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scultore, orafo e incisore italiano (1930-2002) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giò Pomodoro, all'anagrafe Giorgio Pomodoro (Orciano di Pesaro, 17 novembre 1930 – Milano, 21 dicembre 2002), è stato uno scultore, orafo, incisore e scenografo italiano. Viene considerato uno fra i più importanti scultori astratti del panorama internazionale del XX secolo.[1] Era il fratello minore dello scultore Arnaldo Pomodoro.
«L'ossessione di ogni vero scultore è il vuoto.»
Nacque ad Orciano di Pesaro il 17 novembre 1930[2]. Studiò presso l'istituto per geometri di Pesaro, città in cui si trasferì con la famiglia nel 1945 e in cui imparò la cesellatura, nella bottega di un anziano orafo. Nel 1954 dopo la morte del padre e dopo un breve soggiorno a Firenze dove incontra l'architetto Gigliola Gagnoni, che diverrà sua moglie, si trasferì a Milano e, già a partire dal 1955, cominciò a esporre le sue opere a Firenze alla galleria Numero di Fiamma Vigo, poi alla galleria Montenapoleone e alla galleria del Naviglio di Milano, alla galleria del Cavallino di Venezia e alla galleria dell'Obelisco di Roma. Collaborò nella rivista Il Gesto e assieme al fratello maggiore Arnaldo e con artisti come Piero Dorazio, Gastone Novelli, Giulio Turcato, Tancredi Parmeggiani, Achille Perilli e Lucio Fontana, presentò delle opere alle mostre del gruppo Continuità, che vedevano la partecipazione anche dei critici Guido Ballo, Giulio Carlo Argan, e Franco Russoli.
Più tardi, però, si staccò da questi artisti e dapprima si diresse incontro a un pensiero di "rappresentazione razionale dei segni" (ca. 1953 - 1959) e si dedicò attivamente alla ricerca scultorea, partendo giovanissimo con le prime esperienze informali sul segno. In un secondo momento approdò al "ciclo della materia, del vuoto e della geometria" (ca. 1958 – 1972) con Superfici in tensione, Folle e poi trasformando le tensioni in torsioni con Soli, Archi e Spirali. Predilesse ampie aree fluttuanti in bronzo e grandi blocchi scolpiti nel marmo o squadrati con rigidezza nella pietra. In queste opere solitamente si aprono degli spazi vuoti che lasciano irrompere la luce del sole. Il sole è spesso il soggetto delle sue opere, a cui sono legati dei precisi significati ideologici dell'autore.
Fu invitato alla XXVIII Biennale di Venezia del 1956 ove vi espose gli Argenti fusi su osso di seppia, dedicati al poeta Ezra Pound. Nel 1959 fu invitato anche a documenta 2 di Kassel, in Germania, e vi espose Fluidità contrapposta e nello stesso anno partecipò alla Biennale dei giovani artisti di Parigi con Superfici in tensione, vincendo il premio per la scultura insieme ad Anthony Caro. Nel 1961 tenne due mostre personali alla galleria internazionale di Parigi e alla galleria Blu di Milano. Venne invitato per la seconda volta alla XXXI Biennale di Venezia del 1962. Dal 1965 si dedicò alle opere Radiali e Quadrati. Tra il 1966 e il 1967 soggiornò due volte negli Stati Uniti per presentare alcuni suoi lavori alla galleria Marlborough e alla galleria Martha Jackson di New York.
A partire dagli anni settanta iniziarono gli ultimi due cicli della sua vita artistica, in cui si dedicò a numerose opere voluminose e monumentali presso il suo studio di Querceta di Seravezza in Versilia.
Nel 1978 realizzò anche le scenografie dell'opera verdiana La forza del destino, rappresentata all'Arena di Verona nell'estate dello stesso anno. In questo anno partecipò per la terza volta alla Biennale di Venezia. Nel 1980 si occupò della scenografia del Flauto magico di Mozart, rappresentato a La Fenice di Venezia. Nel 1984 prese parte alla sua quarta e ultima Biennale di Venezia.
Dopo essere stato colpito da ictus, sebbene risiedesse e vivesse a Querceta da tempo, decise di tornare a morire a Milano, circondato ancora dalla sua arte, nel suo studio di via San Marco dove si spense il 21 dicembre 2002.
«Ciascuna delle mie opere è legata alla precedente e alla successiva, anche se questo non sempre avviene in un percorso lineare.»
Fra i suoi lavori più noti vi sono le grandi opere monumentali pubbliche in pietra e bronzo incentrate sulla fruizione sociale dell'opera d'arte. Fra queste grandi opere vanno ricordate:
Per Orciano di Pesaro, suo paese d'origine dell'entroterra marchigiano, pensò e progettò una piazzetta nel centro storico, laddove un tempo sorgeva la sua casa natale, recante ai due lati dell'ingresso un Orcio e una Corda in bronzo e al centro l'opera in marmo intitolata Sole deposto da lui realizzati, che riporta alla base i versi di un celebre poeta suo conterraneo, in ricordo del suo attaccamento al luogo natio:
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle...»
La piazzetta progettata nel 1986, fu completata e inaugurata due anni dopo la morte dell'artista, il 20 giugno 2004, in presenza del figlio Bruto. Nel giugno 2004 gli eredi del fu Giò Pomodoro donarono a Forte dei Marmi la scultura La Figlia del Sole.
Nel dicembre 2014, la famiglia di Giò Pomodoro ha deciso di donare al comune di Seravezza, in Versilia, l'opera Pilastro per Marat del 1978, da collocare in uno spazio pubblico nella frazione di Querceta dove per quasi trent'anni l'artista aveva vissuto e lavorato.
Molte sue opere, in pietra o in bronzo, sono presenti anche nelle collezioni pubbliche e private in tutto il mondo e in Italia, fra le quali vanno ricordate:
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