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patrioti italiani Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Attilio Bandiera (Spalato, 24 maggio 1810 – Vallone di Rovito (Cosenza), 25 luglio 1844) ed Emilio Bandiera (Venezia, 20 giugno 1819 – Vallone di Rovito (Cosenza), 25 luglio 1844) furono due patrioti italiani, protagonisti del Risorgimento.[1]
Furono giustiziati per fucilazione in seguito alla sentenza della corte marziale del Regno delle Due Sicilie a Cosenza il 25 luglio 1844 dopo un fallito tentativo di sollevare le popolazioni calabresi contro il regno di Ferdinando II nella prospettiva di un'unificazione nazionale italiana.
Attilio ed Emilio erano figli del barone Francesco Giulio Bandiera, ammiraglio, e di Anna Marsich (Corfù 26 agosto 1786 - Venezia 22 febbraio 1872);[2] Attilio nasce a Spalato[3] mentre il padre era in servizio di scorta a due fregate francesi nell'Adriatico. Sia Attilio che Emilio divennero ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee di Giuseppe Mazzini e fondarono la società segreta Esperia, nome con il quale i greci indicavano l'Italia antica.
Nello statuto della Società si prescriveva di non fare, « se non con sommo riguardo, affiliazioni tra la plebe », essendo questa quasi sempre « imprudente e per bisogno corrotta. È da rivolgersi a preferenza ai ricchi, ai forti e ai dotti, negligendo i poveri, i deboli, gli ignoranti ».[4]
I Bandiera tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia, ma essendosi resi conto d'essere circondati da numerose spie fuggirono a Corfù ritrovandosi con un manipolo di esuli. Il 19 ottobre 1837 Attilio sposò Maria Graziani (Venezia 1818 - 14 maggio 1845), figlia di Leone Graziani (Corfù 1791 - Venezia 1852), ammiraglio della marina veneta. La giovane ebbe un aborto e passò i successivi sei anni malata di tisi, malattia che la portò alla morte.[5]
Il 15 marzo 1844 a Cosenza, capoluogo della Calabria Citeriore nel Regno delle Due Sicilie, scoppiò un moto durante il quale il capitano Galluppi, figlio del filosofo Pasquale Galluppi, cadde sotto il fuoco della gendarmeria borbonica insieme ad altri quattro compagni; in seguito a questo episodio, altri sei del gruppo furono condannati a morte e fucilati l'11 luglio. Le loro salme riposano nella cappella d'Orazione e Morte, all'interno del duomo di Cosenza.
Il 13 giugno 1844 i fratelli Bandiera, disertori della Marina da guerra austriaca, partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria, insieme a 17 compagni, al brigante calabrese Giuseppe Meluso e al corso Pietro Boccheciampe. Il 16 giugno 1844 sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone, apprendendo che la rivolta scoppiata a Cosenza si era conclusa e che al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.[6] Pur non essendoci alcuna rivolta, i fratelli Bandiera vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.[7] Uno dei loro compagni, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. L'allarme dato raggiunse anche la cittadina di San Giovanni in Fiore e più precisamente
«…giorno 19 giugno del 1844. In punto che corrono le ore 18 (ore 14 correnti), è qui che giunse la triste notizia che il bandito Giuseppe Meluso di San Giovanni in Fiore, da molti anni rifugiò in Corfù, sia disbarcato nelle marine del Marchesato, con un mediocre numero di persone abbigliate alla militare, e introdottisi in tenimento di Cerenzia e Caccuri, limitrofo a questo capoluogo, col disegno di perturbare la pubblica quiete»
Catturati dalla Polizia borbonica dopo un breve scontro a fuoco, i Bandiera, il Meluso ed altri sette compagni vennero processati davanti all'Alta Corte Marziale e condannati a morte per fucilazione che venne eseguita all'alba del 25 luglio del 1844 nel Vallone di Rovito, alle porte di Cosenza. Prima di cadere sotto il fuoco dei gendarmi, le loro ultime parole furono il grido: Viva l'Italia!.
Le tre salme sono sepolte nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo[8] di Venezia. Tra i sopravvissuti dei compagni di spedizione la cui pena fu tramutata in ergastolo, vi furono anche Carlo Osmani di Ancona e Giuseppe Tesei di Pesaro, fratello di Francesco, caduto durante gli scontri.[9] Furono condannati al carcere a vita anche Giovanni Vanessi di Venezia e Giuseppe Pacchioni di Bologna che, bravo incisore, durante la prigionia in Cosenza disegnò i volti di sei dei suoi compagni di cella.
A Cosenza dal 1860 una colonna votiva nei pressi del sito storico della loro fucilazione ricorda i due eroi risorgimentali, e dal 1937 è stato dedicato un mausoleo con un altare sul quale sono incisi i nomi dei martiri cosentini e dei componenti della spedizione dei Fratelli Bandiera, costituito da uno spazio circondato da alti cipressi e da un muro di cinta. Negli anni 2000 la zona e l'altare hanno subito un processo di riqualificazione e restyling strutturale attraverso un progetto illuminotecnico che restituisce alla fruizione un luogo della memoria e un'area ricca di qualità paesaggistiche, compresa tra il vecchio ponte delle Ferrovie della Calabria e le arcate dell'acquedotto romano. Il monumento nazionale ai caduti della spedizione dei fratelli Bandiera fu realizzato tra il 1961 e il 1966 in località Bucchi a Crotone dall'architetto Giorgio Volpato, voluto dal sindaco professore Salvatore Regalino. La prima pietra fu posta in occasione del centenario dell'Unità d'Italia il 26 marzo 1961, e il monumento fu inaugurato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il 21 aprile 1966. Parallelepipedo di calcestruzzo, cemento e marmo, è una struttura su due livelli con 17 blocchi di pietra di Trani a simboleggiare gli uomini della spedizione fucilati. In occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia è stato riqualificato.
Nel 2003 è stato realizzato un altro monumento dedicato ai Fratelli Bandiera, dall'artista Luigi Basile, installato nella piazza centrale del comune di Belvedere di Spinello (KR). L'opera è stata realizzata con la tecnica della fusione cera persa in bronzo, un altorilievo di misura 50x70 dove lo sculture Luigi Basile rappresenta i due fratelli Attilio ed Emilio che insieme sostengono la bandiera. L'altorilievo in bronzo viene incastrato in una pietra locale, nel quale sul lato destro viene scolpita a mano per dare una somiglianza alla Timpa del Salto, Montagna sotto Belvedere di Spinello, dove nel Giugno del 1844 ci fu un violento scontro a fuoco tra le guardie del luogo e la spedizione dei fratelli bandiera.
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