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Il tema iconografico del Compianto sul Cristo morto (o Lamentazione sul Cristo morto) ha avuto, a partire dal XIII secolo, un'enorme diffusione nell'arte sacra sia nella campo della pittura, sia in quello della scultura.
Un particolare interesse, nella storia dell'arte, è rivestito dai complessi di sculture, dette appunto Compianti, che danno vita alla messa in scena dell'episodio evangelico in forma di "sacra rappresentazione"
Nel racconto della Passione di Gesù la scena del Compianto si colloca tra la Deposizione dalla Croce e la Deposizione nel Sepolcro[1] e, nelle soluzioni iconografiche adottate, richiama da vicino il rito antico del lamento funebre[2].
Oltre al Cristo morto, le altre figure canoniche quasi sempre riconoscibili nella scena del Compianto sono quelle che, secondo i racconti evangelici e la tradizione religiosa, hanno preso parte alla ultime fasi della Passione: le "tre Marie" (vale a dire la Madonna, Maria Cleofa e Maria Salome), la Maddalena, Giovanni apostolo ed evangelista e i due protagonisti maschili della Deposizione dalla Croce: Giuseppe di Arimatea, (riconoscibile nella iconografia "canonica" dall'atto di reggere la corona di spine ed i chiodi) e Nicodemo (raffigurato con le tenaglie ed il martello). In alcuni casi la composizione dei gruppi non comprende tutti i personaggi canonici, in altri essa si allarga ad altre figure ed a presenze angeliche.
Un particolare interesse storico e artistico riveste la diffusione, che ha luogo nel XV secolo, della trattazione del tema iconografico del Compianto mediante gruppi di statue policrome di grandezza naturale, con il corpo del Cristo, ormai segnato dal rigor mortis disteso a terra, al centro della scena, mentre le figure degli astanti sono disposte in semicerchio attorno ad esso in modo da ottenere un evidente effetto teatrale, e favorire così la immedesimazione dei fedeli nel tragico evento. Tali gruppi di sculture assumono anche l'appellativo di mortori o di sepolcri; talora sono fatti rientrare sotto il titolo, iconograficamente più ampio, di Pietà.
La realizzazione di tali gruppi statuari, per lo più scolpiti in legno o modellati in terracotta, è notevole in Francia ed in alcuni altri paesi europei, ma trova una straordinaria diffusione, assieme alla ricerca di sempre nuove modalità espressive, nell'area tra il Piemonte orientale, la Lombardia, l'Emilia ed il Veneto.
Molti religiosi preposti alla gestione di chiese situate anche in località modeste, assieme a generosi donatori locali, divengono committenti di tali importanti opere: si tratta di un fervore religioso che, per esser compreso, va collocato in un contesto culturale in cui è viva la spiritualità francescana ed in cui si assiste al moltiplicarsi delle rappresentazioni popolari, in forma di dramma sacro, della Passione di Cristo. È lo stesso fervore religioso che darà vita ai Sacri Monti.
Il compito assegnato all'opera d'arte è quello di favorire la immedesimazione dei fedeli nella scena del Compianto, facendo sì che essi possano empaticamente far propri i sentimenti provati dai protagonisti, a partire dalla esperienza personale dello svolgimento di un rito funebre.
La cappella che ospita il gruppo di sculture raccolto attorno al corpo morto di Cristo, diventa allora – come raccomandato dai manuali devozionali del tempo - parte dei luoghi della Terra santa, in modo che tale scena si "possi imprimere nella mente, e più facilmente essa si reducha alla memoria... [di] ...lochi e persone"[3].
Sotto questo profilo, non è un caso che una delle prime cappelle realizzate per il Sacro Monte di Varallo – inteso come "Nuova Gerusalemme" – fosse a quel tempo (ca. 1491) popolata dalle statue di un bellissimo Compianto ligneo (ora ricoverato presso la locale pinacoteca civica), che, dall'antica cappella del Sepolcro, deriva il nome di "Pietra dell'unzione".
L'esercizio suggerito ai fedeli di identificare i protagonisti del racconto evangelico con persone viventi, presenti nella propria comunità, spiega la ricerca da parte dell'artista di un marcato naturalismo nella raffigurazione dei personaggi scolpiti, a cominciare dai tratti fisiognomici popolari, nonché nei colori e nella foggia degli abiti aderenti, per lo più, alle usanze del tempo.
Tale esigenza di provocare, attraverso precisi modi naturalistici, una identificazione dei fedeli con i personaggi che prendono parte al lamento funebre, si arresta spesso di fronte a figure percepite come più lontane quali Giuseppe da Arimatea e Nicodemo raffigurate spesso con copricapi orientali. In alcuni Compianti sono i committenti che chiedono di essere ritratti nelle vesti di foggia inconsueta di tali personaggi[4].
La tendenza ad ornare le chiese con tali gruppi statuari, affidandone la esecuzione a botteghe di scultori del legno o di plasticatori in grado di modellare e di cuocere l'argilla nelle fornaci, è – come accennato – particolarmente viva nell'Italia del Nord e dura per tutto il XV secolo sino ai primi tre o quattro decenni del XVI secolo; essa va poi diminuendo rapidamente sotto la spinta di nuovi gusti artistici e di nuove funzioni pedagogiche affidate all'arte sacra, senza tuttavia mai esaurirsi completamente. Uno dei Compianti più importanti della scultura italiana rinascimentale dei primi anni del XVI secolo è conservato a Teggiano (Salerno) nella chiesa della Pietà ed è opera di Giovanni da Nola.
Un esempio di Compianto datato alla seconda metà del Settecento è quello che troviamo a Piacenza, nella chiesa di San Francesco, realizzato in stucco da Domenico Reti.
Considerati come espressione di devozione popolare, di rado - anche a causa dei "materiali vili" con i quali sono realizzati - in grado di meritare l'appellativo di "opera d'arte", l'interesse della critica per i Compianti è stato per lungo tempo modesto, limitato ad alcune opere che si imponevano all'attenzione per la loro evidente alta qualità artistica. Tra questi deve essere menzionato il celebre gruppo in terracotta realizzato da Niccolò dell'Arca, (1470-90) e posto nella chiesa bolognese di Santa Maria della Vita. Si tratta di un'opera nella quale le figure esprimono una angoscia violenta, in una tragicità di espressione che le deforma quasi grottescamente. Uno scrittore emiliano del Seicento aveva efficacemente descritto le donne di questo Compianto come "sterminatamente piangenti"; D'Annunzio parlò di "Visione sublime e tremenda". Tuttavia, in generale, la relativa mancanza di interesse da parte degli studiosi, assieme alle difficoltà conservative, ha fatto sì che molti gruppi statuari dedicati a questo tema siano andati irrimediabilmente perduti o si presentino oggi vistosamente mutilati.
Solo negli ultimi tre decenni del secolo scorso si è assistito ad una crescente attenzione critica che ha portato alla pubblicazione di un numero elevato di Compianti e ad iniziative di restauro anche connesse alla esposizione in mostre di tali opere. Si deve osservare come i restauri dei Compianti siano solitamente assai delicati (e quasi mai esenti da polemiche), anche in rapporto al problema del mantenimento o meno di verniciature non più originali (se la rimozione della, spesso maldestra, policromia serve ad evidenziare l'impronta artistica degli autori, essa rischia, d'altro lato, di compromettere le tracce della pittura originale e di privare i gruppi di una parte essenziale del loro fascino).
Nel ducato di Savoia, sono rilevabili consistenti punti di contatto con la produzione artistica di area borgognona: ne è testimonianza il bel Compianto di Moncalieri databile al primo quarto del XV secolo, uno dei più antichi pervenutici in buon stato di conservazione. A partire dagli ultimi decenni del Quattrocento la produzione di gruppi statuari si moltiplica ed il panorama delle connotazioni stilistiche diventa alquanto variegato.
Giovanni Testori in un saggio del 1985 su "Gli artisti del legno e la scultura in Valsesia" ritorna sul Compianto di Varallo noto col nome di "Pietra dell'Unzione" sottolineando il debito stilistico degli autori (ora riconosciuti come i fratelli De Donati) verso Giovanni Martino Spanzotti; nello stesso scritto prende in esame altri due Compianti, opere popolane da riferirsi tradizione dei "lignari" valsesiani: quello "tragicamente naif" di Quarona e quello, sempre popolano ma ben diversamente attento alle novità artistiche, di Boccioleto. Sempre in riferimento alla Valsesia, a sottolineare la stretta connessione tra la statuaria dei Compianti e quella dei Sacri Monti, si può ricordare come ancora verso il 1640 venisse affidata a Giovanni d'Enrico - grande protagonista dell'arte plastica nelle cappelle della "Nuova Gerusalemme"- la realizzazione di un Compianto per le edicole del battistero di Novara (ora presso i Musei della canonica del duomo di Novara).
La crescente attenzione degli studiosi verso la scultura in legno nel ducato degli Sforza[5] ha consentito la rivisitazione critica di un numero ragguardevole di Compianti. Tra gli altri, citiamo quello conservato nella cripta del Duomo di Lodi risalente ai primi decenni del Quattrocento, poi quelli per i quali è più facile ricostruire la paternità artistica o almeno l'accostamento alle più rinomate botteghe del tempo: quella di Baldino da Surso (vedasi il Compianto di Ripalta Vecchia), quella dei fratelli De Donati (vedasi, oltre quello di Varallo, il gruppo di Caspano di Civo, quella di Giovanni Angelo Del Maino attiva a Pavia tra il 1496 ed il 1536 (vedansi lo splendido Compianto di Gambolò e le superstiti figure presenti nella chiesa di San Martino a Cuzzago). In terra ticinese presso il Santuario della Madonna del Sasso è presente, in buone condizioni di conservazione, un Compianto ligneo attribuito a Domenico Merzagora, compianto legato a questa tradizione.
Con Giovanni Angelo del Maino, la scultura lignea prende le distanze – senza però negarle completamente – dalla tradizionale durezza dell'arte nordica (si pensi emblematicamente a quelle degli apparati decorativi degli altari, i Flugelaltar), per raccordarsi direttamente alle principali novità rinascimentali emerse in campo pittorico, a quella data, nel ducato milanese, soprattutto quella di Gaudenzio Ferrari.
Sulla stessa linea di dialogo stilistico con la pittura rinascimentale lombarda si pone Andrea da Milano (detto anche "Andrea da Saronno"), autore dei Compianti della chiesa di San Vittore a Meda e del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli a Saronno.
La produzione delle sculture in terracotta costituisce un capitolo particolarmente rilevante dell'arte sacra in Emilia, capitolo segnato da molteplici personalità di elevato profilo artistico alle quali è dovuta la esecuzione di numerosi Compianti. Va citato al riguardo il nome di un artista connotato da una marcata poetica naturalistica e da un efficace linguaggio dialettale quale Guido Mazzoni, molto attivo presso la corte napoletana aragonese, autore di alcuni tra i più suggestivi gruppi in terracotta a noi pervenuti, tra cui il Compianto sul Cristo morto presente nella Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi a Napoli, meno conosciuto rispetto ad altri compianti ma assolutamente non meno importante e suggestivo; poi quelli di Vincenzo Onofri, del già menzionato Niccolò dell'Arca (nel quale la ricerca della espressione della intera gamma dei sentimenti di dolore si produce in una sorta di trattato di fisiognomica), e infine del più "morbido" Alfonso Lombardi. Ad essi si aggiunge a partire dal secondo decennio del Cinquecento Antonio Begarelli, il cui stile tende a distanziarsi marcatamente dal naturalismo di area padana per accogliere le suggestioni classiciste provenienti da Firenze e da Roma.
La influenza di tali artisti della terracotta si fa sentire in area mantovana, come superbamente testimonia il recentemente restaurato Compianto di Medole, ma anche nel ducato milanese ove opera, tra gli altri, un artista quale Agostino Fonduli (o De Fondulis) in grado di confrontarsi senza remore con i modi stilistici del Mazzoni (vendansi i Compianti nella milanese chiesa di Santa Maria presso San Satiro e quello di Palazzo Pignano, chiesa di San Martino). Su questi gruppi - come anche, e soprattutto, su quello che troviamo a Verona nella chiesa di San Bernardino - si avverte anche la potente influenza di Andrea Mantegna[6].
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