filosofo tedesco Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Arthur Schopenhauer (1788 – 1860), filosofo tedesco.
Che tra breve i vermi divoreranno il mio corpo è un pensiero che posso sopportare – ma che i professori di filosofia faranno lo stesso con la mia filosofia! – questo mi fa orrore.[1]
Dobbiamo rinunciare a cogliere una rosa, | per timore che la sua spina ci ferisca?[3]
È certo che un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole.[4]
Il bramanesimo e il buddismo, fedeli alla verità, riconoscono decisamente la palese parentela dell'uomo, come in generale con l'intera natura, così anzitutto con la natura animale e, mediante la metempsicosi e in altri modi, rappresentano l'essere umano come collegato strettamente con il mondo degli animali.[5]
Il filosofo schietto cercherà dovunque la luce e la chiarezza, e si sforzerà sempre di non rassomigliare a una corrente torbida ed impetuosa, ma piuttosto a un lago della Svizzera, il quale, grazie alla sua calma, pur essendo molto profondo, possiede grande limpidità, la quale appunto fa visibile la sua profondità.[6]
Il principio dell'onore e del coraggio consiste propriamente nel considerare piccoli i mali più grandi, se sono causati dal destino, e invece grandi anche i più piccoli, se sono causati dagli uomini.[7]
In India, le nostre religioni non attecchiranno mai; l'antica saggezza della razza umana non sarà oscurata dagli eventi in Galilea. Al contrario, la saggezza indiana fluirà indietro verso l'Europa, e produrrà cambiamenti fondamentali nel nostro pensiero e nelle nostre conoscenze.[8]
L'uomo è per sua natura incline a refuggire dal dolore, e pertanto si sposta verso situazioni più serene.[9]
La base su cui poggiamo tutta la nostra conoscenza e il nostro apprendimento è l'inesplicabile.[10]
La misantropia, per es. quella di un Timone d'Atene, è qualche cosa di diverso dell'ordinaria ostilità dei cattivi. Quella ha origine da una conoscenza obbiettiva della malvagità e della stoltezza degli uomini in genere, non riguarda gli individui, quantunque questi possano esserne stata l'occasione prima, ma si estende a tutti, ed i singoli individui vengono puramente riguardati come esempi indifferenti. Anzi, essa è sempre in certo qual modo un nobile disdegno che unicamente si manifesta quando esiste la coscienza di una natura propria migliore cui inattese malvagità hanno mosso a corruccio.[11]
La memoria è un essere capriccioso e bizzarro, paragonabile a una giovane ragazza: ora rifiuta in modo del tutto inaspettato ciò che ha dato cento volte, e poi, quando non ci si pensa più, ce lo porta da sé.[12]
La soddisfazione dell'istinto sessuale è in sé assolutamente riprovevole, in quanto è la più forte affermazione della vita. Ciò vale sia nel matrimonio che al di fuori di esso. Ma il secondo caso è doppiamente riprovevole, in quanto è al tempo stesso negazione dell'altrui volontà: alla ragazza infatti ne deriverà direttamente o indirettamente sventura; e l'uomo dunque soddisfa la sua voglia a spese della felicità di altri.[13]
La vita è una cosa spiacevole e io mi sono proposto di passare la mia a rifletterci sopra.[14]
Le Upaniṣad sono state la consolazione della mia vita, e saranno la consolazione della mia morte.[15]
Ma nulla si conosce interamente finché non vi si è girato tutt'attorno per arrivare al medesimo punto provenendo dalla parte opposta.[16]
Non ho ancora detto la mia ultima parola sulle donne: credo che, se una donna riesce a sottrarsi alla massa, e quindi a sollevarsi al di sopra di essa, è destinata a crescere continuamente, molto più di un uomo.[17]
Predicare la morale è facile, fondare la morale difficile.[18]
Prima di bruciare vivo Vanini, un pensatore acuto e profondo, gli strapparono la lingua, con la quale, dicevano, aveva bestemmiato Dio. Confesso che, quando leggo cose del genere, mi vien voglia di bestemmiare quel dio.[19]
Quello che nella vita reale mi è stato sempre e dappertutto di ostacolo, sin negli anni più tardivi, è stata la mia incapacità di fornirmi di una ragione sufficiente della piccolezza e della bassezza degli uomini.[20]
Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista della creazione del mondo che si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.[21]
Tutta la mia filosofia si lascia riassumere in una frase: il mondo è la volontà che conosce se stessa.[22]
Attribuite
Chi non ha tenuto con sé un cane, non sa cosa sia amare ed essere amato.[23]
[Citazione errata] La citazione viene spesso attribuita a Schopenhauer, tuttavia quando il filosofo riporta la frase nell'opera Parerga e paralipomena cita esplicitamente lo scrittore spagnolo Mariano José de Larra e, in particolar modo, l'opera El doncel de Don Enrique el doliente.[24]
Dall'albero del silenzio pende per frutto la tranquillità. (da Aforismi sulla saggezza del vivere, p. 97)
[Citazione errata] Come indicato da Schopenhauer stesso, si tratta di una «massima araba molto efficace e poco nota».
Aristotele (Etica a Nicomaco, I, 8) ha diviso i beni della vita umana in tre classi: beni esteriori, dell'anima e del corpo. Non conservando che la divisione in tre io dico che ciò che distingue le sorti dei mortali può essere ridotto a tre condizioni fondamentali. Esse sono:
1.° Ciò che si è: dunque la personalità nel suo senso più lato. Per conseguenza qui si comprende la salute, la forza, la bellezza, il temperamento, il carattere morale, l'intelligenza ed il suo sviluppo.
2.° Ciò che si ha: dunque proprietà e ricchezza d'ogni natura.
3.° Ciò che si rappresenta: è noto che con questa espressione s'intende la maniera colla quale altri si figura un individuo, quindi ciò che questi è nell'altrui rappresentazione. Tutto ciò consiste dunque nell'opinione altrui a suo riguardo, e si divide in onore, grado e gloria.
Citazioni
Cap. I, Divisione fondamentale
I veri vantaggi personali, quali una gran mente o un gran cuore, sono in rapporto ad ogni vantaggio di grado, di nascita, pur anche regale, di ricchezza, ecc., ciò che i re veri sono rispetto ai re sul teatro. (p. 7)
[...] le medesime circostanze, i medesimi avvenimenti esterni impressionano ogni individuo in modo affatto differente, e, quantunque tutti siano posti nello stesso mezzo, ognuno vive in un mondo differente. (p. 7)
È dunque facile veder chiaramente quanto la nostra felicità dipenda da ciò che siamo, dalla nostra individualità, mentre non si tiene conto il più delle volte che di ciò che abbiamo o di ciò che rappresentiamo. (p. 9)
La salutesopratutto prevale talmente sui beni esteriori che in verità un mendicante sano è più felice di un re malato. (p. 9)
Cap. II, Di ciò che si è
[...] la sorte può cangiare, ma la nostra propria qualità è immutabile. (§ 1, La salute dello spirito e del corpo; p. 12)
Chi è gaio ha sempre motivo d'esserlo per la stessa ragione ch'egli lo è. Niente può sostituire così completamente tutti gli altri beni come questa qualità, mentre essa stessa non può esser surrogata da cosa alcuna. Che un uomo sia giovane, bello, ricco e stimato, per poter giudicare sulla sua felicità sarà questione di sapere se, oltre a ciò, egli sia gaio; in cambio s'egli è gaio, poco importa che sia giovane o vecchio, ben fatto o gobbo, povero o ricco; egli è felice. (§ 1, La salute dello spirito e del corpo; pp. 12-13)
In tesi generale i nove decimi della nostra felicità riposano esclusivamente sulla salute. Con essa tutto diventa sorgente di piacere; senza di essa invece noi non sapremmo gustare un bene esterno di qual si sia natura; [...]. (§ 1, La salute dello spirito e del corpo; p. 14)
[...] chi vede tutto nero, chi teme sempre il peggio e prende le sue misure in conseguenza, non avrà delusioni così frequenti come colui che dà colore e prospettiva ridente ad ogni cosa. (§ 1, La salute dello spirito e del corpo; p. 14)
È certo che l'uomo il più sano, e fors'anco il più gaio, potrà, capitando il caso, determinarsi al suicidio; ciò succederà quando l'intensità dei dolori o d'una sventura prossima ed inevitabile sarà più forte dei terrori della morte. (§ 1, La salute dello spirito e del corpo; p. 15)
La bellezza è una lettera aperta di raccomandazione che ci guadagna i cuori anticipatamente; [...]. (§ 2, La bellezza; p. 15)
Un semplice colpo d'occhio ci fa scoprire due nemici della felicità umana; il dolore e la noia. (§ 3, Il dolore, e la noia. L'intelligenza; p. 15)
[...] esteriormente il bisogno e la privazione generano il dolore; per contraccambio, gli agi e l'abbondanza fanno nascere la noia. (§ 3, Il dolore, e la noia. L'intelligenza; p. 15)
Infatti una mente ottusa è sempre accompagnata da impressioni grossolane e da una certa mancanza d'irritabilità. (§ 3, Il dolore, e la noia. L'intelligenza; p. 15)
Ah! se la qualità della società potesse esser surrogata dalla quantità, varrebbe la pena di vivere pur anche nel gran mondo; ma, pur troppo, cento pazzi messi in mucchio non fanno un uomo ragionevole. (§ 3, Il dolore, e la noia. L'intelligenza; p. 16)
L'uomo volgare non si preoccupa che di passare il tempo, l'uomo di talento che d'impiegarlo. (§ 3, Il dolore, e la noia. L'intelligenza; p. 17)
Ciò che un individuo può essere per un altro è molto strettamente limitato; ciascuno finisce col restar solo, [...]. (§ 3, Il dolore, e la noia. L'intelligenza; p. 18)
Cap. III, Di ciò che si ha
La mancanza di beni a cui un uomo non ha mai sognato d'aspirare, non può affatto privarlo di qualche cosa; [...]. (p. 25)
La ricchezza è come l'acqua salata: più se ne beve, più cresce la sete; lo stesso succede della gloria. (p. 25)
Il solo danaro è il bene assoluto, perché esso non provvede unicamente ad un solo bisogno «in concreto,» ma al bisogno in generale «in abstracto.» (p. 26)
Cap. IV, Di ciò che si rappresenta
In tutto ciò che facciamo, come in tutto ciò che ci asteniamo di fare, noi prendiamo in considerazione l'opinione altrui quasi prima d'ogni altra cosa, e si è da una tal cura che in seguito ad un esame profondo vedremo nascere la metà circa dei tormenti e delle angoscie che abbiamo provato. (§ 1, Dell'opinione altrui; p. 31)
La modestia è proprio una virtù inventata principalmente per uso e consumo dei mariuoli, perocché esige che ciascuno parli di sé come se fosse un mariuolo: ciocché stabilisce un'eguaglianza di livello ammirabile e produce la stessa apparenza come se non vi fosse in generale che della canaglia. (§ 1, Dell'opinione altrui; p. 33)
Intanto l'orgoglio a più buon mercato è l'orgoglio nazionale. Esso tradisce presso chi ne è tocco l'assenza di ogni qualità individuale di cui potesse andar fiero, perocché, se così non fosse, questi non sarebbe ricorso ad una qualità che divide con tanti milioni d'individui. (§ 1, Dell'opinione altrui; p. 33)
Le decorazioni sono cambiali tirate sull'opinione pubblica; il loro valore si basa sul credito del traente. (§ 2, Il grado; p. 34)
La folla ha occhi ed orecchie, ma nient'altro; sopratutto il senno le è infinitamente scarso, e corta pure la memoria. (§ 2, Il grado; p. 34)
L'onore è la coscienza esterna, e la coscienza l'onore interno. (§ 3, L'onore; p. 34)
La gloria deve quindi esser acquistata; l'onore al contrario non abbisogna che di non esser perduto. (§ 3, L'onore; p. 35)
Il sesso femminile invoca e si aspetta dal sesso mascolino assolutamente tutto; tutto ciò che desidera e tutto ciò che gli è necessario; il sesso mascolino non domanda all'altro, prima di tutto e direttamente, che un'unica cosa. (§ 3, L'onore; p. 37)
Perocché qualunque villania è, propriamente parlando, un appello all'animalità nel senso che essa dichiara l'incompetenza della lotta delle forze intellettuali o del diritto morale e la surroga con quella delle forze fisiche; nella specie uomo, che Franklin definisce a toolmaking animal (un animale che fabbrica degli arnesi), questa lotta si effettua col duello, per mezzo di arme costruite espressamente allo scopo, e porta una decisione senza appello. (§ 3, L'onore; p. 42)
D'ordinario la gloria è tanto più tardiva quanto più sarà durevole, perocché tutto ciò che è squisito matura adagio. (§ 3, L'onore; p. 45)
[...] la filosofia è l'Ercole che solo può combattere sulla terra le mostruosità morali ed intellettuali. (§ 3, L'onore; p. 51)
Strada facendo possiam dire che elevare un monumento ad un uomo ancora in vita è lo stesso che dichiarare che su quanto lo concerne non si ha fidanza nella posterità. (§ 4, La gloria; p. 58)
I ritratti di uomini celebri per le loro opere, fatti generalmente in un'epoca in cui la loro celebrità era già stabilita, confermano la regola precedente; essi ce li presentano ordinariamente vecchi e canuti, sopratutto i filosofi. (§ 4, La gloria; p. 58)
Cap. V, Parenesi e massime
L'uomo più felice è dunque colui che conduce un'esistenza senza dolori troppo forti sia nel morale, sia nel fisico, e non colui che ebbe per sua parte le gioie più vive ed i piaceri più grandi. (§ 1, Massime generali; p. 61)
Il pazzo corre dietro ai piaceri della vita e non trova che disinganni; il saggio evita i mali. (§ 1, Massime generali; p. 62)
[...] per non diventare infelicissimi, il mezzo più certo si è di non domandare d'esser felicissimo. (§ 1, Massime generali; p. 63)
Quando si volesse valutare la condizione di un uomo dal punto di vista della sua felicità, bisognerebbe prender notizie non su ciò che lo diverte, ma su ciò che lo attrista, [...]. (§ 1, Massime generali; p. 64)
Tenere le pretese il più basso possibile in proporzione colle proprie risorse d'ogni specie, ecco la via più sicura per evitare grandi guai. (§ 1, Massime generali; p. 64)
[...] quand'anche si vivesse tanto a lungo, l'esistenza sarebbe sempre troppo corta in relazione ai piani prestabiliti; la loro esecuzione reclama sempre più tempo che non si avesse supposto; essi sono talmente soggetti, come tutte le cose umane, alle vicende della sorte e ad ostacoli d'ogni natura, che si può ben di rado condurli a compimento. (§ 1, Massime generali; p. 64)
[...] la lontananza che impiccolisce gli oggetti per l'occhio, li ingrandisce per il pensiero. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 67)
Quanto più il nostro cerchio di visione, di azione e di contatto è ristretto, tanto più siamo felici; e più esso è vasto, più ci troviamo tormentati ed inquieti. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; pp. 67-68)
Bastare a se stesso, esser per se stesso tutto in tutto, e poter dire: «Omnia mea mecum porto» (porto con me tutte le cose mie), ecco certamente la condizione più favorevole per la nostra felicità; [...]. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 69)
[...] chi non ama la solitudine non ama la libertà, perché non si è liberi che essendo soli. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 69)
La così detta buona società apprezza i meriti di qualsivoglia specie, salvo i meriti intellettuali; questi anzi non vi entrano che di contrabbando. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 70)
Discorsi sanamente spiritosi o motti arguti non convengono che ad una società di persone d'ingegno; nella società ordinaria essi sono cordialmente detestati, perocché per piacere alle persone che la compongono bisogna essere assolutamente triviali e dappoco. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 70)
[...] per quanto strettamente l'amicizia, l'amore e il matrimonio uniscano gli umani, non si vuol bene, interamente e di buona fede, che a se stessi, o tutt'al più al proprio figlio. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 70)
Sarebbe per gli uomini uno studio importante l'imparar di buon'ora a sopportare la solitudine, questa sorgente di felicità e di quiete intellettuale. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 70)
Ciò che d'altra parte rende gli uomini sociabili si è che essi sono incapaci di sopportare la solitudine e di sopportare sé stessi quando sono soli. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 71)
[...] la sociabilità di ciascuno è in ragione inversa del valore intellettuale; [...]. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 72)
La solitudine offre all'uomo altolocato intellettualmente due vantaggi: il primo d'esser con sé, il secondo di non esser con gli altri. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi, p. 72)
[...] salvo rare eccezioni non v'ha scelta nel mondo tra l'isolamento e la volgarità. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 74)
La solitudine è il retaggio delle menti superiori; qualche volta succederà loro che se ne rammarichino, ma la sceglieranno sempre come il minore dei mali. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 74)
L'invidia è naturale all'uomo, e tuttavia costituisce in un tempo stesso un vizio ed un'infelicità. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 76)
In faccia d'un avvenimento funesto, già compito, che per conseguenza non si può più modificare, bisogna non abbandonarsi nemmeno all'idea che forse avrebbe potuto succedere altrimenti, e meno ancora riflettere a quanto avrebbe avuto la possibilità di stornarlo; perocché si è questo precisamente che porta la gradazione del dolore fino al punto in cui diviene insopportabile, [...]. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 77)
[...] il mattino è la giovinezza del giorno. (§ 2, Circa la nostra condotta verso noi stessi; p. 78)
Per mettersi fra la gente è utile portar seco una buona provvista di circospezione e d'indulgenza; la prima ci garantirà dai danni e dalle perdite, l'altra dalle contese e dagli alterchi. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 84)
Per imparar a sopportare gli uomini, è buona cosa esercitare la pazienza sugli oggetti inanimati che, in virtù d'una necessità meccanica o di qualunque altra necessità fisica, contrariano ostinatamente la nostra azione. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 84)
La memoria agisce nello stesso modo della lente convergente nella camera oscura: essa riduce tutte le dimensioni, e produce così un'immagine molto più bella dell'originale. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 85)
Nessuno può vedere al di là di se stesso. Voglio dire con ciò che non si può scorgere in altri più di quello che si è in se stessi, perocché ciascuno capisce e comprende un altro solamente nella misura della sua propria intelligenza. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 86)
Qualunque genio resta invisibile per chi ne è privo. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 86)
Si capirà egualmente che in presenza di imbecilli o di pazzi non v'ha che una sola maniera di mostrare che si è forniti di ragione: cioè non parlare con essi. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 86)
Tale miserabile soggettività degli uomini che li fa riferire tutto a sé stessi, e ritornare immediatamente e in dritta linea da qualunque punto di partenza alla loro persona, è provata sovrabbondantemente dall'astrologia, che rapporta il cammino dei grandi corpi dell'universo al vilissimo io e che trova una certa relazione tra le comete in cielo e le contese e le miserie sulla terra. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 87)
L'uomo di senno fra persone che sono nell'errore somiglia a colui che avesse l'orologio perfettamente giusto in una città in cui tutti gli orologi fossero mal regolati. Ei solo conosce l'ora precisa, ma che giova? Tutti prenderanno sempre norma dai pubblici quadranti che indicano un'ora falsa: tutti, anche colui che sapesse per caso come solamente l'orologio del primo segni l'ora vera. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 87)
Gli uomini, nella maggior parte, sono talmente personali che, in sostanza, nessuna cosa ha interesse agli occhi loro se non essi stessi, e ciò affatto esclusivamente. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 87)
Colui che crede che nel mondo i diavoli non vadano mai senza corna e i pazzi senza sonagli sarà sempre loro preda o loro zimbello. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 89)
Guardiamoci bene, in ogni caso, dal formarci un'opinione molto favorevole di un uomo appena fattane la conoscenza; saremmo d'ordinario disingannati a nostra confusione e forse pure a nostro danno. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 89)
Perdonare o dimenticare significano gettare dalla finestra l'esperienza acquistata a caro prezzo. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 89)
[...] la disposizione e la condotta degli uomini cangiano altrettanto presto quanto il loro interesse. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 90)
In tesi generale per acquistare la comprensione netta, profonda e così necessaria della vera e triste condizione degli uomini, è eminentemente istruttivo l'impiegare, qual commentario della condotta e dei raggiri loro sul terreno della vita pratica, la condotta ed i raggiri loro nel dominio della letteratura e viceversa. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 90)
Nessun carattere è tale che si possa abbandonarlo a se stesso e lasciarlo andare liberamente; esso ha bisogno di esser guidato con nozioni e massime. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 90)
Il fatto d'affettare una qualità, di vantarsene, è confessare di non possederla. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 91)
Nella stessa guisa che si porta il peso del proprio corpo senza avvertirlo mentre si sentirebbe il peso di qualunque oggetto estraneo che si volesse muovere, così non si scorgono che i difetti e i vizî degli altri e non i proprî. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 91)
Come la carta monetata circola sul mercato in luogo del danaro, così invece della stima e dell'amicizia genuine sono la loro dimostrazione esterna ed il loro atteggiamento imitati quanto più naturalmente è possibile, che hanno corso nel mondo. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 92)
La lontananza e la lunga assenza portano danno a qualunque amicizia, sebbene non lo si confessi volentieri. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 93)
Gli amici di casa sono d'ordinario ben chiamati con questo nome, perché sono più attaccati alla casa che al padrone di essa; costoro somigliano ai gatti piuttosto che ai cani. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 93)
Sono rari gli amici nel bisogno? Al contrario! Appena si è fatto amicizia con un uomo, ecco che questi è tosto in bisogno e che vi chiede a prestito denaro. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 93)
Compitezza è prudenza; scortesia dunque è balordaggine; farsi dei nemici senza necessità e senza motivo colla rozzezza è follia: la stessa cosa come se si desse fuoco alla propria casa. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 94)
La compitezza è stabilita sopra una convenzione tacita di non osservare gli uni presso gli altri la miseria morale ed intellettuale della condizione umana e di non rinfacciarsela reciprocamente; d'onde risulta che essa appare meno facilmente con vantaggio d'ambo le parti. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 94)
Nella stessa guisa che la cera dura e fragile per sua natura, diviene per mezzo d'un po' di calore così malleabile da prendere quella forma qualunque che piacerà darle, così pure si può, con un granellino di cortesia e di amabilità, render pieghevoli e compiacenti perfino uomini burberi ed ostili. La compitezza è dunque per l'uomo ciò che il calore è per la cera. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 95)
Asteniamoci inoltre nel conversare da qualunque osservazione critica, quando pure questa fosse fatta nella migliore intenzione, perciocché offendere gli uomini è cosa facile, difficile invece, se non impossibile, correggerli. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 95)
Chi vuole che la sua opinione trovi credito deve enunciarla freddamente e spassionatamente. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 95)
In generale val meglio manifestare il proprio senno con ciò che si tace piuttosto che con ciò che si dice. Effetto di prudenza nel primo caso, di vanità nel secondo. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 96)
D'altra parte bisogna tener a mente che tutti, anche coloro che altrove non fanno mostra di perspicacia, sono eccellenti algebristi quando si tratta degli affari personali altrui. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 96)
Non v'ha danaro meglio impiegato di quello che ci siamo lasciato rubare, imperciocché esso ci ha servito immediatamente a comperare della prudenza. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 97)
«Non aver amore né odio» compendia metà della più alta saviezza; «non dir verbo e non credere in cosa alcuna», ecco l'altra metà. Davvero che si volterà ben volentieri la schiena ad un mondo che rende necessarie regole come queste e come le seguenti. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 97)
Mostrar odio o collera nelle parole o nelle fattezze è inutile, è dannoso, imprudente, ridicolo, volgare. Non si deve palesare odio o collera che cogli atti. In questa seconda maniera si otterrà un effetto tanto più sicuro quanto meglio si seppe guardarsi dalla prima. Gli animali a sangue freddo soli sono velenosi. (§ 3, Circa la nostra condotta verso gli altri; p. 97)
I casi della nostra vita hanno anche simiglianza colle figure del caleidoscopio: ad ogni giro vediamo qualche combinazione nuova mentre in realtà abbiamo sotto gli occhi sempre la stessa cosa. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 97)
[...] gli avvenimenti e le nostre risoluzioni più importanti sono ordinariamente da paragonare a due forze che agiscono in direzioni differenti e di cui la diagonale rappresenta il corso della vita nostra. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 98)
Più brevemente possiamo dire: la sorte distribuisce le carte e noi giuochiamo. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 98)
Nella vita le cose passano come nel giuoco degli scacchi; noi ci facciamo un piano: questo però rimane subordinato a quanto piacerà fare nella partita all'avversario, e nella vita al destino. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 98)
Tra i cervelli ordinarî ed i sensati havvi una differenza caratteristica che si produce assai spesso nella vita privata, ed è che i primi quando riflettono sopra un pericolo possibile di cui vogliono apprezzare la grandezza, non cercano e non considerano se non ciò che può già esser avvenuto di simile; mentre gli altri pensano da se stessi ciò che può accadere, [...]. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 100)
Tutto quello che accade, dalle più grandi alle più piccole cose, accade necessariamente. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 101)
Le piccole traversie che ad ogni ora ci molestano, si possono considerare come destinate a tenerci in esercizio perché la forza necessaria a sopportare le grandi sventure non abbia da infiacchirsi nei giorni felici. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 101)
D'ordinario sono semplicemente le loro stesse stupidaggini che la gente chiama destino. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 101)
Non è il carattere violento, ma la prudenza che fa apparire terribili e minacciosi; tanto il cervello dell'uomo è arma più formidabile dell'artiglio del leone. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 102)
L'uomo di mondo più perfetto sarebbe colui che non rimanesse mai paralizzato nell'indecisione, né mai si lasciasse vincere dalla precipitazione. (§ 4, Circa la nostra condotta di faccia all'andamento del mondo ed alla sorte; p. 102)
Cap. VI, Sulla differenza delle età della vita
[...] come nei primi giorni di primavera qualunque fogliame ha lo stesso colore e quasi la stessa forma, così nella prima giovinezza ci rassomigliamo tutti, e andiamo d'accordo perfettamente. (p. 105)
Si può anche, sotto il punto di vista che ci occupa, paragonare l'esistenza ad un drappo ricamato di cui ciascuno vedrebbe, nella prima metà della vita, il solo diritto, e, nella seconda, il solo rovescio; questo lato è meno bello, ma più istruttivo perchè permette di conoscere l'intreccio dei fili. (p. 107)
La serenità e il coraggio in cui si rimane vivendo durante la gioventù dipendono anche in parte dal fatto che salendo il monte non possiamo scorgere la morte, la quale sta ai piedi dell'altro versante. (p. 107)
Considerata dal punto di vista della gioventù l'esistenza è un avvenire infinitamente lungo: da quello della vecchiezza un passato assai corto, [...]. (p. 107)
Ho notato che presso la maggior parte degli uomini il carattere sembra essere più particolarmente adattato ad una delle età della vita, di modo che in tale età essi presentansi sotto la luce più favorevole. Gli uni sono giovanotti amabili, e poi è finito; altri nella loro maturità si mostrano uomini energici ed attivi, ma in tarda età perderanno ogni valore; e altri infine appariscono più vantaggiosamente in vecchiaja, durante la quale sono più cari perché hanno maggior esperienza e maggior calma [...]. (p. 109)
Nella stessa guisa che sopra una nave non ci rendiamo conto del suo cammino se non perché vediamo gli oggetti situati sulla riva allontanarsi e quindi farsi più piccoli, così non ci avvediamo di divenir vecchi, sempre più vecchi, se non per il fatto che persone d'una età ognora più avanzata ci sembrano giovani. (p. 110)
Ma particolarmente verso la sua fine la vita somiglia ad un ballo mascherato, quando sono tolte le maschere. A quell'ora si vede cosa erano in realtà coloro con cui si ebbe contatto durante la vita. (p. 112)
[...] un'aria di melanconia e di tristezza è propria della gioventù, ed una certa serenità della vecchiaja; [...]. (p. 112)
Carattere fondamentale della vecchiaja è il disinganno; in essa non più di quelle illusioni che davano alla vita una bellezza incantevole ed all'attività uno stimolo; si ha conosciuto la nullità e la vanità in questo basso mondo di qualunque magnificenza, [...]. (p. 113)
La vita umana, propriamente parlando, non può esser detta lunga né corta, perocché, in sostanza, è la scala su cui misuriamo tutte le altre lunghezze di tempo. (p. 114, nota 48)
La differenza fondamentale tra la gioventù e la vecchiaja rimane sempre questa: la prima ha in prospettiva la vita, la seconda la morte; per conseguenza una possede un passato corto ed un lungo avvenire, e l'altra l'opposto. (p. 115)
La vita negli anni della vecchiaia assomiglia al quinto atto di una tragedia, si sa della tragica fine che si sta avvicinando, però non si conosce ancora quale sarà.[25]
Mercurio regge il decimo anno. Come questo pianeta, l'uomo si muove con rapidità e facilità in un'orbita molto limitata; la più piccola bagattella è per lui causa di perturbazione; ma egli apprende molto e facilmente, sotto la direzione del dio dell'astuzia e dell'eloquenza. – Col ventesimo anno comincia il regno di Venere: l'amore e le donne possedono interamente l'uomo. – Nel trentesimo anno domina Marte: a quell'età l'uomo è violento, forte, audace, bellicoso e fiero. – A quarantanni governano i quattro piccoli pianeti: il campo della vita aumenta: è frugi, cioè consacrato all'utile per virtù di Cerere; ha il suo focolare domestico da Vesta; sa ciò che deve sapere per influenza di Pallade, e, simile a Giunone, presso di esso regna sovrana la sposa. – Nel cinquantesimo anno domina Giove: l'uomo è già sopravvissuto alla maggior parte de' suoi contemporanei, e si sente superiore alla generazione attuale. Mentre possede il pieno godimento delle sue forze, è ricco di esperienza e di cognizioni: ha pure (nella misura della sua individualità o della sua posizione) un'autorità su coloro che lo avvicinano. Non intende più di lasciarsi ordinare: vuole comandare a sua volta. Si è proprio adesso che nella sua sfera egli è maggiormente atto ad esser guida e dominatore. Così culmina Giove e, come lui, l'uomo di cinquant'anni. – Ma dopo, nel sessantesimo anno, giunge Saturno e con lui la pesantezza, la lentezza e la tenacità del Piombo: «Ma molti vecchi hanno l'aria d'esser già morti; essi sono pallidi, lenti, pesanti ed inerti come il piombo» (Shakespeare, Romeo e Giulietta, Atto 2°, Scena 5a). – Finalmente viene Urano: è il momento di volare in cielo, come si dice. (p. 115)
La sconfinata pietà per tutti gli esseri viventi è la più salda garanzia del buon comportamento morale e non ha bisogno di alcuna casistica. Chi ne è compreso non offenderà certo nessuno, non danneggerà nessuno, non farà del male a nessuno, avrà invece indulgenza con tutti, perdonerà, aiuterà, fin dove può, e tutte le sue azioni recheranno l'impronta della giustizia e della filantropia. [...] io non conosco nessuna preghiera più bella di quella che conchiudeva gli antichi spettacoli teatrali dell'India (come anche in altri tempi quelli inglesi terminavano con la preghiera per il re). Dice: «Possano tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore!». (III, § 19, 4; 1981, p. 243)
[...] la completa diversità, assunta a dispetto di ogni evidenza, tra l'uomo e l'animale [...] fu enunciata nel modo più risoluto e stridente da Cartesio, come necessaria conseguenza dei suoi errori. (III, § 19, 7; 1981, p. 246)
La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del carattere da consentire di affermare fiduciosamente che l'uomo crudele con gli animali non può essere buono. Questa compassione proviene dalla medesima fonte donde viene la pietà verso gli uomini. (III, § 19, 7; 1981, p. 249)
A riconoscere l'identità dell'essenziale nel fenomeno animale e in quello umano nulla ci guida nettamente come lo studio della zoologia e dell'anatomia; che cosa si dovrà dunque dire oggigiorno (1839) quando un bigotto zootomo ha l'impudenza di sollecitare una differenza assoluta e radicale tra l'animale e l'uomo e arriva al punto di attaccare e di offendere i zoologi onesti che, attenendosi alla natura e alla verità, seguono la loro strada lontano da ogni pretume, da ogni vile piaggeria e da ogni tartufismo? (III, § 19, 7; 1981, pp. 247-248)
Ma anche in Europa si sta svegliando sempre più la comprensione per i diritti degli animali, a misura che gli strani concetti di un mondo animale esistente soltanto per essere utile agli uomini e a divertirli, di maniera che gli animali vengono trattati come fossero cose, impallidiscono e a poco a poco scompaiono. (III, § 19, 7; 1981, p. 250)
A Londra esiste una società di volontari, Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la quale in via privata e con notevoli spese fa molto per impedire la tortura degli animali. I suoi emissari svolgono opera di sorveglianza per farsi poi delatori di chi tormenta esseri privi della parola, ma sensibili, sicché si teme dappertutto la loro presenza. Presso i ponti ripidi di Londra la società mantiene una coppia di cavalli che vengono attaccati gratuitamente a ogni carro troppo carico. Non è forse una bella cosa? Non si richiama in tal modo la nostra approvazione come di fronte a un beneficio fatto agli uomini? (III, § 19, 7; 1981, pp. 251-252)
Per contro, la mia motivazione trova in suo favore l'autorità del più grande moralista di tutta l'epoca moderna: poiché questo è senza alcun dubbio Jean-Jacques Rousseau, il profondo conoscitore del cuore umano, che attinse la sua sapienza non dai libri, ma dalla vita e destinò la sua dottrina non alla cattedra, bensì all'umanità, nemico com'era dei pregiudizi, alunno della natura che a lui solo conferì il dono di predicare la morale senza diventare noioso, perché colpiva la verità e toccava i cuori. (III, § 19, 8; 1981, p. 254)
Questa teoria, che ogni molteplicità sia soltanto apparente, che in tutti gli individui di questo mondo, per quanto si presentino in numero infinito l'uno dopo l'altro e l'uno accanto all'altro, si manifesti un essere solo e il medesimo, presente e identico in tutti e veramente esistente, questa teoria [...] verrebbe voglia di dire che c'è sempre stata. Difatti essa è la dottrina principale e fondamentale dei sacri Veda, il libro più antico del mondo, del quale possediamo la parte dogmatica o, meglio, la dottrina esoterica nelle Upanishad. Là troviamo, si può dire a ogni pagina, questa grande dottrina che instancabilmente viene ripetuta in forme infinite e commentata con svariate immagini e similitudini. Non c'è da dubitare che abbia costituito il fondamento della sapienza di Pitagora [...]. Tutti sanno che in essa soltanto era contenuta quasi tutta la filosofia della scuola eleatica. In seguito ne furono pervasi i neoplatonici [...]. Nel secolo IX la vediamo comparire all'improvviso in Europa per merito di Scoto Eriugena il quale, preso dall'entusiasmo, si affanna a rivestirla delle forme e delle espressioni della religione cristiana. La ritroviamo tra i maomettani quale entusiastico misticismo dei Sufi. In Occidente però Giordano Bruno dovette pagare con la morte ignominiosa e crudele il fatto di non aver saputo resistere all'impulso di esprimere quella verità. Tuttavia vediamo anche i mistici cristiani invilupparcisi, loro malgrado, quando e dove compaiono. Il nome di Spinoza è identico con essa. (IV, § 22; 1981, pp. 277-278)
E l'uomo moralmente nobile, quando anche gli manchi l'eccellenza intellettuale, rivela con le sue azioni l'intuizione più profonda, la più alta sapienza, ed umilia il più geniale e più dotto, quando questi con la sua azione mostra che quella grande verità è pur rimasta estranea al suo cuore. (IV, § 22; 1981, pp. 279-280)
Volere il meno possibile e conoscere il più possibile è la massima che ha guidato la mia vita. La Volontà è infatti l'elemento assolutamente infimo e spregevole in noi: bisogna nasconderlo come si nascondono i genitali, benché siano entrambi le radici del nostro essere. La mia vita è eroica, e non si può valutare con un metro da filisteo o con il cubino del bottegaio, né con una misura proporzionata alla gente comune, che non vive altra esistenza se non quella individuale, limitata a un breve lasso di tempo. Per questo non devo turbarmi se penso a quanto mi manchi ciò che fa parte della regolare vita dell'individuo: ufficio, casa, vita sociale, moglie e prole. L'esistenza degli esseri comuni si risolve in questo. La mia vita invece è una vita intellettuale, il cui imperturbato procedere e l'indisturbata operosità devono dare frutto nei pochi anni della piena forza mentale e del suo libero impiego per arricchire secoli dell'umanità. La mia vita personale è soltanto la base di questa vita intellettuale, la conditio sine qua non – un elemento del tutto subordinato, quindi.
[Arthur Schopenhauer, L'arte di conoscere se stessi, a cura e con un saggio di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2005]
Citazioni
L'uomo sposato porta sulle spalle tutto il peso della vita, quello non sposato solo la metà: chi si dedica alle muse deve far parte dell'ultima classe. Perciò si troverà che quasi tutti i veri filosofi sono rimasti scapoli, come Descartes, Leibniz, Malebrance, Spinoza, e Kant. (p. 73, 2005)
L'onore è un sentimento che, sorgendo dal profondo e con frequenza quotidiana, è a tutti ben noto e assai familiare. Ma alle persone in qualche misura inclini e portate al pensiero astratto potrebbe essere gradito fissarlo e riconsiderarlo una buona volta in concetti chiari nello specchio neutro della riflessione.
Citazioni
Si può definire l'onore come il rappresentante del nostro valore nei pensieri altrui. (n. 1)
Molto spesso l'uomo, concentrandosi sui mezzi, perde di vista lo scopo. (n. 4)
Chi è privo di fama non l'ha perduta, piuttosto non l'ha ancora conquistata. (n. 5)
Clio, la musa della storia, è tutta quanta infetta di menzogne, come una prostituta di sifilide.
È forse impossibile trovare una donna veramente sincera, che non finga. Ma per la stessa ragione le donne scoprono facilmente la finzione altrui, e non è consigliabile tentare di ricorrervi nei loro riguardi.
Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici.
Gli amici si dicono sinceri, i nemici lo sono: per cui bisognerebbe utilizzare il loro biasimo per la conoscenza di se stessi, come una medicina amara.
L'intelletto non è una grandezza estensiva bensì intensiva: perciò un solo individuo può tranquillamente opporsi a diecimila, e un'assemblea di mille imbecilli non fa una persona intelligente. (2017, p. 28)
La giovinezza senza la bellezza ha pur sempre del fascino; la bellezza senza la giovinezza non ne ha alcuno.
Le altre parti del mondo hanno le scimmie; l'Europa ha i francesi. La cosa si compensa.
Se le altre parti del mondo hanno le scimmie, l'Europa ha i francesi. (da Il mondo come volontà e rappresentazione)
Non v'è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose!
Quando studiavo a Gottingen il professor Blumenbach ci parlò molto seriamente, nel corso di fisiologia, degli orrori delle vivisezioni e ci fece notare come esse fossero una cosa crudele e orribile... Invece oggi ogni medicastro si crede autorizzato a effettuare nella sua stanza delle torture gli atti più crudeli nei confronti delle bestie [...]. Nessuno è autorizzato a effettuare vivisezioni...
[Riferendosi ad Hegel] Sciupatore di carta, di tempo e di cervelli. [insulto]
Si ha pietà di un peccatore, di un malfattore, ma non di un innocente e fedele animale che spesso procura il pane al suo padrone e non riceve che misero foraggio. «Aver pietà»! Non già pietà, ma giustizia si deve all'animale!
Si possono conoscere i filosofi solo attraverso le loro opere, e in nessun modo con esposizioni di seconda mano.
Una grande quantità di cattivi scrittori vive unicamente della stoltezza del pubblico, che non vuole leggere se non ciò che è stato stampato il giorno stesso: sono i giornalisti. Il nome coglie nel segno! Si dovrebbe dire: "operaio pagato alla giornata".
Ogni miserabile babbeo, che non abbia al mondo nulla di cui poter essere orgoglioso, si appiglia all'ultima risorsa per esserlo, cioè alla nazione cui appartiene: in tal modo egli si rinfranca ed è ora pieno di gratitudine e pronto a difendere con le unghie e con i denti tutti i difetti e tutte le stoltezze caratteristiche di quella nazione.
Tutti i giornalisti sono, per via del mestiere che fanno, degli allarmisti: è il loro modo di rendersi interessanti. Essi somigliano in ciò a dei botoli che, appena sentono un rumore, si mettono ad abbaiare forte. Bisogna perciò badare ai loro squilli d'allarme solo quel tanto che non guasti la digestione.
Preso sensu proprio il dogma diventa rivoltante. Esso, infatti, prevedendo le eterne torture dell'inferno, fa scontare con pene senza fine qualche fallo o persino la mancanza di fede di una vita che spesso non giunge neppure a vent'anni; in più vi è il fatto che questa dannazione quasi universale è in realtà la conseguenza del peccato originale e quindi il risultato inevitabile della prima caduta dell'uomo. Ma questa caduta avrebbe dovuto, in ogni caso, essere prevista da colui che in primo luogo non ha creato gli uomini migliori di quello che sono, e poi ha loro apprestato un tranello, pur sapendo che vi sarebbero caduti, poiché tutto era opera sua e nulla gli rimane nascosto. Secondo questo dogma egli avrebbe chiamato dal nulla all'esistenza un genere umano debole e soggetto al peccato per poi condannarlo a torture senza fine. Inoltre c'è da aggiungere che il Dio che prescrive l'indulgenza e il perdono di ogni colpa fino a giungere all'amore per i nemici non manifesta simili sentimenti, bensì cade in sentimenti opposti; perché un castigo che subentra alla fine delle cose, quando tutto è passato e concluso, non può avere per scopo né il miglioramento né l'intimorimento: è, dunque, soltanto vendetta. Visto così, sembra persino che l'intero genere umano sia stato in realtà destinato e creato apposta per l'eterna tortura e dannazione – tranne quelle poche eccezioni che, non si sa perché, sono state salvate mediante la predestinazione, per grazia di Dio. A parte queste eccezioni, risulta come se il buon Dio avesse creato il mondo affinché il diavolo se lo pigliasse; onde egli avrebbe fatto assai meglio se vi avesse rinunciato.
Leggere significa pensare con la testa altrui invece che con la propria. Il furore di leggere libri della maggior parte dei dotti è una specie di fuga vacui, un fuggire dal vuoto di pensiero dei loro cervelli, che attira dentro a forza sostanza estranea: per avere pensieri devono leggerli altrove, come i corpi inanimati ricevono il movimento solo dall'esterno, mentre coloro che sono dotati di pensiero proprio sono come i corpi viventi che si muovono da sé.
L'arte di non leggere è molto importante. Essa consiste nel non prendere in mano quello che di volta in volta il vasto pubblico sta leggendo, come per esempio libelli politici e letterari, romanzi, poesie e simili cose, che fanno chiasso appunto in quel dato momento e raggiungono perfino parecchie edizioni nel loro primo e ultimo anno di vita. Pretendere che un individuo ritenga tutto quanto ha letto è come esigere che porti ancora dentro di sé tutto quanto ha mangiato.
Le persone che hanno passato la vita leggendo e hanno attinto la loro sapienza dai libri somigliano a coloro che, da un gran numero di descrizioni di viaggi, hanno acquistato la conoscenza precisa di un paese. Queste persone riescono a comunicare notizie su molte cose; ma, in fondo, non hanno una conoscenza coerente, chiara e profonda circa la natura di quel paese.
Sarebbe bene comprare libri, se insieme si potesse comprare il tempo per leggerli, ma di solito si scambia l'acquisto di libri per l'acquisizione del loro contenuto.
È mia opinione – e la dico qui di sfuggita – che il colore bianco della pelle non sia naturale all'uomo, il quale, per natura, ha invece la pelle nera o scura, come i nostri antenati, gli indu. Di conseguenza, dal grembo della natura non è mai nato originariamente un uomo bianco, e quindi non esiste una razza bianca, benché se ne parli tanto: ogni uomo bianco è solamente un uomo scolorito.
Le religioni sono figlie dell'ignoranza, che non sopravvivono a lungo alla loro madre. L'ha capito Omar quando fece incendiare la biblioteca di Alessandria.
Il sigaro è per l'uomo limitato un gradito surrogato dei pensieri.
Il medico vede l'uomo in tutta la sua debolezza; il giurista in tutta la sua malvagità; il teologo in tutta la sua stupidità.
[Riferito ad Hegel] No, quello che vedete non è un'aquila, guardategli le orecchie. (p. 76)
La dialettica eristica è l'arte di disputare, e precisamente l'arte di disputare in modo da ottenere ragione, dunque per fas et nefas [con mezzi leciti ed illeciti]. Si può infatti avere ragione objective, nella cosa stessa, e tuttavia avere torto agli occhi dei presenti e talvolta perfino ai propri. Ciò accade quando l'avversario confuta la mia prova, e questo vale come se avesse confutato anche l'affermazione, della quale però si possono dare altre prove; nel qual caso, naturalmente, per l'avversario la situazione si presenta rovesciata: egli ottiene ragione pur avendo oggettivamente torto. Dunque, la verità oggettiva di una proposizione e la validità della medesima nell'approvazione dei contendenti e degli uditori sono due cose diverse (a quest'ultima è rivolta la dialettica).
Da che cosa deriva tutto questo? Dalla naturale cattiveria del genere umano. Se questa non ci fosse, se nel nostro fondo fossimo leali, in ogni discussione cercheremmo solo di portare alla luce la verità, senza affatto preoccuparci se questa risulta conforme all'opinione presentata in precedenza da noi o a quella dell'altro: diventerebbe indifferente o, per lo meno, sarebbe una cosa del tutto secondaria. Ma qui sta il punto principale. L'innata vanità, particolarmente suscettibile per ciò che riguarda l'intelligenza, non vuole accettare che quanto da noi sostenuto in principio risulti falso, e vero quanto sostiene l'avversario.
[Arthur Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione, a cura e con un saggio di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2006]
Citazioni
Gli antichi adoperano logica e dialettica per lo più come sinonimi, e altrettanto fanno i moderni. (nota alla p. 1, p. 75, 2006)
Il mio punto di vista, dunque, è che la dialettica va separata dalla logica più nettamente di quanto abbia fatto Aristotele, lasciando la verità oggettiva, nella misura in cui essa è formale, alla logica e limitando la dialettica all'ottenere ragione: e, in secondo luogo, che sofistica ed eristica non vanno separate dalla dialettica così come fa Aristotele: poiché questa differenza riposa sulla verità materiale oggettiva, sulla quale non possiamo venire in chiaro con certezza preventivamente [...]. È facile a dirsi che nel contendere non bisogna avere di mira altro se non il portare alla luce la verità: il fatto è che non si sa ancora dove essa sia: si viene fuorviati agli argomenti dell'avversario e anche dai propri. (nota alla p. 19, p. 78, 2006)
Per formulare la dialettica in modo limpido bisogna considerarla, senza badare alla verità oggettiva (che è oggetto della logica), semplicemente come l'arte di ottenere ragione, la qual cosa sarà certo tanto più facile se si ha oggettivamente ragione. [...] Dunque la dialettica non deve avventurarsi nella verità: alla stessa stregua del maestro di scherma, che non considera chi abbia effettivamente ragione nella contesa che ha dato origine al duello: colpire e parare, questo è quello che conta. (pp. 23 sg., 2006)
Quando ci si accorge che l'avversario è superiore e si finirà per avere torto, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani, cioè si passi dall'oggetto della contesa (dato che lì si ha partita persa) al contendente e si attacchi in qualche modo la sua persona. (p. 64, 2006)
Quando A apprende che i pensieri di B sul medesimo oggetto differiscono dai propri, egli non rivede anzitutto il proprio pensiero per trovare l'errore, ma presuppone quest'ultimo nel pensiero dell'altro: l'uomo, cioè, per natura pretende di aver sempre ragione.[...] Da cosa deriva questo? Dalla naturale malvagità dell'essere umano. Se questa non ci fosse, se noi fossimo fondamentalmente onesti, in ogni dibattito tenderemmo semplicemente a portare alla luce la verità, senza curarci che questa risulti conforme alla nostra opinione annunciata in precedenza o a quella dell'altro: ciò sarebbe indifferente o perlomeno una questione del tutto marginale. Ma ecco la questione principale: la vanità innata, che è particolarmente eccitabile riguardo alle forze della ragione, non vuole accettare che ciò che noi abbiamo enunciato in precedenza risulti falso, e ciò che ha detto l'avversario, giusto. Di conseguenza, ciascuno dovrebbe semplicemente impegnarsi a giudicare rettamente; e per farlo, dovrebbe prima pensare e poi parlare. All'innata vanità, però, si accompagnano nei più il cicaleccio e l'innata disonestà. Essi parlano prima di aver pensato, e anche se poi si rendono conto che la loro affermazione è falsa, deve tuttavia sembrare che sia il contrario. L'interesse per la verità, che è certamente l'unico movente della enunciazione della proposizione ritenuta vera, cede ora del tutto all'interesse per la vanità: il vero deve apparire falso, e il falso vero.
Il termine «femmina» (Weib) è caduto in discredito, quantunque sia del tutto innocente; designa il sesso (mulier). «Donna» (Frau) è invece la femmina sposata (uxor); chiamare donna una ragazza è una stonatura.
[Arthur Schopenhauer, L'arte di trattare le donne, a cura e con un saggio di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2005]
Citazioni
Le donne sono sexus sequior, il secondo sesso, che da ogni punto di vista è inferiore al sesso maschile; perciò bisogna aver riguardi per la debolezza della donna, ma è oltremodo ridicolo attestare venerazione alle donne: essa ci abbassa ai loro stessi occhi. (p. 33, 2005)
Il sesso femminile, di statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, può essere chiamato il bel sesso soltanto dall'intelletto maschile obnubilato dall'istinto sessuale: in altre parole, tutta la bellezza femminile risiede in quell'istinto. (p. 33, 2005)
La bellezza dei ragazzi sta a quella delle ragazze come la pittura a olio sta a quella a pastello. (p. 40, 2005) [proporzione]
Il coito è soprattutto affare dell'uomo, la gravidanza, invece, solo della donna. (p. 42, 2005)
Come la seppia, la donna si avviluppa nella dissimulazione e nuota a suo agio nella menzogna. (p. 45, 2005)
Tutte le donne, con rare eccezioni, sono inclini allo sperpero. Perciò ogni patrimonio, a parte i rari casi in cui l'abbiano acquistato esse stesse, dovrebbe essere messo al sicuro dalla loro stoltezza. (p. 46, 2005)
La barba, essendo quasi una maschera, dovrebbe essere proibita dalla polizia. Inoltre, come distintivo del sesso in mezzo al viso, è oscena e per questo piace alle donne. (p. 65, 2005)
La mia metafisica dell'amore sessuale è una perla. (p. 61, 2005)
Il matrimonio è una trappola che la natura ci tende. (p. 69, 2005)
Matrimonio = guerra e necessità; vita da single = pace e prosperità. (p. 70, 2005)
Sposarsi significa fare il possibile per venirsi a nausea l'uno all'altro. (p. 71, 2005)
Le leggi matrimoniali europee assumono la donna come equivalente all'uomo: partono, dunque, da un presupposto sbagliato. (p. 71, 2005)
Tra ciò che uno ha non ho annoverato la moglie e i figli, poiché da questi è meglio dire che si è posseduti. (p. 75, 2005)
Quando le leggi concessero alle donne gli stessi diritti degli uomini, avrebbero anche dovuto munirle di un'intelligenza maschile. (p. 82, 2005)
Alle donne come ai preti non va fatta nessuna concessione. (p. 82, 2005)
Le donne hanno sempre bisogno di un tutore; perciò in nessun caso dovrebbero ottenere la tutela dei figli. (p. 83, 2005)
Le teste più dotate dell'intero sesso femminile non sono mai riuscite a creare un'unica opera effettivamente grande, genuina e originale nelle belle arti e, in generale, non sono mai state capaci di produrre una qualche opera di valore duraturo ... Singole e parziali eccezioni non cambiano nulla. (p. 88, 2005)
Più guardo gli uomini, meno mi piacciono. Se soltanto potessi dire la stessa cosa delle donne, tutto sarebbe a posto. (p. 102, 2005)
Poiché non esistono due individui perfettamente uguali, ci sarà una sola determinata donna che corrisponderà nel modo più perfetto a un determinato uomo. La vera passione d'amore è tanto rara quanto il caso che quei due si incontrino.
Che cosa ci si può aspettare da un mondo in cui quasi tutti vivono solo perché non hanno ancora trovato il coraggio di spararsi?
Dei mali della vita ci si consola pensando alla morte e della morte pensando ai mali della vita. Una piacevole condizione.
Il suicida è uno che, anziché cessare di vivere, sopprime solo il fenomeno di questo volere: egli non ha rinunciato alla volontà di vivere, ma solo alla vita.
Io non ho scritto per gl'imbecilli. Per questo il mio pubblico è ristretto.
Si è saggi solo a condizione di vivere in un mondo di pazzi.
Tutti vogliono vivere, ma nessuno sa perché vive.
Chi ama la verità odia gli dèi, al singolare come al plurale.
Esistono in tutti i popoli i monopolizzatori e gli appaltatori del bisogno metafisico: i preti.
«Filosofia della religione» è il termine di moda per «religione naturale». Ma non esiste alcuna religione naturale: le religioni, tutte, sono prodotti artificiali.
La conoscenza è fatta di una materia più dura di quella della fede, sicché, quando si urtano, è la fede a spaccarsi.
La religione cattolica è una guida per elemosinare il Cielo: guadagnarselo sarebbe troppo scomodo. I preti sono i sensali di quell'accattonaggio.
Quando uno comincia a parlare di Dio, io non lo so di che cosa parli.
A dispetto di ogni mitologia giudaica e intimidazione dei preti, bisogna che anche in Europa, finalmente, si imponga una verità, immediatamente certa e di per sé evidente per ogni persona di sano intelletto non obnubilato dal foetor judaicus, una verità che non può essere più a lungo celata: che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti principali ed essenziali sono esattamente la stessa cosa che noi, e che la differenza risiede soltanto nel grado di intelligenza, cioè di attività cerebrale, che tuttavia ammette grandi differenze anche tra i vari generi di animali: tutto ciò, affinché gli animali siano trattati più umanamente. Infatti, soltanto quando nel popolo sarà penetrata quella convinzione, così semplice e che non ammette nessun dubbio, gli animali non rappresenteranno più esseri privi di ogni diritto e perciò esposti all'arbitrio malvagio e alla crudeltà di ogni rozzo mascalzone.[26]
Dal momento che l'ultima ratio theologorum, cioè il rogo, non è più di moda, sarebbe un poltrone colui che usasse ancora tanti riguardi con la menzogna e l'impostura.[27]
Ciò che per una lettera è l'intestazione, dev'essere per un libro il titolo, dunque deve avere innanzitutto lo scopo di presentarlo a quella parte del pubblico per la quale il suo contenuto può essere interessante. Perciò il titolo deve essere indicativo, e poiché per la sua essenza è breve, dev'essere conciso, laconico, pregnante; se possibile, dev'essere un monogramma del contenuto. Scelti male sono quindi i titoli troppo prolissi, quelli che non dicono nulla, quelli obliqui, ambigui oppure, perfino, sbagliati e ingannevoli, i quali ultimi possono far subire al libro la stessa sorte che subiscono le lettere con intestazione sbagliata. I titoli peggiori sono quelli rubati, vale a dire quei titoli che sono già stati di un altro libro: essi sono, in primo luogo, un plagio e, in secondo luogo, la dimostrazione più convincente della più totale mancanza di originalità: perché colui che non ne ha tanta da escogitare un titolo nuovo per il suo libro sarà ancor meno capace di mettervi un nuovo contenuto.[28] (§ 273)
Demofele — Detto fra noi, caro, vecchio amico, non mi piace che tu di quando in quando faccia sfoggio della tua capacità filosofica ricorrendo a sarcasmi, anzi a uno scherno palese nei riguardi della religione. A ognuno la sua fede è sacra: dovrebbe esserlo anche a te. Filalete — Nego consequentiam! Non capisco, perché io, a causa della stoltezza di un altro, debba aver rispetto per la menzogna e l'inganno.[29]
Dio è nella moderna filosofia ciò che furono gli ultimi re franchi sotto i majores domus, un vuoto nome che si conserva per fare più tranquillamente all'ombra di esso il proprio comodo.[27]
Dio è per i prìncipi lo spauracchio con cui essi mandano a letto i bambini grandi quando non c'è più altro che serva; quindi essi l'hanno in gran conto. [...] Di più, dopo che cadde in disuso l'ultima ratio theologorum, quel mezzo di governo perdette molto della sua efficacia. Imperocché tu ben sai che le religioni sono come le lucciole: per risplendere esse hanno bisogno dell'oscurità. Un certo grado di ignoranza generale è la condizione di tutte le religioni, è il solo elemento nel quale esse possono vivere.[27]
[Sul Manuale di Epitteto] [...] è conciso e acuto, scritto con il tono di un amico benevolo che dà consigli [...].[30]
È fuori di dubbio che le dottrine della fede – basate sull'autorità, sul miracolo e sulla rivelazione – sono un ripiego unicamente adatto all'infanzia dell'umanità.[27]
Evidentemente è giunta l'ora [...] di riconoscere, risparmiare e rispettare in quanto tale l'eterna essenza, che, come in noi, vive anche in tutti gli animali. Sappiatelo! Ricordatelo! [...] Bisogna essere ciechi [...] per non riconoscere che l'animale, nelle cose essenziali e principali, è assolutamente la stessa cosa che siamo noi, e che la differenza sta soltanto nelle cose accidentali, nell'intelletto, ma non nella sostanza, che è la volontà. Il mondo non è un'opera raffazzonata, né gli animali sono prodotti di fabbrica per nostro uso e consumo.[31]
Già dalla sua conformazione fisica si capisce che la donna non è fatta per grandi lavori materiali né intellettuali. La colpa del vivere essa non la sconta agendo, ma soffrendo: con i dolori del parto, con l'affanno per i figli, con la sottomissione all'uomo.[32]
Gli animali sono, assai più di noi, soddisfatti per il semplice fatto di esistere; le piante lo sono interamente; gli uomini lo sono secondo il grado della loro stupidità. [...] Questa dedizione totale al presente, propria degli animali, è la precipua causa del piacere che ci danno gli animali domestici.[27]
I cristiani sono ammaestrati a farsi il segno della croce in certe occasioni, a inchinarsi e cosi via; del resto la religione è, in genere, il vero capolavoro dell'ammaestramento.[33]
I pensieri messi su carta, in fondo, non sono altro che la traccia sulla sabbia di un viandante: è vero, si vede la via che egli ha seguito, ma per sapere che cosa abbia visto sul suo cammino bisogna adoperare i propri occhi.[35]
I primi due requisiti del filosofare sono questi: prima di tutto che si abbia il coraggio di non serbare nel proprio cuore alcuna domanda e, in secondo luogo, che si porti a chiara coscienza tutto ciò che si capisce da sé per concepirlo come problema.[36]
Il medico vede l'uomo in tutta la sua debolezza, l'avvocato in tutta la sua cattiveria, il parroco in tutta la sua stupidità.
Der Arzt sieht den Menschen in seiner ganzen Schwäche, der Advokat in seiner ganzen Schlechtigkeit und der Priester in seiner ganzen Dummheit.[37]
Il presente più insignificante ha, rispetto al passato più significativo, il vantaggio della realtà; sicché il presente sta al passato come qualcosa al nulla.[38]
In fondo al cuore le donne pensano che compito dell'uomo è guadagnare soldi, e compito loro spenderli.[39]
In generale, una legge essenziale vale per ogni arte, per tutto ciò che è bello, per ogni rappresentazione spirituale – essa è la semplicità, che è solita inerire anche alla verità; o per lo meno è sempre pericoloso allontanarsene.[40]
In nessuna cosa si deve tanto distinguere fra il nocciolo e il guscio quanto nel cristianesimo. Appunto perché io desidero il nocciolo, ne spezzo talvolta il guscio.[27]
Io so bene che mi sentirò ripetere che la mia filosofia è disperata; ma solo perché io parlo secondo verità, e gli uomini vogliono sentire invece le lodi di Dio che ha ordinato il tutto secondo il meglio. Ma allora andate in chiesa e lasciate i filosofi in pace.[27]
Ho dovuto sopportare molti biasimi, per il fatto di aver presentato nella mia filosofia, teoricamente cioè, la vita come dolorosa e per nulla desiderabile: tuttavia chi mette in mostra praticamente il più deciso disprezzo per la medesima è lodato, anzi ammirato, mentre chi si sforza accuratamente di conservarla viene disprezzato.
L'antichità si presenta a noi rivestita di tanta innocenza unicamente per il fatto che essa non conobbe il cristianesimo.[27]
L'intolleranza è unicamente essenziale al monoteismo: un dio unico è, per la sua natura, un dio geloso, che non soffre l'esistenza di alcun altro dio.[27]
L'uomo è in fondo un animale selvaggio e feroce. Noi lo conosciamo solo in quello stato di ammansamento e di domesticità che è detto civiltà: perciò ci spaventano le rare esplosioni della sua vera natura. Ma fate che vengano tolte le catene dell'ordine legale, e nell'anarchia l'uomo si mostrerà quale esso è.[27]
«La morte venne nel mondo per il peccato», dice il cristianesimo. Ma la morte è puramente l'espressione cruda, stridente e portata al suo eccesso, di ciò che il mondo è nell'essenza sua. Onde è più conforme al vero dire: il mondo è per il peccato.[27]
La religione può dunque venir paragonata ad uno che prende per mano un cieco e lo guida dove questi non può vedere, nel qual caso l'essenziale è che il cieco raggiunga la propria meta, e non ch'egli veda ogni cosa.[...] Questo è infatti l'aspetto più brillante della religione. Se essa è una frode, non si può negare che non sia una pia fraus. E in tal caso i sacerdoti sono uno strano quid medium tra i ciurmatori e i moralisti.[27]
La storia potrebbe anche essere considerata come una continuazione della zoologia.[41]
Le guerre di religione, i massacri religiosi, le crociate, l'inquisizione con gli altri tribunali per gli eretici, lo sterminio della popolazione originaria dell'America e la sostituzione di essa con schiavi africani – furono frutti del cristianesimo, e nulla di analogo o di equivalente ci è offerto dagli antichi.[27]
Le religioni sanno di rivolgersi non già alla convinzione con delle ragioni, bensì alla fede con delle rivelazioni. L'età più propizia per queste ultime è la fanciullezza; per conseguenza esse hanno soprattutto cura di impadronirsi di questa tenera età. Con questo mezzo, ancor più che con minacce o con narrazioni di prodigi, si riesce a radicare profondamente le dottrine della fede.[27]
Le scene della nostra vita somigliano alle immagini in un mosaico grossolano, che da vicino non fanno effetto, e, per trovarle belle, bisogna esserne lontani.[42]
Nei secoli passati la religione era una foresta dietro la quale potevano tenersi e nascondersi gli eserciti. Ora, dopo tanti tagli, è appena più una macchia dietro cui possono talvolta appiattarsi dei furfanti. Bisogna quindi guardarsi da quelli che la tirano in ballo ad ogni occasione, e risponder loro col proverbio sopra citato: «Detrás de la cruz está el Diablo»[43].[27]
Nelle persone di capacità limitate la modestia è semplice onestà, ma in chi possiede un grande talento è ipocrisia.[44]
Oggi si stanno formando dovunque in Europa e in America, delle società di protezione degli animali, le quali sarebbero per tutta l'Asia incirconcisa la cosa più superflua del mondo, essendoché ivi la religione protegge sufficientemente gli animali e li fa anzi oggetto di beneficenza positiva [...]. Si veda invece con quale inaudita malvagità la nostra plebe cristiana si comporta verso gli animali, uccidendoli senza scopo ed anche solo per sollazzo, mutilandoli o martirizzandoli, non esclusi quelli da cui essa ricava il suo principale nutrimento [...]. Ben si potrebbe dire che gli uomini sono i demoni della terra e gli animali le anime tormentate. (1981, p. 298)
Ogni animale ha il suo intelletto evidentemente solo allo scopo di trovare e procacciarsi il cibo, e secondo ciò è anche determinata la misura del suo intelletto. Non altrimenti stanno le cose per l'uomo; solo che la maggiore difficoltà della sua conservazione e l'infinita moltiplicabilità dei suoi bisogni ha reso necessaria una misura maggiore di intelletto. Soltanto quando questa misura viene superata, per una anormalità, si ha un'eccedenza assolutamente esente dal servizio della volontà, che, se è considerevole, si chiama genio. Per questa ragione soltanto un tale intelletto diventa dapprima oggettivo; ma può avvenire che, a un certo grado, diventi anche metafisico, o per lo meno aspiri a esserlo. Infatti, proprio in conseguenza della sua oggettività, la natura stessa, la totalità delle cose, diventa il suo oggetto e il suo problema. Soltanto in lui, cioè, la natura comincia a percepirsi proprio come qualcosa che è, e pur tuttavia potrebbe anche essere diversamente; mentre, nell'intelletto comune, normale, la natura non si percepisce chiaramente – come il mugnaio non ode il rumore della macina, o il profumiere non sente il profumo del suo negozio. Sembra per lui una cosa pacifica: ne è prigioniero. Solo in certi momenti più chiari la percepisce, e quasi se ne spaventa: ma si rassegna ben presto. È facile vedere che cosa questi cervelli normali possono dare in filosofia, anche quando si riuniscono in grandi masse. Se invece l'intelletto fosse metafisico per origine e destinazione, essi potrebbero, specialmente unendo le loro forze, promuovere la filosofia come ogni altra scienza. [45]
Ogni separazione ci fa pregustare la morte, - e ogni rivederci ci fa pregustare la resurrezione. - Perciò le stesse persone, che erano state indifferenti l'una all'altra, si rallegrano tanto, quando, dopo venti o trent'anni, si incontrano di nuovo.[46]
Ogni uomo prende i limiti del proprio campo visivo per i limiti del mondo.
Per molta gente i filosofi sono degli importuni sonnambuli che lo disturbano nel sonno.[47]
Per un periodo di 1800 anni la religione ha posto la museruola alla ragione. Il compito dei professori di filosofia è quello di camuffare da filosofia tutta la mitologia ebraica.[27]
Quale insidiosa ed astuta insinuazione nella parola «ateismo»! Come se il teismo fosse la cosa più naturale del mondo.[27]
Quando il mondo sarà divenuto tanto onesto da non impartire alcuna istruzione religiosa ai fanciulli prima dei quindici anni, si potrà sperarne qualcosa.[27]
[Sulla lingua francese] [...] questo miserrimo gergo romanzo, questa pessima mutilazione di parole latine, questa lingua, che dovrebbe guardare con profondo rispetto alla sua più vecchia e assai più nobile sorella, la lingua italiana, questa lingua che ha come esclusiva peculiarità il disgustoso suono nasale, en, on, un, come pure il singhiozzante accento, così indicibilmente ripugnante, sull'ultima sillaba, mentre tutte le altre lingue hanno la penultima lunga, che ha un effetto così delicato e pacato, questa lingua, nella quale non esiste metro, ma soltanto la rima, per lo più in é o on [...].[48] (§ 283)
Se Dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere Dio; l'estrema miseria del mondo mi dilanierebbe il cuore.[27]
Solo la luce che uno accende a se stesso, risplende in seguito anche per gli altri. (da Parerga e Paralipomena, volume I, Adelphi)
Tu puoi costantemente osservare che la fede e la scienza si mantengono come i due piattelli di una bilancia: quanto più l'uno s'innalza, tanto più l'altro si abbassa.[27]
Una biblioteca di traduzioni somiglia a una pinacoteca di copie.[49] (§ 299)
Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per evitare, col calore reciproco, di rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono gli aculei l'uno dell'altro; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò ancora a stare insieme, si ripeté il precedente inconveniente; di modo che venivano sballottati fra due mali, finché non trovarono una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. (da Parerga e Paralipomena, Boringhieri, Torino, 1963, pp. 1395-1396)
Verrà il tempo in cui la dottrina di un Dio-creatore sarà in metafisica riguardata come ora in astronomia quella degli epicicli.[27]
Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo, una belva, che attende solo il momento propizio per scatenarsi e infuriare contro gli altri. (Parerga, II)
Speculazione trascendente sull'apparente disegno intenzionale nel destino dell'individuo
[Sulla sincronicità] A comprendere meglio la cosa può servire la seguente considerazione generale. "Causale" accenna a un incontro nel tempo gli elementi non collegati causalmente. Non vi è nulla però di assolutamente casuale, e anche ciò che sembra massimamente tale non è altro se non qualcosa di necessario, che si realizza in modo attenuato. Delle cause determinate, per quanto lontane nella catena causale, hanno già da lungo tempo stabilito necessariamente che esso doveva verificarsi proprio ora, e contemporaneamente a quell'altra cosa. Ogni avvenimento cioè è un termine particolare di una catena di cause degli effetti, procedente nella direzione del tempo. (Parerga e paralipomena, Adelphi, 1981 pp. 296 e 297)
[Sulla sincronicità] La tendenza dell'uomo a prendere gli auspici, [...] il suo aprir la Bibbia, i suoi giochi di carte, le sue colate di piombo e il suo contemplare il sentimento del caffè, eccetera, testimoniano la sua convinzione, contrastante a ogni fondamento razionale, che sia in qualche modo possibile riconoscere da quanto è presente e sta dinanzi agli occhi ciò che è nascosto nello spazio o nel tempo, ossia ciò che è lontano o futuro, che si possa da quello dedurre questo, se soltanto si possiede la vera chiave del cifrario. (ivi, p. 299)
Gli spettri, nell'ultra-assennato secolo scorso, sono stati non tanto banditi quanto disprezzati, come una volta la magia. In Germania tuttavia sono stati riabilitati, negli ultimi venticinque anni, e forse non a torto. [citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Desidero mostrare quanto sia difficile e allo stesso tempo urgente continuare la battaglia di Schopenhauer contro quel vaniloquio [di Hegel] insulso e piatto... Bisognerebbe aiutare almeno la nuova generazione ad affrancarsi da quella truffa intellettuale, la più grande, forse, nella storia della civiltà e della lotta contro i nemici. Sarà forse tale generazione a esaudire la speranza di Schopenhauer, che, nel 1840, affermava: "Questa colossale mistificazione è destinata a fornire ai posteri un argomento inesauribile di scherno nei riguardi della nostra epoca". La farsa hegeliana ha fatto abbastanza danni. Dobbiamo mettervi fine. Dobbiamo parlare – a rischio, magari, di insudiciarci a contatto con quella vergognosa mistificazione, che, purtroppo senza successo, fu così chiaramente smascherata cento anni or sono. Troppi filosofi hanno ignorato gli ammonimenti instancabilmente ripetuti da Schopenhauer; e li ignoravano non tanto a proprio danno (perché a loro non andava poi troppo male) quanto a danno dei loro discepoli e a danno dell'umanità. (Karl Popper)
Di Schopenhauer, quel misantropo che amava i cagnolini, si potrebbe quasi dire che lui ed il suo cane (il sovrano in carica del momento) formavano una società a sé. (David George Ritchie)
È evidente la parentela della filosofia dello Schopenhauer con la metafisica del Buddha: per ambedue ogni esistenza è dolore, per ambedue la liberazione dal dolore sta nella negazione della volontà ossia dell'esistenza; e solo la scienza (vidyá[50]) ci conduce a questa negazione che ha per termine ed effetto il nirvana. (Paolo Emilio Pavolini)
Hegel ebbe molti ammiratori: Arthur Schopenhauer non era uno di loro. Anzi, pensava che Hegel non fosse neppure un filosofo, perché gli mancavano, secondo lui, serietà e sincerità nell'approccio alla materia. Per quanto lo riguardava, la filosofia di Hegel era una stupidaggine. Hegel, per parte sua, definì Schopenhauer «ripugnante e ignorante». (Nigel Warburton)
Il modo, in cui vengono trattati gli animali da una nazione, è la misura principale della civiltà di questa. I popoli latini, si sa, sostengono male questa prova; noi Tedeschi non abbastanza bene. In ciò il Buddismo ha influito più del Cristianesimo, e Schopenhauer più di tutti gli altri antichi e moderni filosofi. La calorosa simpatia verso la natura sensibile, dalla quale sono compenetrati tutti i suoi scritti, è uno dei lati più gradevoli della filosofia di Schopenhauer, tanto ingegnosa, ma in molti punti anche malsana e poco proficua. (David Friedrich Strauß)
Il sistema di Schopenhauer è un adattamento di quello di Kant [...]. Schopenhauer conservò la cosa-in-sé, ma la identificò con la volontà. (Bertrand Russell)
Il vangelo schopenhaueriano della rinuncia non è molto coerente né molto sincero. [...] E neppure è sincera la sua dottrina, se ci è lecito giudicare dalla vita di Schopenhauer. Abitualmente pranzava bene, ad un buon ristorante; ebbe molti amori triviali, sensuali, ma non appassionati; era eccezionalmente litigioso ed avaro fuori dal comune. Una volta lo annoiava una cucitrice di una certa età che stava chiacchierando con una amica fuori della porta del suo appartamento. Egli la gettò giù dalle scale, causandole lesioni permanenti. Ella ottenne una sentenza che lo costringeva a pagarle una certa somma (15 talleri) ogni trimestre finché viveva. Quando alfine ella morì, dopo 20 anni, Schopenhauer annotò nel suo libro dei conti: «Obit anus, abit onus».[51] È difficile trovare nella sua vita prove di una qualunque virtù, tranne l'amore per gli animali, che spinse fino al punto di opporsi alla vivisezione nell'interesse della scienza. Sotto tutti gli altri aspetti era un completo egoista. È difficile credere che un uomo profondamente convinto della virtù dell'ascetismo e della rassegnazione non abbia mai fatto nessun tentativo d'applicare nella pratica le sue convinzioni. (Bertrand Russell)
L'ultimo creatore di un sistema vero e proprio, che salga su su dai rudimenti agli svolgimenti ed alle applicazioni, è Arturo Schopenhauer. (Paolo Orano)
Non era bello: gli sciocchi avrebbero potuto definirlo piuttosto brutto. Ma appariva grandioso, se si capiva l'espressione della sua bellezza interiore. Allora non si poteva staccare lo sguardo da lui, non ci si poteva sottrarre alla forza e al potere della sua affascinante personalità. E come parlava! Chi non l'ha mai sentito parlare non può farsene un'idea. Certo, ci sono alcuni che parlano bene e in maniera vivace; ma il suo discorso era unico, era la vita stessa. Sapeva metterci la più profonda serietà e la più grande bellezza; e ogni argomento da lui trattato acquistava una nuova colorazione, acquistava carattere e contenuto mediante la sua parola e il suo modo di vedere. Siccome non aveva né moglie né figli, né casa né attività pubblica, parlava preferibilmente di cose astratte, ma non con frasi astratte. A chi sapeva qualche cosa di filosofia, le sue cristalline esposizioni riuscivano comprensibili. Il suo modo di colloquiare dava un'impressione di classicità: certamente gli antichi saggi, esperti nell'arte della conversazione, avevano parlato come Schopenhauer. Possedeva una memoria straordinaria e la facoltà di entusiasmarsi. In breve, la sua parola parlata era all'altezza di quella scritta; e il discepolo, che lo avvicinava per la prima volta, era pieno di stupefatta ammirazione. (Anna von Doß)[52]
Quattro nomi sopravviveranno a tutti gli attacchi e ai sovvertimenti dei tempi a venire, e tramonteranno soltanto con l'umanità, i nomi di Buddha, Cristo, Kant e Schopenhauer. (Philipp Mainländer)
Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo così, e non sapeva il perché. Arcano è tutto fuorché il nostro dolor. Il perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del Wille.
Leopardi s'incontra ne' punti sostanziali della sua dottrina con Schopenhauer; ma gli sta di sotto per molti rispetti. Primamente Leopardi è poeta; e gli uomini comunemente non prestano fede ad una dottrina esposta in versi; ché i poeti hanno voce di mentitori.
Schopenhauer dev'essere un testone; ha capito una gran verità, che a propagare una dottrina bisogna innanzi tutto render filosofica la spada.
Schopenhauer è un ingegno fuori del comune; lucido, rapido, caldo e spesso acuto; aggiungi una non ordinaria dottrina. E se non puoi approvare tutt'i suoi giudizii, ti abbatti qua e là in molte cose peregrine, acquisti svariate conoscenze, e passi il tempo con tuo grande diletto: ché è piacevolissimo a leggere. Leopardi ragiona col senso comune, dimostra così alla buona come gli viene, non pensa a fare effetto, è troppo modesto, troppo sobrio. Lo squallore della vita che volea rappresentare si riflette come in uno specchio in quella scarna prosa; il suo stile è come il suo mondo, un deserto inamabile dove invano cerchi un fiore. Schopenhauer, al contrario, quando se gli scioglie lo scilinguagnolo, non sa tenersi; è copioso, fiorito, vivace, allegro; gode annunziarti verità amarissime.
↑ Da L'arte di invecchiare, a cura di Franco Volpi, traduzione di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano, 2017, n. 129. ISBN 9788845978951
↑ Citato in Guido Almansi, Il filosofo portatile, TEA, Milano, 1991.
↑ Da L'arte di essere felici, a cura di Franco Volpi, traduzione di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano, 1997, p. 56. ISBN 88-459-1295-7.
↑ Da In-quarto (1825), § 86; citato in L'arte di farsi rispettare, nota 33.
↑ In India, our religions will never at any time take root; the ancient wisdom of the human race will not be supplanted by the events in Galilee. On the contrary, Indian wisdom flows back to Europe, and will produce a fundamental change in our knowledge and thought. (da The World as Will and Representation, volume I, & 63 pp. 356-357; citato in A Tribute to Hinduism)
↑ Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 188. ISBN 9788858014165
↑ Da Neue Paralipomena, § 337; traduzione di Piero Martinetti in Arthur Schopenhauer, Morale e religione, Fratelli Bocca, Milano-Torino-Roma, 1908, pp. 166-167.
↑ Arthur Schopenhauer, Pensieri riguardanti l'intelletto in generale e sotto ogni rapporto, 37, in Parerga e paralipomena, vol II, Adelphi, p. 73 (in nota). ISBN 88-459-1422-4
↑ Citato in La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
↑ Da Il primato della volontà, a cura di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano, 2002, p. 94.
↑ Da una confidenza a Malwida von Meysenbug; citato in Rüdiger Safranski, Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia, traduzione di L. Crescenzi, editore Tea, Milano, 2008; citato in Fausto Pellecchia, Le donne di Schopenhauer, Uncommons.it.
↑ Da Sulla volontà nella natura, a cura di Sossio Giametta, BUR, Milano, 2013. ISBN 9788858656549
↑ Da Der handschriftliche Nachlass, hrsg. von A. Hübscher, 5 voll., Frankfurt am Main 1966-68, vol. 4, II, p. 23.
↑ Da Εἰς ἑαυτόν. Appunti di saggezza per me stesso, a cura di Fabrizio Fortini, Acquaviva, 1994, p. 40.
↑ Da Der Handschriftliche Nachlass, vol. III, Manoscritti 1818-1830, p. 643, DTV, München-Zürich 1985.
↑ Da Der Handschriftliche Nachlass, vol. I, Manoscritti 1804-1818, p. 462, DTV, München-Zürich 1985.
Arthur Schopenhauer, Il fondamento della morale, traduzione di Ervino Pocar, Laterza, Roma-Bari, 1981.
Arthur Schopenhauer, L'arte di farsi rispettare, a cura di Franco Volpi, traduzione di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano, 2017. ISBN 978-88-459-7893-7
Arthur Schopenhauer, L'arte di insultare, traduzione di Franco Volpi, Adelphi, 1999.
Arthur Schopenhauer, Metafisica dell'amore sessuale. L'amore inganno della natura, traduzione di Anacleto Verrecchia, BUR, Milano, 2011. ISBN 9788858619797
Arthur Schopenhauer, O si pensa o si crede, traduzione di Bettino Betti e Anacleto Verrecchia, Rizzoli, Milano, 2013. ISBN 9788858657201
Arthur Schopenhauer, Morale e religione: da "Parerga e Paralipomena" e Frammenti postumi, traduzione di Piero Martinetti, Mursia, Milano, 1981.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, a cura di Giorgio Colli, Adelphi, 2003. ISBN 8845914224
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, tomo I, a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 2007.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, tomo II, a cura di Mario Carpitella, traduzione di Mazzino Montinari e Eva Amendola Kuhn, Adelphi, Milano, 2007.