fotografo italiano (1942-) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Uliano Lucas (Milano, 1942) è un fotoreporteritaliano noto per aver realizzato per decenni reportage per importanti giornali e riviste italiane, documentando con ampi servizi, temi sociali[1] «sulle realtà e le contraddizioni del proprio tempo», la contestazione giovanile, le proteste di piazza, l'immigrazione, l'industrializzazione e la conseguente devastazione del territorio, alcuni luoghi di detenzione[2] e ospedali psichiatrici[1], prima, dopo e durante il Sessantotto[3]. Noti anche i suoi reportage su scenari di guerra e sulle lotte per la democrazia e la libertà, dal Portogallo del dittatore António de Oliveira Salazar alle guerre di liberazione in Africa come quella d' Eritrea, della Guinea-Bissau, dell'Angola[4], dalla Giordania ai tempi di Settembre Nero, alle cruente guerre jugoslave, con reportage sulle città di Mostar nel 1992 e di Sarajevo nel 1993[2].
Uliano Lucas nasce a Milano nel 1942 da Giorgio Agliani e Adele Lucas Negri. Il padre, operaio alla Breda di Sesto San Giovanni, comunista, antifascista e partigiano, subirà un confino di cinque anni prima a Ponza e poi a Pisticci. E sarà proprio in conseguenza dell'impegno politico del padre che Lucas crescerà e si formerà in un ambiente di tipo proletario che aspirava a grandi cambiamenti sociali. Studente al Convitto Scuola della Rinascita[5][6], il giovanissimo Lucas, «curioso e irrequieto» dimostra ben presto di non essere portato per la vita ordinata e stabile del Convitto, tanto che viene espulso dall'istituzione scolastica con la motivazione di "studente indisciplinato"[4]. A sedici anni incomincia a frequentare il Bar Jamaica[7] di via Brera a Milano, e il Bar Genis[8] all'angolo tra via Brera e via Pontaccio, allora ritrovi e crogioli di idee e progetti innovativi che coinvolgevano intellettuali, artisti, giornalisti e fotografi come Ugo Mulas, Alfa Castaldi, Mario Dondero e anche Carlo Bavagnoli e Giulia Niccolai. Ed è proprio da queste frequentazioni che nasce preponderante in Lucas la passione per la fotografia e più precisamente quella del fotoreporterfreelance, una professione a quel tempo idealizzata, fatta anche di considerevoli sacrifici, ma per la quale avrebbe potuto impegnarsi socialmente e che in tutti i modi comunicava, ad uno spirito libero e ribelle come il suo, piena indipendenza ed autonomia senza vincoli e costrizioni dettate da un "capo"[4].
Sempre attrezzato di macchina fotografica[9] Uliano documenta aspetti, virtù e contraddizioni di una città che conosce profondamente, Milano. Nel 1964; a ventidue anni fotografa nei due famosi bar di Brera, la bohème milanese dell'epoca,[10],il Genis[8] pittori, scultori e designer allora alle prime armi e che ben presto si sarebbero affermati: Ugo La Pietra, Luciano Fabro, Aurelio Caminati, Agostino Ferrari e Nanda Vigo[8]. Ed è ancora sviluppando il tema della documentazione delle atmosfere cittadine milanesi che fotografa i protagonisti e i fermenti nascenti del tempo, che avrebbero delineato le linee di quella che sarebbe stata da allora in poi la musica italiana. Segue e fotografa i gruppi rock de I Ribelli e degli Stormy Six, frequentando anche uno dei cabaret che sarebbero entrato nella storia della attuale città metropolitana, il Cab 64 di Velia e Tinin Mantegazza[11], dove si esibivano cantanti Bruno Lauzi, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber e gli attori Paolo Poli e Cochi e Renato[12].
Dopo queste iniziali esperienze lo spartiacque che rappresenta il Lucas degli inizi con il prosieguo della sua carriera di fotoreporter impegnato, sarà l'avvento del Sessantotto. Da allora in poi il suo impegno nel sociale sarà totalizzante e riguarderà temi diversi che lo porteranno in diverse nazioni d'Europa, del Medio Oriente e dell'Africa subsahariana. Inizia dalle piazze[13][14] del sessantotto, fotografando la contestazione giovanile[15][16] in luoghi stracolmi di studenti[17], operai[18] e drappelli di polizia[19] e le barricate[20]; dalle università occupate[21], dai cartelli[22] e striscioni[18] e murales[23] inneggianti alla lotta, delle assemblee con i contestatori dagli sguardi attenti e con le notizie diffuse dai megafoni[24] Fotografa le manifestazioni del Movimento di Liberazione delle Donne (MLD) e del movimento femminista con i cartelli che magnificavano "il ritorno delle streghe" e mettevano in guardia con l'ormai noto slogan Tremate, tremate le streghe son tornate![25].
Questo sarà l'inizio di una serie, difficilmente elencabile, di tutti i diversi reportage fatti dal noto fotoreporter milanese nei suoi cinquant'anni di attività come freelance per giornali e riviste. Molti dei suoi più importanti reportage diverranno parte dei circa suoi 70 libri fotografici, un'altra delle peculiarità che fa di Uliano Lucas uno dei pochi fotoreporter italiani ad avere avuto una produzione tanto prolifica[26].
«Uliano Lucas [...] può essere considerato uno dei primi fotoreporter freelance in Italia. Negli anni divenne simbolo di uno stile fotografico attento e impegnato, che vede il giornalismo e il fotogiornalismo come strumenti della democrazia»
Molti i reportage di Lucas, tanto che a testimonianza del suo vasto lavoro rimangono oltre alle diverse riviste e giornali, anche i suoi libri che raccolgono i temi più importanti da lui fotograficamente documentati.
Documenta le trasformazioni dell'Italia degli anni '60 e '70. Dopo le contestazioni e le atmosfere del sessantotto, documenta il grande flusso degli immigranti dal meridione d'Italia al loro arrivo alla Stazione di Milano Centrale, famose le foto delle valigie e i cartoni portati a spalla e legati con lo spago[28], come anche il trasbordo degli emigranti e la calca alla frontiera italo-svizzera di Luino nel 1973[29]
Subito dopo, come scrive Michele Smargiassi de la Repubblica, «perlustra [...] anche il mondo»[30]:
«L’Albania maoista e il Portogallo dei garofani, l’Angola fratricida e l’Eritrea stremata, la Cina delle metropoli istantanee e l’India dei bambini di strada, sempre con lo stesso spirito: cercare l’uomo. Passa in mezzo alle guerre senza celebrare la guerra: il viso ridente di una guerrigliera quasi bambina della Guinea Bissau, appoggiata a un albero col mitra a tracolla, grida che un altro mondo è possibile, deve esserlo»[30]
E ancora settembre nero in Giordania, e le guerre jugoslave.
Una serie di suoi reportage è dedicato al lavoro in Italia e soprattutto a Genova, fotografie che vanno «dalla cronaca al documento politico e sociale»[31], dagli operai a responsabili di alcune istituzioni liguri. Raccolte tutte in uno dei suoi tanti libri fotografici: Il libro dei lavori con una prefazione di Susanna Camusso riprende operai delle fabbriche dell’acciaio, vigili del fuoco, personale dell’acquario di Genova, e ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia[31].
Lucas sviluppa la propria sensibilità fotografica non solo grazie all'influenza dell'ambiente proletario familiare, ma anche dall'essere stato, come reporter, protagonista del movimento del Sessantotto e dalla sua forte richiesta di cambiamento con la sua carica di contestazione. Questa influenza si tradurrà ben presto in impegno sociale che trasparirà dai temi più disparati affrontati dai suoi reportage: L'immigrazione, l’industrializzazione selvaggia e la relativa distruzione del territorio, la classe operaia e la loro condizione (come all'Alfa Romeo di Arese nel 1978), la condizione dei detenuti (come quelle nel carcere di San Vittore e quello di Bollate)[32], i malati di mente e le loro condizioni disagiate in strutture una volta conosciuti solo come "manicomi".
Impegno sociale rilevato anche da Tatiana Agliani[33], studiosa e storica[34] di comunicazione visiva, che in una recensione alla mostra retrospettiva del fotografo milanese nel 2017, scrive che le sue foto ripercorrono le tappe come fotoreporter fino ad arrivare: «alla svolta rappresentata dai profondi cambiamenti sociali e di costume e dalle battaglie politiche e civili degli anni Sessanta e Settanta che portano alla nascita di un nuovo modo di raccontare del fotogiornalismo italiano. E ripercorre l’impegno ventennale di Lucas in un’indagine sui problemi della propria società che trae nutrimento dalle idealità del periodo, dall’associazionismo diffuso di un mondo che si dedica con passione a comprendere il proprio tempo e ad affermare i diritti dell’individuo»[35].
«La fotografia è muta. Per guardare una fotografia bisogna essere colti»
Lucas è anche noto per aver documentato dall'Europa al Medio Oriente e all'Africa, le rivoluzioni, le lotte di liberazione e le guerre del suo tempo.
Famose le foto delle miliziane appartenenti al Partito africano per l’indipendenza della Guinea e di Capo Verde nella foresta della Guinea Bissau nel 1970[37], quelle dei bambini soldato in Eritrea nel 1975[38]. Importanti anche i suoi reportage nel 1993 della guerra in Jugoslavia con immagini delle martoriate Sarajevo e Mostar[38] o in Giordania fra i guerriglieri di Damasco[39].
Le peculiarità dei suoi reportage riguardano soprattutto le condizioni dei vivi, le loro difficoltà, gli stati psicologici e le speranze, perfino la "dignità" della gente che con la guerra convive, più che scene di battaglie, di morte, o più in generale del la spettacolarizzazione della guerra. Molto critico è infatti verso alcune categorie di colleghi che senza una preparazione culturale dei luoghi fotografati, erano alla esclusiva ricerca di scenari sensazionalistici, protesi a suo avviso, solo a "far cassa" più che a documentare il conflitto evidenziando le ragioni politiche, storiche e culturali[40]. Su questo, in una lunga intervista afferma:
«[...] c’è invece un’altra categoria, quella che va nelle zone di guerra, senza un legame preciso, serio, “salariato” si sarebbe detto una volta, con il mondo della committenza giornalistica ed editoriale. E spesso senza capire nulla delle regioni e delle ragioni (storiche, politiche, culturali) dei luoghi che vanno a fotografare e a raccontare.
[...]. Infine, ci sono i prezzolati, freelance mandati allo sbaraglio, i “paparazzi del dolore”, che vogliono solo vedere e vendere l’odore, il sangue, la morte. Come ho visto accadere in Africa o a Sarajevo, dove nessuno voleva vedere la dignità delle donne che si truccavano, che uscivano la sera, che andavano a fare la spese. Sotto le bombe, e in una città assediata, ma segno di una vita normale che loro difendevano e rivendicavano, e che nessuno voleva riprendere. Volevano solo vendere la morte»[40].
Alcuni dei più importanti reportage del fotografo milanese, riguardarono proprio la sua città e soprattutto il suo hinterland che ha fotografato mettendo in risalto aspetti inconsueti, ma in cui viene ulteriormente evidenziato il suo impegno sociale. Per le realtà dell'attuale città metropolitana, Lucas è ritenuto il reporter che meglio ha saputo raccontare le sue periferie e i suoi quartieri "caserme"[41], e non solo, anche della Milano del boom economico, dell'immigrazione e delle lotte studentesche[42].
Sarà proprio una sua foto su Milano nel libro fotografico Cinque anni a Milano a diventare oggetto di uno dei processi[43] più travagliati d'Italia, quello dell'omicidio di Luigi Calabresi, commissario di polizia e addetto alla squadra politica della Questura di Milano. Ad una foto del suo libro infatti, fa riferimento con due dichiarazioni, Roberto Sandalo che asserì che sia Marco Donat-Cattin che Massimiliano Barbieri militanti dell'organizzazione terroristica di estrema sinistra Prima Linea, indicarono in una foto del libro di Uliano Lucas l'autore dell'omicidio del commissario[43].
«Si può e si deve fotografare l’Italia. Credo che quei ragazzi siano vittime di una falsa idea di stile fotografico internazionale, omogeneo, globalizzato, una lingua franca comune a tutti, che si venda bene nel giro delle agenzie internazionali, ma non è così, è un inganno pericoloso. Tu che nasci a Udine o a Viterbo non avrai mai due secoli di cultura industriale dietro gli occhi, non farai mai le foto che fa un ragazzo di Detroit, devi tirare fuori il meglio dalla tua cultura visuale, non imitarne un’altra, resterai fregato, preferiranno l’originale alla copia»
(Uliano Lucas, su La Republica del 5 ottobre 2012)
Lucas, come suoi altri noti colleghi[44], non si è sottratto alla polemica che ha riguardato il fotogiornalismo italiano, anche quello dell'epoca di reportage sensazionalistici[45][46], tanto da scriverci anche un libro con Tatiana Agliani: La realtà e lo sguardo - Storia del fotogiornalismo in Italia[47], dimostrandone anche «i limiti che ne hanno segnato [la sua] evoluzione in Italia»[48]. Lucas nel libro non risparmia critiche e giudizi, un fotogiornalismo quello italiano, artefatto, ideologico fino a rasentare "il falso storico", come fa infatti rilevare il Corriere della Sera in un articolo a firma di Arturo Carlo Quintavalle: «ogni ideologia ha le sue immagini e, lo dimostra il libro, ogni pubblico ha le sue iconografie, dalla borghesia al proletariato. Le foto non sono così il racconto del «vero»: la scelta del direttore, quella dei redattori, sono condizionanti, come anche la grafica, e ogni immagine viene tagliata, interpretata dal contesto o dalle didascalie. Così, capitolo dopo capitolo, il libro si trasforma in un epicedio del fotogiornalismo, storia amara della fotografia e dei fotografi traditi»[49].
Nel 2013, in occasione della prima retrospettiva a lui dedicata, ha espresso grande sfiducia nei confronti dei nuovi media e sul ruolo del giornalista e del fotoreporter, che giudica «finito»[50].
«Un luogo di conoscenza, riflessione, ricerca sulla fotografia italiana, sulla sua storia e i suoi protagonisti, sulla sua identità»
Dal 14 maggio 2016, il piano nobile del palazzo Palazzo Martinengo Colleoni di Malpaga di Brescia ospita il museo Ma.Co.f. - Centro della Fotografia Italiana. Creato per volontà dei fotografi Uliano Lucas, Gianni Berengo Gardin e Renato Corsini in collaborazione con le storiche della fotografia Tatiana Agliani e Giovanna Bertelli. Il museo espone anche una collezione permanente di circa 240 fotografie originali di 42 tra i più importanti e rappresentativi fotografi italiani del XX secolo, tra i quali anche lo stesso Uliano Lucas[52].
Personali
Carrara, 2024, "Uliano Lucas. Altre voci, altri luoghi", CARMI (Museo Carrara e Michelangelo), dal 3 febbraio al 5 maggio 2024
Coimbra, 2023 - 2024, "Revoluções – Guiné-Bissau, Angola e Portugal (1969-1974) Fotografias de Uliano Lucas", Galleria Pedro Olayo dal 23 novembre 2023 al 17 marzo 2024
Dalmine, 2022, nell'ambito del "Festival Dalmine Manifestazioni Fotografiche", mostra: "Uliano Lucas - Altre voci altri luoghi"
Bari, 2022Bari - storie e frammenti, Museo civico di Bari, dal 29 marzo al 1 maggio 2022.
Scuole attive in una decina di città del Nord Italia tra il 1945 e i primi anni cinquanta. Le scuole, per giovani dai quindici ai ventotto anni, furono inizialmente riservate a ex partigiani, ma in seguito estesero la loro attività aprendosi "ai reduci dalla deportazione e dalla prigionia, i figli dei caduti e delle vittime politiche e dei perseguitati politici, indipendentemente da ogni distinzione di razza, di religione e di ideologia politica...ai lavoratori e ai figli dei lavoratori