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scrittore, saggista, poeta, filosofo e traduttore argentino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo, noto semplicemente come Jorge Luis Borges (IPA: [ˈxorxe ˈlwis ˈborxes], ; Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986), è stato uno scrittore, poeta, saggista e traduttore argentino.
Le opere di Borges hanno contribuito alla letteratura filosofica e al genere fantastico. Il critico Ángel Flores, primo ad utilizzare l'espressione "realismo magico" per definire quel genere che intende rispondere al realismo e al naturalismo dominante del XIX secolo[1][2], considera come inizio di tale movimento la pubblicazione del libro di Borges Storia universale dell'infamia (Historia universal de la infamia)[2].
È ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo,[3] ispirato tra gli altri da Macedonio Fernández, Rafael Cansinos Assens, dalla letteratura inglese (Chesterton, De Quincey, Kipling, Stevenson, Shaw, Wells, Wilde), da quella tedesca (Schopenhauer, Heine, Kafka) e dal taoismo. Narratore, poeta e saggista, è famoso sia per i suoi racconti fantastici, nei quali ha saputo coniugare idee filosofiche e metafisiche con i classici temi del fantastico (quali: il doppio, le realtà parallele del sogno, i libri misteriosi e magici, gli slittamenti temporali)[4], sia per la sua più ampia produzione poetica, dove, come afferma Claudio Magris, si manifesta "l'incanto di un attimo in cui le cose sembra stiano per dirci il loro segreto"[5].
Oggi l'aggettivo «borgesiano» definisce una concezione della vita come opera d'invenzione, menzogna, contraffazione spacciata per veritiera (come nelle sue famose recensioni di libri immaginari, o le biografie inventate), fantasia o reinvenzione della realtà.
Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo nacque prematuro (all'ottavo mese di gravidanza) nella stessa casa di via Tucumán 840 a Buenos Aires dove era già nata sua madre.[6] Figlio di Jorge Guillermo, avvocato e insegnante di psicologia - in lingua inglese - all'Instituto del Profesorado en Lenguas Vivas e di Leonor Acevedo Haedo. Pochi anni dopo, la famiglia si trasferì nel quartiere Palermo, che sarebbe diventato un'ambientazione ricorrente della sua opera. Il futuro scrittore - che sin da piccolo manifestò i sintomi di quella cecità che nei Borges era ereditaria da ben 6 generazioni - venne educato in casa, oltre che dal padre e dalla nonna materna, da un'istitutrice inglese e si rivelò ben presto un bambino precocissimo: a sette anni scrisse il suo primo racconto - La visiera fatal - e a nove tradusse il racconto di Oscar Wilde Il principe felice (pubblicato su El País a firma di Jorge Borges: si ritenne che la traduzione fosse ovviamente del padre). Nel 1908 venne iscritto alla quarta classe elementare della scuola pubblica.[6]
Nel 1914 si trasferì con i genitori, la sorella Norah (nata nel 1901) e la nonna materna - quella paterna li raggiunse in seguito - a Ginevra, dove restò fino al 1918. Il soggiorno svizzero, durante il quale frequentò il Collège Calvin (rue Theodore de Beze, Ginevra, fondato da Giovanni Calvino nel 1559), fu un periodo di intensi studi (tra cui le lingue latina, francese e tedesca) e ampie letture di autori europei. Nel 1918, dopo la morte della nonna materna, si trasferì con la famiglia dapprima a Lugano e, l'anno successivo, a Maiorca. Qui, prima di trasferirsi a Siviglia e poi a Madrid, scrisse i suoi primi due libri rimasti inediti: uno di poesie (Los ritmos rojos di celebrazione della rivoluzione russa) e uno di prose (Los naipes del tahur, Le Carte del Baro). Nel 1919, durante il soggiorno a Siviglia, per la prima volta venne pubblicata, sul numero 37 della rivista Grecia, una sua poesia, Himno del mar (Inno al Mare).[6]
Il 24 gennaio 1921 fu pubblicato il primo numero della rivista letteraria spagnola Ultra, la quale, come suggeriva il nome, era l'organo di diffusione del movimento ultraista. Fra i collaboratori più noti si ricordano lo stesso Borges, Rafael Cansinos-Assens, Ramón Gómez de la Serna e Guillermo de Torre che sposò nel 1928 Norah Borges[6].
Il 4 marzo 1921 la famiglia Borges - composta dalla nonna paterna, Frances Haslam, che si era unita a Ginevra nel 1916; i genitori, Leonor Acevedo e Jorge Guillermo Borges e la sorella Norah Borges - si imbarcò nel porto di Barcellona sulla nave (la "Reina Victoria Eugenia") che li avrebbe riportati a Buenos Aires[6]. Al porto li aspettava Macedonio Fernández, la cui amicizia Borges ereditò dal padre. Una volta a Buenos Aires egli scrisse nella rivista Cosmópolis, fondò la rivista murale Prisma (della quale però furono pubblicati solo due numeri) e scrisse anche su Nosotros, diretta da Alfredo Bianchi[6].
Nel 1922 egli andò a trovare Leopoldo Lugones insieme a Eduardo González Lanuza, per consegnargli il secondo (e ultimo) numero di Prisma. Fonda la prima serie della rivista Proa con Macedonio Fernandez e altri scrittori. Nell'agosto del 1924 seconda serie della rivista Proa con Ricardo Güiraldes, autore di Don Segundo Sombra, Alfredo Brandán Caraffa e Pablo Rojas Paz. Nel 1931 uscì il primo numero di Sur, rivista fondata e diretta da Victoria Ocampo; in questo primo numero Borges collaborò con un articolo dedicato al colonnello Ascasubi.[6]
Nel 1923, il giorno prima del secondo viaggio in Svizzera, Borges pubblicò il suo primo libro di poesie, Fervore di Buenos Aires (Fervor de Buenos Aires), in cui si prefigurava, come disse lo stesso Borges, tutta la sua opera successiva. Fu un'edizione preparata in fretta e furia in cui erano presenti alcuni refusi ed era priva di prologo. Per la copertina sua sorella Norah realizzò un'incisione, e ne furono stampate all'incirca trecento copie; le poche che ancora si conservano sono considerate dei tesori dai bibliofili: in alcune sono addirittura rinvenibili correzioni manoscritte realizzate dallo stesso Borges. L'unica copia appartenente alla Biblioteca Nazionale Argentina è stata rubata nel 2000 insieme ad altre prime edizioni di Borges.[6]
Più tardi scrisse, tra le altre pubblicazioni, nella rivista Martín Fierro, una delle riviste chiave della storia della letteratura argentina della prima metà del XX secolo.[6] Nonostante la sua formazione europeista, Borges rivendicò con le tematiche trattate le sue radici argentine, e in particolare "porteñas" (cioè di Buenos Aires), nelle opere come Fervore di Buenos Aires (1923), Luna di fronte (Luna de enfrente) (1925) e Quaderno San Martín (Cuaderno de San Martín) (1929).[6]
Sebbene la poesia fosse uno dei fondamenti della sua opera letteraria, il saggio e la narrativa furono i generi che gli procurarono il riconoscimento internazionale.[6] Dotato di una vasta cultura, costruì un'opera di grande solidità intellettuale sull'andamento di una prosa precisa e austera, attraverso la quale poté manifestare un distacco talora ironico dalle cose del mondo, senza per questo rinunciare al suo delicato lirismo. Le sue strutture narrative alterano le forme convenzionali del tempo e dello spazio per creare altri mondi di grande contenuto simbolico, costruiti a partire da riflessi, inversioni, parallelismi. Gli scritti di Borges prendono spesso la forma di artifici o di potenti metafore con sfondo metafisico.[6]
Tra i suoi amici di questo periodo si ricordano José Bianco, Adolfo Bioy Casares, Estela Canto e altri, soprattutto nel novero del circolo della rivista Sur, fondata dalla sua amica Victoria Ocampo.[6]
Nel 1938 muore il padre, cieco da anni. Con l'aiuto del poeta Francisco Luis Bernárdez, Jorge Luis ottenne un posto di aiuto catalogatore alla biblioteca municipale Miguel Cané nel quartiere di Boedo. In questa biblioteca poco frequentata poté continuare la sua attività, cioè a passare i giorni fra i libri, leggendo e scrivendo. La vigilia di Natale dello stesso anno, in seguito a una ferita alla testa, dovuta a un banale trauma in casa, va in setticemia e rischia la vita. Durante la convalescenza, per aver prova di esserne ancora in grado, scrive Pierre Menard, autor del Quijote. Nel 1946 Juan Domingo Perón venne eletto presidente, sconfiggendo così la Unión Democrática. Borges, che aveva appoggiato quest'ultima, manifestò la sua avversione al nuovo governo, tanto che fu costretto ad abbandonare la sua posizione di bibliotecario[6] e fu "degradato" a ispettore di pollai.[7]
Per questo motivo egli dovette superare la sua timidezza e iniziare a tenere conferenze. Nel 1948 sua sorella Norah e sua madre vennero incarcerate, accusate di aver dato scandalo nella loro vita pubblica. Norah Borges (e la sua amica Adela Grondona) vennero portate al carcere femminile del Buon Pastore, mentre a Leonor Acevedo furono concessi gli arresti domiciliari vista l'età avanzata.[6]
Nel 1950 Borges venne eletto presidente della Sociedad Argentina de Autores e, un anno dopo, uscì in Messico Antiguas Literaturas Germánicas (Brume, dei, eroi), scritto in collaborazione con Delia Ingenieros.[6]
In seguito alla Revolución Libertadora che depose Perón, Borges fu nominato direttore della Biblioteca Nazionale Argentina, incarico che ricoprì dal 1955 fino alle sue dimissioni del 1973, dovute al ritorno al potere proprio di Perón. Lo stesso anno fu eletto membro dell'Accademia argentina delle Lettere.[6]
Nel 1956 divenne professore di letteratura inglese all'Università di Buenos Aires e presidente dell'Associazione degli Scrittori argentini. In questo periodo egli fu molto criticato per la sua adesione al nuovo governo, soprattutto da Ezequiel Martínez Estrada e da Ernesto Sabato. Con quest'ultimo le diatribe proseguirono fino al 1975.[6]
Dagli anni '40, la malattia agli occhi ereditata dal padre, la retinite pigmentosa[8], unita alla forte miopia di cui già soffriva, peggiorò rapidamente e gli provocò una progressiva ipovisione, e Borges divenne completamente cieco alla fine degli anni '60. Questo non rallentò tuttavia la sua creatività letteraria e il suo ritmo di lavoro.[6]
Borges ricevette una gran quantità di riconoscimenti. Tra i più importanti: il Premio Nazionale di Letteratura (1957), il Premio Internazionale degli editori (1961), il premio Formentor insieme a Samuel Beckett (1969), il Premio Miguel de Cervantes insieme a Gerardo Diego (1979) e il Premio Balzan (1980) per la filologia, linguistica e critica letteraria. Tre anni più tardi il governo spagnolo gli concesse la Gran Croce dell'Ordine civile di Alfonso X il Saggio.
Nel 1967, dopo la fine della ventennale relazione sentimentale e intellettuale con la scrittrice e traduttrice Estela Canto (iniziata nel 1944) sposò Elsa Helena Astete Millán, ma la coppia divorziò dopo soli tre anni, nel 1970.[6]
Nonostante il suo enorme prestigio intellettuale e il riconoscimento universale raggiunto dalla sua opera, Borges non fu mai insignito del premio Nobel per la letteratura. Si è sempre ritenuto che la commissione del Premio non abbia mai preso in considerazione l'autore argentino, tuttavia, da alcuni atti recentemente desecretati, si scopre che nel 1967 Borges fu vicino alla vittoria del Nobel, arrivando insieme a Graham Greene sul podio degli autori che contesero l'ambito traguardo col poeta guatemalteco Miguel Ángel Asturias. La motivazione fu che Borges si era dimostrato "eccessivamente esclusivo o artefatto nella sua ingegnosa arte miniaturistica".[9]
Nel 1973, prima della nuova vittoria del peronismo, Borges continuò a ricordare il primo governo di Perón come "gli anni dell'obbrobrio". Nel 1975 morì sua madre, a novantanove anni. A partire da questo momento Borges effettuò i suoi viaggi insieme a María Kodama, una sua ex-alunna, divenuta sua segretaria e infine, a poche settimane dalla morte, sua seconda moglie, sposata per procura in Uruguay.[6]
Morì il 14 giugno 1986, a 86 anni, nella città di Ginevra (Svizzera), dove periodicamente si recava per curarsi agli occhi, in seguito a un cancro al fegato.[6]
Come da lui disposto, i suoi resti riposano al cimitero di Plainpalais (nella parte sud di Ginevra) sotto una lapide grezza di color bianco. Sulla parte superiore si legge semplicemente "Jorge Luis Borges"; più in basso è scritta in inglese antico la frase "And ne forhtedon na" (Giammai con timore), proveniente dal poema epico del X secolo La battaglia di Maldon, insieme a un'incisione circolare raffigurante sette guerrieri che, impugnati gli scudi e sfoderate le spade, si gettano in combattimento e quindi verso la morte. Sotto sono incise una piccola croce del Galles e le date "1899/1986".
Dietro la lapide sono riportati due versi della Saga dei Völsungar (XIII secolo): "Hann tekr sverthit Gram okk / legger i methal theira bert" (Egli prese la sua spada, Gram, e pose il nudo metallo tra i due), al di sotto dei quali è raffigurato un drakkar vichingo. Più in basso compare la scritta "De Ulrica a Javier Otalora".[6]
«Soy ciego y nada sé, pero preveo
que son más los caminos»
«Sono cieco e ignorante, ma intuisco
che sono molte le strade»
Borges ha lasciato la sua grande eredità in tutti i campi della cultura moderna, persino in quella pop, e molti sono gli scrittori che si sono ispirati alle sue opere.[6] Tra questi ci sono scrittori come Julio Cortázar, Italo Calvino, Osvaldo Soriano, Umberto Eco, Leonardo Sciascia, John Barth, Philip K. Dick, Gene Wolfe, Paul Auster, Roberto Bolaño, Zoran Živković, e Carmelo Bene.
Inoltre Borges ha influenzato anche autori di fumetti come Alan Moore e Grant Morrison (che lo cita indirettamente in un episodio della Doom Patrol), cantautori come Francesco Guccini, Roberto Vecchioni (Il miracolo segreto, ispirato all'omonimo racconto di Borges), Giorgio Gaber (Io se fossi Dio, col riferimento alla "superstizione della democrazia"[11]) ed Elvis Costello, e artisti come Luigi Serafini, autore del Codex Seraphinianus. Egli, come lo stesso filosofo francese afferma nella prima prefazione del testo, ispirò anche Le parole e le cose, uno dei più grandi capolavori di Michel Foucault.
Umberto Eco, nel romanzo Il nome della rosa dà il nome di Jorge da Burgos a uno dei personaggi, bibliotecario cieco, chiarendo poi (nelle "postille") che il nome va riferito esplicitamente a Borges.
«Io sono individualista e, in quanto tale, sono stato antiperonista, come sono anticomunista, come sono antifascista.»
Borges si può considerare un liberal-conservatore,[13][14] ma per certi versi anche progressista e non reazionario, al contempo diffidente nei confronti della democrazia di massa, in cui ravvede «abuso delle statistiche» contro l'individuo. Nel racconto L'Altro parla di «superstizione della democrazia», il che lo porta a una posizione di elitismo.[13] Era ostile anche al capitalismo sfrenato, e contemporaneamente al comunismo (sebbene nel 1917 avesse celebrato la rivoluzione d'ottobre[13]), al fascismo (nota la sua avversione, negli anni '30, per il filofascismo e l'antisemitismo della Lega Repubblicana, un partito fondato da Leopoldo Lugones) e alle dittature, da lui ritenute forme di demagogia. In alcune opere criticò il nazismo simpatizzando con gli ebrei perseguitati (a volte affermando di essere egli stesso di origine ebraica), come ne Il miracolo segreto, presente nella raccolta Finzioni del 1944, con protagonista un immaginario scrittore ebreo che viene fucilato dai tedeschi occupanti a Praga.[13] Talvolta si definì anche anarchico.[15]
Degno di nota il suo rapporto, buono per la parte culturale, conflittuale in politica, con un altro grande scrittore sudamericano del XX secolo, Gabriel García Márquez, amico e sostenitore di Fidel Castro.[16] Borges descrisse sé stesso nel 1960 come un aderente al liberalismo classico,[17] nonché un convinto anticomunista (motivo di disputa, talvolta, con la compagna Estela Canto, che era comunista), antifascista[18] e anti-peronista.[17]
Nonostante fosse il favorito d'obbligo di ogni edizione del Premio Nobel per la letteratura dagli anni cinquanta in poi, l'Accademia di Stoccolma non lo premiò mai, preferendogli a volte autori meno conosciuti e popolari. Secondo insistenti voci la ragione andava cercata nelle idee politiche del grande scrittore che, senza mai essere un attivista (si iscrisse soltanto nel 1960, e con intento dichiaratamente "donchisciottesco", al Partito Democratico Nazionale, noto anche come Partito Conservatore, che dopo la fine della coalizione denominata Concordancia aveva però ormai perso ogni centralità), veniva apparentato al conservatorismo e alla destra. Secondo altri la ragione erano le critiche al poeta Artur Lundkvist, membro dell'Accademia. Non gli perdonarono inoltre le sue idee, per l'accademia eccessivamente tradizionaliste, filo-occidentali (seppur amante dell'Oriente), e l'atteggiamento cosmopolita, refrattario sia al folklore (ma non alla madrepatria) sia alle forzature moderniste. Tuttavia non era un nazionalista: in un'intervista concessa al giornalista italiano Toni Capuozzo, Borges defini il nazionalismo «un male» e l'Argentina «un'invenzione».[19]
Dal punto di vista spirituale, Borges era agnostico (sovente si definiva ateo), ma sensibile alle varie suggestioni delle tradizioni religiose (in punto di morte volle parlare con un sacerdote cattolico, pur non convertendosi), che però non influenzano la visione politica, ma solo quella letteraria.[13] Questa indifferenza si ritrova però spesso anche nella maggior parte della vita dello scrittore, in rapporto alla politica e ai problemi dell'attualità, e gli è costata molte critiche.[20][21][22]
Borges dichiarò anche:
«L'impegno sociale dello scrittore è una bestialità.»
Notoria è la sua antipatia viscerale per Juan Domingo Perón e il suo Partito Giustizialista, ritenendolo un partito fascista. Durante il regime di Perón (da Borges chiamato "gli anni dell'obbrobrio") si ebbero anche l'incarcerazione della madre e della sorella dell'autore, nonché il suo temporaneo licenziamento dalla Biblioteca Nazionale.
Diverse tappe della sua carriera pubblica sono segnate dal conflitto col peronismo. Alcune di queste:
Viceversa, Borges salutò con apprezzamenti il governo militare argentino, salito al potere nel 1976 con un colpo di Stato apparentemente incruento dopo aver deposto i peronisti e il loro governo populista e corrotto (guidato, dopo la morte di Perón, dalla sua terza moglie Isabelita e da José López Rega, che poi passò subito dalla parte dei militari), definendo la giunta militare "un governo di caballeros e di galantuomini". Lo scrittore fu invitato a un incontro a cena con il generale Jorge Rafael Videla nel maggio 1976, con Ernesto Sabato e altri intellettuali vicini al regime.[13]
In seguito, tuttavia, si ebbe un suo progressivo allontanamento dal regime: Borges rimase sconvolto quando scoprì il comportamento adottato dalla giunta contro i dissidenti - i soldati si resero responsabili, in segreto, di torture, decine di migliaia di sparizioni forzate (circa 30 000, di cui 9 000 accertati secondo il CONADEP[24]) nella cosiddetta "guerra sporca" - per niente "cavalleresco", al punto di definire i generali "banditi", "folli" e "criminali".[25] Si è detto che due avvocati coinvolti nella difesa di guerriglieri marxisti, una volta, tentarono di investirlo con la macchina mentre attraversava la Avenida 9 de Julio.[16]
Nel 1980 firmò una petizione di sollecitazione a favore dei desaparecidos nel quotidiano Clarín e assunse un netto atteggiamento di opposizione, che veniva tollerato in omaggio alla sua statura intellettuale. Smise anche di scrivere sul quotidiano La Nación, vicino al governo, dove fu annunciata la rottura di Borges con la giunta militare. Nel 1982 condannò quindi l'invasione argentina delle Isole Malvinas e si dichiarò pacifista, anche se alcune guerre, in passato, furono da lui ritenute giuste (come la guerra dei sei giorni in cui appoggiò Israele contro i Paesi arabi).[19] A un generale secondo il quale anche l'assassinio di 5 colpevoli ogni 100 desaparecidos avrebbe giustificato la morte di 95 innocenti, rispose di farsi ammazzare anche lui se proprio voleva convincere del suo argomento.[26]
Nel 1985, dopo la caduta della giunta, partecipò come uditore al processo contro la giunta (da cui uscirono le prime condanne e il rapporto Nunca más); già malato, ebbe una forte reazione emotiva e un malore al racconto delle violenze subite da parte di superstiti dei centri di detenzione clandestini, e dovette essere portato fuori a spalla dai presenti; disse in aula: «Questo è troppo per me. È orribile. Non riesco a trattenermi».[16] Espresse così il suo punto di vista e la sua impotenza nella situazione, in una serie di interviste:
«Ho firmato una dichiarazione di protesta contro le sparizioni, per cui nessuno può associarmi al governo. La mia fama, indubbiamente immeritata, mi dà una certa impunità e penso che sia mio diritto, o mio dovere, usarla. Adolfo Bioy Casares, Ernesto Sabato ed Alicia Jurado (altri intellettuali famosi) possono dire cose che sarebbero pericolose se dette da A, B o Z. (...) Quando vengo a sapere queste cose e se ne parla, io parlo. La gente pensa che quel che ho fatto l'ho fatto tardi. È vero. Ma pensate a me come a un cieco che non legge i giornali e che conosce poca gente. (...) Due madri mi hanno detto che i loro figli sono stati sequestrati e torturati. La mia non è una posizione politica ma etica. Ho da obiettare sulle sparizioni e sulle pratiche clandestine della giustizia. Ma non ho soluzioni da offrire. Può darsi che il governo sia costituito da gente ben intenzionata ma incompetente. Mio nonno e il mio bisnonno erano colonnelli, anche il generale Soler era un mio parente. Ma io sono contro tutto questo. Siamo governati dai militari e sono incompetenti. Se il governo fosse in mano ai dentisti non è detto che sarebbe meglio. O si immagini se fosse in mano ai postini.[16]»
La sua opposizione morale alla dittatura cominciò, come raccontò lui stesso, quando alcune componenti delle Madri di Plaza de Mayo vennero a trovarlo a casa sua raccontandogli la sorte dei loro figli scomparsi.[15] Ai desaparecidos è dedicato un racconto dell'ultima raccolta, Los conjurados (1985).[26] Nel 1983 Borges manifestò soddisfazione e ottimismo per l'elezione di Raúl Alfonsín, primo Presidente dell'Argentina dopo la fine della dittatura.[27]
Una delle critiche più feroci rivolte a Borges riguarda anche un pranzo al tavolo di Augusto Pinochet, il dittatore cileno che rovesciò il governo del socialista Salvador Allende nel golpe cileno del 1973 appoggiato dalla CIA, ma che Borges riteneva avesse evitato il comunismo e il caos nel Paese vicino dell'Argentina, sebbene non approvasse le violenze del regime. Avvisato della vittoria del Nobel quasi sicura se avesse rinunciato a quel viaggio in Cile per un giro di conferenze e per ritirare una delle sue 23 lauree honoris causa, rispose che allora era "un'ottima idea partire".[16] Pronunciò un discorso a Santiago del Cile nel settembre 1976, dove elogiò l'ospitalità di Pinochet e, ispirandosi a Machiavelli, parlò del «momento della spada» e dichiarò di preferire «la spada, la spada chiara alla dinamite illegale». Sebbene García Márquez in tale occasione lo difese parlando di "umorismo di Buenos Aires",[16] lo stesso Borges aveva specificato «lo dico in modo molto chiaro, sapendo bene quello che dico».[28] Mario Vargas Llosa ha confermato che alcuni accademici di Svezia gli avrebbero rivelato di essere rimasti molto a disagio, proprio nell'anno in cui stavano per concedergli il Nobel, a causa dell'accettazione da parte di Borges di una decorazione conferitagli da Pinochet.[7][29]
Tuttavia anche in questo caso, come per la giunta argentina, in seguito Borges rivide le sue convinzioni. Riguardo alla cena con Pinochet nel 1984 affermò, parafrasando Pablo Neruda, «confesso che ho sbagliato».
«Ontologie fantastiche, genealogie sincroniche, grammatiche utopiche, geografie fittizie, storie universali multiple, bestiari logici, sillogismi ornitologici, etica narrativa, matematica immaginaria, thriller teologici, geometrie nostalgiche e memorie inventate fanno parte dell'immenso panorama che le opere di Borges offrono sia agli studiosi quanto al lettore occasionale. E soprattutto, alla filosofia, intesa come perplessità, o pensiero come congettura, e alla poesia, come forma suprema della razionalità. Scrittore puro, ma, paradossalmente, preferito da semiotici, matematici, filologi, filosofi e mitologi, Borges offre, per la perfezione del suo linguaggio, la sua conoscenza, l'universalismo delle sue idee, l'originalità della sua narrativa e la bellezza della sua poesia, un'opera che onora la lingua spagnola e la mente universale.[30]»
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