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ciclista su strada e dirigente sportivo italiano (1914-2000) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gino Bartali (Bagno a Ripoli, 18 luglio 1914 – Firenze, 5 maggio 2000) è stato un ciclista su strada e dirigente sportivo italiano.
Gino Bartali | ||||||||||||||||||||||||||||
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Gino Bartali nel 1950 | ||||||||||||||||||||||||||||
Nazionalità | Italia | |||||||||||||||||||||||||||
Ciclismo | ||||||||||||||||||||||||||||
Specialità | Strada | |||||||||||||||||||||||||||
Termine carriera | 1954 | |||||||||||||||||||||||||||
Carriera | ||||||||||||||||||||||||||||
Squadre di club | ||||||||||||||||||||||||||||
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Nazionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Carriera da allenatore | ||||||||||||||||||||||||||||
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Professionista dal 1934 al 1954, soprannominato Ginettaccio per via del suo carattere, vinse tre Giri d'Italia, di cui due consecutivi, (1936, 1937, 1946) e due Tour de France (1938, 1948), oltre a numerose altre corse tra gli anni trenta e cinquanta, tra le quali spiccano due Giri di Svizzera consecutivi, quattro Milano-Sanremo, tre Giri di Lombardia e un Giro di Romandia.
In particolare la sua vittoria al Tour de France 1948, a detta di molti, contribuì ad allentare il clima di tensione sociale in Italia dopo l'attentato a Palmiro Togliatti. La carriera di Bartali fu comunque notevolmente condizionata dalla seconda guerra mondiale, sopraggiunta proprio nei suoi anni migliori; nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni per la sua attività a favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Riconosciuto come uno dei più grandi corridori italiani e mondiali di sempre, fu grande avversario di Fausto Coppi, di cui era più vecchio di cinque anni: leggendaria fu la loro rivalità, che divise l'Italia nell'immediato dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due): celebre nell'immortalare un'intera epoca sportiva – tanto da entrare nell'immaginario collettivo degli italiani – è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta d'acqua durante l'ascesa al Col du Galibier al Tour de France 1952.[1]
«L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare![2]»
Figlio di Torello Bartali (1885-1975) e Giulia Sizzi[3], Gino Bartali nacque a Ponte a Ema (in quel periodo frazione di Bagno a Ripoli e divenuta in seguito territorio comunale di Firenze),[4] ed esordì come ciclista dilettante nei primi anni trenta con la Società Sportiva "Aquila" di Ponte a Ema. Nel 1934 vinse la quinta edizione della Coppa Bologna, valida come terza prova del Campionato toscano dilettanti, e con questa vittoria si laureò campione di Toscana;[5] fece sua anche, in Veneto, la Bassano-Monte Grappa per scalatori.[6] Nel 1935 si sentì pronto al passaggio al professionismo, ma si iscrisse alla Milano-Sanremo come indipendente. Incredibilmente si trovò in testa dopo avere staccato Learco Guerra ma, sia a causa di un guasto meccanico sia a seguito del disturbo creato dal direttore de La Gazzetta dello Sport Emilio Colombo[7], venne ripreso e arrivò quarto in volata. Venne quindi ingaggiato dalla squadra torinese Fréjus, con la quale corse il suo primo Giro d'Italia, finendo settimo con una vittoria di tappa. Proseguì la stagione con le vittorie alla Reus-Barcellona-Reus, in agosto al Giro dei Paesi Baschi (vincendo anche tre tappe), alla Coppa Bernocchi e nella classifica a punti del Campionato italiano.
Nel 1936 passò alla Legnano, diretta da Eberardo Pavesi e capitanata da Learco Guerra, il quale, intuite le qualità del nuovo arrivato, si mise al suo servizio come gregario per permettergli il successo alla "Corsa rosa" di quell'anno, successo che arrivò in modo trionfale per il toscano, con tre vittorie di tappa. Pochi giorni dopo Bartali pensò seriamente di abbandonare la carriera in seguito alla morte del fratello minore Giulio, avvenuta a causa di un incidente in una gara di dilettanti. L'anno si chiuse con la vittoria al Giro di Lombardia.
Nel 1937, ormai capitano della Legnano e numero uno del ciclismo italiano, vinse il suo secondo Giro d'Italia e fu designato come capitano della Nazionale per tentare la conquista del Tour de France, vinto solo due volte da un italiano, Ottavio Bottecchia, nel 1924 e nel 1925. Mentre era in maglia gialla una brutta caduta nel torrente Colau durante la tappa Grenoble-Briançon con conseguenti ferite alle costole e una grave bronchite lo costrinsero però al ritiro. Tra settembre e ottobre si aggiudicò quindi il Giro del Lazio, valido come Campionato italiano in prova unica, e il Giro del Piemonte. Sempre nel 1937 divenne terziario carmelitano con il nome di Fra Tarcisio di S. Teresa di Gesù Bambino.[8]
Nel 1938 fu spinto dal regime fascista a saltare il Giro d'Italia per preparare il Tour de France, nel quale trionfò aggiudicandosi anche due vittorie di tappa e alla cui premiazione rifiutò di rispondere con il saluto romano. L'anno dopo riuscì finalmente a vincere la Milano-Sanremo ma, malgrado quattro vittorie di tappa, perse il Giro d'Italia a favore di Giovanni Valetti. Nel finale di stagione fece comunque suo per la seconda volta il prestigioso Giro di Lombardia.
Nel 1940 Bartali conquistò il successo alla Milano-Sanremo e si preparò per cercare di vincere il suo terzo Giro d'Italia. Nella squadra della Legnano era arrivato un promettente ragazzo alessandrino di nome Fausto Coppi, voluto da Bartali stesso come gregario. Durante la seconda tappa, la Torino-Genova, attardato da una foratura, Bartali cadde e si fece male a causa di un cane che gli tagliò la strada nei pressi di Boasi proprio mentre si stava ricongiungendo alla testa della corsa.[9][10][11] Pavesi, direttore del team, decise allora di puntare su Coppi, che era il meglio piazzato in classifica. All'arrivo della tappa Bartali fece i complimenti a Coppi e si mise al suo servizio, come aveva fatto Guerra con lo stesso Bartali nel 1936. Proprio su una salita sulle Alpi Bartali era davanti di poche decine di metri a Coppi, che era alle prese con la classica "cotta" e forti dolori alle gambe. Fausto stava per scendere dalla bici con l'intenzione di lasciare la corsa. Bartali se ne accorse, tornò indietro, e ricordandogli i sacrifici fatti, riuscì a farlo risalire in bicicletta urlandogli: «Coppi, sei un acquaiolo! Ricordatelo! Solo un acquaiolo!». Bartali intendeva dire che chi non si impegna fino allo spasimo non è un vero ciclista, ma soltanto un acquaiolo, cioè un portatore d'acqua, un gregario non un campione. A Bartali piaceva mangiare e bere anche prima delle gare, a differenza di Fausto Coppi che era molto attento alla dieta.
Coppi alla fine vinse il Giro. La corsa, già disertata dagli stranieri, si chiuse il giorno prima dell'entrata in guerra dell'Italia. A fine stagione Bartali si aggiudicò il suo secondo Giro di Lombardia consecutivo, terzo assoluto. Il Giro d'Italia 1940 fu l'ultima edizione della "Corsa rosa" prima della guerra, nel 1941 non venne infatti organizzato. Ciò nonostante, nel 1942 si tenne il Giro d'Italia di guerra, una competizione di otto prove "classiche" del calendario italiano, con classifica a punti e la maglia rosa come simbolo distintivo del leader; Bartali, pur non vincendo alcuna delle otto prove, conquistò la classifica finale della corsa con 25 punti, due in più del compagno alla Legnano Pierino Favalli.[12]
Fra il settembre 1943 e il giugno 1944, costretto a lavorare come riparatore di ruote di biciclette, e indossata la divisa della Guardia Nazionale Repubblicana,[13] Bartali si adoperò in favore dei rifugiati ebrei come membro dell'organizzazione clandestina DELASEM[14] compiendo numerosi viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-Cortona fino ad Assisi, trasportando documenti e foto tessere nascosti nei tubi del telaio della bicicletta affinché una stamperia segreta potesse falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati, tanto che nel 2006 il Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la medaglia d'oro al merito civile per avere contribuito al salvataggio di «circa 800 cittadini ebrei».[15] Israele ha inoltre riconosciuto il suo impegno e nel 2013 è stato nominato "Giusto fra le Nazioni".
Ricercato dalla polizia, sfollò a Città di Castello, dove rimase cinque mesi, nascosto da parenti e amici.
Ripresa la carriera nel 1945 con i colori della S.S. Tempora di Bettolle, Bartali, ormai trentunenne, era dato per "finito"; nel frattempo Fausto Coppi, di cinque anni più giovane, era considerato l'astro nascente, benché la prigionia in tempo di guerra gli avesse reso difficile la ripresa dell'attività. Nel mese di ottobre Bartali vinse comunque una tappa e la classifica finale del Giro delle Quattro Provincie del Lazio, e il Giro di Campania.
Nel 1946, dopo una primavera in cui fece suoi il Trofeo Matteotti a Pescara e il Campionato di Zurigo, vinse il suo terzo Giro d'Italia pur senza successi parziali, prendendo la maglia rosa a Vito Ortelli al termine della tappa di Auronzo di Cadore; Coppi, passato alla Bianchi, terminò alle sue spalle a soli 47 secondi. Bartali stravinse poi il Giro di Svizzera con quattro successi di tappa e il Premio della montagna. Nel frattempo Jacques Goddet fondava un nuovo quotidiano, L'Équipe, e si preparava per l'anno dopo a riprendere l'organizzazione del Tour de France in un paese da ricostruire.
Nel 1947 Bartali vinse la Milano-Sanremo e perse il Giro d'Italia per 1'43" a favore di Coppi, anche per un banale guasto meccanico. Conquistò comunque il successo al Giro di Svizzera, all'epoca la più ricca, e una tra le più prestigiose, tra le corse a tappe. Saltò invece il Tour de France, con la Nazionale azzurra che ottenne il terzo gradino del podio con l'italo-francese Pierre Brambilla; in chiusura di stagione fu secondo al Giro di Lombardia, alle spalle di Coppi.
La prima parte del 1948 vide Bartali lontanissimo da Coppi vincitore in solitaria alla Milano-Sanremo, ma capace di imporsi al Giro di Toscana e al Campionato di Zurigo. Attardato da una caduta al Giro d'Italia, terminò solo ottavo nella "Corsa rosa", facendo da spettatore a una conclusione che vide Coppi ritirarsi per protesta per la mancata squalifica di Fiorenzo Magni a causa delle spinte ricevute in salita (spinte che costarono il Giro a Ezio Cecchi, giunto secondo a soli undici secondi da Magni). Al successivo Tour de France Bartali fu l'unico tra i big a potere rappresentare l'Italia (Coppi non si riteneva pronto e Magni non era "gradito" ai francesi per ragioni politiche, essendo sospettato di simpatie fasciste),[16] e venne così designato capitano. Messa in piedi una "squadra da quattro soldi", come era stata definita, si apprestò al più grande trionfo della carriera.
Malgrado la non eccelsa squadra, l'astio dei francesi nei confronti degli italiani e l'età (con i suoi 34 anni era uno dei più anziani corridori presenti), entrò nel mito del Tour. Leggendaria in particolare fu la fuga sulle Alpi che gli consentì di vincere la Cannes-Briançon, attraverso il Colle d'Allos, il Colle di Vars e il Colle dell'Izoard (dove è ricordato con una stele), recuperando gli oltre venti minuti di svantaggio che lo separavano da Louison Bobet. Il giorno successivo vinse nuovamente nella tappa da Briançon a Aix-les-Bains, di 263 km, attraverso i colli del Lautaret, del Galibier della Croix-de-Fer del Coucheron e del Granier, conquistando la maglia gialla.
Secondo molti l'impresa di Bartali aiutò a distogliere l'attenzione dall'attentato di cui era stato vittima Palmiro Togliatti, allora segretario del PCI, avvenimento che aveva provocato una grande tensione politica e sociale in Italia, che rischiava di sfociare in una guerra civile.[17] È comprovato che Alcide De Gasperi telefonò allo stesso Bartali, amico, estimatore e compagno dell'Azione Cattolica, per incitarlo, chiedendogli un'impresa epica che potesse rasserenare gli animi, la sera della vigilia della Cannes-Briançon. Erano passati 10 anni dall'impresa del 1938 sui medesimi colli, e ora aveva un distacco di 21 minuti da Louison Bobet, maglia gialla[18]. Durante il corso della tappa fu seguito da Vittorio Pozzo, che al suo attacco sul Colle dell'Izoard gli gridò: "Sei immortale".[19] Vincendo stabilì il record della distanza maggiore in anni fra il primo e l'ultimo Tour vinto (10 anni, ancora ineguagliato).[20] Al rientro dalla Francia il campione venne ricevuto dallo stesso De Gasperi, che gli chiese cosa avrebbe voluto in regalo per quell'impresa: Bartali, si racconta, chiese di non pagare più le tasse.[17]
L'anno si chiuse con il disastroso campionato del mondo su strada di Valkenburg in cui lui e Coppi, strafavoriti, anziché collaborare rimasero nelle retrovie controllandosi a vicenda, e si ritirarono tra la delusione dei tanti immigrati italiani in Olanda.
Nel 1949 Bartali lasciò la Legnano per lanciare la sua squadra, la Bartali. In stagione giunse secondo nel Giro d'Italia vinto da Coppi e, con la maglia azzurra, aiutò poi l'"Airone" nella vittoria al Tour de France, giungendo egli stesso secondo.
Nella prima parte del 1950 vinse una terribile Milano-Sanremo, corsa sotto il diluvio, e il Giro di Toscana, oltre a una tappa al Giro d'Italia, in cui chiuse secondo alle spalle di Hugo Koblet, primo straniero capace di vincere la "Corsa rosa". Al successivo Tour de France, mentre Magni conduceva la corsa, Bartali decise invece di ritirarsi insieme alla squadra a causa dell'aggressione subita dai tifosi francesi sul Col d'Aspin nel corso dell'undicesima tappa. Profondamente cattolico, nello stesso anno 1950 fece una donazione di circa 100 000 pesetas per contribuire a continuare i lavori della Sagrada Família a Barcellona.[21]
Quarto nei Tour de France del 1951, vinto da Koblet, e del 1952, in cui aiutò Coppi a vincere, conquistò a trentotto anni il suo ultimo grande titolo, il campionato italiano a punti, anche grazie ai successi parziali al Giro dell'Emilia e al Giro della Provincia di Reggio Calabria. Nell'ottobre 1953, dopo avere vinto tra maggio e giugno il Giro dell'Emilia e il Giro di Toscana, fu vittima a Cermenate di un incidente automobilistico che rischiò di fargli perdere la gamba destra per gangrena.[22] Dopo pochi mesi però rientrò in scena, alla Milano-Sanremo 1954: anche se non colse un grande risultato, la folla fu tutta per lui.
Volle concludere la sua attività da professionista a Città di Castello, dove durante la guerra aveva passato diversi mesi da sfollato protetto dalla popolazione: fu creato un circuito apposta per l'occasione il 28 dicembre 1954.[22]
Nel 1959 intraprese la carriera di dirigente, fondando la squadra San Pellegrino Sport, nella quale ingaggiò il "Campionissimo" Fausto Coppi, allora in declino, con l'obiettivo di rilanciarlo. Nella circostanza Coppi invitò il suo ex rivale e ora caposquadra nel famoso viaggio in Alto Volta che avrebbe finito per costargli la vita, ma Bartali rinunciò, volendo passare i momenti liberi da gare con la famiglia, composta dall'amata moglie Adriana Bani (sposata nel 1940 a Firenze) e da tre figli, Andrea, Luigi e Bianca, con i quali era solito trascorrere le estati nella montagna di Pistoia, nel piccolo paese di Spignana[23]. Negli anni e decenni seguenti Bartali rimase nel mondo del ciclismo professionistico come ambasciatore dello sport, non lesinando però aspre critiche contro il doping, la corruzione e gli ingaggi giudicati troppo alti. Continuò altresì ad apparire in televisione in programmi d'intrattenimento e dal 6 al 18 gennaio 1992 affiancò Sergio Vastano alla conduzione del TG satirico Striscia la notizia.
Morì per un attacco di cuore nel primo pomeriggio del 5 maggio 2000, all'età di 85 anni, nella sua casa di Piazza Cardinale Elia Dalla Costa a Firenze. Riposa nel cimitero di Ponte a Ema, suo paese natale.
«Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca.»
Secondo alcune fonti che circolano dalla fine degli anni '70, Bartali trasportò, all'interno della sua bicicletta, dei documenti falsi per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità. Questa attività sarebbe nata dalla sua collaborazione con l'organizzazione clandestina DELASEM che a Firenze era diretta dal rabbino Nathan Cassuto e dell'arcivescovo della città Elia Dalla Costa.[25][26] Nell'aprile del 2006 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnò alla vedova di Bartali, Adriana, la medaglia d'oro al valore civile (postuma) allo scomparso campione per avere aiutato e salvato molti ebrei durante la seconda guerra mondiale.[27]
Un primo dossier relativo alle attività di Bartali in favore degli ebrei fu consegnato allo Yad Vashem nel 2006, con lo scopo di avviare la procedura di riconoscimento di Giusto tra le nazioni. Il plico conteneva la testimonianza della vedova di Bartali, secondo la quale il marito aveva collaborato con il cardinale Dalla Costa, e quella del figlio Andrea, per il quale il padre gli raccontò dettagliatamente i salvataggi compiuti. Lo Yad Vashem, tuttavia, rifiutò la richiesta per mancanza di prove.[28]
Nel 2010 la psicologa e politica Sara Funaro e Andrea Bartali cominciarono la ricerca di testimonianze dirette di queste operazioni.[29] Già erano note le versioni di alcune suore del monastero di San Quirico di Assisi, incontrate da Riccardo Nencini (nipote di Gastone Nencini) e da Andrea Bartali stesso.[30] La prima testimonianza fu quella di Giulia Donati, la cui famiglia ottenne dei documenti falsi da Bartali in persona,[31][32] a cui si aggiunse quella di Renzo Ventura.[33] In seguito si venne a sapere che Bartali, durante gli ultimi mesi dell'occupazione tedesca, diede ospitalità alla famiglia di ebrei istriani dei Goldenberg in una cantina di sua proprietà.[34] La testimonianza di Giorgio Goldenberg si rivelò determinante[35] e il 7 luglio 2013 Bartali venne dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem.[36] Nella motivazione, resa pubblica il 23 settembre,[37] si legge:
«In seguito all'occupazione tedesca dell'Italia nel settembre 1943, Bartali, che era un corriere per la Resistenza, giocò un importante ruolo nel soccorso degli ebrei grazie ad una rete creata dal rabbino Nathan Cassuto a cui si unì Dalla Costa. Bartali, che era noto per coprire lunghe distanze con la sua bicicletta per motivi di allenamento, trasportò documenti falsi da un posto all'altro. La sua attività coprì una grande area. Distribuì anche documenti falsi creati dalla rete di Assisi, un'altra operazione di soccorso cominciata dai religiosi di quella città.[36]»
Nella motivazione, inoltre, viene spiegato che finita la guerra Bartali confessò ad una parente del rabbino Cassuto il ruolo avuto nella distribuzione dei documenti contraffatti, ma che non volle che le sue parole fossero registrate.[36] Bartali, effettivamente, non raccontò mai pubblicamente questi avvenimenti, ma lo disse solo al figlio Andrea o ad alcuni amici raccomandandosi di mantenere il segreto.[38] Verso la fine della sua vita ne parlò brevemente a Marcello Lazzerini e Romano Beghelli che riportarono le sue parole nella biografia La leggenda di Bartali pubblicata nel 1992.[39]
Il 30 gennaio 2006 è stato piantato un albero in onore di Gino Bartali nel Giardino dei Giusti di Firenze.[40] Il 2 ottobre 2011 ne è stato piantato uno nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova.[41][42]
Nel 2017 lo studioso Michele Sarfatti, in un articolo sul suo sito web, ha messo in dubbio la veridicità di questa ricostruzione, giudicando la fonte originaria dell'informazione inattendibile e probabilmente opera di fantasia; la notizia si sarebbe poi ampiamente diffusa nell'opinione pubblica a partire da tale fonte e viene citata anche da fonti successive ritenute autorevoli.[43] A questi ha replicato Sergio Della Pergola, membro della commissione per i Giusti tra le nazioni, contestando il fatto che Sarfatti abbia ignorato le numerose testimonianze disponibili, concentrandosi esclusivamente sulla fonte più fragile e meno attendibile.[44] Alla controversia si sono aggiunti Marco e Stefano Pivato che, con il libro L’ossessione della memoria pubblicato nel 2021, hanno nuovamente messo in dubbio la ricostruzione fatta dallo Yad Vashem.[45] Della Pergola e la famiglia Bartali hanno ulteriormente replicato ribadendo la serietà delle ricerche eseguite.[38][46] Inoltre Joel Zisenwine, direttore del dipartimento Giusti tra le Nazioni, ha ricordato in un comunicato stampa che è stata una commissione esterna e autonoma a Yad Vashem ad esaminare accuratamente le prove, che nel caso di Gino Bartali consistevano in «molteplici testimonianze di sopravvissuti» raccolte dopo un lungo processo di ricerca.[47]
Il 16 maggio 2017, alla vigilia della partenza dell'undicesima tappa del Giro d'Italia (da Ponte a Ema a Bagno di Romagna), la squadra israeliana di ciclismo Israel Cycling Academy ha organizzato una corsa con partenza dalla stessa Ponte a Ema fino ad Assisi, sullo stesso tragitto che "Ginettaccio" percorse molte volte per aiutare gli ebrei perseguitati.[48]
Il 22 aprile 2018 il portavoce di Yad Vashem, Simmy Allen, conferma la notizia secondo la quale Gino Bartali ha ricevuto la nomina postuma a cittadino onorario di Israele, conferitagli nel corso di una cerimonia alla presenza della nipote Gioia Bartali, tenutasi il 2 maggio dello stesso anno, due giorni prima della partenza del Giro d'Italia da Gerusalemme.[49]
Bartali ha partecipato ad alcuni film nel ruolo di se stesso:
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