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politico, economista, accademico dirigente pubblico e dirigente d'azienda italiano (1939-) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Romano Prodi (Scandiano, 9 agosto 1939[2][3]) è un politico, economista e dirigente d'azienda italiano, Presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004, Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana per due volte (dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008) e una delle figure centrali della cosiddetta Seconda Repubblica.
Romano Prodi | |
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Romano Prodi nel 2014 | |
Presidente della Commissione europea | |
Durata mandato | 16 settembre 1999[1] – 21 novembre 2004 |
Predecessore | Manuel Marín |
Successore | José Barroso |
Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 18 maggio 1996 – 21 ottobre 1998 |
Capo di Stato | Oscar Luigi Scalfaro |
Vice presidente | Walter Veltroni |
Predecessore | Lamberto Dini |
Successore | Massimo D'Alema |
Durata mandato | 17 maggio 2006 – 8 maggio 2008 |
Capo di Stato | Giorgio Napolitano |
Vice presidente | Massimo D'Alema Francesco Rutelli |
Predecessore | Silvio Berlusconi |
Successore | Silvio Berlusconi |
Presidente del Consiglio europeo | |
Durata mandato | 18 maggio 1996 – 30 giugno 1996 |
Predecessore | Lamberto Dini |
Successore | John Bruton |
Presidente del Partito Democratico | |
Durata mandato | 14 ottobre 2007 – 16 aprile 2008 |
Predecessore | Carica creata |
Successore | Rosy Bindi |
Presidente de I Democratici | |
Durata mandato | 27 febbraio 1999 – 22 settembre 1999 |
Predecessore | Carica creata |
Successore | Arturo Parisi |
Presidente dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale | |
Durata mandato | 3 novembre 1982 – 29 ottobre 1989 |
Predecessore | Pietro Sette |
Successore | Franco Nobili |
Durata mandato | 20 maggio 1993 – 27 luglio 1994 |
Predecessore | Franco Nobili |
Successore | Michele Tedeschi |
Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato | |
Durata mandato | 25 novembre 1978 – 21 marzo 1979 |
Capo del governo | Giulio Andreotti |
Predecessore | Carlo Donat-Cattin |
Successore | Franco Nicolazzi |
Deputato della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 9 maggio 1996 – 16 settembre 1999 |
Durata mandato | 28 aprile 2006 – 28 aprile 2008 |
Legislatura | XIII, XV |
Gruppo parlamentare | XIII: - Popolari Democratici-L'Ulivo (fino al 10/03/1999) - Misto/I Dem-L'Ulivo (dal 10/03/1999 al 31/03/1999) - Democratici-L'Ulivo (dal 31/03/1999) XV: PD-L'Ulivo |
Coalizione | XIII: L'Ulivo XV: L'Unione |
Circoscrizione | Emilia-Romagna |
Collegio | XIII: 12. Bologna-Mazzini |
Sito istituzionale | |
Dati generali | |
Partito politico | Indipendente di area Partito Democratico (2013-2017; dal 2018) In precedenza: DC (1963-1966) Ind. di area DC (1975-1994) Ind. di area PPI (1994-1996) MpU (1996-1999) I Dem (1999-2002) Ind. di area DL (2002-2007) PD (2007-2013) AC (2017-2018) |
Titolo di studio | Laurea in giurisprudenza |
Università | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Professione | Economista; Docente universitario; Dirigente d'azienda |
Firma |
Soprannominato Il Professore per la sua carriera accademica[4], è stato docente universitario di economia e politica industriale all'Università di Bologna, nel 1978 ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato nel governo Andreotti IV, presidente dell'IRI dal 1982 al 1989 e dal 1993 al 1994, presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004 (Commissione Prodi) e dal 17 gennaio al 6 febbraio 2008 ministro della giustizia ad interim.
Fondatore e leader de L'Ulivo, dal 23 maggio 2007 è stato presidente del comitato nazionale per il Partito Democratico, e con la fondazione di quest'ultimo ne è stato Presidente dell'Assemblea Costituente Nazionale dal 14 aprile 2007 al 16 aprile 2008. Il 1º settembre 2008 ha creato la Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli.[5] Dal 12 settembre 2008 presiede il gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa. Nell'ottobre 2012 è stato nominato inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per il Sahel.[6] Dal 21 febbraio 2014 è presidente dell'International advisory board (Iab) di UniCredit.[7]
Collabora come editorialista con Il Messaggero.[8]
È l'ottavo dei nove figli di Mario Prodi (1895-1970), ingegnere e di Enrichetta Franzoni (1903-1990), maestra elementare. La famiglia era composta da sette fratelli e da due sorelle: Giovanni (1925-2010), Maria Pia (1926), Giorgio (1928-1987), Fosca (1931), Paolo (1932-2016), Quintilio (1935-2023), Vittorio (1937-2023) e Franco (1941). La maggior parte dei fratelli sono, o sono stati, docenti universitari: Giovanni Prodi di analisi matematica, Vittorio Prodi di fisica (oltre che europarlamentare), Paolo Prodi di storia moderna, Franco Prodi di fisica dell'atmosfera, Giorgio Prodi di patologia generale. Nel 1969 si è sposato, in una celebrazione presieduta dall'allora sacerdote (e poi cardinale) Camillo Ruini, con Flavia Franzoni (1947-2023)[9], a quel tempo studentessa e in seguito divenuta economista e docente universitaria. Dal matrimonio sono nati due figli: Giorgio (1971) e Antonio (1974).
Iniziò i suoi studi al liceo classico Ariosto di Reggio Emilia. Dopo aver vinto una borsa di studio per il Collegio Augustinianum, s'iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove si laureò poi con lode nel 1961 in giurisprudenza, presentando una tesi sul protezionismo nello sviluppo dell'industria italiana con Siro Lombardini. Approfondì i suoi studi a Milano, Bologna e alla London School of Economics, sotto la supervisione di Basil Yamey.
Nel 1963 iniziò la sua carriera accademica come assistente di Beniamino Andreatta alla cattedra di economia politica della facoltà di scienze politiche dell'Università di Bologna. Con quest'ultimo, fece parte del comitato scientifico dell'Istituto lombardo di studi economici e sociali, quale ricercatore.[10] Nel 1973 all'Università degli Studi di Trento, il cui rettore era all'epoca il fratello Paolo Prodi,[11] ebbe l'incarico per l'insegnamento di "Economia e politica industriale", l'anno successivo l'Università di Harvard negli Stati Uniti lo chiamò come visiting professor. Come professore ordinario, tenne la cattedra di "Economia politica e industriale" all'Università di Bologna fino al 1999. È stato anche visiting professor presso lo Stanford Research Institute. Ha insegnato presso il Johns Hopkins University - SAIS - Bologna Center.
Il 6 febbraio 2009 è stato nominato professore presso l'Istituto di Studi Internazionali della Brown University.[12]
I temi delle sue ricerche hanno riguardato principalmente lo sviluppo delle piccole e medie imprese, dei distretti industriali e la politica contro i monopoli. In un secondo momento si è anche interessato delle relazioni fra Stato e Mercato e della dinamica dei diversi modelli di capitalismo.
Fra il 1974 e il 1978 ha presieduto la casa editrice il Mulino, nel 1982 divenne direttore delle riviste Energia e L'Industria. Nel 1981 ha fondato Nomisma, una società di studi economici e consulenza.
Ha collaborato con i maggiori quotidiani nazionali tra cui il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore con numerosi articoli ed editoriali e inoltre è stato conduttore nel 1992 di una serie di trasmissioni su Rai Uno: Il tempo delle scelte, in cui teneva delle vere e proprie lezioni di economia.[13]
È membro del comitato consultivo del Torino World Affairs Institute (T.wai).[14]
Il 6 giugno 2021, in occasione della commemorazione della morte di Camillo Benso Conte di Cavour, è stata annunciata l'assegnazione del Premio Cavour 2021 a Prodi.
Nel 1963 si affacciò per la prima volta in politica, venendo eletto consigliere comunale a Reggio Emilia per la Democrazia Cristiana, ma dopo poco tempo lasciò per le difficoltà a conciliare l'impegno amministrativo con quello accademico a Bologna.
Negli anni '70 ebbe un primo incarico manageriale come presidente della Maserati e della società nautica Callegari e Ghigi, imprese in difficoltà gestite dall'istituto finanziario pubblico GEPI allo scopo di risanarle.
Successivamente è stato ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato dal novembre 1978 fino al marzo 1979, nel quarto governo Andreotti. Promosse da ministro un decreto legge che porta il suo nome (legge Prodi), volto a regolamentare la procedura di amministrazione straordinaria dello Stato per il salvataggio delle grandi imprese in crisi.
Nominato da Giovanni Spadolini, nel periodo dal 1982 fino al 1989 fu presidente dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), allora il maggiore ente pubblico che controllava varie società di rilievo operanti nel mercato in diversi settori economici e che in quel momento si trovava in forti difficoltà economiche. La nomina di un economista (seppur sempre politicamente di area democristiana, come il predecessore Pietro Sette) alla guida dell'IRI costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato. La ristrutturazione dell'IRI durante la presidenza Prodi portò a:
Il risultato fu che nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò il bilancio in utile, e di questo Prodi si fece sempre un vanto, anche se a proposito di ciò Enrico Cuccia affermò:
«(Prodi) nel 1988 ha solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come negli anni precedenti.»
È comunque indubbio che in quegli anni l'IRI aveva per lo meno cessato di crescere e di allargare il proprio campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente, e per la prima volta i governi cominciarono a parlare di "privatizzazioni".
Nel 1993, in seguito alla caduta del primo governo Amato, fu in lizza, assieme a Mario Segni e Carlo Azeglio Ciampi, per l'incarico di Presidente del Consiglio a capo di un governo tecnico.[15] Tale carica fu però assegnata all'allora governatore della Banca d'Italia Ciampi, che richiamò Prodi a guidare l'IRI, allora settimo conglomerato al mondo per dimensioni con oltre 67 miliardi di dollari di fatturato, nonostante la prima fase di smobilitazione delle sue partecipazioni.[16] Alla guida dell'IRI Prodi operò una serie di privatizzazioni di diverse società del gruppo.
È inoltre membro del comitato esecutivo dell'Aspen Institute Italia.[17]
Allievo di Beniamino Andreatta, aderì alle correnti riformiste della Democrazia Cristiana (DC) ed ebbe buoni rapporti con Giulio Andreotti, tant'è che fu proprio quest'ultimo che il 25 novembre 1978 lo scelse come ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato al posto di Carlo Donat-Cattin. Anche se non volle mai diventare un vero e proprio militante del partito (il suo risultava infatti un ministero "tecnico") Prodi, così come i capi della corrente morotea (Aldo Moro e Benigno Zaccagnini su tutti) e come Amintore Fanfani, non fu ostile né al compromesso storico tra DC e il Partito Comunista Italiano né alla partecipazione diretta dei comunisti al governo.
La sua azione economico-manageriale trovò l'appoggio del governo guidato da Ciriaco De Mita. Fu Giovanni Spadolini a collocare Prodi ai vertici dell'IRI nel 1982.
Il 25 maggio 1994 Prodi si reca a Palazzo Chigi per un colloquio di un'ora col nuovo Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il presidente dell'IRI ha probabilmente deciso di dimettersi ritenendo esaurito l'incarico di risanamento ricevuto l'anno prima da Ciampi,[18] ma le dimissioni saranno formalizzate il 31[19] e rese effettive dal 22 luglio.
Dopo l'IRI, l'11 agosto Prodi annuncia alla Gazzetta di Reggio l'intenzione di entrare in politica: «Adesso ho mente e animo liberi. Un impegno in politica diventa un dovere, vista la situazione»[20]. Pochi mesi prima aveva rifiutato la proposta del neonato PPI di candidarsi alle elezioni europee.[21]
La politica italiana, in seguito alla scomparsa dei principali partiti di riferimento che ne avevano segnato la storia repubblicana, come la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano, volgeva in quegli anni ormai verso la prospettiva del bipolarismo, dopo l'esperienza delle elezioni politiche del 1994, in cui aveva prevalso la coalizione guidata da Silvio Berlusconi, andata in crisi dopo pochi mesi.[22]
A tale alleanza di centro-destra si opponevano una coalizione centrista Patto per l'Italia (PPI-Segni-PSDI-PRI)[23] ed una di sinistra Alleanza dei Progressisti (PDS-PRC-PSI-Verdi-RS-CS-AD).[24]
In seguito alla sconfitta del '94 tra i partiti della sinistra riformista e le forze del centro italiano, si svilupparono rapporti di consultazione politica. Dopo la caduta del governo Berlusconi I nel dicembre 1994, tuttavia, l'Italia fu per un anno governata da una squadra di tecnici guidati da Lamberto Dini, che ebbe il sostegno di un'inedita maggioranza di centro-sinistra formata da Progressisti (meno Rifondazione Comunista), PPI e Lega Nord. La fine del governo Dini nel 1996 portò dunque a nuove elezioni, nelle quali lo stesso Dini si presentò con un suo partito di natura moderata e centrista: Rinnovamento Italiano, che scelse di entrare subito nel nascente schieramento di centro-sinistra.
Dall'unione della maggior parte delle forze di centro (esclusi solo i settori centristi di Forza Italia e il CCD-CDU) e le forze della sinistra riformista, nacque una nuova coalizione di "centro-sinistra". Questa era così formata da partiti moderato-riformisti di centro e centrosinistra (PPI, RI, AD, La Rete, PSI) alleati con partiti collocati nell'ambito della sinistra moderata e democratica (Rinascita Socialista, Verdi, Cristiano Sociali, PDS). Tale coalizione riconobbe come proprio leader l'ex Presidente dell'IRI ed ex ministro dell'industria Prodi, da sempre vicino ai settori riformisti e "morotei" della Democrazia Cristiana e perciò ben visto tanto dai settori centristi quanto da quelli di sinistra dello schieramento.
Il 13 febbraio 1995 Prodi lanciò quindi il suo movimento, L'Ulivo,[25] che nel giro di un anno divenne il nome di un'alleanza fra il centro e la sinistra e che vide proprio nella candidatura di Prodi a Presidente del Consiglio l'espressione di quel dialogo fra cattolici e laici che s'intendeva proporre al Paese in alternativa alle destre. Ottenne subito l'adesione alla sua candidatura di Mariotto Segni (con la formazione di un gruppo parlamentare dedicato all'unione proposta di più forze politiche, riunente liberali, repubblicani, socialisti), quindi del Partito Democratico della Sinistra di Massimo D'Alema, del Partito Popolare Italiano di Gerardo Bianco, dei Verdi.
Questi dunque, come leader del centro-sinistra italiano, siglò accordi di desistenza con Rifondazione Comunista (che comunque rimaneva fuori dall'alleanza) e portò la sua coalizione alla vittoria nelle elezioni politiche del 1996[26]. Così per la prima volta in Italia si creava un unico blocco, che oltre ai tradizionali eredi delle culture socialista, socialdemocratica, cattolico-popolare e liberale, coinvolgeva anche i post-comunisti e gli ambientalisti.
Il governo Prodi I che si formò ebbe una composizione ulivista e d'indipendenti e si avvalse di un appoggio esterno da parte di Rifondazione Comunista.
Come Presidente del Consiglio italiano, dal 18 maggio Prodi assunse anche l'incarico di presidente del Consiglio europeo.
Il programma politico di Prodi prevedeva la continuazione del lavoro di risanamento della situazione economico-finanziaria italiana, che i predecessori Amato, Ciampi e Dini avevano iniziato. Con l'obiettivo di includere l'Italia al progetto della moneta unica europea, che richiedeva il rispetto di precisi parametri economici, difficile da raggiungere poiché l'Italia era da qualche anno uscita dal Sistema Monetario Europeo (vi rientrò nel novembre del 1996 dopo le politiche di risanamento dei ministri Visco e Ciampi). Visco varò una complessa riforma fiscale che eliminava alcune imposte (fra cui la patrimoniale sulle imprese) e tutti i contributi sanitari, introduceva l'Irap, razionalizzava il sistema sanzionatorio, cambiava la riscossione, introduceva il modello di dichiarazione unico che consentiva la compensazione fra debiti e crediti di imposta, procedeva a una radicale riorganizzazione dell'amministrazione finanziaria, istituendo le Agenzie fiscali (Entrate, Dogane, Territorio e Demanio) e rendendo autonoma l'amministrazione dei Monopoli di Stato e varando la normativa di privatizzazione della produzione di sigari e sigarette. Visco condusse una campagna contro l'evasione fiscale che consentì il recupero di quote significative di imposte occultate, ma che gli costò l'ostilità di alcune categorie di contribuenti abituate alla tradizionale tolleranza. Queste politiche consentirono al governo Prodi una drastica riduzione del disavanzo pubblico, portato sotto la soglia prescritta del 3 per cento (fu del 2,7) grazie anche a un recupero di evasione fiscale pari a 0,5 punti di Pil in assenza del quale il disavanzo sarebbe stato del 3,2 per cento. Si riuscì quindi a raggiungere il principale parametro del Trattato di Maastricht. Per rientrare nei parametri europei fu anche deciso un contributo straordinario, chiamato anche "eurotassa" o "tassa per l'Europa", commisurata ai redditi delle persone, che venne in seguito per il 60% restituita nel 1999.
Col cosiddetto pacchetto Treu il governo guidato da Prodi inaugurò una stagione di continue riforme del mercato e del diritto del lavoro favorite anche dall'utilizzo del sistema della concertazione introdotta nell'azione di governativa dal precedente governo presieduto da Ciampi. Con questa legge il lavoro interinale e altre forme contrattuali di lavoro atipico ottennero il riconoscimento legislativo da parte dell'ordinamento italiano.
Grazie all'azione del ministro delle poste e delle telecomunicazioni Antonio Maccanico, sotto il governo di Prodi venne varata una nuova Authority indipendente, denominata Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Nel gennaio 1997 il ministro della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica Luigi Berlinguer propose un Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione; allo stesso anno risale la riforma dell'esame di maturità.
Da ricordare l'operato del ministro dell'ambiente Edoardo Ronchi del governo Prodi che, tramite l' omonimo decreto., introdusse la prima legge quadro italiana sulla regolamentazione del settore rifiuti con l'istituzione del formulario di identificazione dei rifiuti e al modello unico di dichiarazione ambientale.
Ad opera del ministro per i beni culturali e ambientali Walter Veltroni venne varato il meccanismo di assegnazione delle risorse provenienti dalle estrazioni del Lotto per finanziare il restauro dei beni culturali lanciando inoltre l'apertura dei musei anche la sera; il governo procedette poi ad un riassetto della pubblica amministrazione tramite le diverse leggi Bassanini (promosse dall'allora ministro Franco Bassanini).
Nel 1998 fu approntata la nuova normativa in materia di commercio che, nel rivedere la legge del 1971, dispose l'abolizione delle tabelle merceologiche e, per la maggioranza degli esercizi, la soppressione dell'obbligo di iscrizione al Registro Esercenti il Commercio (REC). Il testo, difeso dall'allora ministro dell'industria Pier Luigi Bersani, fu criticato dalle opposizioni, secondo le quali la riforma avrebbe avvantaggiato soprattutto la grande distribuzione organizzata.
Sempre nel 1998 fu approvata la riforma della disciplina dell'immigrazione, la legge Turco-Napolitano (proposta dal ministro dell'interno Giorgio Napolitano e dal ministro della solidarietà sociale Livia Turco); la legge, peraltro, introdusse nell'ordinamento il reato di reingresso illegale nel territorio dello Stato da parte dello straniero in precedenza espulso.
Con Beniamino Andreatta ministro della difesa si operò la riforma degli stati maggiori e si ricevette dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il ruolo di guida durante la Missione Alba (un'operazione di peacekeeping e d'aiuto umanitario all'Albania interamente gestita da forze europee), fu abolita la leva obbligatoria modificando anche il servizio civile. Venne proposta l'idea di creare una forza di difesa internazionale europea.
Il suo governo si concluse nell'ottobre 1998 sfiduciato per un voto alla Camera dei deputati in seguito al ritiro dell'appoggio di una parte del gruppo di Rifondazione Comunista, in rottura con la linea politica della coalizione dell'Ulivo, durante le fasi di approvazione della nuova legge finanziaria. La crisi di governo si risolse con la successione a Massimo D'Alema, mantenendo una continuità di indirizzo politico e con diversi ministri che vennero confermati nel proprio ruolo. L'esclusione di Prodi creò una crisi all'interno della coalizione dell'Ulivo, e nel febbraio 1999 Prodi fondò I Democratici, un movimento politico avente lo scopo di unire in un unico partito coloro che si riconoscono nell'Ulivo. Nel marzo del 1999 Romano Prodi fu nominato Presidente della Commissione europea, lasciando quindi la guida del nuovo movimento, che partecipando all'elezioni europee raccolse il 7,8% dei consensi.
Designato dai governi europei alla Commissione europea, venne accolto con un appoggio ampio composto in particolare dai parlamentari europei popolari e socialdemocratici. Durante la sua presidenza avvennero alcune innovazioni nell'Unione: il 1º gennaio 2002, l'entrata in vigore dell'Euro come valuta corrente in undici paesi dell'Unione; il 1º maggio 2004 l'allargamento dell'Unione ad altri 10 paesi: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria; il 29 ottobre 2004, la firma a Roma della Costituzione europea. Molte furono le riforme proposte o appoggiate da Prodi, in materia di mercato interno e di unificazione dello spazio giudiziario europeo (tra cui il cosiddetto "mandato d'arresto europeo").
Terminato il suo mandato, Prodi ritornò a dedicarsi alla politica italiana, e venne scelto da tutti i partiti della coalizione del centro-sinistra come leader dell'Unione e candidato a Presidente del Consiglio alla convention del 14 febbraio 2004 al PalaLottomatica di Roma.[27]
Questa coalizione debuttò vittoriosamente in occasione delle elezioni regionali del 2005, nelle quali l'Unione si affermò in 12 delle 14 regioni interessate al voto.[28]
Il 16 ottobre 2005 si svolsero le elezioni primarie per la scelta "ufficiale" del capo della coalizione per le elezioni dell'anno seguente. Prodi propose questo tipo di consultazione, mai prima di allora avvenuta in Italia, pur godendo del sostegno degli apparati burocratici dei maggiori partiti dell'Unione, per avere un'investitura diretta da parte dell'elettorato di centro sinistra come guida della coalizione e quindi futuro presidente del consiglio.
Prodi si impose con una forte maggioranza, ottenendo il 74,1% dei consensi (su oltre 4 milioni di voti) e distanziando gli altri sei candidati, ottenendo un indiscusso successo nei confronti dei settori politici della coalizione più avversi alla sua leadership.
Il 16 febbraio 2005 creò a Bologna la "Fabbrica del Programma" che consisteva fisicamente in un capannone in cui chiunque poteva portare un contributo per una sua valutazione e inclusione nel programma finale da presentare nella successiva elezione politica.
La coalizione guidata da Romano Prodi vinse le elezioni politiche del 2006 con uno scarto inferiore ai 25 000 voti alla Camera, mentre al Senato ottenne due seggi grazie al voto degli italiani all'estero. Il limitato margine di vantaggio con cui L'Unione prevalse nelle elezioni diede adito a numerosi reclami e ricorsi, respinti dalla Cassazione il 20 aprile, che confermò la vittoria di Prodi.
Romano Prodi ha ricevuto l'incarico dal presidente Giorgio Napolitano il giorno 16 maggio 2006, accettando con riserva.[29][30] Il giorno dopo, 17 maggio 2006 ha sciolto la riserva, comunicando la lista del Consiglio dei ministri: curiosamente, ciò è avvenuto esattamente 10 anni dopo la data d'inizio del suo primo governo. Ha inizio il governo Prodi II che fu il primo governo repubblicano a vedere la partecipazione diretta dei partiti Rifondazione Comunista e Radicali italiani, divenendo così l'unico governo sostenuto dall'intera sinistra parlamentare (cosa che non accadeva più dal governo De Gasperi III).
L'indagine mondiale sulla libertà di stampa (Freedom of the Press 2004 Global Survey) uno studio annuale pubblicato dall'organizzazione americana Freedom House, ha promosso l'Italia al grado di "libera" (Free) dopo averla per due anni consecutiva retrocessa al grado di "parziale libertà" motivando questo avanzamento al governo Prodi, che avrebbe permesso maggiore libertà mediatica ed eliminato le barriere che erano state apposte dal precedente governo Berlusconi contro giornalisti sgraditi al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.[31]
Nel corso dell'attività del secondo governo Prodi e su iniziativa dello stesso è stata ripresentata all'ONU una risoluzione relativa alla moratoria universale della pena di morte. Tale risoluzione, non vincolante ma dal forte significato simbolico, è stata approvata il 18 dicembre 2007 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.[32][33] Prodi introdusse una nuova linea in politica estera, ritirando le truppe italiane dall'Iraq e criticando il conflitto. Ebbe un ruolo chiave nella creazione di una forza di pace multinazionale in seguito al conflitto tra Israele e Libano del 2006. Si preoccupò di modificare o cancellare alcuni provvedimenti del precedente esecutivo in materia di pensioni e giustizia, inoltre portò avanti un programma di liberalizzazioni.
Il governo Prodi II fu anche responsabile:
Il governo Prodi II è il governo più numeroso nella storia della Repubblica (102 tra ministri, viceministri e sottosegretari). Con l'elezione di Franco Marini alla presidenza del Senato e il passaggio all'opposizione del senatore eletto nelle liste di Italia dei Valori, Sergio De Gregorio, al Senato la situazione è diventata di 157 a 157 (infatti il Presidente del Senato, per prassi, non vota) diventando determinante il voto dei senatori a vita e dell'indipendente Luigi Pallaro.
Con tale situazione creatasi al Senato, il governo è andato in minoranza in alcune votazioni in Aula e in commissione e in un caso, anche in una votazione sulla fiducia. Il voto favorevole di alcuni dei sette senatori a vita (Andreotti, Ciampi, Colombo, Cossiga, Levi-Montalcini, Pininfarina, Scalfaro) è stato spesso decisivo. In seguito al comportamento dei senatori a vita in alcune votazioni, la Casa delle Libertà ha aperto una polemica nella quale metteva in discussione le prerogative che la Costituzione della Repubblica Italiana, nell'articolo 59, assegna agli stessi.
Romano Prodi, nel corso del suo secondo esecutivo, si è trovato ad affrontare due crisi di governo: la prima nel febbraio 2007, risoltasi con il rinvio del governo alle camere da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il rinnovo della fiducia, la seconda, invece, nel gennaio 2008, questa volta fatale per l'esecutivo.
Il 21 febbraio 2007 Romano Prodi ha rimesso il suo mandato di Presidente del Consiglio dei ministri nelle mani del presidente della Repubblica, dopo che al Senato la risoluzione della maggioranza di centro-sinistra per l'approvazione delle linee guida di politica estera, appena illustrate all'assemblea dal ministro degli affari esteri Massimo D'Alema, non aveva ottenuto il quorum di maggioranza.[38] Pur non essendo questo voto costituzionalmente vincolante all'apertura di una crisi di governo, di fatto essa si è verificata.
All'evento hanno fatto seguito numerose critiche sollevate dall'opposizione, anche al riguardo dello stesso D'Alema - il quale, il giorno precedente, aveva dichiarato che un voto contrario al Senato sulla politica estera avrebbe costretto il governo alle dimissioni. Prodi si è così recato al Palazzo del Quirinale e ha rimesso il proprio mandato nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Quest'ultimo, dopo le formali consultazioni come da prassi costituzionale, il 24 febbraio ha rifiutato le dimissioni di Prodi, rinviando il governo alle Camere per il voto di fiducia. Il 28 febbraio il Senato, con 162 voti a favore e 156 contrari, ha rinnovato la fiducia al governo Prodi. Determinante è stato, in questo caso, il passaggio alla maggioranza del senatore Marco Follini.
La prima crisi di governo si è definitivamente chiusa il 2 marzo seguente con il voto di fiducia alla Camera, con 342 voti a favore, 253 contrari e due astensioni.
La seconda e definitiva crisi di governo si è verificata il 24 gennaio 2008: a seguito dell'uscita del ministro della giustizia Clemente Mastella e della propria lista Udeur dalla maggioranza a causa della mancata difesa del ministro da parte del governo in seguito a un'inchiesta che coinvolse la moglie del ministro Mastella, Sandra Lonardo, veniva chiesto alle Camere il voto di fiducia. Dopo il voto favorevole alla Camera avvenuto il 23 gennaio, il II governo Prodi non ha ottenuto la fiducia al Senato, con 156 sì, 161 no e un astenuto, su un totale di 319 votanti. Oltre al voto contrario dell'Udeur (fatta eccezione per il senatore Stefano Cusumano), contrari anche alcuni senatori di altre liste: Lamberto Dini, Domenico Fisichella e Franco Turigliatto.
Dopo la mancata fiducia a Palazzo Madama, il Presidente del Consiglio si è recato nella serata del 24 gennaio al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
I doni ricevuti da Prodi in qualità di primo ministro italiano sono andati all'asta nel novembre 2009 a favore di associazioni benefiche (Libera, la Casa Santa Chiara di Bologna e Medici con l'Africa Cuamm).[39]
Il 9 marzo 2008, nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche anticipate, dichiarò in un'intervista: «Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale».[40] Successivamente, dopo le elezioni politiche, Romano Prodi annunciò di lasciare la presidenza del PD. La decisione, già comunicata al segretario Veltroni a marzo, venne resa nota il 16 aprile 2008.[41]
Il 1º settembre 2008 creò la Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli[5] che ha come scopo la promozione e lo studio delle problematiche sociali, culturali, economiche, politiche del mondo, al fine di favorire la nascita e la discussione di nuove proposte di collaborazione nel contesto internazionale.
In un editoriale scritto per Il Messaggero del 15 agosto 2009, l'ex presidente del Consiglio svolse una critica piuttosto severa al riformismo di stampo blairista accusato di aver imitato nella prassi di governo le politiche dei conservatori. Molti commentatori politici, ricordando Romano Prodi come uno dei massimi esponenti dell'Ulivo mondiale, hanno letto in questa analisi una profonda autocritica rispetto all'operato dei governi da lui presieduti. Altri, invece, vi hanno trovato la conferma del tramonto delle concezioni politiche prodiane, leggendo in tale esternazione una schietta ammissione del proprio fallimento.[42]
Il 12 settembre 2008, il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, ha conferito a Prodi l'incarico di presiedere un nuovo Gruppo di lavoro ONU-Unione Africana per studiare il rafforzamento delle missioni di peacekeeping svolte dall'UA su mandato ONU, istituito dalla risoluzione 1809 del Consiglio di Sicurezza.[43] La finalità era quella di rendere più proficui e stretti i rapporti tra l'ONU e l'Unione Africana, grazie anche all'esperienza maturata da Prodi in ambito internazionale.[44]
Nel giugno 2010 alcuni giornali hanno segnalato che Prodi avrebbe accettato di far parte di un gruppo incaricato di curare l'immagine della BP, crollata dopo il disastro ambientale del Golfo del Messico.[45] L'ufficio stampa dell'ex-presidente ha in seguito chiarito che Prodi faceva parte dell'Advisory Board della società da più di un anno e che la marea nera non era di loro competenza[46] e ha annunciato una querela a il Giornale e Libero, accusati di aver voluto ledere la sua immagine.[47]
Il 15 marzo 2011 l'Università degli Studi di Bologna lo insignì del Sigillum Magnum insieme a Jean-Claude Juncker, e Helmut Kohl per il suo ruolo nel Trattato di Maastricht.[48] A ottobre 2011 la rete televisiva LA7 trasmette un ciclo di tre lezioni di economia intitolate Il mondo che verrà - tenute da Prodi insieme alla giornalista Natascha Lusenti - registrate all'Archiginnasio di Bologna.[49]
Il 6 ottobre 2012, il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, ha conferito a Prodi un nuovo incarico, ovvero quello di Inviato speciale dell'Organizzazione per la crisi nel Sahel, con particolare riferimento alla situazione di guerra interna presente nel Mali.[50]
La mattina del 19 aprile 2013, l'assemblea dei grandi elettori del Partito Democratico prese all'unanimità[51] la decisione di candidare Romano Prodi – che quel giorno si trovava a Bamako nell'ambito del suo incarico ONU – al quarto scrutinio per l'elezione del presidente della Repubblica. Nonostante il dichiarato appoggio unanime dei democratici, alla quarta votazione Prodi ottenne solo 395 voti sui 504 necessari, e analisi giornalistiche calcolarono che 101 delegati democratici su 496 avevano fatto mancare[52][53] il loro voto. Questo ha determinato il fallimento della candidatura e le conseguenti dimissioni dei vertici del partito,[54] tra cui il segretario Pier Luigi Bersani e la presidente Rosy Bindi. In seguito, Prodi decide di non rinnovare più la propria tessera di partito,[55] rinunciando così al diritto (da ex presidente del Consiglio) di fare parte della direzione nazionale.[56][57] Alle elezioni politiche del 2018 ha manifestato il suo sostegno alla lista elettorale Italia Europa Insieme.[58]
Nell'agosto 2020, a poche settimane dal referendum costituzionale sul taglio del numero di parlamentari legato alla riforma avviata dal governo Conte I guidato dal Movimento 5 Stelle assieme alla Lega e concluso dal governo Conte II guidato dalla coalizione tra M5S e Partito Democratico[59] Prodi annuncia il suo voto contrario,[60] discostandosi nettamente dalla scelta del suo ex partito e del segretario Nicola Zingaretti, schierati per il "Sì".[61][62]
Romano Prodi è stato coinvolto in alcuni procedimenti giudiziari, senza mai subire sentenze di condanna in alcun grado di giudizio. Prodi è stato riconosciuto non colpevole dalle accuse e non si è andati oltre le udienze preliminari: in alcuni casi è stata disposta l'archiviazione, in un caso si è prodotta sentenza, dichiarando il «non luogo a procedere» perché «il fatto non sussiste».
Nel 2008 Prodi è stato indagato per abuso d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta Why Not condotta dall'allora sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Luigi de Magistris. La procura di Roma, dopo aver avocato l'indagine a de Magistris, ne ha chiesto l'archiviazione,[63] che è stata ottenuta nel novembre 2009.[64]
Le vicende riguardanti la vendita, risalente al 1993, da parte dell'IRI delle proprie società alimentari, facenti capo principalmente alla finanziaria SME, sono state oggetto d'indagini da parte della magistratura, quindi Romano Prodi, in quanto presidente dell'IRI durante la privatizzazione, è stato oggetto d'investigazione, insieme al consiglio d'amministrazione dell'IRI.
L'IRI, durante il primo mandato di Prodi, nel 1985 fallì nell'intento di cedere la SME a privati. Dopo aver ottenuto per l'intero assetto della società solo l'offerta d'acquisto della Buitoni di Carlo De Benedetti, con essa siglò un'intesa preliminare, da far approvare dal proprio Cda e dal governo. L'accordo prevedeva la vendita dell'intera partecipazione dell'IRI, pari al 64% del capitale, della SME e la cessione della Sidalm, a un prezzo in linea con quanto stabilito dalle perizie effettuate su richiesta dell'ente pubblico a soggetti terzi.[65] Tale accordo non portò però ai suoi effetti. Nonostante l'approvazione all'unanimità del consiglio dell'IRI, fermamente intenzionata a uscire dal settore alimentare, decisione appoggiata anche dal Comitato interministeriale per la Politica Industriale (CIPI), quanto stabilito non si realizzò perché, alla fine, venne meno l'appoggio del governo, presieduto allora da Bettino Craxi, che aveva come ministro per le Partecipazioni statali Clelio Darida, a cui il presidente dell'IRI aveva, fino alla stipula dell'accordo, relazionato sulla vicenda.
Vi fu così un primo rinvio della decisione, causato dall'arrivo di un'offerta anonima superiore del 10% di quella di De Benedetti poco prima dei termini a disposizione, seguita da un'ulteriore offerta, da parte di Barilla, Berlusconi e Ferrero, davanti un'altra scadenza e da quelle di altri imprenditori. De Benedetti volle portare la questione con l'IRI in tribunale perché si sentì discriminato e pensò di poter far valere come contratto l'accordo firmato con Prodi. Dalla sentenza di primo grado, che diede torto alla Buitoni, scaturì il processo SME, che vide imputati Silvio Berlusconi e altri per corruzione di giudici. Ciò nonostante, la sentenza in appello venne confermata, seppur criticandone le motivazioni addotte,[66] e così anche in cassazione.
Toccata da problematiche giudiziarie, da dispute politiche e senza un esplicito assenso governativo, la questione della privatizzazione della SME venne nei successivi anni messa completamente da parte, nel 1988 un nuovo intervento del CIPI riconsiderò strategico il mantenimento del gruppo.
A distanza di molto tempo Berlusconi, nel corso del suo processo per corruzione di magistrati, durante il suo mandato di presidente del Consiglio, è intervenuto in sua difesa con delle dichiarazioni spontanee che hanno richiamato l'attenzione di Prodi. Qui ha sostenuto di aver fatto un'opera meritoria con il suo intervento, risparmiando allo Stato un cattivo affare, introducendo dubbi sulla correttezza della cessione a De Benedetti e al valore reale della partita. Ciò ha portato a una reazione di Prodi, allora presidente della Commissione, con la pubblicazione di comunicati stampa e documentazione in difesa del suo operato.[67]
La vendita della SME avvenne solo tra il 1993 e il 1996, senza essere venduta per intero, ma suddivisa in varie parti. I procedimenti giudiziari che hanno coinvolto Prodi sono stati quattro, in tre è presente l'ipotesi di reato d'abuso d'ufficio. Il primo è iniziato dalle denunce contro ignoti di Giovanni Fimiani, un imprenditore condannato per bancarotta, che ha attribuito il fallimento delle proprie imprese al comportamento assunto dall'IRI. Richiamante l'intesa preliminare del 1985 per la cessione della SME dall'IRI alla Buitoni, venne archiviato nel 1997, ritenendo i magistrati prive di attendibilità le accuse di complotto ai suoi danni e i motivi avanzati dal denunciante sottostanti al fallimento delle proprie aziende. Per la vendita della Italgel alla Nestlé i magistrati convennero nell'archiviazione (1999), il reato ipotizzato venne escluso e si riconobbe che il prezzo pagato dal compratore era stato determinato secondo le procedure richieste.
Gli ultimi due casi riguardarono la cessione della Cirio-Bertolli-De Rica e di parte di questa dalla Fisvi all'Unilever, che portò a una sentenza d'assoluzione nell'udienza preliminare, e delle consulenze che Prodi avrebbe svolto per Goldman Sachs e General Electric durante il mandato all'IRI, indagini seguite in conseguenza di un articolo della stampa, che parlava anche di evasione fiscale, di cui la magistratura convenne nel disporre l'archiviazione nel 2002.
Nell'ambito delle indagini per la vendita della Cirio-Bertolli-De Rica, Romano Prodi era indagato per abuso d'ufficio. Prodi era stato nel 1990 advisory director della Unilever NV (Rotterdam) e della Unilever PLC (Londra), gruppo che secondo le indagini aveva gestito la trattativa attraverso la Fisvi. Secondo l'accusa quindi Prodi avrebbe favorito la Fisvi, sebbene questa non avesse i mezzi finanziari per acquistare la Cirio-Bertolli-De Rica, in modo da agevolare indirettamente l'Unilever, aggirando così l'obbligo di conseguimento del miglior prezzo previsto dalle direttive CIPE.
L'inchiesta fu nota dal 23 febbraio 1996 e portò a una sentenza di non luogo a procedere nell'udienza preliminare il 22 dicembre 1997, con la più ampia formula di proscioglimento «perché il fatto non sussiste». Il GUP Eduardo Landi citò nelle motivazioni anche la riforma dell'abuso d'ufficio, varata pochi mesi prima (il 10 luglio) su iniziativa dell'Ulivo e votata anche dalla coalizione avversaria.
La riforma dell'abuso di ufficio era prevista nei programmi di tutte le forze politiche presentatesi alle elezioni del 1996. Il lavoro su questo argomento era già stato avviato da diversi gruppi parlamentari e dal Governo Dini fino alle elezioni dell'aprile '96. Il provvedimento nasceva quindi non per iniziativa governativa ma per iniziativa parlamentare. La riforma, fu, fin dal maggio del '96, oggetto di un confronto con i sindaci di tutti gli orientamenti politici che sollecitavano provvedimenti tesi a far superare difficoltà, resistenze e ostacoli che appesantivano il lavoro delle amministrazioni locali.
L'abuso di ufficio, così com'era allora configurato, conferiva ai giudici un ampio potere discrezionale di giudizio nei confronti delle scelte degli amministratori locali, determinando sovente rallentamenti anche molto rilevanti delle attività delle amministrazioni, per questo la necessità di provvedere a questa riforma raccoglieva il consenso unanime degli amministratori locali sia di centrodestra sia di centrosinistra.
Il giudice pronunciò una sentenza di non luogo a procedere con la più ampia formula di proscioglimento (il fatto non sussiste) e con l'acquisizione di una perizia d'ufficio che accertò la congruità del prezzo di vendita della parte della SME ceduta. La sentenza confermò la regolarità del procedimento seguito per la vendita e il Giudice accertò inoltre che Prodi non aveva avuto rapporti con Unilever e aveva comunque già cessato il proprio rapporto con Goldman Sachs nel periodo in cui era avvenuta la cessione di CBD a favore di Fisvi, cui seguì quella parziale per il settore "olio" in favore di Unilever.
Alcuni hanno criticato tale riforma e la sua relazione con l'indagine su Prodi. I giornalisti Peter Gomez e Marco Travaglio definirono «per certi versi imbarazzante[68]» il fatto che tra le motivazioni ci fosser un riferimento alla legge varata dall'Ulivo, ma riconobbero che tale riferimento «non fu affatto decisivo per quella sentenza»[69] in quanto Prodi fu prosciolto perché il fatto non sussisteva. Secondo Silvio Berlusconi invece «Prodi s'è salvato grazie all'amnistia e alla modifica dell'abuso d'ufficio. Quelle sì che furono leggi ad personam, quando lui doveva rispondere davanti a un GIP dei finanziamenti che le sue partecipazioni statali davano alla DC» (21 gennaio 2006). Tuttavia Romano Prodi non ha usufruito dell'amnistia e non è stato indagato per finanziamento illecito.
In seguito alla sua prima elezione alla presidenza IRI nel 1982, a Prodi venne contestato di non aver abbandonato il ruolo di dirigente in Nomisma, configurando un potenziale conflitto di interessi. Negli anni successivi l'IRI stipulò alcuni contratti di consulenza con la società, che portarono a dubitare sulla trasparenza dell'operazione: in un primo processo, concluso nel 1988, Romano Prodi venne assolto con formula piena in quanto alla luce delle indagini non si configurava reato nel suo comportamento.
Il giudice Francesco Paolo Casavola che lo assolse dichiarò che «L'idea che le commesse siano state affidate perché a richiederle erano il presidente dell'IRI e il suo assistente alle società collegate è verosimile, ma non assume gli estremi di reato».
Una seconda questione venne sollevata riguardo ad alcune consulenze nel settore dell'alta velocità svolte da Nomisma tra il 1992 e il 1993. Prodi era stato scelto a partire dal 16 gennaio 1992 come "Garante del sistema alta velocità" dai vertici delle Ferrovie dello Stato, con il compito di effettuare le valutazioni di impatto economico e ambientale legate alla costruzione della nuova rete TAV italiana. Una seconda commissione ("Comitato Nodi") composta dal professor Carlo Maria Guerci, da Giuseppe De Rita e dall'architetto Renzo Piano e presieduta da Susanna Agnelli, venne incaricata di elaborare un piano di riqualificazione delle strutture e dei servizi delle Ferrovie.
Prodi lasciò l'incarico di garante il 20 maggio 1993 per tornare alla presidenza dell'IRI su richiesta dell'allora Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi. Nel 1996 un'inchiesta sulla questione portò a una serie di 40 perquisizioni della Guardia di Finanza e al sequestro di numerosi documenti riguardanti la TAV, operazione disposta dal PM di Roma Giuseppa Geremia, e a un'imputazione per concorso in abuso d'ufficio verso Ercole Incalza (ex amministratore della TAV) ed Emilio Maraini (ex dirigente Italfer). Prodi non venne coinvolto direttamente in questa seconda inchiesta. In seguito a un articolo polemico[70] apparso sul Daily Telegraph il 4 maggio 1999 a firma Ambrose Evans-Pritchard, l'Unione Europea ritenne di dover precisare la posizione di Prodi sulla questione,[71] dichiarando che:
«Il Sig. Prodi non ebbe ruolo decisionale nell'assegnazione dei contratti a Nomisma. Inoltre, il Sig. Prodi non aveva alcun interesse, finanziario o altro, in Nomisma. Non era azionista e non copriva alcun ruolo operativo o decisionale nella compagnia. Era semplicemente il presidente del comitato scientifico della compagnia.»
Il 10 giugno 1981, Romano Prodi fu chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro perché aveva dichiarato di aver partecipato, il 2 aprile 1978, a una seduta spiritica, durante un pranzo familiare in campagna (a Zappolino, nei pressi di Bologna) con alcuni amici, tra i quali gli economisti Mario Baldassarri e Alberto Clò, quest'ultimo propositore dell'esperimento divinatorio e proprietario della casa.[72]
I commensali raccontarono agli inquirenti che nel corso della seduta spiritica, iniziata per gioco, alla domanda "dov'è tenuto prigioniero Aldo Moro?", il piattino utilizzato avrebbe composto varie parole: prima alcune senza senso, poi Viterbo, Bolsena e Gradoli. Aldo Moro, rapito 17 giorni prima, il 16 marzo 1978, era al momento tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse. Il professor Prodi, in seguito alla seduta, si recò a Roma il 4 aprile, e raccontò dell'indicazione al proprio conoscente Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell'on. Benigno Zaccagnini.
Così riferì Prodi nel corso della testimonianza:
«Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa, e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito.»
L'informazione fu ritenuta attendibile dal momento che, il 6 aprile, la questura di Viterbo, su ordine del Viminale, operò una perlustrazione sistematica del borgo medievale di Gradoli sito sulle rive del lago di Bolsena, alla ricerca della prigione di Moro. La vedova di Moro affermò di aver più volte indicato l'esistenza a Roma di una via Gradoli agli inquirenti, senza che questi estendessero le ricerche anche in quella direzione; circostanza confermata anche da altri parenti dello statista, ma energicamente smentita da Francesco Cossiga, all'epoca dei fatti ministro dell'interno.[74] Fallito il blitz conseguente alla seduta spiritica, il 18 aprile i vigili del fuoco, a causa di una perdita d'acqua, scoprirono a Roma, in via Gradoli 96, un covo delle Brigate Rosse da poco abbandonato, che si sarebbe rivelato come la base operativa del capo della colonna romana delle BR, Mario Moretti, il quale aveva preso parte all'agguato di via Fani.
Il caso venne riaperto nel 1998 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi. Il fine della commissione era accertare se la vicenda della seduta spiritica fosse in realtà un modo per celare la vera fonte del nome "Gradoli" (per esempio un informatore vicino alle BR) e capire se il nome "Gradoli" fosse stato comunicato con tanta celerità alle forze dell'ordine con lo scopo di salvare Moro. L'allora presidente del Consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo governo nell'ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l'audizione; si dissero disponibili Mario Baldassarri[75] e Alberto Clò.[76] Entrambi, pur ammettendo di non credere allo spiritismo e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avrebbe potuto guidare il piattino, Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o no) aveva conoscenze nell'ambiente dell'Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR.
Successivamente si scoprirà che l'appartamento era già stato segnalato e tenuto sotto controllo dall'UCIGOS per diversi anni, in quanto frequentato precedentemente da esponenti di Potere Operaio e Autonomia Operaia.[74][76][77] Si scoprirà anche che alcuni esponenti della 'ndrangheta, contattati nel tentativo di trovare la prigione di Moro, avevano comunicato che la zona di via Gradoli era una "zona calda", e che questo avvertimento era già stato comunicato sia ai vertici della Democrazia Cristiana sia agli organi di polizia.[74][78][79]
Con il nome giornalistico di Affare Telekom Serbia si intende la vicenda giudiziaria che riguarda l'acquisto di azioni dell'azienda telefonica Telekom Serbia da parte di Telecom Italia. Secondo la ricostruzione basata sulle dichiarazioni del faccendiere svizzero Igor Marini, nel corso di tale compravendita sarebbero state pagate delle tangenti a esponenti del centrosinistra, tra le quali una supposta tangente di 125 000 dollari versata a Romano Prodi e Lamberto Dini.
Tali accuse si rivelarono totalmente infondate e le prove chiave prodotte a loro supporto si rivelarono dei falsi.[80] La commissione parlamentare istituita per fare luce sugli eventi dall'allora Governo Berlusconi II non formulò alcuna accusa diretta e non presentò al Parlamento la relazione finale[senza fonte]. Nel 2005 l'indagine della Procura di Torino aperta nel 2001 sui vertici di Telecom del 1997 venne archiviata.[81]
Il 10 novembre 2011 il Tribunale di Roma ha condannato Igor Marini a dieci anni di carcere per associazione per delinquere, finalizzata alla ricettazione di documentazione falsa e contraffatta, e calunnia nei confronti di Romano Prodi, condannandolo inoltre a un risarcimento provvisionale di 150000 € all'ex Presidente del Consiglio.[80]
L'indicazione secondo la quale Romano Prodi sarebbe stato un uomo di riferimento del KGB in Italia si rifà alle affermazioni dell'eurodeputato inglese Gerald Batten dell'United Kingdom Independence Party, che sosteneva di averla ricevuta dalla spia russa Alexander Litvinenko, morto il 26 novembre 2006 per avvelenamento. Batten, richiedendo un'inchiesta, dichiarava il 3 aprile 2006 davanti al Parlamento Europeo a Strasburgo:
«un cittadino residente nel mio collegio elettorale, Alexander Litvinenko, è un ex tenente colonnello dell'FSB della Federazione russa, l'organismo che ha preso il posto del KGB. Avendo denunciato le attività illegali dell'FSB, il signor Litvinenko è stato costretto a cercare asilo politico all'estero; prima di scegliere il luogo in cui rifugiarsi, egli ha consultato il suo amico generale Anatoly Trofimov, ex vicedirettore dell'FSB. A quanto sembra, il generale Trofimov ha dato al signor Litvinenko il seguente consiglio: "Non andare in Italia, perché lì tra gli uomini politici ci sono molti agenti del KGB; il nostro agente in Italia è Romano Prodi".»
Questo venne confermato dallo stesso Litvinenko in un documento video registrato nel febbraio 2006[83]
Dopo la morte di Litvinenko, il 26 novembre, Carlo Bonini pubblicò sul quotidiano La Repubblica un'intervista, che questi aveva rilasciato il 3 marzo 2005, un anno prima delle dichiarazioni di Batten. Secondo lo stesso Bonini, l'intervista, che dovrebbe essere on the record non è registrata su alcun supporto audio o video, ma è stenografata.[84]
In cui l'ex agente del KGB affermava che Mario Scaramella, il quale lo stava interrogando per conto della commissione Mitrochin, insisteva per avere informazioni che potessero legare Prodi al rapimento di Moro o al KGB, ma che lui non aveva mai sentito parlare di Prodi e che non conosceva alcun dettaglio sul sequestro:
«Mario mi raccontò che Prodi conosceva l'indirizzo dove le BR tenevano sequestrato Moro per averlo appreso durante una seduta spiritica. Mi chiese se non ritenevo che Prodi avesse appreso del covo dal KGB. Mi chiese anche se il sequestro non fosse stato organizzato dal KGB e se avesse addestrato le BR. Dissi che non conoscevo alcun dettaglio del sequestro e che non avevo mai sentito parlare di Prodi. Osservai soltanto che, se volevano il mio parere di esperto, era poco credibile che Prodi avesse appreso la notizia durante una seduta spiritica e che sicuramente il KGB aveva seguito il sequestro provando ad acquisire informazioni. Io non avevo e non ho nessun tipo di prove su Prodi.»
In un'intervista a La Repubblica che Oleg Gordievsky, ex agente del KGB e poi collaboratore del MI6 definì fabbricata al 90%,[86] è stato scritto che Gordievsky sostenne di aver partecipato a un incontro con Litvinenko e Scaramella in cui il primo avrebbe riportato le parole pronunciate da Anatoly Trofimov ("Prodi è un nostro uomo"). Gordievskij nell'intervista aggiunse che secondo lui Litvinenko stava mentendo e che l'informazione era stata attribuita a una fonte, Anatolij Trofimov, che non avrebbe potuto in ogni caso smentirla in quanto era stato ucciso, sottolineando più volte la scarsa attendibilità dello stesso Scaramella. Gordievskij afferma anche che sia Scaramella, sia Paolo Guzzanti (presidente della commissione parlamentare d'inchiesta Mitrochin), oltre ad alcuni eurodeputati inglesi, stavano facendo pressioni su di lui per avere informazioni che potessero legare Prodi e altri politici della sinistra italiana al KGB (informazioni che lui non possedeva), e che Litvinenko, a causa di continue difficoltà economiche, aveva probabilmente deciso di riferire a Scaramella quello che quest'ultimo voleva sentirsi dire.[87]
Lo stesso Gordievskij ha confermato, in un'intervista telefonica pubblicata al programma televisivo La storia siamo noi del dicembre 2006[88] ha affermato di non aver mai saputo nulla su possibili legami tra Prodi e il KGB e di non aver quindi mai parlato di questo con Scaramella (da lui ritenuto poco affidabile), ritenendo che la fonte del consulente della commissione Mitrokin potesse essere stato Litvinienko. L'ex agente sovietico ha sostenuto nella stessa che anche gli inglesi avevano fatto pressioni per ottenere informazioni su Prodi, ma che neanche a loro non aveva mai fornito informazioni al riguardo, non sapendone nulla.
In un'intervista del 14 gennaio 2007 Gordievskij ha poi dichiarato:
«Io non ho poi mai saputo se Romano Prodi fosse o non fosse stato reclutato dal Quinto Dipartimento del KGB, ma una cosa è certa e la ricordo benissimo; quando io ero a Mosca fra il 1981 e il 1982 Prodi era popolarissimo nel KGB: erano entusiasti, lo trovavano in sintonia dalla parte dell'Unione Sovietica.[89]»
Dal momento che molte delle accuse mosse a Prodi non sono poi state supportate da prove reali i suoi sostenitori ritengono che vi sia in realtà stata, da parte dei suoi nemici politici, una precisa strategia volta a causare danni alla credibilità dello stesso Prodi attaccandone la reputazione (strategia che in inglese viene indicata come character assassination). Questo è quanto sarebbe emerso dalle intercettazioni telefoniche di Mario Scaramella, membro della commissione Mitrochin il quale è stato successivamente arrestato per ordine della magistratura per i reati di traffico internazionale di armi e violazione del segreto d'ufficio.[90][91] Secondo tale posizione uno strumento democratico come una Commissione parlamentare sarebbe stato utilizzato come mezzo di lotta politica.[92]
Il 22 gennaio 2008 la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, rispondendo alle richieste del GIP di Roma, ha però ritenuto non utilizzabili in quanto illegali le intercettazioni telefoniche che riguardano Paolo Guzzanti, tra cui quelle tra questo e Mario Scaramella.[93][94] Lo stesso Scaramella nel febbraio 2008 è stato condannato (con un patteggiamento) a quattro anni di carcere per concorso in importazione, detenzione e porto di munizionamento da guerra, esplosivo e armi, e per quello che riguarda il reato di calunnia nei confronti dell'ex agente del KGB Alexander Talik, accusato di voler organizzare un attentato contro di lui, il suo interprete e Paolo Guzzanti.[91][95]
Romano Prodi ha ricevuto trentanove lauree honoris causa:
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