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bevanda alcolica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La birra è una bevanda alcolica ottenuta tipicamente dalla fermentazione di mosto a base di malto d'orzo, aromatizzata e amaricata con luppolo[1].
Tra le più diffuse[2] e più antiche[3] bevande alcoliche del mondo, viene prodotta attraverso la fermentazione alcolica (con ceppi di lievito di Saccharomyces cerevisiae o Saccharomyces carlsbergensis) di zuccheri derivanti da fonti amidacee, la più usata delle quali è il malto d'orzo, ovvero l'orzo germinato ed essiccato, chiamato spesso semplicemente malto.
«For a quart of ale is a dish for a king.»
«ché un boccale di birra è un pasto da re.»
La birra è una delle bevande più antiche prodotte dall'uomo, probabilmente databile al settimo millennio a.C., registrata nella storia scritta dell'antico Egitto e della Mesopotamia[4]. La prima testimonianza chimica nota è datata intorno al 3500-3100 a.C.[5]. Poiché quasi qualsiasi sostanza contenente carboidrati, come ad esempio zucchero e amido, può andare naturalmente incontro a fermentazione, è probabile che bevande simili alla birra siano state inventate l'una indipendentemente dall'altra da diverse culture in ogni parte del mondo. È stato sostenuto che l'invenzione del pane e della birra sia stata responsabile della capacità dell'uomo di sviluppare tecnologie e di diventare sedentario, formando delle civiltà stabili.[6][7][8]
È verosimile che la diffusione della birra sia infatti coeva a quella del pane; poiché le materie prime erano le stesse per entrambi i prodotti, era solo "questione di proporzioni": se si metteva più farina che acqua e si lasciava fermentare si otteneva il pane; se invece si invertivano le quantità mettendo più acqua che farina, dopo la fermentazione si otteneva la birra.
Si hanno testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. Proprio in Mesopotamia sembra sia nata la professione del birraio e testimonianze riportano che parte della retribuzione dei lavoratori veniva corrisposta in birra.[9] Due erano i principali tipi prodotti nelle case della birra: una birra d'orzo chiamata sikaru (pane liquido) e un'altra di farro detta kurunnu. La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati (ad esempio annacquava la birra) e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione[10]. Nella cultura mesopotamica la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto ed offerta alle divinità per propiziarsele.
La birra aveva analoga importanza nell'Antico Egitto, dove la popolazione la beveva fin dall'infanzia, considerandola anche un alimento ed una medicina. Addirittura una birra a bassa gradazione o diluita con acqua e miele veniva somministrata ai neonati quando le madri non avevano latte. Anche per gli Egizi la birra aveva un carattere mistico, tuttavia c'era una grossa differenza rispetto ai Babilonesi: la produzione della birra non era più artigianale, ma era divenuta una vera e propria industria, con i faraoni che possedevano persino delle fabbriche.
Si parla di birra anche nella Bibbia e negli altri libri sacri del popolo ebraico come il Talmud; nel Deuteronomio si racconta che durante la festa degli Azzimi si mangiava per sette giorni il pane senza lievito e si beveva birra. Lo stesso avviene durante la festività del Purim.
In Sardegna i Nuragici producevano birra sin dal 1350-1200 a.C. Ceramiche ritrovate nel sito nuragico del nuraghe Arrubiu hanno trattenuto al loro interno le molecole e gli acidi grassi delle sostanze che venivano cucinate. Gli esami hanno stabilito che alcuni di queste sono tipici della birra. Sono in corso ulteriori studi per capire quali frutti e sostanze venivano utilizzate in modo da scoprirne la ricetta.[11]
La Grecia, più orientata sul vino, non produceva birra ma ne consumava molta, soprattutto per le feste in onore di Demetra[12] e durante i giochi olimpici durante i quali era vietato il consumo del vino.[12] La bevanda arrivava in Grecia tramite i commercianti fenici.
Anche gli Etruschi e i Romani preferivano di gran lunga il vino, tuttavia ci furono personaggi famosi che divennero sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della Britannia, che una volta tornato a Roma nell'83 d.C. portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l'odierna Gloucester) e fece aprire il primo pub nella penisola italiana.[senza fonte]
I veri artefici della diffusione della bevanda in Europa furono comunque le tribù Germaniche e Celtiche. Questi ultimi in particolare si stanziarono in Gallia, in Britannia e soprattutto in Irlanda, dove addirittura esiste una leggenda secondo cui gli irlandesi discendono da un popolo di semidei chiamati Fomoriani che avevano la potenza e l'immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra, che fu loro sottratto dall'eroe di Mag Mell.[Cioè?]
Molti non riconoscerebbero come "birra" ciò che bevevano i primi abitanti dell'Europa in quanto le prime birre contenevano ancora al loro interno i prodotti da cui proveniva l'amido (frutta, miele, piante, spezie).[13] Il luppolo come ingrediente della birra fu menzionato per la prima volta solo nell'822 da un abate carolingio[14] e di nuovo nella seconda metà del XII secolo dalla badessa Ildegarda di Bingen.[15] Fu proprio merito dei monasteri durante il Medioevo il salto di qualità nella produzione della bevanda. Persino le suore avevano tra i loro compiti quello di produrre la birra, che in parte era destinata ai malati e ai pellegrini. Anche in Gran Bretagna la birra prodotta dalle massaie veniva messa a disposizione delle feste parrocchiali ed utilizzata per scopi umanitari. In Inghilterra in particolare, la birra divenne bevanda nazionale in quanto l'acqua usata per la sua produzione veniva bollita e quindi sterilizzata.
La birra prodotta prima della rivoluzione industriale era principalmente fatta e venduta su scala domestica[16], nonostante già dal settimo secolo d.C. venisse prodotta e messa in vendita da monasteri europei. Durante la rivoluzione industriale, la produzione di birra passò da una dimensione artigianale ad una prettamente industriale e la manifattura domestica cessò di essere significativa a livello commerciale dalla fine del XIX secolo[17].
Lo sviluppo di densimetri e termometri cambiò la fabbricazione della birra, permettendo al birraio più controlli sul processo e maggiori nozioni sul risultato finale. Inoltre, sempre nello stesso periodo, furono eseguiti studi specifici sul lievito, che permisero di produrre la birra a bassa fermentazione, di gran lunga la più diffusa nel mondo.
La parola italiana birra deriva dal tedesco Bier, un prestito del XVI secolo[18]. Il termine ha rimpiazzato l'antico cervogia, che indicava le birre fatte senza luppolo[19]. Dalla stessa parola tedesca deriva il francese bière[20]. Sono imparentati con Bier l'inglese beer e il neerlandese bier[20]. L'origine della stessa parola germanica (dall'antico alto tedesco bior) è incerta: si pensa che sia un prestito del VI secolo dal latino volgare biber "bibita, bevanda", dal verbo latino bibere[21], oppure derivi direttamente dal protogermanico *beuwoz-, da *beuwo- "orzo"[20].
In inglese si usa, oltre a beer, un altro termine per indicare la birra: ale. Antiche fonti inglesi fanno distinzione tra le due parole, ma non definiscono cosa si intenda per "birra" durante quel periodo, nonostante sia possibile che si riferisca all'idromele (mead)[20]. La forma dell'antico inglese beor[20] è scomparsa subito dopo la conquista normanna dell'Inghilterra (in risposta all'introduzione del luppolo che non sarà ampiamente utilizzato per altri duecento anni), e il termine è rientrato a far parte della lingua inglese solamente secoli dopo, riferendosi esclusivamente alle bevande di malto con luppolo. Fino a quel momento il termine ale si riferì specificamente a birre senza luppolo, nonostante questa non sia più la definizione attuale della parola (indica infatti le birre ad alta fermentazione). Si ritiene che ale derivi direttamente dalla radice indoeuropea *alu-, e sia arrivata alla forma attuale attraverso il termine germanico *aluþ-[22]. La stessa radice è all'origine dello svedese öl e del danese e norvegese øl; da queste è stata prestata alle lingue baltiche (lettone e lituano alus) e a quelle baltofinniche (finlandese olut ed estone õlu).
Nelle lingue spagnola e portoghese, e nei loro dialetti, la bevanda viene chiamata cerveza, cerveja o con un termine analogo a questa forma, che deriva dal latino cervēsia o cer(e)vīsia[19] così come il francese cervoise "birra senza luppolo", da cui cervogia. La forma latina è un probabile relitto mediterraneo preindoeuropeo[19] come cerea o caelia, bevanda fermentata usata nella Spagna romana[23]. La radice protoindoeuropea *ḱerh₃- (saziare, nutrire) è la stessa delle parole cereale, del verbo latino crescere e di Cerere, divinità romana della fertilità e patrona, fra le altre cose, dei raccolti[24]. Un'altra interpretazione è che il termine provenga da una voce gallica[25].
Il termine proto-slavo *pivo, letteralmente "bevanda", è la parola per definire la birra nella gran parte delle lingue slave, con piccole variazioni fonetiche presenti tra lingua e lingua. In greco antico – la bevanda non era tradizionale in Grecia – la parola per la birra egiziana era ζῦθος zŷthos (forse da ζύμη zýmē, "lievito"[26]), per quella frigia o trace βρῦτον brŷton[20]; oggi si usa un prestito dall'italiano[27]: μπίρα bíra.
Nel processo di fermentazione si utilizzano spesso ingredienti, metodi produttivi e tradizioni diversi: al posto dell'orzo possono infatti venire usati frumento, mais, riso - questi ultimi due specialmente come aggiunte in birre di produzione industriali - e, in misura minore, avena, farro, segale, mentre altre piante meno utilizzate sono invece radice di manioca, miglio e sorgo in Africa, patata in Brasile e agave in Messico; il tipo di lievito e il metodo di produzione vengono tipicamente usati per classificare le birre in ale, lager o birre a fermentazione spontanea.
Durante il processo di produzione, il malto viene immerso in acqua calda dove, grazie all'azione di alcuni enzimi presenti nella radichetta formatasi durante la germinazione, gli amidi presenti vengono convertiti in zuccheri fermentescibili, con il mosto zuccheroso ottenuto che può essere a sua volta aromatizzato con erbe aromatiche, frutta o più comunemente luppolo; successivamente viene impiegato un lievito dando inizio alla fermentazione, portando così alla formazione di alcool, unitamente ad anidride carbonica (per la maggior parte espulsa) ed altri prodotti di scarto derivanti dalla respirazione anaerobica dei lieviti.
La germinazione viene arrestata tramite essiccazione o torrefazione[N 1] quando il germoglio ha raggiunto circa i due terzi della lunghezza del chicco. L'orzo maltato viene quindi macinato fino ad ottenere una specie di farina o graniglia che viene poi miscelata con acqua calda a circa 65-68 °C. Questa fase è detta ammostamento, in quanto il malto si trasforma in mosto. Precisamente questo avviene quando l'amido ancora presente nel malto si trasforma in maltosio, uno zucchero. La massa mantenuta in agitazione nel tino (in acciaio, nel passato in rame) di ammostamento (perciò detto "ammostatore") viene portata, con opportune soste, alle temperature ottimali per l'attività enzimatica di degradazione di amido e proteine, favorendone così la solubilizzazione nel mosto.
La parte liquida viene quindi separata dalla parte solida tramite filtrazione all'interno di un tino filtro, in cui il mosto con le trebbie viene pompato dal basso. Quando tutto il mosto è stato trasferito, si lascia che le trebbie sedimentino sul falso fondo forato, e si procede quindi alla filtrazione. Per raggiungere un buon livello di limpidezza, il mosto viene fatto ricircolare più volte. Questa fase viene chiamata in gergo tecnico lavaggio delle trebbie (Sparging in inglese).
Il passo successivo è la cottura del mosto all'interno di un tino in acciaio, denominato (per questa fase) "bollitore"; tradizionalmente la caldaia per bollire il mosto era in rame che è un ottimo conduttore termico e che non si degrada eccessivamente. Il tempo di cottura è fondamentale per la scelta del tipo di birra che si vuole produrre ed anche per la sua qualità, in quanto durante questo processo avviene la gran parte delle reazioni biochimiche; normalmente varia tra un'ora e due ore e mezza. Durante la bollitura, che nei birrifici moderni avviene tramite getti di acqua bollente ad alta pressione, si ha anche l'importante processo di sterilizzazione del mosto. Sempre durante questa operazione avviene l'aggiunta del luppolo. In genere la sala di cottura viene considerata come il "cuore" del birrificio.
Nel corso dell'ebollizione, in seguito a reazione tra i polifenoli del malto e del luppolo e le proteine del malto, si formano complessi insolubili che costituiscono il "trub a caldo". Questo tende a precipitare al termine del processo e l'allontanamento è considerato fondamentale per la qualità e la stabilità della futura birra. Questa azione è effettuata mediante l'uso del whirlpool, tino in cui il mosto giunge tangenzialmente generando una forza centrifuga che determina la raccolta della fase torbida sul fondo, al centro del recipiente, e permette la separazione di una fase liquida limpida.
In seguito il mosto viene raffreddato fino a temperature a cui può avvenire la fermentazione: dai 4 ai 6 °C per la bassa fermentazione e dai 15 ai 20 °C per quella alta.
La fermentazione si divide in due fasi; la prima, detta fermentazione principale, vede come protagonista il lievito che ha la funzione di trasformare gli zuccheri e gli aminoacidi presenti nel mosto in alcol, anidride carbonica e sostanze aromatiche. Il processo che utilizza Saccharomyces cerevisiae è più rapido, in genere tre o quattro giorni, di quello a bassa fermentazione, in quanto si svolge a temperature superiori e i processi di fermentazione sono favoriti dal calore. Questo lievito inoltre risale in superficie e viene recuperato con schiumature e per questo è notevolmente economico.
La fermentazione secondaria, detta anche maturazione, invece consiste nel lasciare per circa quattro o cinque settimane la birra in grosse vasche di maturazione a una temperatura compresa fra 0 e 2 °C. Questa operazione permette di saturare di anidride carbonica la birra e di far depositare i residui di lievito, oltre che armonizzare i vari ingredienti. In questa fase si forma la schiuma.
Infine c'è la pastorizzazione che è un processo a cui non tutte le birre vengono sottoposte. Consiste nel portare la birra alla temperatura di 60 °C per distruggere alcuni microrganismi e quindi conservare maggiormente il prodotto. La birra non pastorizzata viene definita "cruda".[N 2]
Alla fine del processo alcune birre vengono illimpidite tramite filtrazione (più o meno stretta) per togliere loro i residui di opacità e velatura; successivamente sono imbottigliate o infustate. Una birra che non ha subito l'operazione di illimpidimento prima dell'imbottigliamento (o infustamento) è detta "non filtrata".
La carbonazione (aggiunta o sviluppo di anidride carbonica per ottenere la frizzantezza desiderata) può essere ottenuta per aggiunta diretta al prodotto (nel caso di alcune produzioni industriali), o effettuando in modo ermetico l'ultima parte della fermentazione, in modo che la CO2 prodotta dalla stessa si disciolga nella birra. Un'altra tecnica - tipica ad esempio di alcuni stili di birra belga, delle weizen e di gran parte delle birre artigianali - è quella della rifermentazione, che può avvenire in fusto, "cask" o in bottiglia. Con questo procedimento, prima di chiudere ermeticamente il contenitore viene aggiunta una piccola quantità di zucchero o altra sostanza fermentabile, e del lievito (solo nel caso in cui quello ancora presente in sospensione non sia sufficiente). Si sviluppa così una rifermentazione che produce la quantità desiderata di anidride carbonica che all'interno del contenitore ermetico non può che disciogliersi nella birra. Si può determinare anche un lieve innalzamento della gradazione alcolica, che tuttavia è marginale e non rappresenta lo scopo del procedimento.
Il processo produttivo della birra viene chiamato "birrificazione" o "brassaggio" e richiede numerose fasi di lavorazione. La prima di queste fasi è la "maltificazione" (detta anche "maltazione"): l'orzo o gli altri cereali, dopo essere stati selezionati e ripuliti, vengono immessi nelle vasche di macerazione dove ricevono l'acqua e l'ossigeno necessario per la germinazione. In taluni casi i cereali sono (parzialmente) impiegati anche non maltati.
Questo processo dura in genere tre o quattro giorni durante i quali l'acqua è mantenuta a temperature comprese fra i 12 e i 15 °C e viene continuamente cambiata. Una volta che è stato raggiunto il grado di umidità sufficiente, l'orzo viene messo a germinare per circa una settimana nei cassoni di germinazione o comunque in un luogo ben aerato.
Tra le fasi del processo produttivo la fase di fermentazione del mosto è quella che non solo determina il carattere e il contenuto alcolico della birra, ma è pure origine di una serie rilevante di sostanze che ne influenzano gli aspetti organolettici non solo gustativi e di struttura, ma anche di sensazioni odorose e aromatiche.
Vi sono due tipi di fermentazione: l'alta fermentazione e la bassa fermentazione. Questi due procedimenti diversi sono alla base della classificazione nei due distinti macro tipi di birra omonimi. Si veda Classificazione dove viene spiegato che in realtà esiste, seppur pochissimo diffusa, anche un terzo tipo di fermentazione. Il diverso intervallo di temperatura a cui si svolgono i due tipi di fermentazione è una condizione fisica imprescindibile per lo svolgimento dei processi enzimatici e chimici peculiari dei due ceppi di lieviti distinti.
Dal punto di vista terminologico la dizione "alta" e "bassa" relativa alla fermentazione del mosto di birra non è (in prima battuta) legata al diverso intervallo di temperatura, più alto nell'utilizzo del Saccharomyces cerevisiae per le birre Ale e più basso nell'utilizzo del Saccharomyces carlsbergensis per le birre Lager. Anche se abbastanza diffusa, questa spiegazione è tuttavia errata[28]. La dizione infatti è principalmente legata al movimento dei lieviti esauriti nel tino a fine fermentazione: il cerevisiae sale in "alto" ovvero in superficie, il carlsbergensis scende in "basso", ovvero sul fondo. Il movimento in alto e in basso è conseguenza della specificità metabolica dei due lieviti diversi.
Fu lo stesso Emil Christian Hansen, lo scienziato danese che nel laboratorio della Carlsberg per primo utilizzò il tipo di lievito che poi prenderà il suo nome, a suddividere[29] i lieviti per la produzione della birra in top-fermenting (alta fermentazione, ove top si riferisce al fatto che "si dirigono in alto") e in bottom-fermenting (bassa fermentazione, ove bottom si riferisce al fatto che "si dirigono in basso").
Nei birrifici, quando si produce una birra di stile ale, si può assistere alla consueta operazione di raccolta della massa di lievito sulla superficie del tino con l'impiego del tradizionale "cucchiaione". Invece, nei serbatoi ove si è svolta la fermentazione di una birra di stile lager, il lievito forma una specie di marmellata che si adagia sul fondo della vasca da dove viene poi estratto.
Accanto a questo business mondiale è molto attiva anche la produzione casalinga che rispecchia nel piccolo la produzione industriale. La produzione casalinga di birra è legale in Italia solamente dal 1995, anno in cui venne approvato il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504.
In genere le attrezzature necessarie per una birrificazione casalinga sono raccolte in kit e distribuite da ditte specializzate. Sempre più diffusa è però la tendenza a procurarsi e costruirsi da soli gli strumenti necessari.
Per la produzione casalinga è possibile adottare tre diverse tecniche che differiscono tra di loro per la difficoltà e per la qualità del prodotto finale:
La produzione di birra da estratto salta alcune fasi importanti del processo, tra cui l'ammostatura (mashing) e il lavaggio delle trebbie (sparging). Per questa ragione non è da considerarsi propriamente "birrificazione".[30]
Negli ultimi anni sta prendendo piede presso gli appassionati una variante della tecnica All Grain, la BIAB (acronimo di "Brewing in a bag"). I grani macinati sono introdotti nella pentola di "mashing" all'interno di una sacca filtro, che può essere comodamente rimossa prima della bollitura. Saltando la fase di "sparging", la tecnica BIAB permette di ridurre notevolmente costi e tempi di produzione.
La produzione di birra è possibile con qualunque tipo di cereale. Questo però deve essere preparato affinché i suoi zuccheri diventino fermentescibili. In alcuni casi è sufficiente una semplice cottura, come nel caso del mais, mentre in altri casi è necessario "maltare" il cereale.
Il malto non è altro che un cereale germinato, in particolare l'orzo. Infatti, gli zuccheri contenuti nei chicchi d'orzo non sono immediatamente accessibili. È quindi necessario attivare un enzima presente nel chicco stesso. Questo enzima parteciperà alla riduzione delle lunghe catene di zuccheri. L'attivazione dell'enzima consiste semplicemente nel far germinare i chicchi. Quando si ritiene che l'attivazione enzimatica della germinazione sia arrivata allo stato ottimale, si interrompe il processo, riducendo l'umidità nei chicchi fino al suo valore minimo mediante l'essiccazione. Questo prodotto viene chiamato "malto verde". A questo punto bisogna cuocerlo per ottenere il "malto secco". A basse temperature si ottiene il minimo effetto di tostatura e si parla di "malti chiari". In proporzione a quanto si aumenta la temperatura del forno e/o il tempo di permanenza in esso, il malto risultante diventa più scuro. Si può arrivare fino al punto di bruciarlo producendo così i "malti neri" o "malti torrefatti". Il grado di tostatura del malto determina il colore della birra.
Quando non si tratti di orzo, allora si specifica il cereale di partenza (malto di frumento, malto di avena, ecc.).
Il termine "miscela", il cui nome tecnico è "grist", si riferisce ai cereali e ai tipi di malto che si utilizzeranno per preparare il mosto. Questi infatti possono essere composti da un solo tipo di orzo maltato, oppure da una "miscela" di diversi tipi, oppure ancora da diversi malti di orzo ed altri cereali maltati e non. Le proporzioni e i componenti di questa miscela sono fondamentali per la scelta e la determinazione dello stile di birra che si vuole produrre.
I diversi cereali che si utilizzano per produrre birra presentano ognuno una serie di varietà botaniche che moltiplicano le possibilità di scelta del birraio. Si possono trovare sul mercato fino a 60 tipi diversi di grano[N 3], numero che aumenta considerevolmente se teniamo conto anche dei malti caserecci. Di base, i cereali si possono distinguere in quattro categorie:
L'additivo principale usato per compensare la dolcezza del malto, è il luppolo, introdotto nella produzione alla fine del primo millennio e diffusosi a partire dal XVI secolo[31]. Di questa pianta si utilizzano i fiori femminili non fecondati. Alla base della sua brattea c'è una ghiandola che contiene la luppolina, che è la sostanza che conferirà il sapore amaro alla birra. I responsabili di questa amarezza sono gli acidi amari (in particolare gli alfa acidi, e in misura minore i beta acidi) mentre gli oli essenziali, costituiti da composti volatili e delicati a base di esteri e di resine, contribuiscono all'aroma. Esistono numerose varietà botaniche di luppolo e sono oggetto di studio intenso. Il luppolo è la causa della stimolazione dell'appetito che produce la birra. Vengono classificati in diverse categorie:
Il luppolo è molto delicato e viene normalmente essiccato subito dopo il raccolto che avviene dalla fine di agosto ad ottobre a seconda delle varietà e del microclima della zona di coltivazione. L'impiego di luppolo non essiccato è di recente introduzione e solo per alcune birre stagionali: in tal caso deve essere impiegato nella preparazione della birra entro poche ore dal raccolto. Il luppolo sul mercato si trova in diverse forme: coni essiccati pressati, in plug (coni pressati in grosse pastiglie) oppure macinato e estruso in piccoli pellet; diffuso, specie nella produzione industriale, l'uso di estratti di luppolo.
La varietà e la freschezza del luppolo influenzano sensibilmente le caratteristiche finali della birra.
Oltre al luppolo, nella storia si sono usati numerosissimi additivi botanici per la birra, tra cui:
La birra è composta dall'85% al 92% di acqua. Oltre alle caratteristiche minerali e batteriologiche di potabilità che obbligatoriamente deve avere, ogni birra richiederà una qualità differente di acqua: talune necessitano di acque poco mineralizzate, altre acque più dure con molto calcare. Nella moderna produzione quasi nessuna birra viene prodotta con l'acqua così come fluisce, ma con acqua che viene prima trattata nel birrificio in modo da avere sempre le stesse caratteristiche e non alterare la ricetta. In particolare l'acqua viene a volte filtrata o demineralizzata al fine di ridurre la durezza. Solitamente viene anche sottoposta a procedimento di declorazione preliminare sia per ragioni produttive che organolettiche.
Tra i minerali dell'acqua che interessano maggiormente i birrai ci sono il calcio, i solfati e i cloruri. Il calcio aumenta la separazione del malto e del luppolo nella macerazione e nella cottura, e scurisce la birra dandole opacità e torbidezza. Il rame, il manganese e lo zinco inibiscono la flocculazione dei lieviti. I solfati rinforzano l'amarezza e la secchezza del luppolo. I cloruri danno una tessitura più piena e rinforzano la dolcezza.
Nella moderna produzione si ha un consumo di circa tre ettolitri d'acqua per ogni ettolitro di birra prodotta.
La maggior parte degli stili di birra si produce utilizzando una delle due specie di microrganismi unicellulari del tipo Saccharomyces, comunemente chiamati lieviti. Si tratta di funghi che consumano zuccheri e producono alcol e anidride carbonica. Esistono fondamentalmente due famiglie di lieviti che definiscono i due più grandi gruppi di birre:
Nella produzione della birra, specialmente in quella chiamata a fermentazione spontanea, possono intervenire anche altri lieviti. In queste birre il produttore non ne seleziona nessuno in particolare, ma permette a tutti i microrganismi presenti nell'aria (dell'ambiente circostante) di introdursi nel mosto. In questo modo intervengono, oltre al Saccharomyces, più di 50 fermentatori differenti tra cui il Lactobacillus, che è un batterio che produce l'acido lattico, ed il Brettanomyces (altro genere di lievito), che produce l'acido acetico. Queste birre, che vengono chiamate Lambic, sono dunque acide per definizione[N 5], e la loro produzione richiede procedimenti speciali destinati a ribassarne il grado di acidità.
Sono numerose le possibilità di classificazione delle birre. Quella che trova maggior impiego fa riferimento al tipo di lievito utilizzato e, conseguentemente, al tipo di fermentazione. In questo senso le birre si dividono in tre grandi famiglie:
Spesso alle ale sono riconosciute caratteristiche di maggior complessità grazie agli aromi floreali, speziati e fruttati, mentre le lager sono più frequentemente "pulite" ed evidenziano soprattutto il carattere di malto e luppolo.
Un'altra classificazione particolarmente intuitiva, ma poco significativa se utilizzata come unico fattore di discriminazione, è quella basata sull'indicizzazione del colore, generalmente misurato sulla scala SRM. Il colore dipende dalla durata e temperatura di tostatura subita dai cereali impiegati, anche se in alcuni rari casi può essere alterato da coloranti naturali come la clorofilla assumendo una colorazione verde smeraldo[35]. Altra caratteristica visiva della birra è data dalla limpidezza o dalla opacità generalmente dovuta alla presenza di lievito in sospensione (nelle birre di produzione industriale il lievito viene eliminato prima dell'imbottigliamento per mezzo di filtri).
Esiste anche una classificazione relativa al grado di amarezza percepito, misurato sulla scala IBU (International Bitterness Unit).
Un'ulteriore classificazione è legata al grado alcolico, generalmente misurato in percentuale di alcol sul volume della bevanda ("titolo alcolometrico volumico"), o alla quantità di zuccheri fermentescibili presenti nel mosto prima della fermentazione misurata in gradi Plato. Questo tipo di tassonomia ha particolare significato per l'industria e il fisco[N 6]. Ogni nazione ha denominazioni caratteristiche talvolta derivanti dalla tradizione.
Uno stile di birra contraddistingue la bevanda tenendo conto delle caratteristiche dette in precedenza quali colore, aroma, sapore, gradazione alcolica, ingredienti e ricetta, tipo di lievito utilizzato, tipo di fermentazione. Ogni stile ha una sua origine e storia e si è evoluto seguendo non solo tendenze di mercato ma anche l'evoluzione tecnologica e la convenienza economica, talora legata anche alla tassazione. Visti i vari tipi di classificazione possibili, una rigorosa suddivisione tassonomica non è applicabile: per comodità si possono suddividere a grandi linee a seconda del tipo di fermentazione, tenendo conto che fra le birre ad alta fermentazione per stout e birre di frumento non viene solitamente usata la denominazione di ale.
Le ale sono birre prodotte ad alta fermentazione. A questa grande famiglia appartengono stili birrari molto differenti: alcuni strettamente legati ad aree geografiche più o meno ristrette, come le ale belghe, altri di carattere più sovranazionale, come le birre di frumento che trovano comunque sfumature di regione in regione.
Le ale inglesi hanno un carattere fruttato, anche se meno evidente di quello delle belghe, e spesso evidenziano maggiormente il malto e il luppolo. Si distinguono tra esse gli stili:
Le ale belghe sono in genere più fruttate delle inglesi, spesso speziate ed a volte acidule. Gli stili di questo paese sono davvero tanti e molte birre fanno stile a sé. Tra i più riconosciuti troviamo:
Si annoverano infine alcuni "stili acidi" tipicamente belgi, sempre meno reperibili: le oud bruin, leggere e agrodolci, e le flemish red meno dolci e più acetiche, con commistioni tra i due stili.
Le ale tedesche annoverano le altbier di Düsseldorf - ambrate, non forti, maltate e piuttosto amare - e le chiare, leggere e delicate kölsch di Colonia. Sono entrambi degli stili ibridi in quanto fermentate con un lievito da alta fermentazione, ma ad una temperatura relativamente bassa e maturate ancora più al freddo. Hanno quindi gusto e aroma meno fruttato e più pulito rispetto alle vere e proprie ale.
Le stout sono birre ad alta fermentazione, caratterizzate da un colore molto scuro, spesso nero, e una tostatura molto marcata (torrefazione); in genere, la gradazione è relativamente bassa e l'amaro intenso; l'aroma del luppolo è invece moderato, sovrastato da quelli tipici di cacao e caffè. Si possono distinguere:
Sono birre ad alta fermentazione caratterizzate dall'ampio uso di frumento (50% e oltre). Gli stili più famosi sono quello tedesco (denotate come weizen, ovvero "birre di grano", o weiss, ovvero "birre bianche", per via dell'aspetto opalescente) e quello belga (blanche in francese o wit in fiammingo con lo stesso significato). Le affinità fra questi stili riguardano, oltre all'uso del frumento, il colore chiaro, la gradazione media ed un certo carattere speziato e acidulo. Le differenze non mancano: le blanche impiegano frumento non maltato, le weizen frumento maltato; le blanche impiegano spezie come coriandolo e buccia d'arancia, mentre nelle weizen il carattere speziato è dovuto esclusivamente al lievito molto particolare che produce anche un caratteristico aroma di banana.
In Germania si producono anche weizen scure, denominate dunkelweizen o dunkelweissen e birre di frumento più forti: le weizenbock. Infine le berliner weisse, caratteristiche della regione di Berlino, sono più leggere e decisamente acidule.
Le lager sono birre di ogni colore e gradazione prodotte a bassa fermentazione. Le più diffuse sono quelle chiare, tra cui si distinguono:
Sebbene spesso si associ erroneamente il termine lager alla birra chiara, non mancano in realtà lager scure, tra cui:
Ci sono poi lager più forti, rappresentate in Germania dalla famiglia delle bock: di colore chiaro, gusto maltato appena equilibrato dal luppolo, in genere di gradazione alta (6,5% - 7,5% ma anche 8,0% per le scure e caramellate doppelbock). Ci sono poi altre lager extra-strong non appartenenti alle bock che, pur raggiungendo gradazioni alcoliche molto alte, rimangono comunque bilanciate e complesse nel sapore.
Esistono infine moltissime altre lager "internazionali", in buona parte prodotte da grandi industrie multinazionali. Solitamente fanno largo uso di riso e mais (spesso non maltati) per renderle leggere di corpo e poco caratterizzate in aroma; a volte sono associate a termini di mercato come ice o dry.
Il lambic è una specialità della regione del Payottenland, a sud ovest di Bruxelles, ed è un tipo di birra così diverso che è talvolta considerato come bevanda a sé stante rispetto al mondo delle birre; le specialità tradizionali sono caratterizzate dalla loro intensità e ricchezza aromatica e dalla decisa acidità.
Il processo birrario è detto "a fermentazione spontanea": non viene inoculato alcun lievito selezionato, ma la produzione usa lieviti e batteri selvatici presenti nell'ambiente come il Brettanomyces bruxellensis (nell'aria o nelle strutture stesse del birrificio); l'inoculazione avviene lasciando raffreddare lentamente il mosto caldo in vasche ampie e poco profonde, per massimizzare la superficie esposta all'aria. Durante la successiva lunga maturazione in botte intervengono altri lieviti selvaggi e batteri presenti nel legno stesso.
Il lambic "puro" non è frizzante, ma "sgasato", ed è raramente commercializzato in questa forma; più spesso viene rifermentato unendo lambic di annate diverse, dando origine alle spumeggianti gueuze; se è invece rifermentato assieme ad amarene o lamponi dà origine rispettivamente alle kriek e alle framboise. Diffuso ma meno tradizionale l'impiego di altri frutti come ribes nero, pesche o fragole. Da notare che il termine kriek viene talvolta utilizzato anche per birre a fermentazione non spontanea aromatizzate alla ciliegia.
La birra, come succede anche con il vino, entra come componente nella cottura di numerosi piatti quali, ad esempio:
La birra contiene vitamine (vitamina B1, B2, B5, B6 e H) oltre che fosforo, potassio, magnesio, zolfo, fluoro, sodio, rame, manganese, zinco, alluminio e ferro. Elementi comunque presenti in parti per milione se non parti per miliardo.
La birra inoltre contiene tirosolo, tryptophol e i seguenti acidi fenolici: feniletanolo, acido 4 -idrossifenilacetico, acido vanillico, acido caffeico, acido siringico, acido p-cumarico, acido ferulico e acido sinapico. Il luppolo, che viene utilizzato nella produzione della birra, contiene 8-prenilnaringenina (un potente fitoestrogeno), umulene, myrcene, mircenolo, linalolo, alcol 2M2B, isoxanthohumol e xanthohumol.
Il malto, anch'esso usato nella produzione della birra, contiene le prodelphinidins B3, B9, C2. Alcune società utilizzano additivi per stabilizzare e rendere più durevole la schiuma prodotta dalle molecole di biossido di carbonio in risalita, questi additivi schiumogeni sono: l'azoto, il glicole propilenico alginato e il solfato di cobalto.
Stando a dati raccolti nel 2005, l'industria birraria è diventata un business di proporzioni globali, dominata da pochi soggetti internazionali[40] (InBev, Anheuser-Busch, SABMiller, Heineken, Carlsberg solo per citarne alcuni), accanto a cui convivono molte migliaia di produttori minori che spaziano dai brewpub ai birrifici regionali.
Nel 2008 sono stati consumati oltre 180 miliardi di litri[41] di birra che fruttano entrate totali per un ammontare di circa 400 miliardi di dollari (dati 2007).[42]
Nel marzo 2008 la SABMiller divenne il più grande produttore di birra del mondo, acquistando l'olandese Royal Grolsch.[43] La belga InBev era quindi al secondo posto[44] di questa particolare "classifica" e la statunitense Anheuser-Busch era in terza posizione. Tuttavia il 18 novembre 2008 dalla fusione di queste ultime due società nacque la Anheuser-Busch InBev, che divenne così il leader mondiale del settore.[45][46]
Il primato dei consumi spetta ancora all'Europa con 72 litri/anno pro capite, anche se nel 2008 si è verificato un calo della produzione e dei consumi[41]. Negli ultimi anni l'industria birraria si sta espandendo notevolmente in nuovi mercati emergenti come l'America Latina o in misura ancora maggiore l'Asia. La crescita è notevole soprattutto in Cina, che è diventato il più grande mercato nazionale della birra con oltre 410 milioni di ettolitri prodotti[41]. Un caso particolare è quello dell'Oceania che, sebbene abbia consumi pro-capite al livello di quelli europei, conta poco in termini di volumi totali a causa della scarsa popolazione.
Tra le birre più popolari in Belgio vi sono le pilsener, le ale belghe e le particolari lambic.
La Germania è uno dei Paesi che occupa un posto di rilievo nelle statistiche degli Stati per consumo di birra pro capite, in particolare uno dei Länder ove si registra il maggior consumo è la Baviera.
La birra in Italia ha origini antiche, il processo utilizzato avviene per fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae.
La birra negli Stati Uniti è prodotta da oltre 7 000 birrifici, che variano in dimensioni da giganti del settore a microbirrifici.
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