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filosofo, poeta, politico e drammaturgo romano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65), autore, filosofo, politico romano.
Inter multos ac varios errores temere inconsulteque viventium nihil propemodum, vir optime Liberalis, discerni haec duo dixerim, quod beneficia nec dare scimus nec accipere.
Molti e differenti sono gli errori di coloro che vivono con leggerezza e senza alcun discernimento, ma direi, o mio ottimo Liberale, che ce ne sono due fra cui non si può fare alcuna differenza: cioè il non saper dare e il non saper accettare i benefici.
Fra i molti et varii errori di coloro, che vivono a caso, et inconsideratamente, niuno è quasi, o ottimo Liberale, dirò più nocevole, che il non sapere né dare i benifizii, né ricevergli.
[Lucio Anneo Seneca, De benifizii, traduzione di Benedetto Varchi, Firenze, 1554]
Ero immerso nell'introspezione, Seneca, ed ecco mi apparivano alcuni vizî, messi allo scoperto, tanto che potevo afferrarli con la mano: alcuni più nascosti e reconditi, altri non costanti, ma ricorrenti di quando in quando, che definirei addirittura i più insidiosi, come nemici sparpagliati e pronti ad attaccare al momento opportuno, con i quali non è ammessa nessuna delle due tattiche, star pronti come in guerra né tranquilli come in pace. Tuttavia ho da criticare soprattutto quell'atteggiamento in me (perché infatti non confessarlo proprio come a un medico?), vale a dire di non essermi liberato in tutta sincerità di quei difetti che temevo e odiavo e di non esserne tuttavia ancora schiavo; mi ritrovo in una condizione se è vero non pessima, pur tuttavia più che mai lamentevole e uggiosa: non sto né male né bene.
[Lucio Anneo Seneca, La tranquillità dell'animo, traduzione di Caterina Lazzarini, BUR, 1997. ISBN 9788817071406]
Esplorando, o Seneca, l'animo mio, vi ho trovato molti difetti, alcuni talmente evidenti da potersi, per così dire, toccare con mano, altri invece rintanati come in un nascondiglio, altri ancora saltuari, riemergenti a tratti, ad intervalli, e che sono forse i più molesti di tutti, simili a nemici sparpagliati qua e là che ti assalgono all'improvviso, quando gliene viene l'estro — come certe tribù nomadi — per cui tu vivi sempre in uno stato ambiguo, che non è di guerra ma nemmeno di pace, ed io mi sono scoperto appunto in un'analoga condizione (te lo confesso come un paziente che si confida al proprio medico), quella, cioè, di non essere né completamente libero dai miei rancori e dalle mie paure, né di trovarmi in loro balia, sicché, pur riconoscendo che la mia situazione non è delle peggiori, avverto un senso di malessere quanto mai sgradevole, che mi rende lunatico e lagnoso: insomma, non sono malato, ma non sto neppure bene.
[Lucio Anneo Seneca, La serenità, in L'ozio e La serenità, cura e versione di Mario Scaffidi Abate, Newton, 1993. ISBN 8879830082]
Comportati così, Lucilio mio: rivendica i tuoi diritti su te stesso, e il tempo che finora ti veniva portato via o ti veniva rubato o ti sfuggiva di mano, trattienilo e custodiscilo. Convinciti che le cose stanno proprio così come ti scrivo: certi momenti ci vengono strappati via, altri ci vengono sottratti furtivamente e altri ci sfuggono senza che ce ne accorgiamo. Tuttavia, la perdita più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. E se vorrai fare attenzione, comprenderai che gran parte della vita se ne vola via nel fare il male, la maggior parte nel non fare nulla, tutta la vita nel disperdersi in altre cose estranee al vero senso della vita.
[Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, traduzione di Monica Natali, in Tutte le opere, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000. ISBN 88-452-9073-5]
O gran re dell'Olimpo, arbitro sommo
Dell'universo mondo, oh segna alfine
Ai tormentosi affanni alcuna meta,
Alla sciagura un termine.
Voglio consegnare alla storia quel che è successo in cielo il giorno prima delle idi di ottobre, inizio di un anno straordinario, di un'età felicissima. Non ci sarà posto né per il rancore, né per l'adulazione. Quello che sto per raccontare è tale e quale a come è accaduto. Nell'ipotesi che qualcuno venisse a chiedermi la fonte di tali avvenimenti, è bene mettere subito in chiaro questo: se la cosa non mi andrà a genio, non risponderò. D'altronde, chi mi potrebbe forzare? So di essere diventato padrone di me stesso, il giorno in cui se ne andò finalmente all'altro mondo quello che aveva dimostrato la verità del proverbio: «conviene nascere re o scemi».
Io non esito a dire, mio caro Sereno, che tra gli Stoici e i filosofi delle altre scuole passa la stessa differenza che tra gli uomini e le donne: i quali e le quali contribuiscono in egual misura alla vita della società, ma gli uni sono fatti per comandare, le altre per obbedire.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Tutti sono d'accordo nel ritenere che, vivendo in società, è difficile essere immuni dai vizi, e allora, se non abbiamo altro mezzo per salvarci da essi, isoliamoci: già questo solo fatto ci renderà migliori. D'altronde chi c'impedisce, pur vivendo appartati, di avvicinare uomini virtuosi e ricavarne un esempio su cui modellare la nostra esistenza? E ciò non è possibile se non in una vita tranquilla, lontana dalle pubbliche faccende: solo così potremo mantenere fermi i nostri propositi, non avendo accanto nessuno che, sollecitato dalla grande massa che gli sta intorno, possa distoglierci dalla nostra decisione, ancora instabile, all'inizio, e perciò facile a sgretolarsi. Allora sì la nostra vita potrà procedere uniforme e costante, perché non turbata dalle idee più diverse e contrastanti. Pergiunta, come se già non bastassero i numerosi mali che ci affliggono, passiamo da un vizio all'altro, e questo è il guaio peggiore: restassimo almeno attaccati a un vizio solo, quello che ci è più familiare e che abbiamo ormai sperimentato! Così a questo inconveniente si aggiunge pure il tormento che ci rode nel constatare come le nostre scelte, oltre che cattive, siano anche incostanti. Siamo sballottati di qua e di là come dai flutti o dal vento, ed ora ci attacchiamo ad una cosa, ora ad un'altra, lasciamo ciò che avevamo cercato e ricerchiamo ciò che avevamo lasciato, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti. Questo perché dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri, ci sembra migliore ciò che ha un gran numero di aspiranti e di elogiatori e non ciò che va lodato e ricercato per il suo intrinseco valore, così come una strada la giudichiamo buona o cattiva non di per se stessa ma dalla quantità delle impronte e dal fatto che fra di queste non ce ne sia nessuna che torni indietro.
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