei dettagli mi sbrana. (IV; 2012, p. 1549)
[...] alla perdita del primo conoscente, ci facciamo un punto d'onore di attribuirgli lodi inconsuete e false, e di farlo, quando l'abbiamo perduto di vista, tutto diverso da quello che ci sembrava essere quando lo vedevamo [...]. (IV; 2012, p. 1551)
Trovo più facile portare per tutta la vita una corazza che una verginità. (V; 2014)
Io mi sono prescritto di osar dire tutto quello che oso fare. (V; 2014)
[Nel matrimonio] Succede quel che si vede nelle gabbie: gli uccelli che ne sono fuori disperano di entrarvi, e con uguale intensità disperano di uscirne quelli che sono dentro. (V; 2014)
Ma certo occorrerebbe altro rimedio che il sogno: debole lotta dell'arte contro la natura. (V; 2014)
La voluttà è qualità poco ambiziosa: si stima abbastanza ricca per se stessa senza mescolarvi il pregio della reputazione, e preferisce restarsene nell'ombra. (V; 2014)
È molto più facile accusare un sesso che scusare l'altro. Come si dice: la padella dice nero al paiolo. (V; 2014)
Che cosa ha fatto agli uomini l'atto genitale, così naturale, così necessario e così giusto, perché non si osi parlarne senza vergogna e lo si escluda dai discorsi seri e moderati? Noi pronunciamo arditamente: uccidere, rubare, tradire; e questo, non oseremmo dirlo che fra i denti. Vuol dire che meno ne esprimiamo in parola, più abbiamo diritto d'ingrandirne il pensiero? (V; 2012, p. 1567)
Non è più tempo di recalcitrare quando ci si è lasciati imbrigliare. (V; 2012, p. 1577)
[...] il senso chiarisce e produce le parole. (V; 2012, p. 1619)
Nella nostra lingua trovo abbastanza stoffa, ma una certa mancanza di forma. Infatti non c'è nulla che non si sia tratto dal gergo delle cacce e della guerra, che è un terreno generoso da cui prendere a prestito. E le forme del parlare, come le erbe, migliorano e si fortificano trapiantandole. Io la trovo sufficientemente abbondante, ma non sufficientemente maneggevole e vigorosa. Di solito soccombe a un pensiero potente. Se il vostro discorso è teso, sentite spesso che essa languisce sotto di voi e vien meno. (V; 2012)
Tutti mi riconoscono nel mio libro, e il mio libro in me. (V; 2012, p. 1623)
Le donne hanno certamente ragione quando respingono le norme di vita fatte proprie dal mondo: tanto più che sono stati gli uomini ad averle stabilite senza neanche consultarle. (V; 1994)
Non vedo matrimoni che falliscono e vanno a pezzi più rapidamente di quelli che sono fondati sulla bellezza e sui deliri dei sensi. Occorrono basi più solide e ferme, e bisogna procedervi con cautela; quella esaltata allegrezza non serve a niente. (V; 1994)
Io detesto il dominio, e attivo e passivo. (VII; 2012, p. 1703)
L'ostinarsi e l'accalorarsi nel discutere è la più sicura prova di ignoranza. C'è niente di sicuro, di deciso, di sdegnoso, di contemplativo, di grave, di serio come l'asino? (VIII; 2008, p. 998)
Il mondo non è che una scuola di ricerca. (VIII; 2014)
Non si parla mai di sé senza rimetterci. (VIII; 2014)
La fortuna e la sfortuna sono a parer mio due poteri sovrani. È imprudenza ritenere che la prudenza umana possa far le veci della fortuna. (VIII; 2012, p. 1735)
[...] la nostra stessa saggezza e riflessione segue per lo più l'andamento del caso. (VIII; 2012, p. 1735)
[Sull'opera di Tacito] Non conosco autore che introduca in una storia di eventi pubblici tante considerazioni sui costumi e le inclinazioni particolari. E penso il contrario di quel che pensa lui: che dovendo in particolar modo seguire le vite degli imperatori del suo tempo, così diverse ed estreme in ogni sorta di forme, e tante azioni notevoli che proprio la loro crudeltà determinò nei sudditi, aveva una materia più forte e attraente da trattare e da narrare che se avesse dovuto parlare di battaglie e sconvolgimenti universali; tanto che spesso lo trovo sterile, quando sorvola rapidamente su quelle belle morti, come se temesse di annoiarci con il loro numero e la lunghezza del racconto. Questo tipo di storia è di gran lunga il più utile: i moti pubblici dipendono piuttosto dalla condotta della fortuna, quelli privati dalla nostra. È più un giudizio che un'esposizione di storia: ci sono più precetti che racconti. Non è un libro da leggere, è un libro da studiare e da imparare; è così pieno di sentenze che ve ne sono a dritto e a rovescio: è un vivaio di riflessioni morali e politiche, per profitto e ornamento di coloro che occupano un posto nel governo del mondo. Egli perora sempre con ragioni solide e vigorose, in modo acuto e sottile, secondo lo stile ricercato del tempo; amavano tanto agghindarsi che quando non trovavano acutezza e finezza nelle cose, la traevano dalle parole. Si avvicina non poco alla scrittura di Seneca; lui mi sembra più polputo, Seneca più acuto. È particolarmente utile a uno Stato confuso e malato come il nostro attuale: direste spesso che ci dipinge e ci punge. Quelli che dubitano della sua buonafede si accusano a sufficienza di volergli male per altro verso. Ha opinioni sane e propende per il partito buono nelle faccende di Roma. (VIII; 2012, pp. 1747 e 1749)
La moltitudine dei mali minuti colpisce più della violenza di uno solo, per grande che sia. (IX; 2012, p. 1763)
Il mio ingegno non va sempre avanti, va anche indietro. Non diffido meno dei miei pensieri perché sono secondi o terzi invece che primi, o presenti invece che passati. Ci correggiamo spesso altrettanto scioccamente come correggiamo gli altri. [...] Il mio io di adesso e il mio io di poco fa, siamo certo due. Ma quale sia migliore non posso davvero dirlo. (IX; 2012, p. 1791)
Come il dare è qualità ambiziosa e di privilegio, così l'accettare è qualità di sottomissione. (IX; 2012, p. 1799)
Traggo talvolta i mezzi per rafforzarmi [...] dalla noncuranza e dalla poltroneria. Anch'esse ci conducono in qualche modo alla fermezza. (IX; 2012, p. 1803)
Io rispondo abitualmente a quelli che mi chiedono ragione dei miei viaggi: che so bene quello che fuggo, ma non quello che cerco. (IX; 2012, p. 1805)
Non perché l'ha detto Socrate, ma perché in verità è la mia opinione, e forse non senza qualche eccesso, ritengo tutti gli uomini miei compatrioti, e abbraccio un polacco come un francese: posponendo questo legame nazionale a quello universale e comune. Non sono un patito della dolcezza del paese natale. Le conoscenze del tutto nuove e mie mi sembrano ben valere quelle altre comuni e fortuite conoscenze del vicinato. Le amicizie di nostro esclusivo acquisto superano generalmente quelle alle quali ci uniscono la comunanza del clima o del sangue. (IX; 2012, p. 1807)
Il godimento e il possesso appartengono soprattutto all'immaginazione. Essa abbraccia con più calore e più continuità ciò che va cercando di ciò che abbiamo. Pensate alle vostre occupazioni quotidiane, troverete che siete più lontano dal vostro amico quando questi è presente. La sua presenza allenta la vostra attenzione e dà licenza al vostro pensiero di assentarsi in qualsiasi momento per qualsiasi occasione. (IX; 2012, p. 1813)
Da quello stesso foglio dove ha appena scritto la sentenza di condanna contro un adultero, il giudice strappa un pezzetto per farne un bigliettino alla moglie del suo collega. (IX; 2012, p. 1839)
Non c'è uomo così dabbene che, sottoponendo all'esame delle leggi tutte le sue azioni e i suoi pensieri, non sia degno della forca dieci volte nella vita. (IX; 2012, p. 1841)
Trovo che gli spiriti elevati non sono meno adatti alle cose basse che gli spiriti bassi a quelle elevate. (IX; 2012, p. 1845)
Bisogna avere un po' di follia, se non si vuole avere più stoltezza [...]. (IX; 2012, p. 1851)
[Sulla religione] Dopo tutto è mettere le proprie congetture a ben alto prezzo, il voler, per esse, far arrostire vivo un uomo. (XI; 2014)
Ma non muori perché sei malato, muori perché sei vivo. La morte ti uccide pure senza l'aiuto della malattia. (XII; 2014)
Niente opprime uno stato come l'innovazione; il mutamento dà soltanto forma all'ingiustizia e alla tirannia. (IX; 2008, p. 1018)
Chi ne conosce i doveri e li adempie, fa parte davvero del tabernacolo delle Muse: ha raggiunto il culmine della saggezza umana e della nostra felicità. Costui, sapendo esattamente ciò che deve a se stesso, trova che rientra nella sua parte il dover trarre vantaggio per sé dagli altri uomini e dal mondo; e per far ciò, tributare alla società i doveri e gli uffici che gli pertengono. (X; 2012, p. 1871)
La povertà di beni è facile a guarire, la povertà dell'anima, impossibile. (X; 2012, p. 1877)
L'abitudine è una seconda natura, e non meno potente. (X; 2012, p. 1877)
La carriera dei nostri desideri dev'essere circoscritta e ristretta al breve limite delle comodità più prossime e contigue. E inoltre la loro corsa dev'esser condotta non in linea retta che faccia capo altrove, ma in circolo, i due capi del quale si congiungano e terminino in noi con un breve giro. Le azioni che si compiono senza questo movimento riflesso, s'intende vicino ed essenziale, come quelle degli avari, degli ambiziosi e di tanti altri che corrono dritto, la cui corsa li porta sempre in avanti, sono azioni erronee e malsane. (X; 2012, pp. 1879 e 1881)
L'ambizione non è un vizio da uomini dappoco. (X; 2012, p. 1901)
Bisogna trascorrere questa vita terrena con un po' di leggerezza e superficialità. Occorre scivolarvi, non calarvisi dentro. (X; 1994)
Non ho visto portento né prodigio al mondo più evidente di me stesso. (XI; 2014)
A vedere gli sforzi che Seneca fa per prepararsi alla morte, a vederlo sudare dallo sforzo per corroborarsi e star forte e dibattersi per tanto tempo su quella pertica, avrei scemato la reputazione di lui se non l'avesse conservata morendo veramente da forte. Il suo agitarsi così ardente, così frequente, mostra che era ardente e impetuoso lui stesso. [...] E in ogni modo mostra che era incalzato dal suo avversario. Lo stile di Plutarco, di quanto è più sdegnoso e più sostenuto, è, secondo me, di altrettanto più virile e persuasivo: crederei facilmente che la sua anima avesse gli impulsi più sicuri e più regolati. L'uno, più vivace, ci stimola e ci sveglia di soprassalto, tocca più lo spirito. L'altro, più calmo, ci istruisce, ci fortifica e conforta costantemente, tocca più l'intelletto. Quello là rapisce la nostra mente, questo la conquista. (XII; 2008, p. 1106)
La vera libertà è potere qualsiasi cosa su se stesso. (XII; 2014)
Non potrò mai dire abbastanza quanto io ritenga la bellezza una qualità potente e vantaggiosa. Egli [Socrate] la chiamava una breve tirannia, e Platone il privilegio della natura. (XII; 2014)
Se non sapete morire, non preoccupatevene, la natura vi istruirà sul momento, in modo completo e sufficiente: compirà a puntino questa operazione per voi, non datevene la briga. (XII; 2012, p. 1957)
Noi turbiamo la vita con la preoccupazione della morte, e la morte con la preoccupazione della vita. L'una ci affligge, l'altra ci spaventa. Non è contro la morte che ci prepariamo, è cosa troppo momentanea. Un quarto d'ora di acquiescenza senza conseguenza, senza danno, non merita precetti particolari. A dire il vero ci prepariamo contro le preparazioni alla morte. (XII; 2012, p. 1957)
Ed anche sul più alto trono della terra non siamo seduti che sul nostro culo. (XIII; 2008, p. 1190)
Chi teme di soffrire, soffre già perché teme. (XIII; 2014)
Sono così assetato di libertà che se mi fosse proibito l'accesso in qualche angolo delle Indie, vivrei in certo modo meno a mio agio. (XIII; 2014)
L'esempio è uno specchio vago, universale e buono per tutti i versi. (XIII; 2014)
Quando ballo, ballo, quando dormo, dormo; e quando passeggio da solo in un bel verziere, se i miei pensieri si sono occupati di circostanze estranee per un certo tempo, per un altro po' di tempo li riconduco alla passeggiata, al verziere, alla dolcezza di quella solitudine, e a me stesso. (XIII; 2014)
Lasciamo fare un po' alla natura: essa capisce i suoi affari meglio di noi. (XIII; 2014)
Le leggi mantengono il loro credito non perché sono giuste, ma perché sono leggi. È il fondamento misterioso della loro autorità. Non ne hanno altri. E torna loro a vantaggio. Sono fatte spesso da gente sciocca. Più spesso da persone che, per odio dell'eguaglianza, mancano di equità. Ma sempre da uomini: autori vani e incerti. Non c'è nulla così gravemente e largamente né così frequentemente fallace come le leggi. Chiunque obbedisca loro perché sono giuste, non obbedisce loro giustamente come deve. (XIII; 2014)
Che cosa hanno guadagnato i nostri legislatori a trascegliere centomila specie e fatti particolari e applicarvi centomila leggi? Questo numero non ha alcuna proporzione con l'infinita diversità delle azioni umane. (XIII; 2012, p. 1983)
[Le leggi] [...] sarebbe meglio non averne affatto che averle in tal numero come le abbiamo noi. (XIII; 2012, p. 1983)
C'è più da fare a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose. (XIII; 2012, p. 1989)
Quante condanne ho visto più criminali del crimine! (XIII; 2012, p. 1993)
Oh quale capezzale dolce e molle, e sano, è l'ignoranza e l'indifferenza, per riposare una testa ben fatta! (XIII; 2012, p. 1999)
Dell'esperienza che ho di me, trovo abbastanza di che farmi saggio, se fossi buono scolaro. (XIII; 2012, p. 1999)
Avete saputo meditare e regolare la vostra vita? Avete compiuto l'impresa più grande di tutte. Per mettersi in mostra e segnalarsi, la natura non sa che farsene della fortuna. Si manifesta egualmente su tutti i piani, e dietro la tenda, come senza. Comporre i nostri costumi è il nostro compito, non comporre libri, e conquistare non battaglie e province, ma l'ordine e la tranquillità alla nostra vita. Il nostro grande e glorioso capolavoro è vivere come si deve. Tutte le altre cose, regnare, ammassar tesori, costruire, non sono per lo più che appendicoli e ammennicoli. (XIII; 2012, p. 2069)
È una perfezione assoluta, e quasi divina, saper godere lealmente del proprio essere. (XIII; 2012, p. 2085)
[...] neppure la verità ha questo privilegio di essere praticata in ogni momento e in ogni maniera [...]. (XIII; 2012, p. 2700)
Ho un vocabolario tutto mio particolare: io «passo» il tempo, quando è cattivo e fastidioso. Quando è buono, non lo voglio passare, lo ripercorro, mi ci indugio. Bisogna trascorrere sul cattivo e fermarsi sul buono. Questa espressione abituale di «passatempo» e di «passare il tempo» riflette l'abitudine di quelle persone prudenti che non pensano di poter trarre miglior frutto dalla loro vita che lasciandola scorrere e sfuggire: passarla, scansarla e, per quanto sta in loro, ignorarla e fuggirla, come cosa di natura noiosa e disprezzabile. Ma io la conosco diversa, e la trovo e apprezzabile e gradevole, anche nel suo estremo declino, in cui mi trovo. E natura ce l'ha messa fra le mani fornita di circostanze tali, e tanto favorevoli, che dobbiamo prendercela soltanto con noi stessi se ci affligge e ci sfugge senza frutto. (XIII; 2012, p. 2075)[11]
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Credo sia Montaigne a dire: «La gente parla di pensare ma, per parte mia, non inizio mai a pensare finché non mi metto a scrivere». Un sistema migliore per lui sarebbe stato quello di non mettersi mai a scrivere prima di aver smesso di pensare. (Edgar Allan Poe)
Il libro che più m'ha consolato in questa vita, mi rincresce, non è d'un italiano: è Montaigne. Potessi quella sera portarlo con me e lassù rileggermelo, guardando ogni tanto tra due nuvole la dolce terra... (Ugo Ojetti)
Il suo umanesimo, duttile, positivo, ha l'odore un po' agro delle sanse a dicembre quando si accumulano nei frantoi, dalle parti mie, un odore, che chi non è nato sotto gli ulivi e non è stato lubrificato col loro olio dalla levatrice all'ingresso di questo mondo, non s'immagina come sia stimolante, appetitoso sino alla capziosità e all'indiscrezione. Montaigne appunto, per uno che ci si è strusciato e se l'è fiutato a dovere. (Guido Morselli)
L'uomo, e soltanto l'uomo, con le sue incertezze e le sue paure, le sue debolezze e le sue passioni, la sua viltà e il suo coraggio, la sua pazienza e la sua insofferenza, il piacere e il dolore, è il protagonista dei Saggi. Dio, in questo meraviglioso libro tagliente e morbido, sfuggente e netto, continuamente modificato e arricchito, è completamente assente. (Giorgio Montefoschi)
La sua prosa – che Montaigne a torto disprezzava, ritenendola aspra e sregolata, molle e fiacca – questa oscura, dolcissima, incerta, inafferrabile, fluttuante marea che è la vita, non fa altro che riprodurla con la giusta ansia; e la giusta imprecisione. Non a caso, una grande ammiratrice di codesto flusso era Virginia Woolf. (Giorgio Montefoschi)
[I suoi Saggi] mi dilettavano ed instruivano, e non poco lusingavano anche la mia ignoranza e pigrizia, perché aperti cosí a caso, qual che si fosse il volume, lettane una pagina o due, lo richiudeva, ed assai ore poi su quelle due pagine sue io andava fantasticando del mio. (Vittorio Alfieri)
Montaigne [...] è il tipo dello scetticismo sereno, non avido di lotte, sorridente, senza impeti, senza ideali da difendere, senza virtù da seguire, lo scettico che tollera tutto senza aver fede in nulla, che non ha nè entusiasmi nè aspirazioni, che si serve del dubbio per giustificare l'inerzia con la tolleranza, che dimostra una percezione della vita serena, ma sterile, indice di egoismo e di decadenza di razza, giacché il libero esame che non spinge all'azione può meglio che salvare dalla schiavitù, accettare, o rendersi complice del dispotismo. (Luigi Pirandello)
Montaigne, oltre lo stemma gentilizio, (che in quei tempi serviva ancora d'usbergo) dalle due tirannidi e principesca e pretesca si sottrasse anche dietro alla scorza del pirronismo, e di un certo molle faceto, che tutti i suoi scritti veramente filosofici avviluppa, senza punto contaminarli. (Vittorio Alfieri)
Non ci sarà mai nessuno più originale di Montaigne, e, ovviamente, non c'è alcuno più dissimile da lui di Cicerone, eppure nessuno potrà non accorgersi di quanto l'uno deve aver cercato di imitare l'altro. (Robert Louis Stevenson)
Stando sempre attentissimo al proprio cuore, ha filosofato imparzialmente sugli altri. (Ugo Foscolo)
Un solo scrittore conosco che per sincerità posso mettere allo stesso livello se non addirittura più in alto di Schopenhauer: Montaigne. Il solo fatto che un uomo simile abbia scritto, ha aumentato, in verità, la gioia di vivere su questa terra. (Friedrich Nietzsche)
Uno dei libri che ha esercitato l'influenza più profonda su di me mi è capitato tra le mani molto presto, tanto che potrebbe prendere il posto del primo, anche se credo di aver avvertito il suo effetto solo più avanti, e forse è un effetto che ancora deve dispiegarsi in tutta la sua portata, perché si tratta di un libro che non finisce mai di comunicarci qualcosa: i Saggi di Montaigne. Quella visione della vita così misurata e intelligente è un dono grandissimo da mettere nelle mani dei nostri contemporanei; essi potranno trovare nel sorriso di quelle pagine un serbatoio di eroismo e di saggezza di antico stampo, sentiranno tremare le loro piccole convenzioni quotidiane e le loro ortodossie fanatiche, e (se hanno il dono della lettura) si renderanno conto che questi scossoni non sono ingiustificati né irragionevoli; e ancora (sempre se hanno il dono della lettura) finiranno per rendersi conto che quel vecchio gentiluomo era una persona mille volte più degna di loro e dei loro contemporanei, e con una visione della vita mille volte più nobile. (Robert Louis Stevenson)
Montaigne scrisse molte menzogne: forse la parola non è esatta; riempì il suo libro di mistificazioni, giochi ironici e autoironici, piccole scene teatrali recitate insieme da lui e dal lettore immaginario, che abita gli Essais come una presenza segreta.
Uno scrittore che ci parla da un tempo tanto lontano dal nostro, ma con parole così incredibilmente fresche e leggere come se le avessimo sognate la mattina, prima dell' alba.
Tra tutti i nemici del genere umano [...], nessuno ha mai infangato la nostra presunzione, nessuno ha mai insultato la nostra figura con tale furia, piacere, estro, divertimento, ferocia, malignità, tenacia, bizzarria; e, nel fondo, con una inconcepibile dolcezza.
In una specie di totale capovolgimento, tutte le parole di Montaigne cambiano segno: ora sono una cosa e insieme il loro contrario.
Questo è il segreto di Montaigne: il segreto, come si dice, del suo equilibrio. Tutte le sue fantasie, gli eccessi, i furori, le inquietudini, i terrori, i mostri, le chimere, le follie hanno bisogno di un limite, e si rinchiudono in un mondo moderato e temperato.
I Saggi di Michele Montaigne, sono scritti semplicemente, anzi con un certo garbo di trascuratezza che te gli rende più maneschi.
Montaigne è scrittore ardito, avventato, da fare inalberare i cervelli soliti a andare avanti colle seste; uomo che parlando di sè e d'altri, dice troppo, come se avesse paura di non dir tutto. In quel suo fare rotto, fantastico e molte volte arruffato, a taluni può parere un cinico pieno di sé, ad altri uno che si vuol mostrare al pubblico tal quale,
Intero e saldo e colle sue radici,
a qualunque costo, pur di dire il vero. Io lo credo uno degli scrittori più forti, più pieni, più liberi da ogni pastoia che possa vantare la sapienza pratica, buona per le spese minute della vita, e uno dei più grandi poeti che abbia la prosa.
Voi sapete che Montaigne ha scritto di tutto un po' là alla bella libera, parlando continuamente del suo Signor sè come se non fosse suo fatto, palesando i suoi difetti, come fa l'uomo che sa di valere qualcosa, protestando di saper poco nel tempo medesimo che fa vedere di saper molto, e soprattutto presumendo di non aver presunzione. Senza piano, senza seguire un dato filo, anzi uscendo sempre di carreggiata e battendo la campagna, è riuscito, che buon pro gli faccia, a mettere insieme un libro pieno zeppo di mille cose bellissime, un libro che si può leggere tanto di proposito che a tempo avanzato, un libro finalmente che è stato ed è una specie di pozzo di San Patrizio, ove tutti attingono senza che si vuoti mai. Per uno sfaticato come me, nemico giurato d'ogni lungaggine, si tratti pure di una lezione o d'un desinare, contrario alle cose fatte colle seste alla mano, figuratevi che scoperta fu un libro che si può prendere e lasciare, leggere a digiuno e a corpo pieno. Dalle prime linee n'andai così matto che mancò poco che non facessi l'arfasatteria d'Archimede quando, per l'allegria d'una scoperta, scappò fuori di casa nudo come Dio l'aveva fatto.
Ciò che Montaigne ha di buono può essere raggiunto solo con difficoltà. Ciò che ha di cattivo, intendo al di fuori dei costumi, avrebbe potuto essere corretto in un momento, se lo si fosse avvertito che egli raccontava troppe storie, e che parlava troppo di sé.
I difetti di Montaigne sono grandi. Parole lascive; che non valgono niente, nonostante Mademoiselle de Gournay. Credulone, gente senza occhi. Ignorante, quadratura del cerchio, mondo più grande. I suoi sentimenti sull'omicidio volontario, sulla morte. Egli ispira una trascuratezza della salute, senza timore e senza pentimento. Non essendo fatto il suo libro per condurre alla pietà, egli non ne era obbligato; ma si è sempre obbligati a non distogliere da essa. Si possono sempre scusare i suoi sentimenti un po' liberi e voluttuosi in qualche caso della vita; ma non si possono scusare i suoi sentimenti del tutto pagani sulla morte, poiché bisogna rinunciare a ogni pietà, se si vuole almeno morire cristianamente: ora, egli non pensa che a morire dolcemente e senza tensione per tutto il suo libro.
Non è in Montaigne, ma in me stesso, che trovo tutto ciò che vedo in lui.
Avevo sempre riso dell'ingenuità fittizia di Montaigne, il quale, simulando di confessare i propri difetti, ha gran cura di attribuirsene solo di gradevoli; mentre io che mi ero sempre ritenuto, e che mi ritengo ancora, tutto sommato, il migliore degli uomini, sentivo che non esiste animo umano, per quanto puro, che non ricetti qualche odioso vizio.
Io compio la stessa impresa di Montaigne, ma con uno scopo affatto contrario al suo: egli non scriveva i suoi Saggi che per il pubblico, e io non scrivo le mie fantasie che per me stesso.
Ma a che servono allo scettico Montaigne i tormenti ch'egli si dà per dissotterrare in un angolo del mondo un costume opposto alle leggi di giustizia? A che gli serve di dare ai più sospetti viaggiatori l'autorità che rifiuta agli scrittori più celebri? Alcuni usi incerti e bizzarri, fondati su cause locali che ci sono sconosciute, distruggeranno l'induzione generale tratta dal concorso di tutti i popoli, opposti in tutto il resto, e d'accordo su questo solo punto? O Montaigne, tu che ti vanti di franchezza e di verità, sii sincero e veritiero, se un filosofo lo può essere, e dimmi se vi è qualche paese sulla terra in cui sia un delitto serbare la propria fede, l'essere clemente, benefico, generoso; in cui l'uomo dabbene sia spregevole e il perfido sia onorato.
Cento volte, leggendo Montaigne, pagina dopo pagina, si ha la sensazione che nostra res agitur[l'assunto ci riguarda], la sensazione che in esse sia espresso, meglio e più chiaramente di quanto io possa pensare, quelle che sono le preoccupazioni più profonde della mia anima in questo tempo. Non ho con me un libro, della letteratura o della filosofia, ma un uomo a cui sono fratello, un uomo che mi consiglia, che mi consola e mi mostra amicizia, un uomo che mi capisce e che capisco. Prendo in mano i Saggi e la carta stampata scompare nella penombra della stanza. Qualcuno respira, qualcuno vive con me, un estraneo è entrato a casa mia e già non è un estraneo ma qualcuno che sento amico. Quattrocento anni svaniscono come fumo: non è il seigneur de Montaigne, il gentilhomme de la chambre[gentiluomo della camera] di un dimenticato re di Francia, non il signore del castello di Périgord che mi parla: egli ha tolto la gorgiera bianca plissettata, il cappello a punta e lo spadino, si è tolto la gloriosa catena dell’Ordine di San Michele dal collo. Non è più il sindaco di Bordeaux che mi viene a visitare, non il gentiluomo e non lo scrittore. È arrivato un amico, per consigliarmi e parlarmi di sé.
Conservando e descrivendo se stesso, conservò a sua volta l'uomo in nuce, l'uomo nudo e atemporale. E mentre tutto il resto, i trattati teologici e le digressioni filosofiche del suo secolo ci sembrano estranei e obsoleti, lui è un nostro contemporaneo, l'uomo di oggi e di sempre, e la sua battaglia è la più attuale sulla terra.
Esistono scrittori, pochi in verità, accessibili a chiunque, ad ogni età e in ogni epoca della vita – Omero, Shakespeare, Goethe, Balzac, Tolstoj – e poi ce ne sono altri che rivelano tutto il loro significato solo in un determinato momento storico. Montaigne è tra questi ultimi.
1 2 3 4 5 Scritto in lingua italiana da Montaigne.
↑ Alessandro D'Ancona, L'Italia alla fine del XVI secolo – Giornale del viaggio di Michele de Montaigne in Italia nel 1580 e 1581, Lapi, Città di Castello, 1895, p. 493.
↑ Cfr. II, XIX (2012, p. 1245): «Credo piuttosto, ad onore della religiosità dei nostri re, che, non avendo potuto quello che volevano, abbiano fatto finta di volere quello che potevano».
↑ Cfr. II, X (2012, p. 725): «Faccio dire agli altri quello che non posso dire altrettanto bene, sia per insufficienza di linguaggio, sia per insufficienza di senno».
↑ Cfr. II, XIX (2012, p. 1239): «È cosa comune vedere che le buone intenzioni, se non sono disciplinate, spingono gli uomini ad azioni molto cattive».
↑ Citazione molto approssimativa, iscritta su una trave della biblioteca di Montaigne, di Ecclesiaste, 3, 22.
↑ Cfr. I, IX (2012, p. 57): «In verità il mentire è un maledetto vizio. Siamo uomini, e legati gli uni agli altri solo per mezzo della parola. Se conoscessimo l'orrore e la portata di tale vizio, lo puniremmo col fuoco più giustamente di altri delitti».
↑ Cfr. Francesco Guicciardini, Ricordi, C 155: «Dicesi che chi non sa bene tutti e' particulari non può giudicare bene; e nondimeno io ho visto molte volte, che chi non ha el giudicio molto buono giudica meglio se ha solo notizia della generalità, che quando gli sono mostri tutti e' particulari; perché in sul generale se gli appresenterá spesso la buona risoluzione, ma come ode tutti e' particulari, si confonde».
↑ Cfr. Laurence Sterne, Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia, traduzione di Ugo Foscolo, Pisa, Didot, 1813, p. 48: «Compiango l'uomo che può viaggiare da Dan a Bersabea ed esclama: «Tutto è infecondo!» — ed è: e tale è l'universo per chiunque non vede quanto ei sarà liberale a chi lo coltiva». Contra, cfr. Giacomo Leopardi, Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, in Operette morali, a cura di Laura Melosi, Rizzoli, 2011: «Così, tra sognare e fantasticare, andrai consumando la vita; non con altra utilità che di consumarla; che questo e l'unico frutto che al mondo se ne può avere, e l'unico intento che voi vi dovete proporre ogni mattina in sullo svegliarvi. Spessissimo ve la conviene strascinare co' denti, beato quel giorno che potete o trarvela dietro colle mani, o portarla in sul dosso», e Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della vita, in Parerga e paralipomena, vol. I, Adelphi, 1998, p. 548: «Indubbiamente la vita non si presenta davvero per essere goduta, ma piuttosto per essere superata, perché ci sia possibile sbarazzarsene; ciò è indicato anche da molte espressioni, come "degere vitam, vita defungi", in italiano "si campa così", in tedesco "man muss suchen durchzukommen", "er wird schon durch die Welt kommen", eccetera».