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religioso, santo e poeta italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone (Assisi, 1181/1182[2][3][4] – Assisi, 3 ottobre 1226[N 1][5]), è stato un religioso e poeta italiano. Diacono[6] e fondatore dell'ordine che da lui poi prese il nome (Ordine Francescano), è stato proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1228; dichiarato, assieme a santa Caterina da Siena, patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII, il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana). La memoria della stigmatizzazione ricorre il 17 settembre.[7]
San Francesco d'Assisi | |
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San Francesco d'Assisi, opera di Luca Giordano, XVII secolo | |
Religioso | |
Nascita | Assisi, 1181/1182 |
Morte | Assisi, 3 ottobre 1226 |
Venerato da | Chiesa cattolica, Comunione anglicana[1] |
Canonizzazione | Assisi, 16 luglio 1228 da papa Gregorio IX |
Santuario principale | Basilica di San Francesco, Assisi |
Ricorrenza | 4 ottobre e 17 settembre (le stigmate) |
Attributi | Crocifisso, teschio, stigmate, saio, animali e croce a Tau |
Patrono di | Italia, Umbria, animali, poeti, commercianti, Ordine dei frati minori cappuccini, Lupetti/Coccinelle ed ecologisti |
Profondamente ascetico, era conosciuto anche come "il poverello d'Assisi" per via della sua scelta di spogliarsi di ogni bene materiale e condurre una vita minimale, in totale armonia di spirito. Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana.[N 2]
Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, eletto papa nel conclave del 2013, ha assunto, primo nella storia della Chiesa, il nome pontificale Francesco proprio in onore del santo di Assisi.[8][9] La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è assurta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i quattro grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da papa Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, da papa Benedetto XVI nel 2011 e da papa Francesco nel 2016.
Francesco, che aveva un fratello di nome Angelo,[10] nacque nel 1181 [N 3] da Pietro di Bernardone e, secondo testimonianze molto tardive, dalla nobile provenzale Madonna Pica[N 4], in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi che, grazie all'attività di commercio di stoffe, aveva raggiunto ricchezza e benessere. Sua madre lo fece battezzare con il nome di Giovanni (dal nome di Giovanni Battista) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036. Il padre, tuttavia, decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, probabilmente in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.[11]
La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco, utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l'esposizione delle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza. Il padre Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto di cui, all'epoca, faceva parte anche la città di Assisi. Le varie agiografie del santo[12] non parlano molto della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia. Dopo aver frequentato la scuola presso i canonici della cattedrale, nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l'attuale basilica di Santa Chiara), a quattordici anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni, riguardanti l'attività di commercio dei tessuti.[13]
Pare si abbia memoria di una guerra che nel 1202 contrappose Assisi a Perugia: tra le due città esisteva una rivalità irriducibile che si protrasse per secoli. L'odio aumentò a causa dell'alleanza di Perugia con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione dei ghibellini. Non fu una scelta felice quella degli assisani in quanto nel 1202 subirono una sconfitta e una cospicua perdita di uomini a Collestrada, vicino a Perugia. Tra i giovani che parteciparono al conflitto, venne catturato e rinchiuso in carcere pure Francesco. Caduto gravemente malato dopo la sua liberazione, tenta nuovamente la carriera delle armi, ma sulla via di raggiungere in Puglia le truppe di Gualtieri di Brienne, si ferma a Spoleto e torna indietro. Da lì ebbe inizio un cammino di conversione, che col tempo lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore».[14]
Francesco, gravemente malato, dopo un anno di prigionia ottenne la libertà dietro il pagamento di un riscatto, a cui provvide il padre. Tornato a casa, recuperò gradatamente la salute trascorrendo molto tempo nei possedimenti del padre. Secondo Tommaso da Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura, che vedeva come opera mirabile di Dio.[15]
Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di Francesco non sono state chiarite e si hanno notizie in merito solo attraverso le agiografie e il testamento del Santo. Sembra che la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata abbia avuto un ruolo importante, ma anche e soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, gli ammalati e gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso Dio e il prossimo.
Attorno al 1203-1204, Francesco pianificò di partecipare alla quarta crociata e quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere a una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente; passò la notte nella chiesa di San Sabino e qui ebbe un profondo ravvedimento.[16] Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne[17]: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone?» alla risposta: «Il padrone», la voce rispose:
«Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?»
Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi; da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare. Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.[18]
Pure il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò.[19] Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che
«ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo»
Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più significativo della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».[20]
Dopo quell'episodio seguirono una serie di azioni: fece incetta di stoffe nel negozio del padre e le vendette a Foligno assieme al suo cavallo; tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano affinché riparasse quella piccola chiesa in rovina; costui, conoscendo il padre e temendo la sua ira, rifiutò la generosa offerta. Pietro di Bernardone, forte della solidarietà della comunità d'Assisi, riteneva tradite non solo le sue aspettative di padre, ma giudicava il figlio, per la sua eccessiva generosità, in preda a uno squilibrio mentale.[21]
Inizialmente Pietro di Bernardone cercò di allontanare Francesco per nasconderlo ai pettegolezzi della gente, ma poi, di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio nel non mutare il suo comportamento, decise di denunciarlo ai consoli per farlo arrestare, non tanto per il danno patrimoniale subito quanto piuttosto per la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione e della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò a un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, nel Palazzo Vescovile; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.[22][23]
Francesco, non appena il padre ebbe finito di parlare,
«non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza".[22]»
Francesco dava così inizio a un nuovo percorso di vita e il vescovo Guido, che lo coprì pudicamente agli sguardi della folla, manifestava simbolicamente la protezione e l'accoglienza di Francesco nella Chiesa.[22]
Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio: nell'inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga, il quale aveva condiviso con Francesco anche la prigionia nelle carceri di Perugia. Federico lo accolse benevolmente nella sua casa (laddove oggi sorge una chiesa dedicata a San Francesco), lo sfamò e, a quanto pare, fu qui che Francesco si vestì del saio, rifiutando vestiti ben più lussuosi offerti dall'amico.[24]
Ospite degli Spadalonga, Francesco, «amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso i lebbrosi restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.». Si trattava del lebbrosario di Gubbio, che era intitolato a san Lazzaro di Betania. Nel suo Testamento Francesco disse chiaramente che la vera svolta verso la piena conversione ebbe inizio per lui a Gubbio, quando si era accostato a queste persone bisognose. Francesco non vi ebbe mai una fissa dimora, ma era solito predicare nelle campagne tra il comune umbro e Assisi.
Proprio nel contado eugubino, laddove sorgeva la chiesetta di Santa Maria della Vittoria, detta della Vittorina, e l'omonimo parco, Francesco ammansì il famoso lupo di Gubbio. Sette anni dopo la conversione di Francesco (nel 1213), il beato Villano, Vescovo di Gubbio, già abate benedettino dell'abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nel comune.[25]
Arrivata l'estate e placatosi lo scandalo sollevato dalla rinuncia ai beni paterni, Francesco ritornò ad Assisi. Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro (al tempo fuori dalle mura), la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.
I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e dall'elemosina. Francesco scelse di vivere nella povertà volontaria e, ispirandosi all'esempio di Cristo, lanciò un messaggio di segno opposto a quello della società duecentesca, dalle facili ricchezze. Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un "ignorante", un "pazzo", dimostrando come la sua obiezione ai valori egemoni della società secolare di allora potesse generare una perfetta letizia. In questo senso il suo esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità del tempo.[N 5]
Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver ascoltato un passo del Vangelo secondo Matteo nella Porziuncola, nella campagna di Assisi, Francesco sentì fermamente di dover portare la Parola di Dio per le strade del mondo.[26] Incominciò così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi. Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di frati. Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo amico d'infanzia. Tra gli altri si ricordano Senso III di Giotto Sensi, Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo, frate Elia da Cortona e frate Ginepro. Insieme con i suoi compagni, Francesco cominciò a portare le sue predicazioni fuori dall'Umbria.
Nel 1209, o secondo altri storici l'anno successivo, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per ottenere l'autorizzazione della regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa Innocenzo III. Dopo alcune esitazioni iniziali,[N 6] il Pontefice concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratrum minorum»:[27] a differenza degli altri ordini pauperistici, Francesco non contestava l'autorità della Chiesa, ma la considerava come "madre" e le offriva sincera obbedienza. Francesco era la personalità necessaria, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili all'interno della Chiesa, senza porsi come antagonista a essa, quindi senza scivolare nella deriva dell'eresia.[28]
Del testo presentato al Papa non è rimasta traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo che, col passare degli anni, insieme con alcune aggiunte, confluirono nella «Regola non bollata», che Francesco scrisse alla Porziuncola nel 1221.[29]
Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un "tugurio" presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto perché vicino a un ospedale di lebbrosi. Tale posto, tuttavia, era umido e malsano, e i frati dovettero abbandonarlo l'anno successivo, stabilendosi presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del Tescio, in località Porziuncola. Abbandonata in mezzo a un bosco di cerri, la badia venne concessa a Francesco e ai suoi frati dall'Abate della chiesa di San Benedetto del Subasio.[N 7][30]
Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di Offreduccio degli Scifi. Fuggita dalla casa paterna la notte della Domenica delle Palme del 28 marzo 1211 (o del 18 marzo 1212), giunse il 29 marzo 1211 (o il 19 marzo 1212) a Santa Maria degli Angeli, dove chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine, e dove all'alba ricevette l'abito religioso dal santo. Francesco la sistemò per un po' di tempo prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesa di San Damiano e diedero inizio a quello che in futuro sarebbero state le clarisse, tra le quali si distinsero sante come Caterina da Bologna, Camilla Battista da Varano e Eustochia Calafato.[31]
Negli stessi anni diede vita al convento di Montecasale, dove insediò una piccola comunità di seguaci e dove ripetutamente avrebbe fatto poi sosta nei suoi viaggi.
Ben viva era all'epoca la vicenda dei catari, dichiarati eretici dalla Chiesa cattolica, i quali predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme conseguenze. Essi avevano avuto numerosi focolai nella vicina Toscana e si erano ridotti alla clandestinità dopo la sanguinosa crociata albigese del 1209.[32] Francesco avrebbe potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e la predicazione ai ceti subalterni. Ma Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici aspetti: innanzitutto essi non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso infatti insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti.[33] Portato una volta davanti a un prete che viveva notoriamente in peccato, forse affinché cadesse in contraddizione (se egli non lo avesse denunziato si sarebbe potuto dire che era suo complice, se egli lo avesse fatto si sarebbe detto che Francesco non rispettava la gerarchia), Francesco si limitò a baciare le mani di quel sacerdote, "che toccano il corpo di Gesù Cristo".[34] Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della Materia" (il Creato) dei catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente. Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara,[35] nonostante sia difficile da dimostrare quanto Francesco, sospettoso della sapienza dei libri, possa aver conosciuto la dottrina catara.[36]
Uno dei valori da attribuire alla preposizione "per" sarebbe quello di "complemento d'agente" (Laudato sii mi' Signore per (da) tutte le creature).
Il suo amore per la natura e gli animali (come la leggendaria predica agli uccelli in località Piandarca sulla strada che da Cannara si dirige a Bevagna) erano superati solo dall'amore verso gli esseri umani: la pace interiore per Francesco non era una semplice serenità, che implicava capacità di amore e di perdono, ma una naturale gioia di vivere:
«La sua carità si estendeva, con cuore di fratello, non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello. Per lo stesso motivo, il suo amore e la sua simpatia si volgevano in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l'immagine di Dio»
Col tempo, la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati francescani. Nel 1217, il poverello di Assisi presiedette il primo dei capitoli generali dell'Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l'esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l'attività di preghiera, di rinsaldare l'unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell'ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.[38]
Nel 1219 si recò verosimilmente ad Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e la Palestina, dove da due anni era in corso la quinta crociata. Durante questo viaggio, in occasione dell'assedio crociato alla città egiziana di Damietta, insieme con frate Illuminato ottenne dal legato pontificio (il benedettino portoghese Pelagio Galvani, cardinale vescovo di Albano), il permesso di passare nel campo saraceno e incontrare, disarmati, a loro rischio e responsabilità, lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino. Varie ipotesi sono state proposte per motivare lo scopo dell'incontro, secondo molti Francesco intendeva predicare al sultano il Vangelo, al fine di convertirlo e quindi mettere fine alle ostilità, per altri la sua volontà era solo quella di testimoniare senza finalità concrete.[39]
Ricevuto con grande cortesia dal Sultano, ebbe con lui un lungo colloquio, al termine del quale Francesco dovette tornare nel campo crociato. Intorno a questo evento storico sono fiorite diverse leggende riguardanti il santo e la sua straordinaria capacità di convincere e convertire, anche se al-Malik al-Kāmil rimase musulmano, pur apprezzando Francesco ed elargendogli dei doni in segno di stima.[40][41]
L'interpretazione del rapporto tra Francesco, l'Islam e le crociate non è facile ed è ancora oggetto di discussione, in quanto c'è contrapposizione tra chi vede la sua azione come un sostegno alle crociate o, al contrario, come una loro sconfessione.[N 8] La narrazione dell'incontro ci è pervenuta, oltre che tramite le opere di biografi francescani, anche attraverso altre testimonianze non tardive, sia cristiane sia arabe.[senza fonte] La versione fornitaci da San Bonaventura cita maltrattamenti subiti ad opera dei soldati saraceni e la difesa, da parte di Francesco, dell'operato dei crociati e la giustificazione della guerra agli islamici infedeli.[N 9][N 10][N 11][N 12] Nel racconto di Tommaso da Celano, Francesco suscitò profonda ammirazione nel sultano, che lo trattò con rispetto e gli offrì numerose ricchezze. Secondo la narrazione agiografica, Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.[42]
La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine stava compiendo cominciò a essere palese a tutti. Incominciarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali.[43][N 13] Sia per le cattive condizioni di salute, sia per dare l'esempio e per potersi dedicare completamente alla sua missione, nel 1220 Francesco rinunciò al governo dell'Ordine in favore dell'amico e seguace Pietro Cattani, che però morì l'anno seguente.[44] Al successivo Capitolo Generale (detto «delle Stuoie», giugno 1221) venne scelto come vicario frate Elia.[N 14][45]
Nel 1223, con la bolla Solet annuere, papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» (che rispetto alla prima è più corta e contiene meno citazioni evangeliche), che fu redatta con l'aiuto del cardinale Ugolino d'Ostia (il futuro papa Gregorio IX). La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto; Francesco, pur non condannando in sé né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati che liberamente avevano deciso di seguirlo e di seguire la sua regola di vita stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze (anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede). Non è difficile immaginare che qualcuno, magari usando la scusa di poter meglio servire il prossimo, avesse richiesto più volte una limatura della regola del 1221 e alla fine Francesco cedette, pretendendo però questa volta una fedeltà assoluta, accettandola "senza commento", cioè senza interpretazioni.[46]
Nel Natale del 1223, di ritorno ad Assisi da Roma, Francesco si fermò a Greccio (sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino) e decise la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, il putto raffigurante il Bambinello avrebbe preso vita più volte tra le braccia di Francesco.[47] Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.[48][49]
Oltre alla vita attiva, Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l'esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l'Eremo delle Carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l'Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l'Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera.
Tra il 1224 e il 1226, ormai malato gravemente agli occhi (si suppone un tracoma), compose il Cantico delle creature.
Secondo le agiografie, il 17 settembre 1224,[50][51][52], mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l'omonimo santuario), 3 giorni dopo la festa dell'Esaltazione della Croce e dopo 40 giorni di digiuno in preparazione della festa di san Michele arcangelo (29 settembre),[53] Francesco avrebbe visto un Serafino crocifisso. Al termine della visione gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso». Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia. Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.[54]
Nell'iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stigmate: per questa caratteristica è stato definito anche «alter Christus»[55]. La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del Suo trionfo, simboleggiato dal Cristo in gloria.
Negli anni seguenti, Francesco fu sempre più oggetto di varie malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato oltre che alla vista). Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente.[56] Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il "Testamento", che volle fosse sempre legato alla "Regola", in cui esortava l'ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.[57]
Nel 1226 si trovava alle sorgenti del Topino, presso Nocera Umbra; egli però chiese e ottenne di poter tornare a morire nel suo "luogo santo" preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.[N 15][N 16][58]
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un'ultima volta a Chiara e alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio.[59] Da qui la sua salma venne trasferita nell'attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).[60]
«Laudate et benedicite mi Signore,
et rengratiatelo et serviatelo cum grande humilitate.»
Il francescanesimo si inserisce in quel vasto movimento pauperistico del XIII secolo, in uno spirito di riforma volto contro la corruzione dei costumi degli ecclesiastici del tempo, troppo coinvolti negli interessi materiali e politici, nella sanguinosa Lotta per le investiture. A questo si deve aggiungere la fioritura del comune medioevale: la nascita delle ricche città-stato, se da un lato arricchì una parte del popolo, determinò la formazione di quei ricchi ceti mercantili, il cosiddetto popolo grasso, che acquistava potere a scapito della vecchia nobiltà feudale, facendo della vita metropolitana il centro della civiltà, pur lasciandovi dentro larghissime fette del ceto contadino più indigente, dall'altro causò una forte disuguaglianza sociale e anche crisi dell'assetto sociale medievale che dovette coinvolgere Francesco in prima persona mentre esercitava la professione di mercante.
"Povertà", "obbedienza" e "castità" sono aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli. Dopo un primo periodo passato in solitudine, Francesco iniziò a vivere la propria vocazione insieme a dei compagni che volevano imitare il suo esempio. L'umiltà e l'ascetismo al quale si accompagnò l'opera del santo gli valse il nome di Imitator Christi ("Imitatore di Cristo"): da qui inizia l'esperienza della "fraternità", nella quale ciascun membro è dunque un imitator Francisci ("Imitatore di Francesco"), e dunque un imitator Christi. Secondo la regola dettata da Francesco, la vita comunitaria deve cercare di conformarsi a questi principi:
Alla preghiera e alla meditazione, la Regola francescana aggiunge lo "spirito missionario", in conformità ai precetti evangelici, assumendo una condotta completamente diversa rispetto alla norma seguita fino ad allora. È chiaro come a San Francesco interessassero soprattutto i ceti sociali più deboli, tendesse con amore fraterno verso quel "prossimo" spesso respinto e disprezzato dalla società, cioè verso il povero, il malato, il perdente, l'ultimo.
Francesco vuole essere il «minore tra i minori» (umile tra gli umili). Si sostiene che egli applicò ai compagni l'appellativo minores, dato in spregio ai popolani dai ricchi, perché lui stesso voleva incarnare la figura di "uomo del popolo". Assisi e Santa Maria degli Angeli furono e sono tuttora il cuore pulsante da cui parte e a cui ritorna l'attività missionaria di questo nuovo Ordine dei minori, come da allora in poi furono chiamati tutti coloro che seguirono (e che seguono) il santo fondatore assisano. In questo modo, lo spirito di condivisione è esempio concreto della comunione dell'anima con Dio, Gesù il Cristo, testimonianza di fede e di amore cristiano.
A imitazione dei poveri e dei mendicanti, è l'aspetto itinerante dei francescani, secondo il principio di portare il proprio sostegno materiale e spirituale al prossimo andandogli incontro là dove egli si trova: applicando questa regola in prima persona, Francesco visse e scontò un incessante vagare, portandosi fino ai confini dell'Europa, sostentandosi del frutto del lavoro che gli veniva offerto per strada e dove questo non fosse possibile, attraverso l'elemosina.[61]
All'interno dell'ordine francescano, tra il XIII e il XIV secolo si sviluppò la scuola filosofica e teologica fondata dal francescano Alessandro di Hales quando nel 1232 ricoprì la cattedra di teologia presso l'università di Parigi. La filosofia francescana, opponendosi all'aristotelismo e al tomismo, s'ispirava al pensiero di Sant'Agostino da cui riprendeva la dottrina dell'illuminazione e la teoria dell'ilemorfismo universale.[62]
In opposizione al tomismo, la scuola francescana dichiarava il primato della volontà sull'intelletto non solo per quanto riguardava il comportamento umano, ma anche per l'azione divina che esigeva il dovere dell'obbedienza, e il primato della fede sia nel campo della morale sia in quello della conoscenza.
I più importanti filosofi del francescanesimo furono Giovanni de la Rochelle, San Bonaventura, Duns Scoto, Giovanni Peckham. I maestri francescani dell'università di Oxford, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone e Guglielmo di Occam confermarono l'indipendenza della fede dalla ragione e svilupparono quindi il francescanesimo soprattutto nell'ambito scientifico.
Francesco d'Assisi e la sua vita sono stati continuamente oggetto di interesse, ispirazione, imitazione, studio, confronto. Questo ha fatto sì che la narrazione biografica della sua vita sia stata connotata — fin dalle prime espressioni all'indomani della sua morte — da una grande varietà di significati e intenzioni, che inevitabilmente hanno indirizzato e influenzato la redazione della sua Vita.
Le notizie sulla vita di Francesco derivano infatti in gran parte dalle prime biografie del santo,[N 17] dove la narrazione storica e quella teologica sono strettamente legate.[N 18]
Nel XVII secolo con Frate Luca Wadding si mossero i primi tentativi di raccogliere documentazione storica su Francesco d'Assisi, cercando di distinguere tra storia e veneranda tradizione. Un momento di svolta in questo processo arrivò nel corso del XIX secolo, quando lo storico francese Paul Sabatier avanzò la teoria che tutte le biografie francescane "ufficiali" (quelle di Tommaso da Celano e, in modo particolare, quella di Bonaventura da Bagnoregio) sarebbero irrimediabilmente compromesse dall'intenzione "politica" degli autori, mentre più fedeli al "vero Francesco" sarebbero le biografie "ufficiose". In particolare nello Speculum perfectionis, da lui riscoperto, si potrebbe rintracciare la narrazione più affidabile sul santo di Assisi. Tale posizione ha scatenato nel tempo accesi dibattiti, stimolando nel contempo un approfondimento straordinario della ricerca storica su san Francesco.
Secondo lo storico Franco Cardini è infatti in alcuni casi difficile distinguere tra verità storica e amplificazioni simboliche: è il caso, ad esempio, degli episodi della predica agli uccelli e dell'incontro con il lupo di Gubbio. Questi ultimi potrebbero, secondo lo studioso, essere anche intesi come rielaborazioni dell'incontro, storicamente meglio documentato, con il sultano al-Malik al-Kamil, e riproporre il tema dell'incontro con l'"Altro".[63]
Il linguaggio di Francesco è una sola cosa con i contenuti per quanto concerne la sua predicazione. La gente comune «per la prima volta sente parlare di Dio in una lingua che tutti possono capire. Non il latino, la lingua dotta della Chiesa, ma il primo italiano, lo stesso di Dante e Boccaccio, che diventerà nel giro di pochi anni l'idioma dell'intera penisola».[64]
La predica agli uccelli è uno degli episodi più famosi de I fioretti di san Francesco[65]. Secondo la tradizione, la predica agli uccelli ebbe luogo sull'antica strada che congiungeva il castello di Cannara a quello di Bevagna, nei pressi di Assisi[N 19]. Oggi il punto dove San Francesco d'Assisi fece il miracolo è segnalato da una pietra sita in località Piandarca nel Comune di Cannara in un'area ancora oggi incontaminata, raggiungibile attraverso un sentiero che inizia appena fuori dal paese e si snoda attraverso i campi. Nei pressi della pietra e lungo l'attuale strada che porta a Bevagna (la SP403) è edificata anche una piccola edicola a ricordo del miracolo. Più che la cronaca di un avvenimento, le agiografie descrivono un passo di vera poesia:
«...et venne fra Cannaia et Bevagni. E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare (...) Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c'aveva fatta loro santo Francesco si divisoro in quattro parti (...) e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti»
Fra gli svariati racconti che accompagnano e descrivono da secoli la vita e le gesta del frate, spicca senza dubbio l'episodio del lupo di Gubbio, che sarebbe avvenuto nei pressi della chiesa di Santa Maria della Vittorina. La vicenda narra di un grosso lupo che da tempo terrorizzava gli abitanti delle campagne eugubine, nelle quali Francesco era solito andare a predicare; l'animale selvaggio, affamato e feroce, da anni occupava il territorio boschivo alle porte della città e, secondo alcuni racconti dell'epoca, non disdegnava avvicinarsi a ridosso delle mura per procurarsi il cibo. Gli abitanti allora, disperati e impauriti, si rivolsero a San Francesco. Il frate, venuto a conoscenza della situazione, si inoltrò nel bosco per incontrare il lupo. La sua mediazione fece sì che il lupo smettesse di terrorizzare gli abitanti di Gubbio, a patto che questi ultimi si impegnassero a sfamare l'animale quotidianamente.
La leggenda narra che anni dopo, quando il lupo morì di vecchiaia, gli abitanti del paese se ne dispiacquero fortemente.
«...nel contado d'Agobio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; intantoché tutti i cittadini istavano in gran paura, perocché spesse volte s'appressava alla cittade. E andavano armati quando uscivano della cittade, come se eglino andassono a combattere......". (.......) " E poi il detto lupo vivette due anni in Agobio; ed entrava dimesticamente per le case, a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalla gente: e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di vecchiaia; di che li cittadini molto si dolevano, imperrocché, veggendolo andare così mansueto per la cittade, si raccordavano meglio della virtù e santitade di Santo Francesco".»
Tuttavia secondo alcuni, il lupo di Gubbio non era altro che un brigante, che proprio come un lupo era solito derubare gli abitanti del contado eugubino. Egli fu dunque "ammansito" da Francesco e reintegrato nella società eugubina grazie anche all'aiuto degli abitanti.[66]
Francesco d'Assisi realizzò tre ordini riconosciuti dalla Chiesa cattolica esistenti tutt'oggi e aventi Costituzioni proprie.
Per interpretare le intenzioni di san Francesco e adattare il suo ideale alle mutevoli realtà dei tempi, a partire dal Duecento la Chiesa ha continuamente emesso documenti relativi alla vita della fraternità francescana, da Onorio III fino a Paolo VI, che ha approvato l'ultima regola dell'OFS (1978) attualmente in vigore.
Papa Gregorio IX lo canonizzò il 16 luglio 1228, attraverso la bolla Mira circa nos, soltanto due anni dopo la morte. Per questo motivo, il processo di canonizzazione è stato uno dei più rapidi della storia della Chiesa cattolica. La canonizzazione di Francesco è riportata in modo molto dettagliato nella "Vita Prima" di Tommaso da Celano.
San Francesco è stato ed è tutt'oggi uno dei santi più amati dalla gente, specialmente per il suo spirito di umiltà e povertà. Nei luoghi dove trascorse la sua vita sono nati dei santuari, i principali dei quali sono:
Sono da ricordare inoltre: la Via Francescana della Pace, un percorso attrezzato tra le colline di Assisi e Gubbio, che riproduce fedelmente il viaggio che fece Francesco scappando dalla terra natìa ostile verso l'ospitalità Eugubina; il Cammino di Francesco nella Valle Santa di Rieti, dove è possibile ripercorrere i luoghi degli episodi che hanno caratterizzato la vita del 'Poverello'; il Cammino francescano della Marca, itinerario che ripercorre i maggiori centri attraversati durante i suoi viaggi nelle Marche del sud.
Molte reliquie del Santo vengono oggi venerate in Italia e nel Mondo.
Il 3 ottobre viene celebrato il "transito", ovvero un momento di preghiera teso a ricordare la morte del Serafico Padre attraverso letture tratte dalle Fonti francescane e dalla Bibbia.
Quasi tutti questi scritti sono stati dettati dal santo (e perciò non autografi), però la loro attribuzione non sembra essere messa in dubbio dagli studiosi.
«Altissimu, onnipotente, bon Signore
tue so' le laude, la gloria, l'honore et onne benedictione»
In passato gli è stata attribuita anche la Preghiera semplice, ma tale attribuzione si è dimostrata erronea.
Secondo le fonti del tempo, le sue sono prediche semplici e di grande presa: quando Francesco parla, riesce a conquistare gli ascoltatori. Ne I fioretti di san Francesco si narra ad esempio che a "Cannaia" (ovvero Cannara, in alcune trascrizioni "Carnano"),[71] gli abitanti rimangono affascinati dalle sue parole, a tal punto da suscitare una sorta di conversione di massa.[72] È in questa circostanza che Francesco pensa alla creazione del Terz'Ordine oggi denominato Ordine francescano secolare. In alcune versioni più tardive dei Fioretti al posto di "Carnano" o "Cannaia" (ovvero Cannara) si legge "Savurniano"[73], ma si tratta molto probabilmente di una trascrizione errata dettata da forme campanilistiche del tempo.[74] Secondo un'interpretazione che associa la nascita del Terz'Ordine Francescano al miracolo del "silenzio delle rondini" si può desumere dagli scritti del primo biografo francescano, frate Tommaso da Celano, che la fondazione (o almeno la promessa) da parte di San Francesco di istituire il Terz'Ordine Francescano è stata fatta nel 1212 ad Alviano, un borgo tra Orte e Orvieto, poco distante da Todi. La stessa esegesi è possibile fare nella "Legenda Maior" di San Bonaventura.[74]
«...privata del primo marito
millecent'anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette senza invito»
e che prima di morire affida ai suoi discepoli:
«a' frati suoi, sì com'a giuste rede
raccomandò la donna sua più cara
e comandò che l'amassero a fede»
San Francesco ha ispirato numerosi pittori. L'opera più antica datata che lo raffigura è il San Francesco e storie della sua vita di Bonaventura Berlinghieri nella chiesa di San Francesco a Pescia, eseguita nel 1235, ad appena nove anni dalla morte del santo[75]. Simili a questa tavola sono altre opere duecentesche, come quella del San Francesco Bardi. Altre opere precoci, utili per capire la fisionomia del santo, sono il ritratto eseguito da Cimabue a lato della Maestà di Assisi, nella basilica inferiore, oppure la tavola nel Museo di Santa Maria degli Angeli, che si dice sia stata sul coperchio della tomba del santo.
Tra i cicli completi di storie francescane, a parte le piccole vicende narrate ai lati delle tavole duecentesche, quello del Maestro di San Francesco nella basilica inferiore è il più antico (1253 circa), a cui seguì quello celeberrimo di Giotto (secondo l'attribuzione tradizionale) nella basilica superiore, databile agli anni novanta del Duecento. Giotto (questa volta senza dubbi attributivi), sviluppò poi il tema nella basilica francescana di Firenze, Santa Croce, alla cappella Bardi. Nel Trecento le storie francescane vennero affrontate da Taddeo Gaddi (formelle di Santa Croce) e nel Quattrocento da Benozzo Gozzoli, nella chiesa di San Francesco a Montefalco, da Domenico Ghirlandaio, nella Cappella Sassetti a Firenze, dal Sassetta (Polittico di Sansepolcro).
Innumerevoli le opere che ritraggono il santo, sempre oggetto di profonda devozione. Tra quelle più importanti che lo hanno come protagonista ci sono, in ordine indicativamente cronologico, i lavori di Giotto (Stimmate), Gentile da Fabriano (Stimmate), Jan van Eyck (Stimmate), Colantonio (Consegna della regola francescana), Giovanni Bellini (San Francesco nel deserto), Tiziano (Stimmate), Gaudenzio Ferrari (San Francesco riceve le stigmate), Caravaggio (Estasi, Meditazione di Cremona e Meditazione di Roma), Rembrandt, (Titus in veste di san Francesco), Guercino (San Francesco riceve le stimmate), Guido Reni (San Francesco in estasi), Murillo (San Francesco abbraccia Cristo crocifisso).
L'esempio francescano che sottolineava la compassione verso la sofferenza di Cristo impose una nuova raffigurazione del Crocifisso: non più il Cristo triumphans, cioè trionfante (ad occhi aperti e in ieratica assenza di pena), ma il Cristo patiens, cioè sofferente, col capo reclinato in una smorfia di dolore e il corpo morto, cadente. Il cosiddetto Maestro bizantino del Crocifisso di Pisa fu forse il primo artista a portare in Italia questa rappresentazione (o per lo meno è il primo che sia oggi noto), che venne poi sviluppata, su commissione dei francescani stessi, da Giunta Pisano, da Cimabue e da Giotto e i suoi seguaci.
San Francesco ha ispirato numerosi registi:
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