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politico, patriota e imprenditore italiano (1810-1861) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella, noto semplicemente come conte di Cavour o Cavour (Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861), è stato un politico, patriota e imprenditore italiano.
Camillo Benso di Cavour | |
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Antonio Ciseri, ritratto di Camillo Benso di Cavour, olio su tela, 1859 ca. | |
Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia Ministro degli affari esteri | |
Durata mandato | 23 marzo 1861 – 6 giugno 1861 |
Monarca | Vittorio Emanuele II |
Predecessore | carica creata |
Successore | Bettino Ricasoli |
Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna | |
Durata mandato | 4 novembre 1852 – 19 luglio 1859 |
Monarca | Vittorio Emanuele II |
Predecessore | Massimo d'Azeglio |
Successore | Alfonso Ferrero La Marmora |
Durata mandato | 21 gennaio 1860 – 23 marzo 1861 |
Predecessore | Alfonso Ferrero La Marmora |
Successore | Sé stesso come Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia |
Ministro dell'agricoltura e commercio del Regno di Sardegna | |
Durata mandato | 11 ottobre 1850 – 11 maggio 1852 |
Monarca | Vittorio Emanuele II |
Capo del governo | Massimo d'Azeglio |
Predecessore | Pietro De Rossi Di Santarosa |
Ministro delle finanze del Regno di Sardegna | |
Durata mandato | 19 aprile 1851 – 11 maggio 1852 |
Monarca | Vittorio Emanuele II |
Capo del governo | Massimo d'Azeglio |
Predecessore | Giovanni Nigra |
Successore | Luigi Cibrario |
Sindaco di Grinzane | |
Durata mandato | febbraio 1832 – maggio 1849 |
Deputato del Regno di Sardegna | |
Durata mandato | 8 maggio 1848 – 30 dicembre 1848 |
Durata mandato | 30 luglio 1849 – 17 dicembre 1860 |
Legislatura | I, III, IV, V, VI, VII |
Sito istituzionale | |
Deputato del Regno d'Italia | |
Durata mandato | 18 febbraio 1861 – 6 giugno 1861 |
Legislatura | VIII |
Sito istituzionale | |
Dati generali | |
Suffisso onorifico | Conte di Cavour |
Partito politico | Destra storica (1849) |
Professione | Politico, imprenditore |
Firma |
Fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, presidente del Consiglio dei ministri dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Nello stesso 1861, con la proclamazione del Regno d'Italia, divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri del nuovo Stato e morì ricoprendo tale carica.
Fu protagonista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, della separazione tra Stato e Chiesa, dei movimenti nazionali e dell'espansionismo del Regno di Sardegna ai danni dell'Austria e degli stati italiani preunitari.
In economia promosse il libero scambio, i grandi investimenti industriali (soprattutto in campo ferroviario) e la cooperazione fra pubblico e privato. In politica sostenne la promulgazione e la difesa dello Statuto albertino. Capo della cosiddetta Destra storica, siglò un accordo ("Connubio") con la Sinistra, con la quale realizzò diverse riforme. Contrastò apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si trovò in urto con Giuseppe Garibaldi, della cui azione temeva il potenziale rivoluzionario.
In politica estera coltivò con abilità l'alleanza con la Francia, grazie alla quale, con la seconda guerra di indipendenza, ottenne l'espansione territoriale del Regno di Sardegna in Lombardia. Riuscì a gestire gli eventi politici (sommosse nel Granducato di Toscana, nei ducati di Modena e Parma e nel Regno delle Due Sicilie) che, assieme all'impresa dei Mille, portarono alla formazione del Regno d'Italia.
Camillo nacque il 10 agosto 1810 nella Torino napoleonica. Suo padre, il marchese Michele Benso di Cavour, era collaboratore e amico del governatore principe Camillo Borghese (marito di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone I) che fu padrino di battesimo del piccolo Benso al quale trasmise il nome. La madre del piccolo Camillo, Adèle de Sellon (1780-1846), sorella del conte Jean-Jacques de Sellon, scrittore, filantropo, collezionista d'arte, mecenate e pacifista svizzero, apparteneva invece ad una ricca e nobile famiglia calvinista di Ginevra, che aveva raggiunto un'ottima posizione negli ambienti borghesi della città svizzera[2].
Aristocratico[N 1], Cavour in gioventù frequentò il 5º corso della Regia Accademia Militare di Torino (conclusosi nel 1825) e nell'inverno 1826-1827, grazie ai corsi della Scuola di Applicazione del Corpo Reale del Genio, diventò ufficiale del Genio[N 2].
Il giovane si dedicò ben presto, per interessi personali e per educazione familiare, alla causa del progresso europeo. Fra i suoi ispiratori fu il filosofo inglese Jeremy Bentham, alle cui dottrine si accostò per la prima volta nel 1829, nonché Jean-Jacques Rousseau[N 3]. Di Bentham quell'anno lesse il Traité de législation civile et pénale, in cui il filosofo inglese sostiene la dottrina dell'utilitarismo, espressa concisamente dal principio: «Misura del giusto e dell'ingiusto è soltanto la massima felicità del maggior numero». Un'altra tesi sostenuta da Bentham, secondo cui ogni problema poteva ricondursi a fatti misurabili, fornì al realismo del giovane Cavour una base teorica utile alla sua inclinazione all'analisi matematica[3].
Trasferito nel 1830 a Genova, l'ufficiale Camillo Benso ebbe modo di conoscere la marchesa Anna Giustiniani Schiaffino, con la quale avvierà un'importante amicizia intrattenendo con lei un lungo rapporto epistolare[4].
All'età di ventidue anni Cavour venne nominato sindaco di Grinzane, dove la famiglia aveva dei possedimenti, e ricoprì tale carica fino al 1848[5]. Dal dicembre 1834 iniziò a viaggiare all'estero studiando lo sviluppo economico di paesi largamente industrializzati come Francia[6] e Gran Bretagna. In questo contesto culturale, già a ventidue anni, Cavour era influenzato dagli ideali risorgimentali e manifestava nelle sue lettere private il sogno di diventare "primo ministro del Regno d'Italia".[7]
Accompagnato dall'amico Pietro De Rossi di Santarosa, Cavour nel febbraio del 1835 raggiunse Parigi, dove si fermò per quasi due mesi e mezzo: visitò istituzioni pubbliche di ogni genere e frequentò gli ambienti politici della Monarchia di Luglio. Partito dalla capitale francese, il 14 maggio 1835 arrivò a Londra dove si interessò di questioni sociali.
Durante questo periodo il giovane Conte sviluppò quella propensione conservatrice che lo accompagnerà per tutta la vita, ma al tempo stesso sentì fortemente crescere l'interesse e l'entusiasmo per il progresso dell'industria, per l'economia politica e per il libero scambio.
Di nuovo a Parigi, fra il 1837 e il 1840 frequentò assiduamente la Sorbona e incontrò, oltre a vari intellettuali, gli esponenti della monarchia di Luigi Filippo della quale conservava una viva ammirazione.
Nel marzo 1841 fondò con degli amici la Società del Whist, club prestigioso costituito dalla più alta aristocrazia torinese[8].
Fra il ritorno dai viaggi all'estero nel giugno del 1843 e l'ingresso al governo nell'ottobre del 1850, Cavour si dedicò ad una nutrita serie di iniziative nel campo dell'agricoltura, dell'industria, della finanza e della politica.
Importante possidente terriero, Cavour contribuì, già nel maggio 1842, alla costituzione dell'Associazione agraria che si proponeva di promuovere le migliori tecniche e politiche agrarie, per mezzo anche di una Gazzetta che fin dall'agosto 1843 pubblicava un articolo del Conte[9].
Impegnatissimo nell'attività di gestione soprattutto della sua tenuta di Leri, Cavour nell'autunno 1843, grazie alla collaborazione di Giacinto Corio, iniziò un'attività di miglioramenti nei settori dell'allevamento del bestiame, dei concimi e delle macchine agricole. In sette anni (dal 1843 al 1850) la sua produzione di riso, frumento e latte crebbe sensibilmente, e quella di mais addirittura risultò triplicata[10].
Ad integrare le innovazioni della produzione agricola, Camillo Benso intraprese anche delle iniziative di carattere industriale con risultati più o meno buoni. Fra le iniziative più importanti, la partecipazione alla costituzione della Società anonima dei molini anglo-americani di Collegno nel 1850, di cui il Conte divenne successivamente il maggiore azionista e che ebbe dopo l'unità d'Italia una posizione di primo piano nel Paese[11].
Le estese relazioni d'affari a Torino, Chivasso e Genova e soprattutto l'amicizia dei banchieri De La Rüe[N 4], consentirono inoltre a Cavour di operare in un mercato più ampio rispetto a quello usuale degli agricoltori piemontesi cogliendo importanti opportunità di guadagno. Nell'anno 1847, ad esempio, realizzò introiti assai cospicui approfittando del pessimo raccolto di cereali in tutta Europa che diede luogo ad un aumento della richiesta spingendo i prezzi a livelli inconsueti[12].
Oltre ai suoi interventi sulla Gazzetta della Associazione agraria, Cavour in quegli anni si dedicò alla scrittura di alcuni saggi sui progressi dell'industrializzazione e del libero scambio in Gran Bretagna, e sugli effetti che ne sarebbero derivati sull'economia e sulla società italiana[13].
Principalmente Cavour esaltava le ferrovie come strumento di progresso civile al quale, piuttosto che alle sommosse, era affidata la causa nazionale. Egli a tale proposito mise in rilievo l'importanza che avrebbero avuto due linee ferroviarie: una Torino-Venezia e una Torino-Ancona[14].
Senza alcun bisogno di una rivoluzione, il progresso della civiltà cristiana e lo sviluppo dei lumi sarebbero sfociati, secondo il conte, in una crisi politica che l'Italia era chiamata a sfruttare[15].
Camillo Benso aveva infatti fede nel progresso che era soprattutto intellettuale e morale, poiché risorsa della dignità e della capacità creativa dell'uomo. A tale convinzione si accompagnava l'altra che la libertà economica è causa di interesse generale, destinata a favorire tutte le classi sociali. Sullo sfondo di questi due principi emergeva il valore della nazionalità[16]:
«La storia di tutti i tempi prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado di intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia fortemente sviluppato: in un popolo che non può essere fiero della sua nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà solo eccezionalmente in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale per acquistare la coscienza della propria dignità»
.
Nel 1847 Cavour fece la sua comparsa ufficiale sulla scena politica come fondatore, assieme al cattolico liberale Cesare Balbo, del periodico Il Risorgimento, di cui assunse la direzione. Il giornale, costituitosi grazie ad un ammorbidimento della censura di re Carlo Alberto, si schierò più apertamente di tutti gli altri, nel gennaio del 1848, a favore di una costituzione[18].
La presa di posizione, che era anche di Cavour, si rimarcò con la caduta in Francia (24 febbraio 1848) della cosiddetta Monarchia di luglio, con la quale crollava il riferimento politico del Conte in Europa.
In questa atmosfera, il 4 marzo 1848, Carlo Alberto promulgò lo Statuto albertino. Questa "costituzione breve" deluse gran parte dell'opinione pubblica liberale, ma non Cavour che annunciò un'importante legge elettorale per la quale era stata nominata una commissione, presieduta da Cesare Balbo, e della quale anche lui faceva parte. Tale legge, poi approvata, con qualche adeguamento rimase in vigore fino alla riforma elettorale del Regno d'Italia del 1882[19].
Con la repubblica in Francia, la rivoluzione a Vienna e Berlino, l'insurrezione a Milano e il sollevamento del patriottismo in Piemonte e Liguria, Cavour, temendo che il regime costituzionale potesse diventare vittima dei rivoluzionari se non avesse agito, si pose in testa al movimento interventista incitando il Re ad entrare in guerra contro l'Austria e ricompattare l'opinione pubblica[N 5][20].
Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria. Dopo i successi iniziali, l'andamento del conflitto mutò e la vecchia aristocrazia militare del regno fu esposta a dure critiche. Alle prime sconfitte piemontesi Cavour chiese che si risalisse ai colpevoli che avevano tradito le prove di valore dei semplici soldati. La deprecata condotta della guerra spinse allora alla convinzione che il Piemonte non sarebbe stato al sicuro fino a quando i poteri dello Stato non fossero stati controllati da uomini di fede liberale[21][N 6].
Il 27 aprile 1848 ci furono le prime elezioni del nuovo regime costituzionale. Cavour, forte della sua attività di giornalista politico, si candidò alla Camera dei deputati e fu eletto nelle elezioni suppletive del 26 giugno. Fece il suo ingresso alla Camera (Palazzo Carignano) prendendo posto nei banchi di destra il 30 giugno 1848[22].
Fedele agli interessi piemontesi, che egli vedeva minacciati dalle forze radicali genovesi e lombarde, Cavour fu oppositore sia dell'esecutivo di Cesare Balbo, sia di quello successivo del milanese Gabrio Casati. Tuttavia, quando, a seguito della sconfitta di Custoza, il governo Casati chiese i pieni poteri, Cavour si pronunciò in suo favore. Ciò non evitò però l'abbandono di Milano agli austriaci e l'armistizio Salasco del 9 agosto 1848[23].
Al termine di questa prima fase della guerra, il governo di Cesare di Sostegno e il successivo di Ettore di San Martino imboccarono la strada della diplomazia. Entrambi furono appoggiati da Cavour che criticò aspramente Gioberti ancora risoluto a combattere l'Austria. Nel suo primo grande discorso parlamentare, Camillo Benso, il 20 ottobre 1848 si pronunciò infatti per il rinvio delle ostilità, confidando nella mediazione diplomatica della Gran Bretagna, gelosa della nascente potenza germanica e quindi favorevole alla causa italiana. Con l'appoggio di Cavour la linea moderata del governo San Martino passò, anche se il debole esecutivo su un argomento minore rassegnò le dimissioni il 3 dicembre 1848[24].
Nell'impossibilità di formare una diversa compagine ministeriale, re Carlo Alberto diede l'incarico a Gioberti, il cui governo (insediatosi il 15 dicembre 1848) Cavour considerò di "pura sinistra". A discapito del Conte arrivarono anche le elezioni del 22 gennaio 1849, al cui ballottaggio fu sconfitto da Giovanni Ignazio Pansoya. Lo schieramento politico vincitore era tuttavia troppo eterogeneo per affrontare la difficile situazione del Paese, sospeso ancora fra pace e guerra, e Gioberti dovette dimettersi il 21 febbraio 1849[25].
Cambiando radicalmente politica di fronte alla crisi rivoluzionaria di cui ravvisava ancora il pericolo, Cavour si pronunciò per una ripresa delle ostilità contro l'Austria. La sconfitta di Novara (23 marzo 1849) dovette precipitarlo nuovamente nello sconforto[26].
La grave sconfitta piemontese portò, il 23 marzo 1849, all'abdicazione di Carlo Alberto a favore del figlio Vittorio Emanuele. Costui, aperto avversario della politica paterna di alleanze con la sinistra, sostituì il governo dei democratici (che chiedevano la guerra a oltranza) con un esecutivo presieduto dal generale Gabriele de Launay. Tale governo, che fu salutato con favore da Cavour e che riprese il controllo di Genova insorta contro la monarchia, fu sostituito (7 maggio 1849) dal primo governo di Massimo d'Azeglio. Di questo nuovo presidente del Consiglio Il Risorgimento fece sua la visione del Piemonte come roccaforte della libertà italiana[28].
Le elezioni del 15 luglio 1849 portarono, tuttavia, ad una nuova, benché debole, maggioranza dei democratici. Cavour fu rieletto, ma D'Azeglio convinse Vittorio Emanuele II a sciogliere la Camera dei deputati e il 20 novembre 1849 il Re emanò il proclama di Moncalieri, con cui invitava il suo popolo ad eleggere candidati moderati che non fossero a favore di una nuova guerra. Il 9 dicembre fu rieletta l'assemblea che, finalmente, espresse un voto schiacciante a favore della pace. Fra gli eletti figurava di nuovo Cavour che, nel collegio di Torino I, ottenne 307 voti contro i 98 dell'avversario[29][30].
In quel periodo Camillo Benso si mise in evidenza anche per le sue doti di abile operatore finanziario. Ebbe infatti una parte di primo piano nella fusione della Banca di Genova e della nascente Banca di Torino, che diede vita alla Banca Nazionale degli Stati Sardi[31].
Dopo il successo elettorale del dicembre 1849 Cavour divenne una delle figure dominanti dell'ambiente politico piemontese e gli venne riconosciuta la funzione di guida della maggioranza moderata che si era costituita.
Forte di questa posizione sostenne che fosse arrivato il tempo delle riforme, favorite dallo Statuto albertino che aveva creato reali prospettive di progresso. Si sarebbe potuto innanzitutto staccare il Piemonte dal fronte cattolico-reazionario che trionfava nel resto d'Italia[32]. A tale scopo il primo passo fu la promulgazione delle cosiddette leggi Siccardi (9 aprile e 5 giugno 1850) che abolirono vari privilegi del clero nel Regno di Sardegna e con le quali si aprì una fase di scontri con la Santa Sede, con episodi gravi sia da parte di D'Azeglio sia da parte di papa Pio IX. Fra questi ultimi ci fu il rifiuto di impartire l'estrema unzione all'amico di Cavour, Pietro di Santarosa, morto il 5 agosto 1850. A seguito di questo rifiuto Cavour per reazione ottenne l'espulsione da Torino dell'Ordine dei Servi di Maria, nel quale militava il sacerdote che si era rifiutato di impartire il sacramento, influenzando probabilmente anche la decisione di arresto dell'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni[33].
Con la morte dell'amico Santarosa, che ricopriva la carica di ministro dell'Agricoltura e del Commercio, Cavour, forte della parte di primo piano assunta nella battaglia anticlericale e della sua riconosciuta competenza tecnica, fu designato come naturale successore del ministro scomparso.
La decisione di nominare Cavour ministro dell'Agricoltura e del Commercio fu presa dal presidente del Consiglio D'Azeglio, convinto da alcuni deputati, assieme a Vittorio Emanuele II, che fu incoraggiato in tal senso da Alfonso La Marmora. Il Conte prestò così giuramento l'11 ottobre 1850[34].
Fra i primi incarichi sostenuti da Camillo Benso ci furono una circolare ai sindaci sulla graduale introduzione della libera panificazione [35] e il rinnovo del trattato commerciale con la Francia, improntato all'insegna del libero commercio[N 7][N 8].
L'accordo, che non fu particolarmente vantaggioso per il Piemonte, dovette essere sostenuto da motivazioni politiche per essere approvato, benché Cavour ribadisse che ogni riduzione doganale fosse di per sé un beneficio[36][N 9].
Affrontata la materia dei trattati di commercio, il Conte diede anche l'avvio ai negoziati con il Belgio e la Gran Bretagna. Con entrambi i Paesi ottenne e concesse estese facilitazioni doganali. I due trattati, conclusi il 24 gennaio e il 27 febbraio 1851 rispettivamente, furono il primo atto di vero liberismo commerciale compiuto da Cavour[37][N 10].
Questi due accordi, per i quali il Conte ottenne un largo successo parlamentare, aprirono la strada ad una riforma generale dei dazi la cui legge fu promulgata il 14 luglio 1851. Intanto nuovi trattati commerciali erano stati firmati, fra marzo e giugno, con la Grecia, le città anseatiche, l'Unione doganale tedesca, la Svizzera e i Paesi Bassi. Con 114 voti favorevoli e 23 contrari, la Camera approvò perfino un trattato analogo con l'Austria, concludendo quella prima fase della politica doganale di Cavour che realizzava per il Piemonte il passaggio dal protezionismo al libero scambio[38].
Nello stesso periodo a Cavour fu affidato anche l'incarico di ministro della Marina e, come in situazioni analoghe, egli si distinse per le sue idee innovative entrando in contrasto con gli alti ufficiali di tendenze reazionarie che si opponevano finanche all'introduzione della navigazione a vapore. D'altro canto la truppa era molto indisciplinata e l'intenzione di Cavour sarebbe stata quella di far diventare la Marina sarda un corpo di professionisti come quella del Regno delle Due Sicilie[39].
Intanto, già dal 19 aprile 1851, Cavour aveva sostituito Giovanni Nigra al Ministero delle Finanze, conservando tutti gli altri incarichi. Il Conte, durante la delicata fase del dibattito parlamentare per l'approvazione dei trattati commerciali con Gran Bretagna e Belgio, aveva annunciato di lasciare il governo se non si fosse abbandonata l'abitudine di affidare ad un deputato (in questo caso Nigra) l'incarico delle Finanze. C'erano stati per questo gravi dissensi fra D'Azeglio e Cavour che, alla fine, aveva ottenuto il ministero[40].
D'altra parte il governo di Torino aveva disperato bisogno di liquidi, principalmente per pagare le indennità imposte dagli austriaci dopo la prima guerra di indipendenza e Cavour, per la sua abilità e i suoi contatti sembrava l'uomo giusto per gestire la delicata situazione. Il Regno di Sardegna era già fortemente indebitato con i Rothschild dalla cui dipendenza il conte voleva sottrarre il Paese e, dopo alcuni tentativi falliti con la Bank of Baring, Cavour ottenne un importante prestito dalla più piccola Bank of Hambro[41].
Assieme a questo del prestito (3,6 milioni di sterline), Camillo Benso ottenne vari altri risultati. Riuscì a chiarire e sintetizzare la situazione effettiva del bilancio statale che, per quanto precaria, apparve migliore rispetto a quanto si pensasse; fece approvare su tutti gli enti morali laici ed ecclesiastici un'unica imposta del 4% del reddito annuo; ottenne l'imposta delle successioni; dispose per l'aumento di capitale della Banca Nazionale degli Stati Sardi aumentandone l'obbligo delle anticipazioni allo Stato e avviò la collaborazione tra finanza pubblica e iniziativa privata[42].
A tale riguardo accolse, nell'agosto 1851, le proposte di aziende britanniche per la realizzazione delle linee ferroviarie Torino-Susa e Torino-Novara, i cui progetti divennero legge il 14 giugno e l'11 luglio 1852 rispettivamente. Concesse all'armatore Raffaele Rubattino la linea di navigazione sovvenzionata fra Genova e la Sardegna, e a gruppi genovesi l'esercizio di miniere e saline in Sardegna. Fino a promuovere grandi progetti come l'istituzione a Genova della Compagnia Transatlantica o come la fondazione della società Ansaldo, futura fabbrica di locomotive a vapore[43].
Spinto ormai dal desiderio di raggiungere la carica di capo del governo e insofferente per la politica di d'Azeglio di alleanza con la destra clericale, Cavour all'inizio del 1852 ebbe l'idea di stringere un'intesa, il cosiddetto “connubio”, con il Centrosinistra di Urbano Rattazzi. Costui, con i voti convergenti dei deputati guidati da Cavour e di quelli del Centrosinistra, ottenne, l'11 maggio 1852, la presidenza della Camera del Parlamento Subalpino.
Il presidente del Consiglio D'Azeglio, contrario come Vittorio Emanuele II alla manovra politica di Cavour, diede le dimissioni, ottenendo puntualmente il reincarico dal re. Il governo che ne scaturì il 21 maggio 1852, assai debole, non comprendeva più Cavour che D'Azeglio aveva sostituito con Luigi Cibrario.
Il Conte non si scoraggiò e, in preparazione della ripresa della lotta politica, partì per un viaggio in Europa. Al suo ritorno a Torino, appoggiato dagli uomini del "connubio" che rappresentavano ormai il più moderno liberalismo del Piemonte, forte di un ampio consenso, diveniva il 4 novembre 1852 per la prima volta Presidente del Consiglio dei ministri.
Prima della sua definitiva affermazione, come abbiamo visto, Cavour partì da Torino il 26 giugno 1852 per un periodo di esperienze all'estero. L'8 luglio era a Londra, dove si interessò ai più recenti progressi dell'industria prendendo contatti con uomini d'affari, agricoltori e industriali, e visitando impianti e arsenali. Rimase nella capitale britannica fino al 5 agosto[44] e partì poi per un viaggio nel Galles; nell'Inghilterra settentrionale, di cui visitò i distretti manifatturieri, e in Scozia[45]. A Londra e nelle loro residenze di campagna ebbe vari incontri con esponenti politici britannici. Vide il ministro degli Esteri Malmesbury, Palmerston, Clarendon, Disraeli, Cobden, Lansdowne e Gladstone[46].
Colpito dalla grandezza imperiale della Gran Bretagna, Cavour proseguì il viaggio e passò La Manica alla volta di Parigi, dove giunse il 29 agosto 1852. Nella capitale francese Luigi Napoleone era presidente della Seconda Repubblica, alla quale darà poi fine proclamandosi (2 dicembre 1852) imperatore.
L'attenzione del conte, raggiunto a Parigi dall'alleato Rattazzi, si concentrò sulla nuova classe dirigente francese, con la quale prese contatti. Entrambi si recarono dal nuovo ministro degli Esteri Drouyn de Lhuys e il 5 settembre pranzarono con il principe presidente Luigi Napoleone traendone già buone impressioni e grandi auspici per il futuro dell'Italia[47].
Cavour ripartì per Torino giungendovi il 16 ottobre 1852, dopo un'assenza di oltre tre mesi.
Dopo pochi giorni dal ritorno di Cavour a Torino, il 22 ottobre 1852, d'Azeglio, a capo di un debole esecutivo che aveva scelto di continuare una politica anticlericale, diede le dimissioni.
Vittorio Emanuele II, su suggerimento di La Marmora, chiese a Cavour di formare un nuovo governo, a condizione che il Conte negoziasse con lo Stato Pontificio le questioni rimaste aperte, prima fra tutte quella dell'introduzione in Piemonte del matrimonio civile. Cavour rispose che non avrebbe potuto cedere di fronte al Papa e indicò in Cesare Balbo il successore di D'Azeglio. Balbo non trovò l'accordo con l'esponente di destra Revel e il Re fu costretto a tornare da Cavour. Costui accettò allora di formare il nuovo governo il 2 novembre 1852, promettendo di far seguire alla legge del matrimonio civile il suo normale percorso parlamentare (senza porre cioè la fiducia)[N 11]
Costituito il suo primo governo due giorni dopo, Cavour si adoperò con passione a favore del matrimonio civile che però fu respinto al Senato costringendo il Conte a rinunciarvi.
Intanto il movimento repubblicano che faceva capo a Giuseppe Mazzini non smetteva di preoccupare Cavour: il 6 febbraio 1853 una sommossa scoppiò contro gli austriaci a Milano e il conte, temendo l'allargarsi del fenomeno al Piemonte, fece arrestare diversi mazziniani (fra cui Francesco Crispi). Tale decisione gli attirò l'ostilità della Sinistra, specie quando gli austriaci lo ringraziarono per gli arresti[49].
Quando però, il 13 febbraio, il governo di Vienna stabilì la confisca delle proprietà dei rifugiati lombardi in Piemonte, Cavour protestò energicamente, richiamando l'ambasciatore sardo.
Obiettivo principale del primo governo Cavour fu la restaurazione finanziaria del Paese. Per raggiungere il pareggio il conte prese varie iniziative: innanzi tutto fu costretto a ricorrere ai banchieri Rothschild poi, richiamandosi al sistema francese, sostituì alla dichiarazione dei redditi l'accertamento giudiziario, fece massicci interventi nel settore delle concessioni demaniali e dei servizi pubblici, e riprese la politica dello sviluppo degli istituti di credito[50].
D'altro canto il governo effettuò grandi investimenti nel settore delle ferrovie, proprio quando, grazie alla riforma doganale, le esportazioni stavano avendo un aumento considerevole. Ci furono tuttavia notevoli resistenze ad introdurre nuove imposte fondiarie e, in generale, nuove tasse che colpissero il ceto di cui era composto il parlamento[51].
Cavour, in effetti, non riuscì mai a realizzare le condizioni politiche che consentissero una base finanziaria adeguata alle sue iniziative[52].
Il 19 dicembre 1853, si parlò di "quasi restaurate finanze", benché la situazione fosse più seria di quanto annunciato, anche per la crisi internazionale che precedette la guerra di Crimea. Cavour di conseguenza si accordò ancora con i Rothschild per un prestito, ma riuscì anche a collocare presso il pubblico dei risparmiatori, con un netto successo politico e finanziario, una buona parte del debito contratto[53].
A Camillo Benso d'altronde non mancava il consenso politico. Alle elezioni dell'8 dicembre 1853 furono eletti 130 candidati dell'area governativa, 52 della Sinistra e 22 della Destra. Nonostante ciò, per replicare all'elezione di importanti politici avversari[54] il Conte sviluppò un'offensiva politica sull'ordinamento giudiziario che la crisi economica non gli permetteva di concentrare altrove. Fu deciso, anche per recuperare parte della Sinistra, di riprendere la politica anticlericale[55].
A tale riguardo il ministro della Giustizia Urbano Rattazzi, all'apertura della V legislatura presentò una proposta di legge sulla modifica del codice penale. Il nucleo della proposta consisteva in nuove pene previste per i sacerdoti che, abusando del loro ministero, avessero censurato le leggi e le istituzioni dello Stato. La norma fu approvata alla Camera a larga maggioranza (raccogliendo molti voti a Sinistra) e, con maggiore difficoltà, anche al Senato[56].
Furono successivamente adottate modifiche anche al codice di procedura penale e fu ultimato il percorso per l'approvazione del codice di procedura civile[57].
Nel 1853 si sviluppò una crisi europea scaturita da una disputa religiosa fra la Francia e la Russia sul controllo dei luoghi santi nel territorio dell'Impero ottomano. L'atteggiamento russo provocò l'ostilità anche del governo inglese che sospettava che lo Zar volesse conquistare Costantinopoli e interrompere la via terrestre per l'India britannica.
Il 1º novembre 1853 la Russia dichiarò guerra all'Impero ottomano, che aveva accettato la linea francese, aprendo quella che sarà chiamata la guerra di Crimea. Conseguentemente, il 28 marzo 1854 la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Russia. La questione, per le opportunità politiche che potevano presentarsi, cominciò ad interessare Cavour. Egli infatti, nell'aprile 1854, rispose alle richieste dell'ambasciatore inglese James Hudson affermando che il Regno di Sardegna sarebbe intervenuto nella guerra se anche l'Austria avesse attaccato la Russia, di modo da non esporre il Piemonte all'esercito asburgico[58].
La soddisfazione degli inglesi fu evidente, ma per tutta l'estate del 1854 l'Austria rimase neutrale. Infine, il 29 novembre 1854, il ministro degli Esteri britannico Clarendon scrisse ad Hudson chiedendogli di fare di tutto per assicurarsi un corpo di spedizione piemontese. Un incitamento superfluo, poiché Cavour era già arrivato alla conclusione che le richieste inglesi e quelle francesi, queste ultime fatte all'inizio della crisi a Vittorio Emanuele II, dovevano essere soddisfatte. Il Conte decise quindi per l'intervento sollevando le perplessità del ministro della Guerra La Marmora e del ministro degli Esteri Giuseppe Dabormida che si dimise[59].
Assumendo anche la carica di ministro degli Esteri, Cavour, il 26 gennaio 1855, firmò l'adesione finale del Regno di Sardegna al trattato anglo-francese. Il Piemonte avrebbe fornito 15.000 uomini e le potenze alleate avrebbero garantito l'integrità del Regno di Sardegna da un eventuale attacco austriaco. Il 4 marzo 1855, Cavour dichiarò guerra alla Russia[N 12] e il 25 aprile il contingente piemontese salpò da La Spezia per la Crimea dove arrivò ai primi di maggio. Il Piemonte avrebbe raccolto i benefici della spedizione con la seconda guerra di indipendenza, quattro anni dopo.
Con l'intento di avvicinarsi alla Sinistra e ostacolare la Destra conservatrice che andava guadagnando terreno a causa della crisi economica, il governo Cavour il 28 novembre 1854 presentò alla Camera la legge sui conventi. La norma, nell'ottica del liberalismo anticlericale, prevedeva la soppressione degli ordini religiosi non dediti all'insegnamento o all'assistenza dei malati. Durante il dibattito parlamentare vennero attaccati, anche da Cavour, soprattutto gli ordini mendicanti come nocivi alla moralità del Paese e contrari alla moderna etica del lavoro.
La forte maggioranza alla Camera del Conte dovette affrontare l'opposizione del clero, del Re e soprattutto del Senato che in prima istanza bocciò la legge. Cavour allora si dimise (27 aprile 1855) aprendo una crisi politica chiamata crisi Calabiana dal nome del vescovo di Casale Luigi Nazari di Calabiana, senatore e avversario del progetto di legge.
Dopo qualche giorno dalle dimissioni, vista l'impossibilità a formare un nuovo esecutivo, il 4 maggio 1855, Cavour fu reintegrato dal Re nella carica di presidente del Consiglio. Al termine di giorni di discussioni nei quali Cavour ribadì che «la società attuale ha per base economica il lavoro»[61], la legge fu approvata con un emendamento che lasciava i religiosi nei conventi fino all'estinzione naturale delle loro comunità. A seguito dell'approvazione della legge sui conventi, il 26 luglio 1855 papa Pio IX emanò la scomunica contro coloro che avevano proposto, approvato e ratificato il provvedimento, Cavour e Vittorio Emanuele II compresi.
La guerra di Crimea, vittoriosa per gli alleati, ebbe fine nel 1856 con il Congresso di Parigi al quale partecipò anche l'Austria.
Cavour non ottenne compensi territoriali per la partecipazione al conflitto, ma una seduta fu dedicata espressamente a discutere il problema italiano. In questa occasione, l'8 aprile, il ministro degli Esteri britannico Clarendon attaccò pesantemente la politica illiberale sia dello Stato Pontificio, sia del Regno delle due Sicilie, sollevando le proteste del ministro austriaco Buol.
Ben più moderato, lo stesso giorno, fu il successivo intervento di Cavour, incentrato sulla denuncia della permanenza delle truppe austriache nella Romagna pontificia[63].
Fatto sta che per la prima volta la questione italiana venne considerata a livello europeo come una situazione che richiedeva modifiche a fronte di legittime rimostranze della popolazione.
Fra Gran Bretagna, Francia e Piemonte i rapporti si confermarono ottimi. Tornato a Torino, per l'esito ottenuto a Parigi, Cavour, il 29 aprile 1856, ottenne la più alta onorificenza concessa da Casa Savoia: il collare dell'Annunziata[64]. Quello stesso congresso, tuttavia, avrebbe portato il Conte a prendere importanti decisioni, tali da dover fare una scelta: con la Francia o con la Gran Bretagna.
Si aprì infatti, a seguito delle decisioni di Parigi, la questione dei due Principati danubiani. La Moldavia e la Valacchia secondo Gran Bretagna, Austria e Turchia avrebbero dovuto rimanere divise e sotto il controllo ottomano. Per Francia, Prussia e Russia, invece, si sarebbero dovute unire (nella futura Romania) e costituirsi come Stato indipendente. Quest'ultimo particolare richiamò l'attenzione di Cavour e il Regno di Sardegna, con l'ambasciatore Villamarina, si schierò per l'unificazione[N 14][65].
La reazione della Gran Bretagna contro la posizione assunta dal Piemonte fu molto aspra. Ma Cavour aveva già deciso: fra il dinamismo della politica francese e il conservatorismo di quella britannica, il Conte aveva scelto la Francia.
D'altra parte l'Austria andava sempre più isolandosi[65][N 15] e a consolidare il fenomeno contribuì un episodio che il Conte seppe sfruttare. Il 10 febbraio 1857 il governo di Vienna accusò la stampa piemontese di fomentare la rivolta contro l'Austria e il governo Cavour di correità. Il conte respinse ogni accusa e il 22 marzo Buol richiamò il suo ambasciatore, seguito il giorno dopo da un'analoga misura del Piemonte. Accadde così che l'Austria elevò una questione di stampa a motivo della rottura delle relazioni con il piccolo Regno di Sardegna, esponendosi ai giudizi negativi di tutta la diplomazia europea, compresa quella inglese, mentre in Italia si animavano maggiormente le simpatie per il Piemonte[66].
A partire dal 1855 si registrò un miglioramento delle condizioni economiche del Piemonte, grazie al buon raccolto cerealicolo e alla riduzione del deficit della bilancia commerciale. Incoraggiato da questi risultati, Cavour rilanciò la politica ferroviaria dando il via, tra l'altro, nel 1857, ai lavori del traforo del Fréjus[67].
Il 16 luglio 1857 venne dichiarata anticipatamente la chiusura della V Legislatura, in una situazione che, nonostante il miglioramento dell'economia, si presentava sfavorevole a Cavour. Si era diffuso, infatti, un malcontento generato dall'accresciuto carico fiscale, dai sacrifici fatti per la guerra di Crimea e dalla mobilitazione antigovernativa del mondo cattolico. Il risultato fu che alle elezioni del 15 novembre 1857 il centro liberale di Cavour conquistò 90 seggi (rispetto ai 130 della precedente legislatura), la destra 75 (rispetto ai 22) e la sinistra 21 (rispetto ai 52). Il successo clericale superò le più pessimistiche previsioni di area governativa. Cavour decise tuttavia di rimanere al suo posto, mentre la stampa liberale si scagliava contro la destra denunciando pressioni improprie del clero sugli elettori. Ci fu per questo una verifica parlamentare e per alcuni seggi assegnati vennero ripetute le elezioni. La tendenza si invertì: il centro liberale passò a 105 seggi e la destra a 60[68].
Lo scossone politico provocò comunque il sacrificio di Rattazzi, in precedenza passato agli Interni. Costui, soprattutto, era inviso alla Francia per non essere riuscito ad arrestare Mazzini giudicato pericoloso per la vita di Napoleone III. Rattazzi il 13 gennaio 1858 si dimise e Cavour assunse l'interim dell'Interno[69].
Suscitata l'attenzione sull'Italia con il Congresso di Parigi, per sfruttarla a fini politici si rivelò necessario l'appoggio della Francia di Napoleone III. Costui, conservatore in politica interna, era sostenitore di una politica estera di grandezza.
Dopo una lunga serie di trattative, funestate dall'attentato di Felice Orsini allo stesso imperatore dei francesi, si arrivò, nel luglio 1858, agli accordi segreti di Plombières fra Cavour e Napoleone III.
Tale intesa verbale prevedeva che, dopo una guerra che si auspicava vittoriosa contro l'Austria, la penisola italiana sarebbe stata divisa in quattro stati principali legati in una confederazione presieduta dal papa: il Regno dell'Alta Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele II; il Regno dell'Italia centrale; lo Stato Pontificio limitato a Roma e al territorio circostante; e il Regno delle Due Sicilie. Firenze e Napoli, avvenimenti locali permettendo, sarebbero passate nella sfera d'influenza francese[72].
Gli accordi di Plombières furono ratificati l'anno successivo dall'alleanza sardo-francese, secondo la quale in caso di attacco militare provocato da Vienna, la Francia sarebbe intervenuta in difesa del Regno di Sardegna con il compito di liberare dal dominio austriaco il Lombardo-Veneto e cederlo al Piemonte. In compenso la Francia avrebbe ricevuto i territori di Nizza e della Savoia, quest'ultima origine della dinastia sabauda e, come tale, cara a Vittorio Emanuele II.
Dopo la firma dell'alleanza, Cavour escogitò una serie di provocazioni militari al confine con l'Austria che, allarmata, gli lanciò un ultimatum chiedendogli di smobilitare l'esercito. Il Conte rifiutò e l'Austria aprì le ostilità contro il Piemonte il 26 aprile 1859, facendo scattare le condizioni dell'alleanza sardo-francese. Era la seconda guerra di indipendenza.
Ma i movimenti minacciosi dell'esercito prussiano convinsero Napoleone III, quasi con un atto unilaterale, a firmare un armistizio con l'Austria a Villafranca l'11 luglio 1859, poi ratificato dalla Pace di Zurigo, stipulata l'11 novembre. Le clausole del trattato prevedevano che a Vittorio Emanuele II sarebbe andata la sola Lombardia e che per il resto tutto sarebbe tornato come prima.
Cavour, deluso e amareggiato dalle condizioni dell'armistizio, dopo accese discussioni con Napoleone III e Vittorio Emanuele, decise di dare le dimissioni da presidente del Consiglio, provocando la caduta del governo da lui guidato il 12 luglio 1859[73].
Già durante la guerra i governi e le forze armate dei piccoli Stati italiani dell'Italia centro-settentrionale e della Romagna pontificia abbandonarono i loro posti e dovunque si installarono autorità provvisorie filo-sabaude. Dopo la Pace di Zurigo, tuttavia, si giunse ad una fase di stallo, poiché i governi provvisori si rifiutavano di restituire il potere ai vecchi regnanti (così come previsto dal trattato di pace) e il governo di La Marmora non aveva il coraggio di proclamare le annessioni dei territori al Regno di Sardegna. Il 22 dicembre 1859 Vittorio Emanuele II si rassegnò, così, a richiamare Cavour che nel frattempo aveva ispirato la creazione del partito di Unione Liberale.
Il Conte, rientrato alla presidenza del Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 1860, si trovò in breve di fronte ad una proposta francese di soluzione della questione dei territori liberati: annessione al Piemonte dei ducati di Parma e Modena, controllo sabaudo della Romagna pontificia, regno separato in Toscana sotto la guida di un esponente di Casa Savoia e cessione di Nizza e Savoia alla Francia. In caso di rifiuto della proposta il Piemonte avrebbe dovuto affrontare da solo la situazione di fronte all'Austria, "a suo rischio e pericolo"[74].
Rispetto agli accordi dell'alleanza sardo-francese questa proposta di soluzione sostituiva per il Piemonte l'annessione del Veneto che non si era potuto liberare dall'occupazione austriaca. Stabilita, di fatto, l'annessione di Parma, Modena e Romagna, Cavour, forte dell'appoggio della Gran Bretagna, sfidò la Francia sulla Toscana, organizzando delle votazioni locali sull'alternativa fra l'unione al Piemonte e la formazione di un nuovo Stato. Il plebiscito si tenne l'11 e il 12 marzo 1860, con risultati che legittimarono l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna[75].
Il governo francese reagì con grande irritazione sollecitando la cessione della Savoia e di Nizza che avvenne con la firma del Trattato di Torino il 24 marzo 1860. In cambio di queste due province il Regno di Sardegna acquisì, oltre alla Lombardia, anche l'attuale Emilia-Romagna e la Toscana trasformandosi in una nazione assai più omogenea.
Cavour era al corrente che la Sinistra non aveva abbandonato l'idea di una spedizione in Italia meridionale e che Garibaldi, circondato da personaggi repubblicani e rivoluzionari, era in contatto a tale scopo con Vittorio Emanuele II. Il Conte considerava rischiosa l'iniziativa alla quale si sarebbe decisamente opposto, ma il suo prestigio era stato scosso dalla cessione di Nizza e Savoia e non si sentiva abbastanza forte[77].
Cavour riuscì, comunque, attraverso Giuseppe La Farina a seguire le fasi preparatorie dell'Impresa dei Mille, la cui partenza da Quarto fu meticolosamente sorvegliata dalle autorità piemontesi. Ad alcune voci sulle intenzioni di Garibaldi di sbarcare nello Stato Pontificio, il Conte, preoccupatissimo per la eventuale reazione della Francia, alleata del Papa, dispose il 10 maggio 1860 l'invio di una nave nelle acque della Toscana "per arrestarvi Garibaldi"[78].
Il generale invece puntò a Sud e dopo il suo sbarco a Marsala (11 maggio 1860) Cavour lo fece raggiungere e controllare (per quanto possibile) da La Farina. In campo internazionale, intanto, alcune potenze straniere, intuendo la complicità di Vittorio Emanuele II nell'impresa, protestarono con il governo di Torino che poté affrontare con una certa tranquillità la situazione data la grave crisi finanziaria dell'Austria, in cui era anche ripresa la rivoluzione ungherese[79].
Napoleone III, d'altra parte, si attivò subito nel ruolo di mediatore e, per la pace fra garibaldini ed esercito napoletano, propose a Cavour l'autonomia della Sicilia, la promulgazione della costituzione a Napoli e a Palermo e l'alleanza fra Regno di Sardegna e Regno delle due Sicilie. Immediatamente il regime borbonico si adeguò alla proposta francese instaurando un governo liberale e proclamando la costituzione. Tale situazione mise in grave difficoltà Cavour per il quale l'alleanza era irrealizzabile. Nello stesso tempo non poteva scontentare Francia e Gran Bretagna che premevano almeno per una tregua.
Il governo piemontese decise allora che il Re avrebbe inviato un messaggio a Garibaldi con il quale gli si intimava di non attraversare lo stretto di Messina. Il 22 luglio 1860 Vittorio Emanuele II inviò sì la lettera voluta da Cavour, ma la fece seguire da un messaggio personale nel quale smentiva la lettera ufficiale[80].
Il 6 agosto 1860 il conte di Cavour informò i delegati del Regno delle due Sicilie del rifiuto di Garibaldi di concedere la tregua dichiarando esauriti i mezzi di conciliazione e rinviando ad un futuro incerto i negoziati per l'alleanza.
Negli stessi giorni il Conte, nel timore di far precipitare i rapporti con la Francia, sventò una spedizione militare di Mazzini che dalla Toscana doveva muovere contro lo Stato Pontificio. A seguito di questi avvenimenti, Cavour si preparò a fare tutti i suoi sforzi per impedire che il movimento per l'unità d'Italia diventasse rivoluzionario. In questa ottica cercò, nonostante il parere sfavorevole del suo ambasciatore a Napoli Villamarina, di prevenire Garibaldi nella capitale borbonica organizzando una spedizione clandestina di armi per una rivolta filopiemontese che non si poté realizzare. Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli il 7 settembre 1860 fugando, per l'amicizia che serbava a Vittorio Emanuele II, i timori di Cavour[81].
Fallito il progetto di un successo dei moderati a Napoli, il Conte per ridare a Casa Savoia una parte attiva nel movimento nazionale, decise l'invasione delle Marche e dell'Umbria pontificie. Ciò avrebbe allontanato il pericolo di un'avanzata di Garibaldi su Roma. Bisognava però preparare Napoleone III agli avvenimenti e convincerlo che l'invasione piemontese dello Stato Pontificio sarebbe stato il male minore. Per la delicata missione diplomatica il Conte scelse Farini e Cialdini. L'incontro fra costoro e l'imperatore francese avvenne a Chambéry il 28 agosto 1860, ma su ciò che in quel colloquio si disse resta molta incertezza e sul consenso francese, riportato dalla tesi italiana, è possibile che si sia determinato un equivoco. In buona sostanza Napoleone III tollerò l'invasione piemontese delle Marche e dell'Umbria cercando di rovesciare sul governo di Torino l'impopolarità di un'azione controrivoluzionaria. E appunto questo era ciò che Cavour voleva evitare. Le truppe piemontesi non si dovevano scontrare con Garibaldi in marcia su Roma, ma prevenirlo e fermarlo con un intervento giustificabile in nome della causa nazionale italiana. Anche il timore di un attacco austriaco al Piemonte, tuttavia, fece precipitare gli eventi e Cavour intimò allo Stato pontificio di licenziare i militari stranieri con un ultimatum a cui seguì l'11 settembre, prima ancora che giungesse la risposta negativa del cardinale Antonelli, la violazione dei confini dello Stato della Chiesa. La Francia ufficialmente reagì in difesa del Papa, e anche lo zar Alessandro II ritirò il suo rappresentante a Torino, ma non ci furono effetti pratici[82].
Intanto la crisi con Garibaldi si era improvvisamente aggravata, poiché quest'ultimo aveva proclamato il 10 che avrebbe consegnato al Re i territori da lui conquistati solo dopo aver occupato Roma. L'annuncio aveva anche ottenuto il plauso di Mazzini. Ma il successo piemontese nella battaglia di Castelfidardo contro i pontifici del 18 e il conferimento al governo di un prestito di 150 milioni per le spese militari, ridiedero forza e fiducia a Cavour, mentre Garibaldi, pur vittorioso nella battaglia del Volturno, esauriva la sua spinta verso Roma[83].
A questo punto, il "prodittatore" Giorgio Pallavicino Trivulzio, venendo incontro ai desideri del Conte, indisse a Napoli il plebiscito per l'annessione immediata al Regno sabaudo, seguito da una stessa iniziativa del suo omologo Antonio Mordini a Palermo. Le votazioni si tennero il 21 ottobre 1860, sancendo l'unione del Regno delle due Sicilie a quello di Sardegna.
All'inizio dello stesso mese di ottobre Cavour si era così espresso:
«Non sarà l'ultimo titolo di gloria per l'Italia d'aver saputo costituirsi a nazione senza sacrificare la libertà all'indipendenza, senza passare per le mani dittatoriali d'un Cromwell, ma svincolandosi dall'assolutismo monarchico senza cadere nel dispotismo rivoluzionario […]. Ritornare […] alle dittature rivoluzionarie d'uno o più, sarebbe uccidere sul nascere la libertà legale che vogliamo inseparabile dalla indipendenza della nazione»
Il 4 e il 5 novembre 1860 anche in Umbria e nelle Marche si votava e si decideva per l'unione allo Stato sabaudo.
Fermati i disegni di Garibaldi su Roma, a Cavour restava ora il problema di decidere su cosa fare di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio (approssimativamente il Lazio attuale), tenendo conto che un attacco a Roma sarebbe stato fatale per le relazioni con la Francia.
Il progetto del Conte, avviato dal novembre 1860 e perseguito fino alla sua morte, fu quello di proporre al Papa la rinuncia al potere temporale in cambio della rinuncia da parte dello Stato al corrispettivo, ovvero il giurisdizionalismo. Si sarebbe perciò adottato il principio di "Libera Chiesa in libero Stato"[84][85], celebre motto pronunciato nel discorso del 27 marzo 1861 sebbene già coniato in precedenza da Charles de Montalembert[86], ma le trattative naufragarono sulla fondamentale intransigenza di Pio IX.
Dal 27 gennaio al 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni per il primo Parlamento italiano unitario. Oltre 300 dei 443 seggi della nuova Camera andarono alla maggioranza governativa. L'opposizione ne conquistò un centinaio, ma fra loro non comparivano rappresentanti della Destra, poiché i clericali avevano aderito all'invito di non eleggere e di non farsi eleggere in un Parlamento che aveva leso i diritti del pontefice[87].
Il 18 febbraio venne inaugurata la nuova sessione, nella quale sedettero per la prima volta rappresentanti piemontesi, lombardi, siciliani, toscani, emiliani, romagnoli e napoletani insieme. Il 17 marzo il Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II suo re.
Il 22 marzo Cavour veniva confermato alla guida del governo, dopo che il Re aveva dovuto rinunciare a Ricasoli. Il Conte, che tenne per sé anche gli Esteri e la Marina, il 25 affermò in parlamento che Roma sarebbe dovuta diventare capitale d'Italia.
L'episodio più tumultuoso della vita politica di Cavour, se si esclude l'incidente con Vittorio Emanuele II dopo l'armistizio di Villafranca, fu il suo scontro con Garibaldi dell'aprile 1861.
Oggetto del contendere: l'esercito di volontari garibaldini del Sud, del quale Cavour volle evitare il trasferimento al nord nel timore che venisse influenzato dai radicali. Il 16 gennaio 1861 fu quindi decretato lo scioglimento dell'Esercito meridionale. Su questa decisione, che provocò le vibrate proteste del comandante del Corpo Giuseppe Sirtori, Cavour fu irremovibile[88].
In difesa del suo esercito, il 18 aprile 1861 Garibaldi pronunciò un memorabile discorso alla Camera, accusando «la fredda e nemica mano di questo Ministero [Cavour]» di aver voluto provocare una «guerra fratricida». Il Conte reagì con violenza, chiedendo, invano, al presidente della Camera Rattazzi di richiamare all'ordine il generale. La seduta fu sospesa e Nino Bixio tentò nei giorni successivi una riconciliazione, che non si compì mai del tutto[88].
Il 29 maggio 1861 Cavour ebbe un malore, attribuito dal suo medico curante a una delle crisi malariche che lo colpivano periodicamente da quando - in gioventù - aveva contratto la malaria nelle risaie di famiglia del vercellese. In questa occasione tutte le cure praticate non ebbero effetto, tanto che il 5 giugno venne fatto chiamare un sacerdote francescano suo amico, padre Giacomo da Poirino[89], al secolo Luigi Marocco (1808-1885)[90], parroco di Santa Maria degli Angeli, chiesa nella quale si sarebbero poi svolte le esequie[91][92]. Costui, come gli aveva promesso già da cinque anni, lo confessò e gli somministrò l'estrema unzione, ignorando sia la scomunica, che il conte aveva subito nel 1855, sia il fatto che Cavour non aveva ritrattato le sue scelte anticlericali[89]. Per questo motivo padre Giacomo, dopo aver riferito i fatti alle autorità religiose, fu richiamato a Roma, gli fu tolta la parrocchia e gli fu interdetto l'esercizio del ministero della confessione, al quale venne però riammesso nel 1881 da papa Leone XIII[93]. La nipote Giuseppina Alfieri di Sostegno ha tramandato che, sul letto di morte, alla vista del confessore, Cavour abbia pronunciato le parole: «Frate, frate, libera chiesa in libero Stato!»[94][95]
Subito dopo il colloquio con padre Giacomo, Cavour chiese di parlare con Luigi Carlo Farini, al quale, come rivela la nipote Giuseppina, confidò a futura memoria: «Mi ha confessato ed ho ricevuto l'assoluzione, più tardi mi comunicherò. Voglio che si sappia; voglio che il buon popolo di Torino sappia che io muoio da buon cristiano. Sono tranquillo e non ho mai fatto male a nessuno»[96].
Nel 2011 è stata ritrovata una missiva di padre Giacomo a Pio IX, nella quale il frate racconta che Cavour aveva dichiarato che «intendeva di morire da vero e sincero cattolico». Per cui il confessore, «incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte», la mattina del 5 giugno concesse il sacramento. Scrisse anche che «nel corso della sua gravissima malattia», Cavour «era ad intervalli soggetto ad alienazione di mente». Il frate chiude quindi la lettera di scuse ribadendo di «aver fatto, quanto era in sé, il suo officio»[97].
Verso le nove giunse al suo capezzale il Re. Nonostante la febbre, il Conte riconobbe Vittorio Emanuele, ma tuttavia non riuscì ad articolare un discorso molto coerente: «Oh sire! Io ho molte cose da comunicare a Vostra Maestà, molte carte da mostrarle: ma son troppo ammalato; mi sarà impossibile di recarmi a visitare la Vostra Maestà; ma io le manderò Farini domani, che le parlerà di tutto in particolare. Vostra Maestà ha ella ricevuta da Parigi la lettera che aspettava? L'Imperatore è molto buono per noi ora, sì, molto buono. E i nostri poveri Napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli. Sire, sì, sì, si lavi, si lavi! Niente stato d'assedio, nessun mezzo di governo assoluto. Tutti sono buoni a governare con lo stato d'assedio [...] Garibaldi è un galantuomo, io non gli voglio alcun male. Egli vuole andare a Roma e a Venezia, e anch'io: nessuno ne ha più fretta di noi. Quanto all'Istria e al Tirolo è un'altra cosa. Sarà il lavoro di un'altra generazione. Noi abbiamo fatto abbastanza noialtri: abbiamo fatto l'Italia, sì l'Italia, e la cosa va...»[98][99]
Secondo l'amico Michelangelo Castelli, le ultime parole del Conte furono: «L'Italia è fatta - tutto è salvo», così come le intese al capezzale Luigi Carlo Farini. Il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla proclamazione del Regno d'Italia, Cavour moriva così a Torino nel palazzo di famiglia. La sua fine suscitò immenso cordoglio, anche perché del tutto inattesa, e ai funerali vi fu straordinaria partecipazione[100].
A Cavour succedette come presidente del Consiglio Bettino Ricasoli.
Cavour nell'agiografia postunitaria dall'anno della sua morte fu ritenuto il "Padre della Patria" da un illustre personaggio come Giuseppe Verdi, che lo definì "il vero padre della patria"[101] e dal politico liberale, senatore del Regno, Nicomede Bianchi, che lo definì "il buono e generoso padre della patria nascente"[102].
Il Conte è stato ricordato in vari modi. Due città italiane hanno aggiunto il suo nome a quello originario: Grinzane Cavour, di cui Camillo Benso fu sindaco, e Sogliano Cavour per celebrare l'unità nazionale. Gli sono state dedicate innumerevoli vie e piazze e numerose statue.
Diverse le targhe ricordo, anche al di fuori dei confini italiani, come ad esempio quella posta a San Bernardino (frazione di Mesocco, nel Cantone dei Grigioni), che ricorda il passaggio dello statista il 27 luglio 1858, dopo gli accordi di Plombières con Napoleone III.
Nel 2010, in occasione del 200º anniversario della sua nascita, è stata coniata dalla zecca italiana una moneta da 2 euro commemorativa che lo raffigura.
La tomba di Cavour si trova a Santena e consiste in un semplice loculo posto nella cripta sotto la cappella di famiglia nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo; l'accesso avviene tuttavia dall'esterno della chiesa (piazza Visconti Venosta, su cui si affaccia anche la facciata secondaria della Villa Cavour). Lo statista è sepolto per sua espressa volontà accanto all'amato nipote Augusto Benso di Cavour, figlio di suo fratello Gustavo e morto a 20 anni nella battaglia di Goito. La cripta è stata dichiarata monumento nazionale nel 1911.
La nave da battaglia Conte di Cavour e la portaerei Cavour (C 550) sono state così chiamate in suo onore.
A Cavour furono dedicate delle caramelle di liquirizia aromatizzate alla violetta: le cosiddette sénateurs.
Lo storico Caffè Confetteria Al Bicerin dal 1763 ricorda Cavour come suo cliente fidato (uno dei tavolini al suo interno viene segnalato come abituale del conte).
Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività cospirativa degli anni 1827-1830 fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto:
«Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, "deportati".»
Quando nel 1858, Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (Cavour lo avrebbe definito «il capo di un'orda di fanatici assassini»[104] oltreché «un nemico pericoloso quanto l'Austria»[105]), poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione.
Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura con Mazzini e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione[106]. Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la stampa radicale[107].
Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati[108]. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo il saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna[109].
Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale L'Italia del Popolo:
«Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale»
Il ruolo di Cavour durante il Risorgimento ha suscitato varie dispute. Sebbene sia considerato uno dei padri della patria assieme a Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Mazzini, il Conte inizialmente non riteneva fosse possibile unire tutta l'Italia soprattutto per l'ostacolo rappresentato dallo Stato Pontificio e dunque puntava solamente ad allargare i confini del regno dei Savoia nel nord Italia (lo stesso Mazzini lo accusava di non promuovere una politica chiaramente volta all'unificazione di tutta la penisola)[110].
Camillo Benso di Cavour | |
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Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella | |
Conte di Cellarengo e di Isolabella Conte dei marchesi di Cavour | |
Nome completo | Camillo Paolo Filippo Giulio |
Nascita | Torino, 10 agosto 1810 |
Morte | Torino, 6 giugno 1861 |
Luogo di sepoltura | Castello Cavour di Santena |
Dinastia | Benso |
Padre | Michele Benso di Cavour |
Madre | Adele di Sellon d'Allaman |
Religione | Cattolicesimo |
Cavour ottenne numerose onorificenze, anche straniere. Si riportano quelle di cui si è a conoscenza da fonti attendibili[111]:
Bernardino *? †? | |||||||||
Pompilio[112] *? †1624 | |||||||||
Silvio *? †1624 | Michelantonio *1600 †1655 | Bernardino *? †? | Zenobia *? †? | ||||||
Maurizio Pompilio Conte di Cellarengo e Isolabella 1635 †? | Paolo Giacinto Signore di Cavour *1637 †1712 | Ludovico Percivalle *1647 †1685 | Giuseppe Filippo Signore di Cavour *1648 †1719 | Carlo Ottavio *? †1724 | |||||
Michele Antonio III Marchese di Cavour *1707 †1774 | |||||||||
Giuseppe Filippo IV Marchese di Cavour *1741 †1807 | |||||||||
Michele V Marchese di Cavour *1781 †1850 | |||||||||
Gustavo VI Marchese di Cavour *1806 †1864 | Camillo Paolo Conte di Cavour *1810 †1861 | ||||||||
Augusto *1828 †1848 | Giuseppina *1831 †1888 ⚭ Carlo Alfieri di Sostegno *1827 †1897 | Ainardo VII Marchese di Cavour *1833 †1875 | |||||||
Maria Luisa *1852 †1920 ⚭ Emilio Visconti Venosta *1829 †1914 | Adele *1857 †1937 | ||||||||
Paola *1877 †1886 | Carlo *1879 †1942 | Francesco *1880 †1898 | Enrico *1883 †1945 | Giovanni *1887 †1947 |
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