Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (Venezia)
edificio religioso di Venezia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanìpoło in veneziano) è uno degli edifici medievali religiosi più imponenti di Venezia, assieme alla basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Sorge nell'omonimo campo, nel sestiere di Castello. Viene considerata il pantheon di Venezia per via del gran numero di dogi veneziani e altri importanti personaggi che vi sono stati sepolti a partire dalla fondazione. Nel settembre del 1922 papa Pio XI l'ha elevata alla dignità di basilica minore[1].
Basilica dei Santi Giovanni e Paolo | |
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Esterno | |
Stato | Italia |
Regione | Veneto |
Località | Venezia |
Coordinate | 45°26′21.48″N 12°20′31.92″E |
Religione | Cattolica romana |
Titolare | Giovanni e Paolo |
Ordine | Domenicano |
Patriarcato | Venezia |
Consacrazione | 1430 |
Stile architettonico | gotico |
Completamento | 1343 |
Demolizione | 1810 |
Sito web | Sito ufficiale |
Secondo la leggenda, le origini della basilica sono connesse a una visione del doge Jacopo Tiepolo, che donò nel 1234 l'oratorio di San Daniele ai frati domenicani, presenti in città da oltre dieci anni. Subito si costruì la chiesa duecentesca, dedicata ai martiri romani del IV secolo Giovanni e Paolo. L'aumento dell'attività dei frati domenicani impose ben presto un ampliamento, che fu diretto dai due frati domenicani Benvenuto da Bologna e Nicolò da Imola; il cantiere fu chiuso nel 1343, ma i lavori di abbellimento durarono ancora quasi un secolo: il 14 novembre 1430, la chiesa fu solennemente consacrata. Nel 1581, il monastero ospitava 35 religiosi ed era uno dei più grandi della città.[2] Da allora fu continuamente arricchita di monumenti sepolcrali, dipinti e sculture opera dei maggiori artisti veneziani, finché nel 1807, in piena età napoleonica, i domenicani vennero allontanati dal loro convento, trasformato in ospedale, e la chiesa viene privata di numerose opere d'arte. Nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1867 un incendio distrusse completamente l'annessa Scuola Grande del Rosario (ora cappella), insieme ai dipinti che vi erano conservati. Lo scrittore antirisorgimentale padovano Alessio De Besi (1842-1893), nel suo romanzo Cuore d'artista (1867), considerò l'incendio come l'ennesimo atto di vandalismo compiuto dagli atei, riferendosi esplicitamente a «un'empia e sacrilega mano»[3]. Durante la seconda metà dell'Ottocento il movimento ateistico nel Veneziano aveva come guida il barone inglese Ferdinando Godwin Swift (1831-1890); le bande degli atei erano molto attive e danneggiarono capitelli e immagini sacre tra le calli[4], tuttavia De Besi non fornisce prove che confermino la sua accusa.
Il restauro di questa cappella si concluse nel 1959.
La chiesa si presenta con un'alta facciata a salienti, aperta da un rosone centrale e da due occhi laterali. La parte bassa è caratterizzata da sei nicchioni gotici, che custodiscono alcuni sepolcri, e dal grande portale, ornato da sei colonne di marmo proconnesio qui trasportate nel 1459. Autori dell'opera sono Bartolomeo Bono fino ai capitelli, il maestro Domenico Fiorentino per il fregio, e magister Luce per la parte sommitale. Il corpo centrale della facciata è coronato da tre particolarmente elaborate guglie a tempietto: all'interno ospitano le effigi dei tre santi domenicani maggiori mentre le statue di altri dedicatari sono disposte ai quattro angoli delle cuspidi. Al centro è san Domenico con sopra quattro santi dell'ordine e il Padre Eterno sulla cima, a sinistra è san Pietro martire con gli evangelisti e l'aquila di Giovanni, a destra è san Tommaso d'Aquino con quattro dottori della chiesa e il leone di san Marco[5].
Al fianco che prospetta sul campo si addossano varî edifici e cappelle:
Sul retro si può ammirare il complesso delle absidi, aperto da slanciatissime finestrature gotiche, tra le più alte espressioni del tardogotico veneziano. La cupola a doppia calotta (altezza interna: 41 m; altezza esterna 55,40 m) fu aggiunta alla fine del Quattrocento.
La pianta è a croce latina con transetto e tre navate suddivise da enormi colonne cilindriche (eccettuate la quarta a sinistra e a destra, che sono pilastri formati dall'unione di tre colonne cilindriche più sottili). Le altissime volte gotiche sono collegate da tiranti lignei, che hanno la funzione di contrastare le spinte generate dalle volte a crociera e degli archi. Le dimensioni sono veramente grandiose: 101,60 m di lunghezza, 45,80 di larghezza nel transetto, 32,20 di altezza. Alle pareti, interamente rifinite con una tramatura a regalzier (finto ammattonato), alle navate sono addossati numerosi monumenti, e a destra si aprono le cappelle. Anche sul transetto si affacciano due cappelle per lato, che affiancano il presbiterio. Fino al Seicento la navata maggiore era divisa trasversalmente in due parti (come avviene ancora oggi nella Basilica dei Frari) dal coro dei frati, che fu demolito per dare spazio alle solenni celebrazioni che si svolgevano in questa chiesa, per esempio i funerali dei dogi. Unico avanzo di questa monumentale struttura sono i due altari (di Santa Caterina da Siena e di San Giuseppe) che si trovano all'incrocio tra la navata e il transetto, rispettivamente a destra e a sinistra.
L'intera controfacciata è occupata da monumenti della famiglia Mocenigo:
È dominato sulla parete di fondo dal grandioso finestrone gotico, con vetrata colorata, compiuta da Giovanni Antonio Licinio detto da Lodi, su cartoni attribuiti a Bartolomeo Vivarini, a Cima da Conegliano e a Girolamo Mocetto. Sotto di esso si possono vedere due altari rinascimentali: quello di destra è ornato dall'Elemosina di sant'Antonino, pala eseguita nel 1542 circa da Lorenzo Lotto, quella di sinistra dal Cristo tra i santi Pietro e Andrea, opera di Rocco Marconi. Inoltre al centro, sotto un baldacchino, è conservata la sedia del doge (spostato verso il centro della navata sinistra). Sopra la porta si erge invece il monumento a Dionigi Naldi, caduto al servizio della Repubblica durante la Guerra della Lega di Cambrai, opera di Antonio Minello.
Sulla parete laterale si trovano l'Incoronazione della Vergine di Giambattista Cima da Conegliano e il monumento con statua equestre in legno dorato di Niccolò Orsini (morto nel 1510), conte di Pitigliano, che combatté per la Repubblica di Venezia contro gli eserciti della lega di Cambrai, opera attribuita ad Antonio Minello. Il condottiero, tra l'altro, non avrebbe dovuto essere tumulato qui, bensì nel suo sepolcro approntato nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Ghedi, dove l'Orsini deteneva il suo feudo.[6]
Aperto dagli altissimi finestroni gotici, splendidamente illuminati specialmente nelle ore mattutine, è scandito dagli snellissimi costoloni che si riuniscono nella chiave di volta con lo stemma della Scuola Grande di San Marco, che qui si riuniva. A partire dalla parete destra vi si trovano:
Qui sorgeva fin dal Trecento una cappella dedicata a San Domenico, poi sostituita nel 1582 dalla cappella della Scuola del Rosario, dedicata alla Madonna del Rosario, nella cui ricorrenza (7 ottobre 1571) avvenne la battaglia di Lepanto. Bruciò nel 1867 insieme ai capolavori che vi erano contenuti: il soffitto in legno dorato con tele del Tintoretto e di Palma il Giovane, altre 34 tele, e soprattutto il Martirio di san Pietro di Tiziano e la Madonna e Santi di Giovanni Bellini che vi erano depositati per restauro. A seguito di un lungo e travagliato iter di restauro, fu inaugurata nel 1922. La cappella è formata da una navata rettangolare e da un presbiterio quadrato, entrambi coperti da un soffitto intagliato di Carlo Lorenzetti inaugurato nel 1932. Nel soffitto della navata sono racchiusi tre capolavori del Veronese qui portati dalla chiesa dell'Umiltà alle Zattere: l'Adorazione dei Pastori, l'Assunta e l'Annunciazione. Sulla parete di fondo un'altra Adorazione dei pastori sempre del Veronese. Sulla parete destra Gesù morto dello Giovanni Battista Zelotti, Gesù incontra la Veronica di Carlo Caliari, il bel San Michele sconfigge Lucifero, di Bonifacio de' Pitati. Sulla parete sinistra: Martirio di Santa Cristina di Sante Peranda, Lavanda dei piedi e Cena eucaristica di Benedetto Caliari, San Domenico salva dei marinai invitandoli alla preghiera del rosario del Padovanino. Le due pareti laterali sono fiancheggiate da dossali lignei di Giacomo Piazzetta (1698). Il soffitto del presbiterio è ornato da altre opere del Veronese: al centro la tela quadriloba dell'Adorazione dei Magi (1582), agli angoli i quattro Evangelisti. L'altare è sormontato da un tempietto quadrato di Girolamo Campagna, al cui interno si trova la statua novecentesca della Madonna del Rosario, scolpita da Giovanni Dureghello nel 1914. Tutto intorno all'altare sono stati ricomposti dopo l'incendio dieci bassorilievi settecenteschi. Il resto del presbiterio è decorato con statue e bassorilievi.
Partendo dal transetto vi si possono ammirare principalmente:
È completamente ornata da dipinti che costituiscono una vera e propria esaltazione dell'Ordine domenicano, eseguiti tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Seicento. I più importanti sono il Cristo portacroce di Alvise Vivarini, la vasta tela di Leandro da Bassano, di fronte alla porta, Onorio III approva la regola di San Domenico, il Crocifisso adorato da santi domenicani, sull'altare, di Palma il giovane, e San Domenico e San Francesco, sopra la porta, di Angelo Lion.
Sorse insieme all'attigua chiesa ed era già terminato nel 1293. Fu ricostruito da Baldassare Longhena tra il 1660 e il 1675. Oggi ospita l'Ospedale civile di Venezia. È articolato intorno a due chiostri e a un cortile. Ad est si trova il dormitorio dei frati, attraversato da un lunghissimo corridoio su cui si aprono le celle. Lo scalone del Longhena si caratterizza per i magnifici intarsi marmorei; la biblioteca conserva ancora il bellissimo soffitto ligneo di Giacomo Piazzetta (1682), con dipinti di Federico Cervelli. Frati illustri di questo convento furono lo storico e teologo Girolamo da Forlì, che proprio a Venezia ottenne la licenza in teologia, nel 1391, e Francesco Colonna, autore della Hypnerotomachia Poliphili.
Il doge Marino Zorzi fu sepolto nel chiostro, a fianco a lui fu sepolta la sua dogaressa nel 1320[17][18]. Si perse memoria del punto esatto dove furono sepolti Marino e la moglie Agneta (o Agnese), così i frati apposero una lapide commemorativa[19].
Attualmente il convento domenicano ha sede in quella che era la Scuola di Sant'Orsola. La comunità domenicana a Venezia ha come sua missione, oltre alla cura pastorale della parrocchia, la promozione di incontri culturali, la predicazione del messaggio cristiano attraverso l'arte e la catechesi.
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