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riavvicinamento di Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano durante gli anni 1970 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il compromesso storico è stato il tentativo, sviluppatosi negli anni settanta, del Partito Comunista Italiano di trovare un accordo politico con la Democrazia Cristiana per raggiungere posizioni di governo. Questa politica non portò mai il Partito Comunista a partecipare al governo in una grande coalizione ai sensi del cosiddetto consociativismo.
Nel 1973, Enrico Berlinguer, segretario del PCI dall'anno prima, propose il "compromesso storico" sulla rivista Rinascita, riflettendo sul colpo di Stato in Cile.
La proposta di Enrico Berlinguer alla Democrazia Cristiana per una collaborazione di governo doveva interrompere la cosiddetta conventio ad excludendum del secondo partito italiano dal governo, cioè l'esclusione del PCI dalle maggioranze di governo nazionale a causa della sua vicinanza con l'Unione Sovietica, in tal modo inoltre il PCI avrebbe sostituito il PSI nelle posizioni di governo, relegando quest'altro partito della sinistra italiana in una posizione minoritaria, rispetto a un'alleanza DC-PCI.
Con tale collaborazione affermava di voler mettere al riparo la democrazia italiana da pericoli di involuzione autoritaria e dalla strategia della tensione che insanguinava il paese dal 1969. Berlinguer al contempo affermava nei suoi interventi pubblici l'indipendenza dei comunisti italiani dall'Unione Sovietica e il desiderio di rendere il suo partito una forza della società occidentale.
Il "compromesso storico" venne proposto da Enrico Berlinguer con il saggio "Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile" pubblicato in tre articoli sulla rivista Rinascita a commento del golpe cileno del 1973, che aveva portato le forze reazionarie interne, in collaborazione con gli Stati Uniti, a rovesciare il governo del socialista Salvador Allende (11 settembre 1973):
Allende era stato eletto nel 1970 vincendo di misura, e il suo governo dovette subire per tre anni violenti attacchi dalle opposizioni, prima di essere rovesciato dal sanguinoso colpo di stato. Berlinguer scriveva quindi che in Italia "sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare [...], questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento", da qui la necessità di una maggioranza che comprendesse PCI e DC, i cui voti alle elezioni del 1972 sommavano a circa il 65 per cento.
La scelta di Berlinguer, fondamentalmente legata alla politica di eurocomunismo, non riscontrò i favori dell'area di sinistra del suo partito.[1]
La proposta del compromesso storico fu vista negativamente dal Partito Socialista Italiano e in particolare da diversi suoi esponenti come Bettino Craxi e Riccardo Lombardi, che vedevano in questo disegno un chiaro tentativo di marginalizzare il PSI e di allontanare definitivamente l'idea di un'alternativa di sinistra di governo, che includesse anche il PCI, ma con la guida dei socialisti.
L'appoggio al compromesso trovò invece una sponda nell'area di sinistra della DC che aveva come riferimenti il presidente del partito Aldo Moro e il segretario Benigno Zaccagnini, ma non ebbe l'avallo dall'ala destra della DC, rappresentata da Giulio Andreotti. Lo stesso Andreotti in un'intervista dichiarò: "secondo me, il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica, storica. E, all'atto pratico, risulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo comunista."[2]
Un compromesso minimo si raggiunse tuttavia proprio mediante l'appoggio esterno assicurato dal PCI al governo monocolore DC di Solidarietà Nazionale, guidato da Giulio Andreotti nel 1976. Nel 1978 questo governo si dimise per consentire un ingresso più organico del PCI nella maggioranza, pur senza avere ministri nel governo Andreotti IV.
L'incontro comunque problematico fra PCI e DC spinse l'estrema sinistra a boicottare il PCI e portò i militanti delle Brigate Rosse a rapire (e in seguito a uccidere) Aldo Moro proprio nel giorno del primo dibattito sulla fiducia al nuovo governo Andreotti, il 16 marzo 1978.
Dopo circa un anno, il PCI tolse il sostegno al governo Andreotti, essendo insoddisfatto dalla mancanza di influenza sulla linea del governo, e passò nuovamente all'opposizione. Senza l'appoggio di Moro al compromesso storico, la DC archiviò definitivamente la linea della terza fase col XIV congresso del febbraio 1980, quando prevalse con il 57,7% l'alleanza tra dorotei, fanfaniani, Proposta e Forze nuove che approvò il cosiddetto «preambolo» al documento finale che escludeva alleanze con il PCI. L'opposizione, composta dall'area Zaccagnini e dagli andreottiani, ottenne il 42,3%.
Berlinguer e il PCI tentarono ancora di riproporre il compromesso storico al nuovo segretario della DC Flaminio Piccoli, ma vanamente. Del resto, la resistenza interna al partito comunista era rimasta notevole.
Con quella che Macaluso definisce la seconda svolta di Salerno[3], il 28 novembre 1980 Berlinguer annunciò di voler abbandonare la linea del compromesso storico per abbracciare quella dell'«alternativa democratica», per cui l'obiettivo diventava la ricerca di governi di solidarietà nazionale che escludessero la DC.
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