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opera lirica di Giacomo Puccini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Tosca è un'opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. La prima rappresentazione si tenne in Italia a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900.
Tosca | |
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Locandina di Tosca (Adolf Hohenstein, 1899) | |
Musica | Giacomo Puccini (Spartito online) |
Libretto | Giuseppe Giacosa Luigi Illica (Libretto online) |
Fonti letterarie | La Tosca di Victorien Sardou |
Atti | tre |
Epoca di composizione | primavera 1896 - ottobre 1899 |
Prima rappr. | 14 gennaio 1900 |
Teatro | Roma, Teatro Costanzi |
Personaggi | |
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Autografo | Archivio Storico Ricordi, Milano |
Il libretto deriva dal dramma La Tosca di Victorien Sardou, rappresentato per la prima volta il 24 novembre 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, il cui successo fu legato soprattutto all'interpretazione di Sarah Bernhardt.
Il dramma La Tosca venne rappresentato al Teatro dei Filodrammatici di Milano all'inizio del 1889 e Giacomo Puccini ne rimase molto colpito, cominciando a pensare di ricavarne un'opera. Ne parlò con l'editore Giulio Ricordi, chiedendo a lui di interessarsi ai diritti per musicarla. Sardou non oppose un netto rifiuto, ma dimostrò freddezza. In ogni modo alla fine del 1893 Ricordi ottenne l'autorizzazione, anche se a favore di un altro compositore, Alberto Franchetti, che aveva da poco trionfato con Cristoforo Colombo (1892).[1]
Luigi Illica preparò l'abbozzo del libretto, che fece approvare da Sardou in presenza di Giulio Ricordi e di Giuseppe Verdi (quest'ultimo, a Parigi per la prima francese di Otello, confiderà qualche anno più tardi al suo biografo che, se non fosse stato per l'età, avrebbe voluto lui stesso musicare la Tosca). Dopo pochi mesi Franchetti rinunciò, così Ricordi nel 1895 commissionò l'opera a Puccini, che cominciò il lavoro qualche mese dopo il successo de La bohème, nella tarda primavera del 1896. Partecipò alla stesura del libretto anche Giuseppe Giacosa, anche se riteneva il soggetto poco poetico e sosteneva che il successo dell'opera fosse dato dalla bravura della Bernhardt e non dal testo.[2]
Dopo alcuni contrasti e ripensamenti, nell'ottobre del 1899 l'opera fu completata e il 14 gennaio 1900 venne rappresentata al Teatro Costanzi di Roma, con il soprano Hariclea Darclée nel ruolo di Tosca, il tenore Emilio De Marchi nei panni di Cavaradossi e il baritono Eugenio Giraldoni come Scarpia. All'evento erano presenti, tra gli altri, il presidente del Consiglio Luigi Gerolamo Pelloux e la regina Margherita di Savoia. La serata fu agitata: a causa di alcuni spettatori ritardatari, il direttore d'orchestra Leopoldo Mugnone fu costretto a interrompere l'esecuzione e ricominciare da capo.[3]
Inizialmente criticata da una parte della stampa, che si attendeva un lavoro più in linea con le due precedenti opere di Puccini, Tosca si affermò ben presto in repertorio e nel giro di tre anni fu rappresentata nei maggiori teatri lirici del mondo.
L'opera divenne talmente popolare che nel 1902[4] lo stesso Puccini licenzio una riedizione con il titolo "La Tosca" di identica musica ma con libretto tradotto e adattato alla lingua francese da Paul Ferrier[5]; anche questa versione divenne popolarissima ad inizio '900 e riversata in LP nel 1959 con Manuel Rosenthal.
Il libretto fu ricavato dal dramma La Tosca di Victorien Sardou, ma fu ridotto da cinque a tre atti e snellito di molti particolari che costituivano la cornice storica realistica del dramma in prosa; vennero inoltre eliminati moltissimi personaggi secondari, tra cui Giovanni Paisiello, che compariva in persona alle prese con la famosa cantante, e la vicenda si concentrò principalmente sul triangolo Scarpia - Tosca - Cavaradossi, delineando le linee principali dei caratteri, anche se a scapito delle concatenazioni logiche degli avvenimenti. Il dramma dell'amore perseguitato interessava Puccini più del grande affresco storico condito di delitti e di sangue.
Tosca è considerata l'opera più drammatica di Puccini, ricca com'è di colpi di scena e di trovate che tengono lo spettatore in costante tensione. Il discorso musicale si evolve in modo altrettanto rapido, caratterizzato da incisi tematici brevi e taglienti, spesso costruiti su armonie dissonanti, come quella prodotta dalla successione degli accordi del tema di Scarpia che apre l'opera: Si bemolle maggiore, La bemolle maggiore, Mi maggiore (il primo e l'ultimo dei quali in relazione di tritono). Inoltre non vi è ouverture iniziale.
La vena melodica di Puccini ha modo di emergere nei duetti tra Tosca e Mario, nonché nelle tre celebri romanze, una per atto (Recondita armonia, Vissi d'arte, E lucevan le stelle), che rallentano in direzione lirica la concitazione della vicenda.
L'acme drammatica è invece costituita dal secondo atto, che vede come protagonista il sadico barone Scarpia, in cui l'orchestra pucciniana assume sonorità che anticipano l'estetica dell'espressionismo musicale tedesco.
Personaggio | Vocalità | Interprete 14 gennaio 1900 (direttore Leopoldo Mugnone) |
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Floria Tosca | soprano | Hariclea Darclée |
Mario Cavaradossi | tenore | Emilio De Marchi |
Il barone Scarpia | baritono | Eugenio Giraldoni |
Cesare Angelotti | basso | Ruggero Galli |
Il Sagrestano | basso | Ettore Borelli |
Spoletta | tenore | Enrico Giordani |
Sciarrone | basso | Giuseppe Gironi |
Un carceriere | basso | Aristide Parasassi |
Un pastore | voce bianca | Angelo Righi |
La trama ha luogo a Roma martedì 17 giugno 1800. Più precisamente, il primo atto svolge nella basilica di Sant'Andrea della Valle, il secondo a Palazzo Farnese e il terzo su una terrazza di Castel Sant'Angelo.
Angelotti, bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella basilica di Sant'Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare le chiavi della sua cappella. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore). Quando irrompe nella chiesa un sagrestano (basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando (...e sempre lava...), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto (Recondita armonia...). Il sagrestano nota che il quadro di Cavaradossi ritrae la bella faccia della marchesa Attavanti. Offrendogli il pranzo, che il pittore rifiuta, il sacrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l'arrivo di Floria Tosca (soprano), l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella con il cibo. Mario non può rivelare alla sua amata l'accaduto poiché teme che ella, fervida credente, riveli in confessione la presenza di Angelotti. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera, dopo il suo spettacolo (Non la sospiri la nostra casetta...). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica (Qual occhio al mondo...), riesce a calmarla e a congedarla. Tuttavia, Tosca vuole assolutamente che il pittore faccia gli occhi neri al ritratto.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga. Portano con sé il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella.
La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia (baritono), capo della polizia papalina, il quale, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch'egli bonapartista. Scarpia trova nella cappella il ventaglio dimenticato da Angelotti. Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, sia per motivi professionali ma anche amorosi, egli cerca di coinvolgere Tosca, della quale è segretamente innamorato. Tosca, infatti, è ritornata in chiesa per informare l'amante che il programma è sfumato, in quanto ella è stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento militare (Ed io venivo a lui tutta dogliosa...). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca sfruttando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Uscita Tosca, Scarpia ordina al suo agente di polizia Spoletta di seguirla di nascosto (Tre sbirri, una carrozza...) e, mentre i fedeli popolano la chiesa intonando il Te Deum per celebrare la sconfitta di Napoleone, il barone immagina con gioia feroce l'impiccagione di Cavaradossi e sogna di avere Tosca fra le sue braccia.
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del re e della regina di Napoli per celebrare la vittoriosa battaglia, nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri gendarmi hanno seguito la furente Tosca fino alla villetta di Mario, dalla quale la donna è tuttavia uscita poco dopo, avendo compreso il grave errore causato dalla sua gelosia. Gli sbirri hanno perquisito a fondo la dimora ma non sono stati in grado di localizzare Angelotti, così arrestano Mario e lo conducono al cospetto di Scarpia. Il pittore, interrogato, si rifiuta di rivelare il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.
Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache è falsa, e che invece è stato Napoleone a vincere a Marengo. Mario inneggia ad alta voce alla vittoria e Scarpia lo condanna immediatamente a morte per impiccagione, facendolo condurre via. Più tardi arriva anche la notizia che Angelotti si è suicidato all'arrivo degli sbirri: Scarpia ordina che il suo cadavere sia impiccato accanto a Cavaradossi. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di accordare la grazia a Mario: il barone acconsente solo a patto che ella gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio (Vissi d'arte, vissi d'amore), ma invano: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d'intesa, fa credere a Tosca che Cavaradossi sarà fintamente giustiziato mediante una fucilazione simulata, con fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa, che nel frattempo aveva preso un coltello dal tavolo, lo colpisce dritto al cuore e Scarpia muore. Tosca sottrae quindi il salvacondotto dalle mani del cadavere, poi, in uno slancio di religiosa pietà, pone due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente scappa via.
È l'alba. In lontananza un giovane pastore canta un malinconico stornello in romanesco[6] e le campane di Roma suonano la messa del mattino. Sui bastioni di Castel Sant'Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima lettera d'amore a Tosca, ma non riesce a terminarla, sopraffatto dai ricordi (E lucevan le stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta a uccidere Scarpia, gli mostra il salvacondotto e lo informa della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Mario, però, viene fucilato veramente: Tosca, sconvolta e inseguita dai poliziotti, i quali hanno trovato il cadavere di Scarpia, si getta dalla terrazza del castello.
La partitura è scritta per orchestra composta da:
Da suonare in scena:
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