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tenore italiano (1873-1921) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Enrico Caruso (Napoli, 25 febbraio 1873 – Napoli, 2 agosto 1921) è stato un tenore italiano.
È considerato uno dei più grandi tenori di tutti i tempi.[1]
Enrico Caruso nacque il 25 febbraio 1873 a Napoli[2], nel quartiere di San Carlo all'Arena, in via Santi Giovanni e Paolo 7, da genitori originari di Piedimonte d'Alife (rinominato, nel 1970, Piedimonte Matese), nell'allora provincia di Terra di Lavoro. Il padre, Marcellino Caruso (1840-1908), era un operaio metalmeccanico, mentre la madre, Anna Baldini (1838-1888), era una donna delle pulizie.
Dopo aver frequentato le scuole regolari, a dieci anni andò a lavorare col padre in fonderia, ma sotto l'insistenza della madre si iscrisse a una scuola serale, dove scoprì di essere portato per il disegno; iniziò poi a elaborare progetti di fontane per l'officina dove lavorava. Nel frattempo crescevano in lui il talento e la voce. Le prime arie d'opera e le prime nozioni di canto gli vennero insegnate dai maestri Schirardi e De Lutio.
Nel 1888 la madre morì di tubercolosi; poco tempo dopo, il padre si risposò con Maria Castaldi.
Oltre a cantare nel coro della chiesa, Enrico fece qualche apparizione in spettacoli teatrali. La sua voce nel frattempo si era irrobustita e le piccole rappresentazioni cominciarono a non bastargli più. La sua fortuna iniziò quando il baritono Eduardo Missiano, sentendolo cantare una messa di Saverio Mercadante a un funerale nella chiesa di Sant'Anna alle Paludi, si entusiasmò a tal punto che lo presentò al maestro Guglielmo Vergine, il quale accettò di dargli lezioni per migliorare la voce, ma pretese da lui il 25% dei suoi compensi, con un contratto che durò cinque anni.
Nel 1894 Caruso fu chiamato alle armi, ma dopo solo un mese e mezzo, grazie alle leggi in vigore a quel tempo e a un maggiore amante della musica, venne congedato e inviato a casa per permettergli di continuare a cantare e a studiare[3]. Dopo le lezioni con il maestro Vergine, Caruso si sentiva pronto all'esordio, ma alle prove per la Mignon di Ambroise Thomas non fu accettato. Esordì il 15 marzo 1895 nel ruolo del titolo in L'amico Francesco di Mario Morelli, percependo 80 lire per quattro rappresentazioni, poi ridotte a due (15 e 20 marzo) a causa dello scarso afflusso di pubblico, nonostante una buona critica. Non fu un trionfo, ma per la prima volta fece parlare i giornali di sé, assieme al baritono Achille Ciabò, al soprano Maria Belvetti, all’impresario Carlo Ferrara e all’agente teatrale Ciccio Zucchi. Nel 1895 interpretò Turiddu nella “Cavalleria Rusticana” al Teatro Cimarosa a Caserta, con Enrichetta Ferrara Moscati che interpretava Santuzza.
Iniziò a esibirsi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno; fece la sua prima esibizione all'estero al Cairo, percependo 600 lire per un mese di lavoro. Nel 1896 conobbe Vincenzo Lombardi, il maestro di canto (figlio e allievo di Michele, uno studente di violoncello dell’Orfanotrofio di San Lorenzo in Aversa), grazie alle cui lezioni divenne il grande tenore.[4] Vincenzo Lombardi, eccellente direttore di orchestra, gli propose di accompagnarlo nella stagione estiva a Livorno. Qui Caruso conobbe il soprano Ada Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino. Con lei ebbe una relazione che durò undici anni, da cui nacquero due figli: Rodolfo (1898–1951) ed Enrico junior (1904–1987) [5]. Ada lo lasciò per fuggire con Cesare Romati, il loro autista, con il quale cercò anche di estorcergli denaro. La vicenda finì in un'aula di tribunale con la dichiarazione di colpevolezza per la Giachetti, condannata a tre mesi di reclusione e a 100 lire di multa.
«La vita mi procura molte sofferenze. Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare.»
Nel 1897 Caruso esordì al Teatro Lirico di Milano nel ruolo di Federico ne L'Arlesiana di Francesco Cilea, il cui Lamento di Federico ottenne un grande successo. Poi fu Loris in Fedora di Umberto Giordano; seguirono tournée in Russia, a Lisbona, a Roma, a Montecarlo e al Covent Garden di Londra, dove interpretò il Rigoletto di Giuseppe Verdi; l'anno dopo si esibì a Buenos Aires.
Il 16 maggio 1897, in occasione dell'inaugurazione del Teatro Massimo di Palermo, si esibì nell'opera verdiana Falstaff.
Nel luglio 1899 interpretò Rodolfo, nella prima rappresentazione nel Royal Opera House Covent Garden di Londra de La bohème di Giacomo Puccini.
Nel novembre 1899, nel Teatro Costanzi di Roma, interpretò Osaka nella ripresa di Iris di Pietro Mascagni, Enzo nella ripresa di La Gioconda di Amilcare Ponchielli e Faust in Mefistofele, terminando a dicembre.
Nel dicembre 1900 Caruso cantò nuovamente alla Scala nella ripresa de La bohème, durante la serata inaugurale della stagione lirica, diretta da Arturo Toscanini e, nel 1901, a Napoli nel Teatro San Carlo, con un compenso di 3 000 lire a recita. Qui si diceva che, durante l'interpretazione de L'elisir d'amore, Caruso avesse avuto la sua più grande delusione, perché l'emozione e l'insicurezza malcelata non lo avrebbero fatto cantare al meglio. Fortemente deluso dalla reazione dei suoi concittadini e dalle critiche che gli sarebbero state rivolte, centrate sul fatto che la sua voce fosse portata maggiormente al registro di baritono piuttosto che a quello di tenore, avrebbe deciso di esiliarsi e di non cantare mai più nella sua città natale.
Le cronache del 31 dicembre 1901 e del 5 gennaio 1902 su Il Pungolo, il quotidiano che seguiva la vita teatrale di Napoli, riportano in realtà l'emozione del tenore nel primo atto, rotta dagli applausi crescenti fino alla richiesta del bis[6]. E ancor meglio andarono le repliche. Semmai sarebbe stata la severa critica di Saverio Procida, sempre su Il Pungolo, a infastidire fortemente Caruso, cui il critico rimproverò la scelta di un repertorio al di sotto delle sue possibilità vocali e interpretative. Caruso effettivamente non cantò più né a Napoli, né in nessun altro teatro in Italia[7] andando incontro al suo successo negli Stati Uniti e in Sudamerica.
Sempre nel 1901 interpretò Florindo nella première nel Teatro alla Scala di Milano di Le maschere di Pietro Mascagni, diretto da Arturo Toscanini, e il duca di Mantova nella ripresa nel Teatro Comunale di Bologna del Rigoletto di Giuseppe Verdi. Nel febbraio 1902, nella Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo con Nellie Melba, fu Rodolphe nella prima rappresentazione di La vie de bohème di Giacomo Puccini e ancora il duca di Mantova nella ripresa del Rigoletto.
L'11 aprile 1902 a Milano, Caruso incise dieci dischi con arie d'opera per conto della casa discografica inglese Gramophone & Typewriter Company. Il cantante napoletano fu il primo a cimentarsi con grande successo nella nuova tecnologia, fino ad allora snobbata dagli altri cantanti. Fu il primo artista nella storia a vendere più di un milione di dischi con l'aria Vesti la giubba dall'opera Pagliacci, incisa negli Stati Uniti nel 1904 e 1907 per l'etichetta Victor[8]. Il singolo della Victrola nella versione di Caruso venne premiato con il Grammy Hall of Fame Award 1975.
A novembre del 1903 si recò negli Stati Uniti[9], quando ancora stava con la sua amata Ada; grazie alla mediazione del banchiere Pasquale Simonelli ottenne il contratto col Teatro Metropolitan di New York e il suo esordio avvenne il 23 novembre con il duca di Mantova nella ripresa di Rigoletto. Il pubblico gli chiese di bissare La donna è mobile.
Passata l'impasse della prima, ebbe un tale successo con le successive rappresentazioni da diventare l'idolo dei melomani dell'epoca. Sempre nel 1903 al Metropolitan Opera House fu Radamès in Aida, Cavaradossi in Tosca (bissando E lucevan le stelle), Rodolfo ne La bohème, Canio in Pagliacci (bissando Vesti la giubba) e Alfredo in La traviata. Nel gennaio 1904 interpretò Edgardo in Lucia di Lammermoor e Nemorino in L'elisir d'amore. Caruso stesso commissionò a Tiffany & Co. la produzione di una medaglia in oro 24 carati col suo profilo, per ricordo delle sue recite al Metropolitan di New York, da distribuirsi tra i suoi intimi.
Caruso pretendeva ingaggi esorbitanti, ma era anche capace di cantare gratis per allietare gli emigranti. Non ci fu solo la fama in America per Caruso, poiché il tenore subì anche la gelosia e l'invidia.
La medaglia fu regalata da Enrico Caruso a Pasquale Simonelli, il suo impresario di New York nel 1903
Nel 1904, a marzo fu ancora il duca di Mantova nella ripresa del Rigoletto nella Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo; ad aprile comparve nella prima rappresentazione nel Théâtre Sarah-Bernhardt di Parigi, con Lina Cavalieri; ancora al Met, a novembre fu Enzo ne La Gioconda; a dicembre interpretò Gennaro nella Lucrezia Borgia, bissando Com'è soave. Nel 1905, a febbraio fu Raoul de Nangis in Les Huguenots e Riccardo in Un ballo in maschera; a maggio fu Loris Ipanov nella prima rappresentazione nel Théâtre Sarah-Bernhardt di Parigi di Fedora di Umberto Giordano, ancora con Lina Cavalieri; a novembre fu Fernando ne La favorita, al Metropolitan; a dicembre fu Elvino ne La sonnambula. Nel 1906, a gennaio fu Faust nell'opera omonima; a febbraio Lionel in Martha, bissando M'appari e Don José in Carmen; a dicembre il Conte Loris Ipanov in Fedora, sempre con Lina Cavalieri: visto l'entusiasmo del pubblico al termine del II atto, Enrico Caruso e Lina Cavalieri ne bissarono la scena finale.
Nel 1907, a gennaio interpretò Maurice nella prima rappresentazione alla French Opera House di New Orleans di Adriana Lecouvreur, con Lina Cavalieri; al Metropolitan, fu Vasco de Gama in L'Africaine e Des Grieux in Manon Lescaut, con Lina Cavalieri; ancora al Met, in febbraio fu Pinkerton in Madama Butterfly; in novembre Maurizio in Adriana Lecouvreur, con Lina Cavalieri; in dicembre Osaka in Iris. Nel 1908, a marzo fu Manrico ne Il trovatore; in dicembre fu Turiddu in Cavalleria rusticana, diretto da Toscanini.
La sua versione registrata di Celeste Aida nel 1908 verrà premiata con il Grammy Hall of Fame Award 1993.
Tra il 1909 e il 1911 Caruso incise una serie di ventidue canzoni napoletane che comprendeva anche Core 'ngrato, scritta da Riccardo Cordiferro e da Salvatore Cardillo, ispirata alle sue vicende sentimentali dopo l'abbandono da parte della Giachetti. Caruso fu il primo a incidere Core ‘ngrato nel 1911 e per un fatto curioso, rispetto al testo conosciuto (o per lo meno che ci è stato tramandato), questa registrazione presenta nella seconda parte del brano una differenza sostanziale in alcune frasi tanto da chiedersi quali siano effettivamente la versione e il testo originale. Sempre nel 1909, viene operato a Milano per una laringite ipertrofica, intervento che sul momento non compromise la sua carriera, tanto da consentirgli di continuare le sue tournée per il mondo, senza trascurare recite per beneficenza durante il periodo della guerra.
Nel gennaio 1910 fu Federico in Germania diretto da Toscanini al Metropolitan; in giugno, Faust e Otello nelle riprese parziali al Théâtre de l'Opéra di Parigi di Faust di Charles Gounod, e del 3º atto di Otello di Giuseppe Verdi; in novembre, Rinaldo nella prima rappresentazione di Armide di Christoph Willibald Gluck, al Metropolitan Opera House di New York, diretto da Arturo Toscanini; il 10 dicembre, Dick Johnson nella première di La fanciulla del West di Giacomo Puccini.
Al Wiener Staatsoper nel 1912 fu Gustaf III in Un ballo in maschera, e Mario Cavaradossi in Tosca; nel 1913, Des Grieux in Manon diretto da Toscanini; nel 1914, Julien nell'opera omonima di Gustave Charpentier; e nel 1915 Samson in Samson et Dalila.
Nel 1915, in marzo, interpretò Arturo Buklaw nella ripresa di Lucia di Lammermoor alla Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo; in aprile, Canio nella ripresa di Pagliacci Ruggero Leoncavallo; nel 1916, Nadir in Les pêcheurs de perles al Metropolitan; nel 1918, Flammen in Lodoletta, Jean de Leyden in Le prophète con Claudia Muzio, Avito in L'amore dei tre re, ancora con Muzio, e Don Alvaro in La forza del destino, con Rosa Ponselle. Fu accompagnato dall'orchestra di Walter B. Rogers e, dal 1916, da quella di Josef Pasternack.
Il 28 agosto 1918 sposò Dorothy Benjamin (1893–1955), ragazza statunitense di buona famiglia, dalla quale ebbe una figlia, Gloria (1919–1999).
Nel 1919 al Met cantò in un concerto dedicato ai suoi 25 anni di carriera e fu Eléazar in La Juive con Rosa Ponselle.
Dopo una lunga tournée in Nordamerica, nel 1920 la salute del tenore iniziò a peggiorare. Varie le ipotesi al riguardo: suo figlio Enrico Jr., per esempio, collocava l'evento scatenante in un incidente occorso durante il Sansone e Dalila del 3 dicembre, quando il tenore fu colpito al fianco sinistro da una colonna crollata dalla scenografia. Il giorno dopo, prima della rappresentazione di Pagliacci, Caruso ebbe un accesso di tosse e lamentò un forte dolore intercostale.
L'11 dicembre il tenore ebbe una forte emorragia dalla gola; la rappresentazione fu sospesa dopo il primo atto. Il 24 dicembre fece la sua ultima apparizione al Metropolitan con Eléazar in La Juive. Complessivamente Caruso andò in scena per 863 rappresentazioni al Metropolitan.
Solo il giorno di Natale, quando il dolore si era fatto insostenibile, gli fu diagnosticata una pleurite infetta. Operato il 30 dicembre al polmone sinistro, trascorse la convalescenza in Italia, a Sorrento. Qui, per giunta, si sviluppò un ascesso subfrenico. Il primo giovane medico contattato non si assunse la responsabilità di inciderlo, dicendogli "non mi sento all'altezza di mettere le mani su Caruso!". Quando giunse finalmente il prof. Antonio Cardarelli da Roma, disse subito che andava operato d'urgenza, ma Napoli non era abbastanza attrezzata e andava portato a Roma. Il tenore fu raggiunto anche dal medico Giuseppe Moscati (poi proclamato santo) il quale però disse che ormai ben poco restava da fare, solo Dio poteva salvare Caruso. Trasportato da Sorrento a Napoli, nel tentativo di raggiungere Roma, Caruso vi morì il 2 agosto 1921, assistito dalla moglie, dal figlio Rodolfo, dal fratello Giovanni e da tutti quelli che gli volevano bene [10] all'età di 48 anni.
È sepolto a Napoli, in una cappella privata nel cimitero di Santa Maria del Pianto in via Nuova del Campo (Doganella), a pochi metri dalla tomba di Antonio de Curtis, in arte Totò. Il tenore lasciò tre figli: Rodolfo ed Enrico Jr., avuti da Ada Giachetti, e Gloria, avuta dalla moglie americana. A oggi l'unico nipote sopravvissuto è Eric Murray, figlio di Gloria; in quanto Enrico Cesare, Roberto e Wladimiro sono deceduti. Del ramo italiano restano solo i bisnipoti: Gloria, Federico Enrico e Riccardo Caruso coi loro figli, che vivono ancora in Toscana.
Caruso interpretò due film come protagonista: Mio cugino e The Splendid Romance.
Agli ultimi giorni di vita del grande tenore si ispirò, anni dopo, Lucio Dalla; per circostanze fortuite, infatti, il cantautore bolognese si trovò ospite nella stanza dell'albergo di Sorrento dove Caruso aveva soggiornato prima di trasferirsi a Napoli, e dal racconto dei proprietari dell'albergo Dalla trasse lo spunto per comporre una delle sue più celebri canzoni, Caruso[11] che uscì nel 1986.
Poiché fu il primo cantante a sfruttare con consapevolezza le potenzialità (anche remunerative) offerte dal disco, la sua fama gli sopravvisse per molti anni, rendendo sempre aperta la caccia a chi, tra le grandi voci di tenore, ne potesse essere considerato a buon diritto l'erede.
Le doti naturali del giovane Caruso, per la verità, non apparivano indiscutibili: aveva voce poco potente, facile all'incrinatura sugli acuti e decisamente "corta", sì che, a volte l'emissione di un semplice "la" naturale poteva causargli delle difficoltà, al punto che lo si sarebbe potuto anche considerare un baritono.
Con l'applicazione, tuttavia, Caruso, da intelligente autodidatta particolarmente esigente nei propri confronti, arrivò a sviluppare una personale tecnica vocale (in cui l'intero torace – a un tempo mantice e organo – vibrava amplificando magnificamente i suoni) tale da correggere tutti i principali difetti dei primi anni di carriera.
In un panorama vocale che stava faticosamente abbandonando certe leziosità ottocentesche (quelle amate a Napoli, dove infatti Caruso fu criticato per la sua esibizione in L'elisir d'amore) e a cui mancavano ancora le voci adatte a rendere le violente passioni portate sulla scena dalla giovane scuola, Caruso fu la personalità giusta al momento giusto: seppe dare un'interpretazione straordinaria di Canio e di altri ruoli veristi, come Chénier, ma anche di quelli di Aida, Rigoletto, o Faust, opere cantate con un gusto del tutto nuovo e ben testimoniate da dischi tecnicamente primordiali, ma eccezionali sotto il profilo puramente vocale. Entrò quindi anche nelle grazie di Puccini che scrisse per lui La fanciulla del West.
Dopo l'operazione per eliminare dei noduli alle corde vocali subita nel 1909 la sua voce, come ben testimoniato dai dischi, divenne ancora più brunita, talune agilità gli furono precluse e sempre più faticoso divenne l'uso della mezzavoce. Ciò non di meno Caruso rimase un interprete inarrivabile per impeto e passionalità e, almeno fino al "si" acuto, in grado di afferrare di slancio acuti tonanti che mandavano in visibilio il pubblico e risuonano anche nelle numerose incisioni di canzoni napoletane.[12]
È importante ricordare che i metodi di registrazione fonografica del tempo non permettevano di registrare la completa gamma vocale dell'interprete. I supporti avevano una durata massima di 4 minuti e mezzo e molti pezzi furono accorciati per rispettare tale limite.
Al momento della morte il tenore stava preparando il ruolo di Otello, dall'omonima opera di Giuseppe Verdi. Sebbene non sia riuscito a portarlo in scena, registrò comunque due magnifiche selezioni dell'opera: l'aria Ora e per sempre addio e il duetto con Iago, Sì, pel ciel marmoreo, giuro, insieme al grande baritono Titta Ruffo.
Caruso aveva nel repertorio circa 521 canzoni.
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