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regione storico-geografica in Italia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Carnia (AFI: /ˈkarnja/[2]; Cjargne in friulano, Karnien in tedesco) è una regione storico-geografica prevalentemente montana, situata nella parte nord-occidentale della provincia di Udine, in Friuli, comprendente buona parte delle Alpi Carniche italiane con le sue valli alpine. Il centro principale è Tolmezzo.
Carnia | |
---|---|
(FUR) Cjargne (DE) Karnien | |
I monti Coglians, la Creta delle Chianevate e il Monte Crostis visti da sud dal Monte Zoncolan. | |
Stati | Italia |
Regioni | Friuli-Venezia Giulia |
Territorio | Val Tagliamento, Val Degano, Valle del But, Val Chiarsò, Valcalda, Val Pesarina, Val Lumiei, Val Pontaiba in 28 comuni |
Capoluogo | Tolmezzo |
Superficie | 1 285,91 km² |
Abitanti | 35 843 (31-12-2023[1]) |
Densità | 27,87 ab./km² |
Lingue | italiano, tedesco, friulano carnico, antichi dialetti tedeschi: saurano, timavese |
In rosso la Carnia nella ex provincia di Udine. |
Il nome deriva dal prediale latino "Carniacum",[3] riferito alla popolazione dei Carni, che dominò l'intero Friuli fra V e II secolo a.C., e dal cui nome deriva anche il toponimo "Cargnacco"; in epoca romana il territorio era parte della Carnorum Regio (la terra abitata dai Carni, descritta da Tito Livio), che probabilmente comprendeva l'odierno Friuli.
Ubicata nelle Alpi Carniche, in una zona a tratti impervia e dall'orografia piuttosto complessa e articolata, comprendente l'alto bacino del Tagliamento (escludendo le sorgenti che rimangono in Cadore in Veneto), confina:
Costituita da fasce geologicamente differenziate, le montagne sono costituite da tre tipi di roccia, il calcare, la dolomia e la selce, ed è attraversata dalle Alpi Carniche che si estendono dal passo di Monte Croce di Comelico in Cadore alla sella di Camporosso dove cominciano le Alpi Giulie, che si innalzano (nel versante italiano) tra il fiume Fella e l'alto Isonzo.
La Catena carnica principale (suddivisa in catena carnica occidentale e catena carnica orientale) costituisce a nord il confine con l'Austria, delimitata a sud-est dal torrente Pontebbana e, a monte di Pontebba, dal corso del Fella. A sud di tale catena si stagliano le Alpi di Tolmezzo (Alpi Tolmezzine Occidentali e Alpi Tolmezzine Orientali) con elevazioni in media inferiori, mentre ancora più a sud si elevano le Prealpi Carniche e la relativa fascia montuosa.
Il monte Coglians (2 780 m) è la vetta più alta delle Alpi Carniche nonché la maggiore elevazione della regione, che assieme al vicino gruppo della Creta delle Cjanevate e al Mooskofel in territorio austriaco forma un imponente gruppo montuoso proprio sul confine con l'Austria. Le altre maggiori cime della Carnia sono:
Sei sono le valli principali, ognuna attraversata da un torrente da cui prendono il nome. Le valli assumono anche il nome di canale (cjanâl), sottolineando così la loro conformazione stretta e allungata (tra parentesi la denominazione in friulano):
N.B.: ne è esclusa la Val d'Aupa, nel territorio del comune di Moggio Udinese, che pur appartenendo alle Alpi Carniche, viene fatta rientrare per motivi storico-geografici nella zona del Canal del Ferro (bacino del Fella) e la vallata di Sappada che appartiene alla regione storico-geografica del Cadore.
Ciascuna di queste e gli omonimi torrenti confluiscono nel fondovalle dove sorge Tolmezzo centro principale e capoluogo della Carnia.
I principali valichi alpini stradali sono:
Il fiume più importante è il Tagliamento, che nasce nei pressi dal Passo della Mauria in Veneto (comune di Lorenzago di Cadore) a 1 195 metri d'altitudine. Durante il suo lungo percorso attraverso la Carnia, il Tagliamento riceve l'acqua di quattro affluenti principali, provenienti tutti da sinistra:
Tra i laghi si hanno:
Il clima è molto rigido in inverno e fresco in estate; è caratterizzato da venti impetuosi e abbondante piovosità. Rispetto alle altre zone delle Alpi, in Carnia troviamo un abbassamento dei limiti altimetrici di circa 400–500 m; così, ad esempio, se nelle Alpi Occidentali la vegetazione arborea cessa di crescere sopra i 2 300 m essa in Carnia smette già a 1 900 m. L'abbassamento del limite altimetrico della regione arborea è dovuto al costante afflusso di correnti fredde nord orientali (vento burano) che dalle regioni siberiane e danubiane raggiungono la zona.
Sono molto estese le foreste, costituite in massima parte da abeti, faggi e larici; i pascoli si trovano per lo più in alta quota, in pendii soleggiati ma non adatti all'agricoltura. La Carnia vanta numerose ricchezze naturali grazie all'assenza di grossi centri industriali e per l'attiva opera di tutela di enti e associazioni ambientaliste. Vi sono 2 000 specie vegetali, un migliaio di tipi di fungo, una cinquantina di tipi di orchidee.
La vegetazione cambia con l'aumentare della quota. Fino a 400 - 500 metri di altitudine salgono i boschi di rovere e di castagni e le macchie e le colture della zona submontana; ben presto subentra la flora montana ed è per eccellenza la zona delle foreste: faggete, abetine e pinete. Al di sopra dei 1 500 metri la vegetazione arborea si presenta piuttosto povera, gli alberi si fanno via via più radi, più piccoli e spogli, fino a raggiungere il limite altimetrico di crescita che in Carnia è a quota 1 700 metri ed è il più basso di tutta la regione alpina. Oltre questa quota crescono cespugli, rovi, e verdissimi pascoli. In tarda primavera si può ammirare nei pascoli l'esplosione di colore dei rododendri, e delle genziane selvatiche.
La fauna è caratterizzata dalla presenza sporadica di passaggio di orsi, linci europee (queste due prime specie sono ricomparse alla fine del XX secolo, provenienti dalla vicina Slovenia), lupi, gatti selvatici, stambecchi (reintrodotti nel XX secolo), cervi, caprioli, camosci, tassi, galli forcelli, francolini di monte, ermellini e marmotte. Negli ultimi anni si è assistito a un arrivo di consistenti popolazioni di sciacalli dorati, stabilitisi prevalentemente a quote basse sul Carso e sulle Alpi giulie, ma non sono mancati avvistamenti sulle Alpi Carniche e sulle Dolomiti Friulane. Sono inoltre presenti falconiformi come la poiana, il falco e l'aquila reale.
Tra i rettili si segnalano l'aspide meglio conosciuta come vipera comune, il marasso, la vipera dal corno. Nei rilievi friulani e in alta collina non sono rare due specie di anfibio diffuse anche in molte altre zone dell'arco alpino: il tritone alpestre e la salamandra alpina. Numerose sono infine le specie ittiche d'acqua dolce presenti nei ruscelli di montagna e nella zona pedemontana: fra queste predominano le trote, le tinche e i barbi. Il lupo è ritornato nella regione a partire dagli ultimi anni, con presenze sporadiche. Nel 2018, tuttavia, è stata accertata la prima riproduzione di lupi nella regione dopo circa 90 anni.
Con la soppressione della repubblica partigiana, in Carnia arrivarono nuovi invasori: i cosacchi, giunti in Friuli nell'agosto del 1944. Inizialmente erano 20 000, ma toccarono il numero di 40 000 nella primavera successiva (si tenga presente che la popolazione carnica era allora di 60 000 persone); al loro seguito portarono le proprie famiglie, i carri, le suppellettili e 6 000 cavalli. Questi cosacchi erano popolazioni di origine russa in perenne conflitto con l'autorità di Mosca. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, si erano uniti alle forze tedesche nella speranza di sovvertire il regime comunista; quando però la guerra cominciò ad andare male per le forze dell'Asse, e l'Armata Rossa ebbe scacciato i tedeschi dal suolo dell'URSS, Hitler per ricompensarli si vide costretto a promettere una terra tutta per loro: la Kosakenland in Nord Italien, che altro non era che la Carnia. Nell'estate del 1944 dunque il Führer affidò l'intero territorio carnico, oltre a una parte dell'Alto Friuli (Trasaghis, Buja, Majano, Bordano) a due divisioni russe, una cosacca capitanata dall'atamano Krassnov, e una caucasica, già impiegata nelle operazioni contro la Polonia.
Per la gente carnica l'occupazione cosacca rappresentò un martirio, ancor oggi ben vivo nei ricordi degli anziani: alcune famiglie furono cacciate dalle loro case per dare spazio ai nuovi arrivati, altre furono costrette a coabitare con persone con le quali era impossibile condividere usi e abitudini e con cui anche i più semplici tentativi di dialogo si rivelavano delle vere e proprie imprese a causa della difficoltà di comunicazione. Innumerevoli furono gli atti di violenza compiuti ai danni della popolazione; di questi i più noti sono senz'altro l'espulsione di gran parte degli abitanti di Alesso, Bordano e Trasaghis, i saccheggi di Cadunea, Cedarchis, Invillino, Sutrio e Illegio. A Imponzo il parroco don Giuseppe Treppo (medaglia d'oro al valor civile) venne ucciso per aver tentato di salvare due giovani donne dallo stupro. Non mancarono tuttavia casi di pacifica convivenza e va anche detto che in seguito a quel periodo si registrarono anche alcuni matrimoni fra donne carniche ed ex soldati cosacchi (molti infatti erano quelli che abbandonavano i reparti e passavano tra i partigiani). In Carnia furono costituiti complessivamente 44 presidi cosacchi che, facendo capo a Verzegnis, dove si trovava il comando del reggimento Terek-Stavropol, si spingevano in ogni valle da Sappada a Raveo a Ravascletto.
L'occupazione durò fino al maggio 1945 quando i cosacchi, di fronte all'avanzata alleata, persero la speranza di avere la Carnia tutta per loro come era stato promesso dai nazisti. Si incolonnarono quindi con carri e cavalli e, attraverso il passo di Monte Croce Carnico puntarono all'Austria, inconsapevoli del tragico destino che li attendeva; giunti nella valle del Gail e consegnatisi agli inglesi, ebbero infatti un'amara sorpresa: in seguito agli accordi di Jalta fra le forze alleate, tutti i cosacchi dovevano essere rimpatriati. Questo significava la fucilazione per gli ufficiali, e per tutti gli altri, donne e bambini compresi, la deportazione in Siberia. In molti, pur di evitare le torture dei gulag, preferirono la morte e optarono per un suicidio collettivo; così nel maggio 1945, con i loro cavalli e le loro famiglie si gettarono in massa nelle gelide acque della Drava, morendo annegati.
La Carnia è frequentata già nel Paleolitico Medio (122 000 anni da oggi) e nell'età del ferro dai Veneti e da gruppi di stirpe celtica, da cui trae il suo nome. I Carni vissero per diverse centinaia d'anni nelle fertili pianure tra il Reno (Germania) e il Danubio dove abitavano altri popoli celtici. Intorno al 400 a.C. la crescita demografica e la pressione dei popoli germanici generarono un flusso migratorio verso sud. I Carni valicarono le Alpi attraverso il passo di Monte Croce Carnico e si stabilirono nell'odierna Carnia e nella zona pedemontana del Friuli, dedicandosi alla caccia e alla pastorizia. Durante i rigidi inverni i pastori si spostavano con le loro mandrie nelle pianure pedemontane. Erano anche abili nella lavorazione del ferro e del legno. I Carni erano comandati da un re e da una casta sacerdotale (i druidi).
La prima data storica relativa all'arrivo dei Carni è il 186 a.C., quando circa 12 000 Carni, tra uomini armati, donne e bambini, scesero verso le zone pianeggianti che utilizzavano per svernare e fondarono su un colle un insediamento fortificato stabile, Akileja. I Romani, preoccupati dall'espansione di questo popolo, nel 183 a.C. ricacciarono i Carni oltre le Alpi, e fondarono una colonia a difesa dei confini del nord-est. Il nuovo insediamento venne chiamato Aquileia sulla base del nome del precedente insediamento antico (Akileja). I triumviri fondatori della colonia furono Publio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino.
I Carni, per arginare l'espansione romana e per conquistare le fertili e più ospitali terre pianeggianti, cercarono alleanze con i Celti Istriani, Giapidi e Taurisci. Roma, a sua volta, avvertendo sempre più il pericolo incombente dei Carni e volendo accelerare la propria espansione, inviò a nord est le legioni del console Marco Emilio Scauro, che sconfisse definitivamente i Carni nella battaglia del 15 novembre 115 a.C. In seguito i Carni si sottomisero a Roma, accettandone le imposizioni e anche le concessioni.
Intanto Aquileia accrebbe la sua importanza; divenne municipium romanum nel 90 a.C.; era un importante centro commerciale e artigianale, nonché principale porto sull'Adriatico e presidio militare. Alla figura di Giulio Cesare (proconsole della Gallia Cisalpina tra il 58 e il 49 a.C.) sono legate la fondazione di Tergeste (Trieste), Forum Iulii (Cividale) e Iulium Carnicum (Zuglio), che successivamente divenne sede vescovile. A Zuglio sono visibili i resti del Foro romano e a poca distanza è possibile visitare il Civico Museo Archeologico che si sviluppa su tre piani e ricostruisce la storia del territorio carnico, dalla Preistoria al Rinascimento, con particolare riferimento all'epoca romana. I durissimi colpi inferti dai Barbari all'Impero romano ebbero conseguenze anche in Carnia.
La Carnia fu invasa dai Visigoti (410 d.C.), e poi dagli Unni di Attila (452 d.C.), che devastarono Aquileia e altre città sorte nella pianura. Gli Ostrogoti (489 d.C.) dominarono il Friuli e la Carnia per 60 anni. Alcuni gotismi sono rimasti nella lingua friulana. Nello stesso periodo gli Slavi riuscirono a penetrare dalla Carantania (Alta Carinzia) nelle Valli del Bût, del Degano e del Fella. Si affermarono nella zona anche i Bizantini, che rafforzarono i preesistenti presidi militari romani. Nel 568 d.C. i Longobardi, provenienti dalla Pannonia, giunsero in Friuli guidati da Alboino con l'obiettivo di occupare la penisola.
I Longobardi trasferiscono la capitale del Ducato del Friuli a Cividale. Aquileia perde così la sua importanza politica. Diversi sono i reperti archeologici risalenti a questo periodo storico. Nella Chiesa di S. Pietro di Carnia sono tuttora visibili frammenti di scultura e architettura longobarde, inglobati in alcuni muri. Sono inoltre stati trovati orecchini e fibule a Forni di Sotto; orecchini di bronzo a Clavais; anelli di bronzo, pugnali e balsamarii ad Ampezzo. Presso Cercivento in località Gjai ("bosco bandito" in longobardo) fu rinvenuto uno scheletro rivolto verso levante con il cranio appoggiato a una grossa pietra.
Nel 773 - e fino al 952 - fu la volta del dominio franco; l'unica differenza rispetto alla dominazione precedente per la Carnia fu che i duchi longobardi furono sostituiti dai marchesi e dai conti Franchi. Carlo Magno nel 798 dichiarò Salisburgo sede metropolitica per le terre settentrionali. Nell'811 la Drava venne dichiarata nuovo confine tra la giurisdizione di Salisburgo e il patriarcato di Aquileia sempre per opera di Carlo Magno. Nell'888 ebbe fine la dinastia carolingia e iniziarono le invasioni degli Ungari; i quali, provenienti dalla regione danubiana, distrussero e depredarono tutto, guadagnandosi una fama peggiore degli Unni di Attila.
Nonostante le invasioni ungare la Carnia visse un periodo di ripresa economica e incremento demografico grazie alla sua posizione geografica: isolata e ben protetta dai monti non venne saccheggiata. Attorno al 1000 verranno creati la Gastaldia (Giurisdizione civile) e i due Arcidiaconati (Giurisdizione ecclesiastica): quello di Gorto (sottoposto all'Abbazia di Moggio) e quello della Carnia. Nel 1077 venne ufficialmente riconosciuto lo Stato Patriarchino Aquileiese, sorto per opera dell'imperatore tedesco Enrico IV. In un periodo storico dove fiorivano i Comuni e le Signorie, le cui vicissitudini caratterizzarono il Medioevo, la Carnia visse un periodo di autonomia e indipendenza.
Lo Stato Patriarchino durò 343 anni; esso presenta i caratteri di uno stato feudale di stampo germanico, a capo del quale vi è un Principe-Vescovo, il Patriarca di Aquileia. La lingua ufficiale per il documenti era il latino; il tedesco era l'idioma delle classi altolocate e della corte del Principe-Vescovo. Il popolo parlava il friulano con tutte le sue varianti locali, derivanti dall'assorbimento dei vari idiomi degli invasori che nei secoli si erano susseguiti. Il 1420 segnò la fine dello Stato Patriarchino Aquileiese: il 4 giugno di quell'anno Udine si arrese alla Repubblica Veneta, che soggiogò anche la Carnia e la ridusse a provincia nel contesto della Terraferma, dopo quasi 400 anni di germanizzazione temperata sempre della Chiesa cattolica di Aquileia.
Il Patriarcato di Aquileia continuò a esistere fino al 1751 esclusivamente nella sua forma ecclesiastica, retto da patriarchi veneti. Nel corso dei secoli XV e XVI la Carnia, assieme al Friuli sottostante, venne ripetutamente razziata dalle armate irregolari turche (in realtà si trattava probabilmente di bosniaci), utilizzate dall'Impero ottomano per tenere una spina nel fianco alla Serenissima con incursioni quasi annuali in una terra che, pur scarsamente difesa poiché considerata quasi colonia da Venezia, rientrava pur sempre nei territori della Repubblica. In questo contesto avvenne la battaglia del Cason di Lanza (1478) in cui le popolazioni locali affrontarono e sconfissero gli incursori turchi in uno dei pochi episodi di resistenza organizzata del periodo.
Dal 1814 al 1866 la Carnia fu parte dell'Impero austriaco, poi, dopo la terza guerra di indipendenza, il 21 ottobre 1866, il Friuli e la Carnia furono annessi all'Italia, seguendone le vicende storiche (anche se una parte restò austriaca fino al 1918), come la partecipazione alle sanguinose guerre del 1915-18 e del 1940-45, oltre che a tutte le vicende coloniali in Africa. Molti dei sentieri montani tuttora utilizzati risalgono alla prima guerra mondiale ed è ancora possibile individuare i resti dei fortini e le feritoie.
Durante la prima guerra mondiale la Carnia, trovandosi al confine tra Regno d'Italia e l'allora Impero austro-ungarico, divenne zona di guerra. Il settore di fronte compreso tra il Monte Peralba e il Monte Rombon costituiva la "Zona Carnia", a comandare la quale fu posto il generale Lequio; al 24 maggio 1915 vi erano dislocati 31 battaglioni (di cui 16 alpini). La zona Carnia aveva primaria importanza in quanto anello di congiunzione tra la 4ª armata del Cadore e la 2ª dell'Isonzo. Particolare importanza ebbe la zona del passo di Monte Croce Carnico con le alture circostanti: Pal Piccolo, Freikofel, Pal Grande, dove alpini e Kaiserschützen condussero una guerra di trincea logorante.
Sui monti carnici si combatté fino all'ottobre del 1917, mese in cui si verificò la rotta di Caporetto, e le truppe della Zona Carnia dovettero ripiegare. In seguito alla rotta di Caporetto, la Carnia dovette subire l'invasione austro-tedesca, che durò un anno intero; un anno che fu per la gente carnica pieno di miserie, privazioni e requisizioni. Durante la seconda guerra mondiale la Carnia fu zona di reclutamento privilegiato dei reparti alpini, impegnati sui fronti più diversi e in particolare in Russia. Dopo l'otto settembre vi fiorì un'intensa attività partigiana, culminata nella proclamazione della Repubblica Partigiana della Carnia, con capoluogo Ampezzo, che per estensione fu la più vasta d'Italia.
A causa dell'importanza strategica della zona, passaggio privilegiato tra la Pianura Padana e l'Austria grazie alla relativamente scarsa altitudine raggiunta dalle montagne e all'accessibilità dei passi, la Repubblica Partigiana ebbe vita breve, venendo attaccata e distrutta da ingenti forze naziste e fasciste congiunte. Con l'avvento della Repubblica, nella regione sono rifiorite istanze autonomiste, sostenute negli anni settanta anche da un politico nazionale di origine carnica, Bruno Lepre. Negli ultimi anni a causa della crisi che ha portato un'alta disoccupazione si sono creati malcontenti verso lo Stato italiano spesso sfociati in richieste di autonomia e talvolta secessione (di tutto il Friuli) dallo Stato centrale, additato come la causa della disoccupazione e quindi dei malcontenti.
Sono 28 i comuni carnici con le rispettive frazioni (accanto al nome italiano è riportato quello in lingua friulana):
Comune | Abitanti (31-12-2023) | Superficie (km²) | Frazioni |
---|---|---|---|
Amaro (Damâr) | 846 | 33,26 | - |
Ampezzo (Dimpeç) | 894 | 73,63 | Oltris, Voltois |
Arta Terme (Darte) | 2036 | 42,77 | Avosacco, Cabia, Cedarchis, Lovea, Piano d'Arta, Piedim, Rivalpo, Valle |
Cavazzo Carnico (Cjavaç) | 955 | 39,44 | Cesclans, Mena, Somplago |
Cercivento (Çurçuvint) | 640 | 15,78 | Cercivento di Sotto, Cercivento di Sopra, Casali |
Comeglians (Comelians, loc. Comalians) | 426 | 19,41 | Calgaretto, Maranzanis, Mieli, Noiaretto, Povolaro, Runchia, Tualis |
Enemonzo (Enemonç) | 1264 | 23,76 | Colza, Esemon di Sotto, Fresis, Maiaso, Quinis, Tartinis |
Forni Avoltri (For Davôtri, loc. Fôr Davuatri) | 501 | 80,75 | Collina, Collinetta, Frassenetto, Sigilletto |
Forni di Sopra (Fôr Disore) | 914 | 81,66 | Andrazza, Cella, Vico |
Forni di Sotto (Fôr Disot) | 530 | 93,60 | Tredolo, Baselia, Vico |
Lauco (Lauc) | 652 | 34,76 | Allegnidis, Avaglio, Buttea, Chiassis, Trava, Vinaio |
Ovaro (Davâr) | 1724 | 57,90 | Agrons, Cella, Chialina, Clavais, Cludinico, Entrampo, Lenzone, Liariis, Luincis, Luint, Mione, Muina, Ovasta |
Paluzza (Paluce) | 1952 | 69,75 | Casteons, Cleulis, Rivo, Timau |
Paularo (Paulâr) | 2340 | 84,24 | Casaso, Chiaulis, Dierico, Misincinis, Ravinis, Rio, Salino, Trelli, Villafuori, Villamezzo |
Prato Carnico (Prât) | 825 | 81,72 | Avausa, Croce, Osais, Pesariis, Pieria, Pradumbli, Prico, Sostasio, Truia |
Preone (Preon) | 254 | 22,47 | - |
Ravascletto (Ravasclêt, loc. Monai) | 509 | 26,48 | Salars, Zovello |
Raveo (Raviei) | 437 | 12,60 | Esemon di Sopra |
Rigolato (Rigulât) | 373 | 30,77 | Givigliana, Gracco, Ludaria, Magnanins, Stalis, Tors, Valpicetto, Vuezzis |
Sauris (Zahre, nel locale dialetto germanico) | 392 | 41,49 | La Màina, Latéis, Sàuris di Sotto, Sàuris di Sopra, Velt |
Sappada (Plodn, nel locale dialetto sappadino) | 1311 | 62,06 | - |
Socchieve (Soclêf) | 872 | 66,12 | Caprizzi, Dilignìdis, Feltrone, Lungis, Mediis, Nonta, Priuso, Viaso |
Sutrio (Sudri) | 1228 | 20,75 | Nojaris, Priola, Zoncolan |
Treppo Ligosullo (Trep Liussûl) | 679 | 35,58 | Ligosullo, Gleris, Siaio, Tausia, Zenodis, Murzalis |
Verzegnis (loc. Verzegnas) | 846 | 39,33 | Chiaicis, Chiaulis, Intissans, Villa |
Villa Santina (Vile) | 2127 | 13,00 | Invillino |
Zuglio (Zui) | 535 | 18,21 | Fielis, Formeaso, Sezza |
Tolmezzo (Tumieç) | 9781 | 64,62 | Cadunea, Caneva, Casanova, Cazzaso, Fusea, Illegio, Imponzo, Terzo, Lorenzaso |
Totale | 35843 | 1 285,91 | 125 |
La Carnia conta circa 35 000 abitanti; nella sola Tolmezzo ne risiedono circa 10 000 i rimanenti nei paesi distribuiti nelle vallate.
Dal periodo successivo alla prima guerra mondiale ma in particolare dal secondo dopoguerra, la Carnia ha visto un vero e proprio "esodo" dei suoi abitanti verso le città della pianura, verso la Francia, la Germania e verso le Americhe. Quest'ondata emigratoria, dovuta alla prospettiva di una vita più facile e più sicura, unita alle scarse risorse fornite dalla montagna e alla carenza di industrie, fu la causa del progressivo spopolamento delle valli carniche. In questi ultimi anni si assiste a un lento declino della popolazione dei paesi delle vallate a favore dei comuni del fondovalle e della Conca Tolmezzina, anche per la facilità occupazionale e di trasporto, Tuttavia gli stessi centri di fondovalle si trovano, negli ultimi anni, a dover subire un principio di spopolamento. La stessa città di Tolmezzo ha perso, dal censimento del 2011, circa 700 abitanti.
Il territorio montuoso e il clima rigido non sono favorevoli a uno sviluppo agricolo tale da costituire una voce importante nell'economia della regione; si riescono a coltivare in prevalenza patate (cartufules), fagioli (fajuis) e mais (sorch), da cui si ricava la farina per la polenta.
L'allevamento è fiorente; a livello familiare si allevano galline (gjalines) e tacchini (dindis). Importante è l'allevamento dei bovini da latte dal quale si ricavano diverse varietà di formaggio (čuč o formadi), ricotta affumicata (scuete fumade) e burro (spongje e ont burro cotto), che in piccola parte viene anche esportato fuori dalla regione. Si allevano suini, anche in questo caso a conduzione familiare, con la cui carne si produce in prevalenza salame (salamp), speck, salsicce (luanie), un insaccato simile al cotechino, ma più magro (muset), pancetta (panzete), lardo (argjel) e braciole (brusadule): tutti i prodotti vengono affumicati (fumâts) secondo un'antica tradizione che aveva lo scopo di conservare a lungo i prodotti. Famoso a livello regionale è il prosciutto crudo di Sauris anch'esso affumicato.
Le industrie principali sono quelle relative allo sfruttamento del legname (segherie, falegnamerie, mobilifici), vi sono inoltre fabbriche di occhiali, orologi e cartiere.
Nonostante la presenza di importanti cime montuose alpine, le amene vallate e i caratteristici paesini, i numerosissimi e ben tracciati sentieri CAI (lungo i quali in alcune zone è possibile ammirare i resti dei fortini della grande guerra) e rifugi alpini ben attrezzati, la Carnia non è meta del turismo di massa che invade invece il vicino Cadore. Tuttavia sono abbastanza numerose le strutture alberghiere e di ristorazione e il turismo sta divenendo sempre più una voce di particolare rilevanza nell'economia carnica.
È attivo ad Arta Terme uno stabilimento termale dal quale sgorga l'acqua minerale "pudia" (acqua solfato-calcico-magnesiaca-sulfurea) conosciuta e utilizzata fin dall'antichità, a una temperatura di 9 °C. Nel centro viene esercitata la cura idropinica, la fangoterapia, la balneoterapia e cure inalatorie con aerosol, nebulizzazione e insufflazione.
I trasporti urbani e interurbani del comune vengono svolti con autoservizi di linea gestiti da TPL FVG. La bassa Val Tagliamento (Tolmezzo, Villa Santina) era percorsa fino al 1960 dalla ferrovia Carnia-Tolmezzo-Villa Santina, mentre oggi la stazione ferroviaria più vicina è quella di Carnia, frazione di Venzone.
La regione è attraversata e servita dalle seguenti arterie stradali statali:
a cui si aggiungono le strade provinciali che attraversano la Valcalda, la Val Lumiei, la Val Chiarsò, la Val Pontaiba, Val di Preone e la Val di Lanza ovvero:
Gli esempi di architettura rurale in Carnia si possono dividere in 5 tipi fondamentali:
Gli edifici caratteristici di questa zona presentano solide pareti in legno squadrato (blockbau) costruite su un basamento in muratura, abbondanza di sovrastrutture in legno quali ballatoi e scale esterne. La presenza di questi ballatoi è dovuta alla situazione climatico - ambientale della zona: l'allevamento dei bovini, infatti, assai sviluppato, richiedeva grandi quantità di fieno. Poiché i tagli avvenivano sul finire della stagione, c'era la necessità di fare l'essiccamento sul ballatoio, anziché sui prati, data la stagione umida. Il ballatoio serviva anche a far maturare artificialmente i cereali come il granoturco. (Forni Avoltri)
L'abitazione caratteristica di Sauris è solitamente staccata dal rustico, e si compone in più piani. Al piano terra c'è un vano ingresso o atrio preferibilmente centrale, dal quale si accede alla cucina, al tinello e a uno o due locali, posti a monte, che fungono da cantina. Attraverso una scala di legno si sale al primo piano, dove si trovano uno o più corridoi dai quali si accede alle camere da letto e ai ballatoi (in questi troviamo spesso una latrina). Per un'altra scaletta di legno si accede al sottotetto, dotato di abbaino, nel quale vengono conservati i prodotti dell'agricoltura e gli attrezzi, ma non il fieno. I materiali da costruzione sono la pietra e la calce per i pianterreni, tronchi squadrati e incastrati tra loro per i piani superiori (blockbau). La copertura dei tetti, tutta e sempre in scandole di legno, è simile a quella utilizzata nella zona di Forni; in autunno sopra le scandole vengono disposte assi molto lunghe, fermate da ciottoli e pietre, perché tengano ferme le assicelle sotto il peso della neve.
Un accesso più facilitato alla Valle del Tagliamento e i valichi hanno permesso alla Val Degano di sviluppare maggiori contatti con le vicine popolazioni delle valli situate a oriente e occidente, e questo ha portato a evidenti influssi sull'architettura della zona.
La casa tipica di questa valle è una costruzione rettangolare, in muratura, senza sovrastrutture in legno, a due o tre piani, con scala interna preferibilmente in legno. Si differenzia da quella tipica della Val Tagliamento per aver il tetto a due grandi spioventi molto inclinati e nei lati più corti della casa altri due spioventi mozzi molto piccoli. Il tetto è coperto di tegole Bieberschwanz, introdotte a partire dal secolo XVIII. Il rustico è generalmente separato dall'abitazione.
La tipica casa carnica della zona della casa centrale è quella a loggiati, che risente dell'influenza veneta ed è caratterizzata da una serie di ampi archi che formavano appunto grandi loggiati e sottoportici, i quali non avevano solo funzione decorativa ma servivano anche ad accogliere le attività lavorative degli abitanti. Solitamente una casa possiede due o tre loggiati al piano terra che corrispondono spesso ad altrettanti archi al piano superiore. Il sottoportico è collegato al primo piano da una scala interna in pietra. I locali sono così disposti: al piano terra gli ambienti in cui si vive (cucina e talvolta una sorta di tinello) e si lavora, o un tempo si lavorava (legnaia, deposito attrezzi); al piano superiore trovano posto le camere da letto; quindi nel sottotetto, si trova il solaio.
In Carnia esisteva nel passato un sistema territoriale organizzato sulle Pievi (da plebs, popolo),[4] antiche chiese costruite a partire dal V secolo sotto la giurisdizione del Patriarcato di Aquileia e che trovavano nella Chiesa di Zuglio (Julium Carnicum) il centro principale di evangelizzazione e amministrazione, specie a seguito delle invasioni barbariche. Le Pievi sorgono sovente in posizione sopraelevata e lontane dai centri abitati e questo consente di controllare i fondovalle e le principali vie di comunicazione oltre a consentire la comunicazione tra esse. Il loro ruolo preminente perde importanza con l'aumentare della popolazione e la costituzione delle parrocchie a partire dal XIV-XV secolo.
Le Pievi storiche della Carnia sicure e documentate sono dieci:
Periodo | Ricorrenza | Paese |
---|---|---|
da Natale a Epifania | Borghi & Presepi | Sutrio |
5 gennaio | La medate ta cort di Flon | Arta Terme |
5 gennaio | La Femenate | Paularo |
5 gennaio | La Befana cul feral | Forni di Sopra |
5 gennaio | Il sedere della Bèlin | Sauris |
fine gennaio | Vertical race notturna | Ravascletto / Monte Zoncolan |
1º venerdì di febbraio | Ski krono Varmost | Forni di Sopra |
sabato antecedente il martedì grasso | Carnevale saurano | Sauris |
venerdì santo | Via Crucis vivente | Lauco |
Ascensione | Rito del Bacio delle croci | Zuglio |
1ª domenica di marzo | Fums, profums, salums | Sutrio |
3ª o 4ª domenica di maggio | Festa dell'asparago di bosco, del radicchio di montagna e dei funghi di primavera | Arta Terme |
fine maggio | Verzegnis-Sella Chianzutan | Verzegnis |
ultimo weekend di maggio | Cronoradime | Villa Santina |
1ª domenica di giugno | I Cjarsons | Sutrio |
1º weekend di giugno | Festa delle erbe di primavera | Forni di Sopra |
1ª domenica di giugno | Fiesta dal pan | Ampezzo |
metà giugno | International Sky race | Timau di Paluzza |
24 giugno | Ciurciuvint: Ierbas e tradision | Cercivento |
ultima domenica di giugno o prima di luglio | Rally Valli della Carnia | Ampezzo |
1ª domenica di luglio | Mondo delle malghe. Sagra del Malgaro | Ovaro |
da luglio a settembre | CarniaRmonte | Tolmezzo |
primi due weekend di luglio | Festa del prosciutto | Sauris |
ultima domenica di luglio | Fasin la mede | Sutrio |
3ª settimana di luglio | Concorso ippico internazionale | Arta Terme |
dall'ultima domenica di luglio a fine agosto | Rassegna artigianale ed artistica della Carnia (il futuro della tradizione) | Socchieve |
terza domenica di luglio | Festa del malgaro | Ovaro |
domeniche di luglio (ultima) e agosto (prima) | Festa dei frutti di bosco | Forni Avoltri |
3º weekend di luglio | Festa del Borgat | Tolmezzo |
ultima domenica di luglio | Fasin la mede | Sutrio |
10 agosto | Festival internazionale del folclore | Villa Santina |
2º sabato di agosto | Varmost vertical challenge | Forni di Sopra |
2ª settimana di agosto | Palio das cjarogiules. Golosez: amor di contrade | Paluzza |
metà agosto | Un venerdì da Leoni - festa sulla sabbia | Tolmezzo |
1ª domenica dopo ferragosto | Staffetta internazionale dei Tre Rifugi | Forni Avoltri |
prima domenica dopo ferragosto | Fiesta tas corts - Savors di una volta | Ravascletto |
ultimo sabato e domenica di agosto | Mistirs: "cultura, tradizioni e mestieri in Val d'Incarojo" | Paularo |
ultima domenica di agosto | Carnia classic | Tolmezzo |
ultima domenica di agosto | Sky race delle Dolomiti friulane | Forni di Sopra |
prima domenica di settembre | Magia del legno | Sutrio |
seconda domenica di settembre | Arlois e Fasois | Pesariis - Prato Carnico |
3º weekend di settembre | Festa della mela | Tolmezzo |
ultima domenica di settembre | Fiesta dal Pastor | Lauco Uerpa |
31 ottobre | Fiesta dalis muars | Ampezzo |
11 novembre | Tradizionale e antico mercato di San Martino | Ovaro |
8 dicembre | A Sauris è Natale - Mercatino di Natale | Sauris |
2º weekend di dicembre | Antico mercato di Santa Lucia | Arta Terme |
da Natale all'Epifania | Forni, neve e... magica atmosfera | Forni di Sopra |
31 dicembre | La marcia della pace | Zuglio |
vari mesi dell'anno | Tîr des cidulis (o des cjdulos o das cidules o anche das pirulas) | Arta Terme, Lauco, Forni Avoltri, Paularo, Comeglians, Ovaro, Ravascletto. |
La cucina tipica carnica è una cucina per lo più povera, a causa della scarsezza dei generi alimentari un tempo reperibili in Carnia. In questo territorio montano infatti pochi sono i terreni adatti all'agricoltura. I piatti principali sono quindi la polenta, che per anni ha permesso la sopravvivenza in montagna, e le minestre, necessarie in un clima rigido. La minestra era spesso piatto unico, talvolta cremosa, con pane raffermo e aggiunta di farinate. Le due minestre "classiche" sono quella di fagioli e la jota.
A Sutrio la minestra di fagioli è detta dal disesiet (del diciassette) anno dell'invasione austroungarica, perché in quell'anno di miseria era l'unica pietanza disponibile. Piatto tipico per eccellenza sono i cosiddetti Cjarsons, sorta di "agnolotti" di patate e farina di grano tenero ripieni di erbe e spezie o (versione della Carnia settentrionale) di frutta secca, ricotta e cacao, conditi con burro fuso e ricotta affumicata, tra i primi troviamo anche gli gnocchi di patate o più raramente di zucca gialla; tra i secondi il frico. Non va poi dimenticata la carne, in modo particolare quella di maiale. Del purcit non si buttava nulla: sangue, interiora, cotenna, tutto veniva utilizzato ed era una grande festa in paese quando venivano uccisi i maiali, tra dicembre e gennaio. Specialità tipiche sono il muset, simile a un cotechino ma più magro, il salame "di cjase" leggermente affumicato, il prosciutto crudo lievemente affumicato, e a Timau il varhackara, crema spalmabile a base di lardo e carne suina. Notevole per qualità è poi la produzione casearia.
Nel 2001 Giovanni Canciani ha composto e musicato il "Carnorum Regio - Inno alla Carnia". L'Inno è stato presentato in pubblico per la prima volta l'11 novembre 2001 nel Duomo di Tolmezzo, festa di San Martino,
Il "Carnorum Regio" è stato eseguito dall'Orchestra di Trieste e da tre cori: "Corale di Paluzza", "Corùt di Paularo", "Coro dei Giovani del Duomo di Tolmezzo".[14]
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