violenza perpetrata contro le donne basata sul genere Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
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Citazioni sulla violenza contro le donne.
Dobbiamo fare i conti con la dimensione culturale di questo fenomeno, perché la violenza sulle donne è il frutto dell'esercizio di una rivendicazione proprietaria degli uomini sul corpo e sulla vita delle donne. È il frutto della negazione della differenza, se non nella sua trasformazione, di certo in una forma di gerarchizzazione, che pone la donna sempre e comunque in una condizione subalterna rispetto all'esercizio del potere maschile. (Nicola Fratoianni)
Il problema della violenza sulle donne è particolarmente grave in tutte le teocrazieislamiche, ma non c'è latitudine nel nostro pianeta dove tale fenomeno sia stato eradicato, come se la cultura patriarcale, che sottende alla marginalizzazione, alla sottomissione e alla violenza, fosse impermeabile non solo al mutamento dei tempi, ma persino alle misure e ai provvedimenti legislativi che molti Stati pure tentano di adottare e mettere in campo. (Alessia Ambrosi)
Il rispetto, il rispetto della donna e dei suoi diritti, deve essere visto come il naturale sviluppo di un'educazione. La lotta alla violenza sulla donna passa, dunque, dalla cultura, dall'educazione dei ragazzi e delle ragazze e va da sé come la scuola assuma un ruolo determinante e come urga lavorare per creare contesti culturali, che inducano al rispetto dell'altro, alla cooperazione e alla responsabilità. (Guerino Testa)
Io credo che la violenza nei confronti delle donne sia il frutto anche di una certa subcultura, che purtroppo aleggia in alcuni contesti, non solo nazionali, ma anche internazionali. E allora lo sguardo dell'Italia non può che volgere alle tante donne che in Ucraina stanno soffrendo [...] Ma anche una subcultura [...] che è il frutto di atteggiamenti assolutamente non condivisibili, penso al fenomeno della tratta, delle mutilazioni genitali, delle spose bambine, tutti aspetti che noi non possiamo che contestare e disprezzare. (Carolina Varchi)
Io non credo in una società divisa in due e non mi sento in lotta contro gli uomini. Il lavoro da fare per comprendere le radici della violenza contro le donne va fatto insieme agli uomini. (Lorella Zanardo)
Io sono sempre in prima linea contro la violenza sulle donne, specialmente contro la violenza psicologica, spesso sottovalutata perché è meno visibile non lasciando segni addosso. Purtroppo le ferite di questa violenza subdola sono enormi sia nell'anima e nella testa e ciò che è peggio spesso davvero insanabili. La persona che subisce violenza psicologica si spegne piano piano e ciò è devastante e drammaticamente irreversibile. È incredibile come donne assolutamente insospettabili siano vittime di violenza psicologica e la battaglia più dura da combattere è proprio quella contro la negazione delle vittime stesse. Io sono e sarò sempre a favore della comunicazione per contrastare ogni tipo di violenza e soprattutto al fine di prendere dei provvedimenti veramente adeguati, anche se non è semplice. (Miriam Candurro)
La violenza maschile contro le donne è sufficientemente comune e ricorrente... da costituire una struttura sociale. (Sylvia Walby)
La violenza sulle donne è antica come il mondo, ma nel 2009 avremmo voluto sperare che una società avanzata, civile e democratica non nutrisse le cronache di abusi, omicidi e stupri. (Helga Schneider)
La violenza sulle donne è innanzitutto un problema nostro: è un problema degli uomini, dei maschi di questo Paese, e non solo di questo Paese. (Nicola Fratoianni)
La violenza sulle donne non è mai giustificata. A limite scopatevi tra uomini e poi litigate ad armi pari. (Daniele Fabbri)
Non è vero che serve la sensibilizzazione, che bisogna spiegare bene che non si fa, che la violenza sulle donne si risolve educando i maschi. Sanno tutto quel che c'è da sapere: che non va bene picchiare o stuprare o ammazzare è chiaro almeno quanto lo è che è illegale rubare una macchina. Le macchine vengono rubate lo stesso. Nessuno invoca sensibilizzazione nelle scuole contro i furti. E, se lasci le chiavi attaccate, può pure essere che qualcuno dica che te la sei cercata: non per questo sta assolvendo il furto. Siamo molto più sensibili di quindici anni fa (per non parlare del secolo precedente), è confortante per chi subisce violenza, ma non aiuta a risolvere la questione. La violenza è un reato, non un attestato di merito per la vittima: non accade solo alle sante, alle immacolate, alle migliori di noi. Come per ogni reato, c'è la possibilità che la vittima simuli. [...] si può decidere di distruggere la reputazione di qualcuno facendosi fotografare con un livido. Prendere in considerazione il fatto che magari un'attrice che accusa l'ex di violenza menta, o che l'ex fidanzata di un cantante imbastisca una storia di botte solo per rovinarlo, non è una lesione del sacro diritto delle donne a non essere maltrattate. È il modo per cominciare a trattare i reati come quello che sono: reati. E magari smetterla col dualismo per cui la vittima viene santificata sui giornali prima che sia stato provato che è tale, e il carnefice non viene fermato mai, se non quando è troppo tardi. (Guia Soncini)
Non posso credere di dover vivere in un mondo in cui noi donne dobbiamo essere ogni giorno coraggiose in quello che facciamo. Io ai miei figli non voglio insegnare questo. Non voglio ritenermi fortunata se nella mia vita incontro una persona perbene, perché dovrebbe essere la quotidianità. Mi dà fastidio che davanti a tutte le notizie che sentiamo tutti i giorni ci siamo quasi abituati e non deve essere così. (Benedetta Pilato)
Questa della violenza sulle donne è una questione relativa principalmente alla cultura; la cultura noi sappiamo che si cambia nelle scuole e sappiamo anche, purtroppo, che un altro dato che non conosciamo è quello della violenza sommersa, una violenza sommersa che è necessario che venga fuori e che deve trovare uno sbocco; quello sbocco, secondo noi, è facilitare le donne nella denuncia. (Chiara Colosimo)
Spesso la libertà è il prodotto di una situazione di indipendenza, una situazione di autonomia abitativa, una situazione di indipendenza economica, è da quello che, in un'occasione di violenza, scaturisce poi la volontà di denunciare. (Carolina Varchi)
Spesso, purtroppo, una donna decide di restare con il proprio aguzzino perché non gode di un'autosufficienza economica e, quindi, decide di rimanere ogni giorno con colui che la picchia, con colui che la stupra, con colui che la violenta, con colui che la offende, perché non può andare da un'altra parte. (Elisa Scutellà)
Sulle spalle a lei fece sovente | scender legnate da levare il pelo, | uso che bene spesso e volentieri, | passò poi dai villani ai cavalieri. (Antonio Guadagnoli)
Tutte le donne che non hanno una sicurezza economica, che non hanno un'autonomia, una vita indipendente, un lavoro, un proprio tetto sopra la testa, sono più inclini a non denunciare e sono coloro che hanno più difficoltà nell'uscire dagli episodi di violenza. Le donne in uscita dai centri di violenza e le case rifugio hanno lo stesso identico problema, ossia non riescono a reinserirsi nel mondo del lavoro ed è per questo che spesso hanno ancora più difficoltà ad iniziare quei percorsi. (Chiara Colosimo)
Tutti gli altri animai che sono in terra, | o che vivon quïeti e stanno in pace, | o se vengono a rissa e si fan guerra, | alla femina il maschio non la face: | l'orsa con l'orso al bosco sicura erra, | la leonessa appresso il leon giace; | col lupo vive la lupa sicura, | né la iuvenca ha del torel paura. || Ch'abominevol peste, che Megera | è venuta a turbar gli umani petti? | che si sente il marito e la mogliera | sempre garrir d'ingiurïosi detti, | stracciar la faccia e far livida e nera, | bagnar di pianto i genïali letti; | e non di pianto sol, ma alcuna volta | di sangue gli ha bagnati l'ira stolta. || Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia | contra natura e sia di Dio ribello, | che s'induce a percuotere la faccia | di bella donna, o romperle un capello: | ma chi le dà veneno, o chi le caccia | l'alma del corpo con laccio o coltello, | ch'uomo sia quel non crederò in eterno, | ma in vista umana un spirto de l'inferno. (Ludovico Ariosto)
Vedete, colleghi, per un uomo, con tutta l'apertura mentale di questo mondo, non è semplice comprendere il fenomeno della violenza sulle donne, perché, banalmente, fin da piccoli, non siamo abituati a scontrarci con questa problematica e, di conseguenza, non la facciamo nostra. Mi sono chiesto, allora, cosa generi la violenza e che ruolo abbia la donna in questi fenomeni, e a poco a poco mi sono fatto un'idea. La violenza non è contro la donna. Lo so che vi sembrerà assurdo, ma lasciatemi proseguire. Io credo che la violenza sia sempre orientata al diverso. L'uomo, l'infame, che picchia, abusa o, addirittura, uccide una donna, sta in realtà provando a sottomettere un diverso, percepito come tale in termini sia fisici sia ideologici, e lo fa usando ciò che intrinsecamente l'ha sempre contraddistinto, ovvero il predominio fisico. La donna di contro, come spesso avviene, tende ad accettare il suo ruolo di controparte debole del maschio, che la porterà, infine, a soccombere. (Manlio Di Stefano)
Vi è alla base di tutto il permanere radicato e diffuso di un fondamento culturale, che è prima ancora un fondamento strutturale, materiale dell'intero edificio sociale, di natura patriarcale, che vede l'uomo in posizione dominante: una posizione che ancora resiste sul piano economico, sul piano lavorativo e, conseguentemente, salariale, e che ancora si avvale di una falsa coscienza, di un mito interiore dell'uomo, che ne condiziona i comportamenti reali, quotidiani, i giudizi, l'idea della famiglia, che si riflette sull'intera società. (Roberto Morassut)
La violenza di genere è solo il tragico epilogo di un percorso molto più lungo e non meno doloroso che coinvolge l'intera nostra società. Viviamo in una società in preda a un'ignoranza affettiva, dove i tentacoli e le logiche del possesso materiale si sono estesi ai rapporti personali.
La violenza non è solo fisica: violenza è quando qualcuno decide che la nostra gonna è troppo corta; violenza è quando pensiamo: “Me lo sono meritato”; violenza è condizionare la vita di giovani atlete con abusi psicologici diretti e indiretti, instillando la subdola ansia della perfezione corporea e favorendo la nascita di disturbi del comportamento alimentare. Violenza è la domanda durante un colloquio di lavoro: “Ha figli o pensa di averne?”. Violenza è attribuirci un ruolo che non abbiamo scelto noi. Violenza è la paura di farlo arrabbiare. Violenza è dover far finta di niente, perché gli altri non se ne accorgano. Violenza è vivere ogni giorno sperando che magari domani andrà meglio. Violenza è convincersi che siamo fortunati, perché non potremmo avere di meglio. Violenza è costringere una donna, magari da sola, a farsi carico del welfare familiare senza sostegni da parte dello Stato. E violenza, cari colleghi e colleghe di maggioranza, è anche costringere una donna, appunto, magari sola, e togliere a queste donne occupabili il sostegno che oggi lo Stato dà loro e che permette loro di essere indipendenti, perché, sì, anche l'indipendenza economica è un elemento che permette di non generare violenza. Violenza è creare barriere insuperabili per costringere una donna a emigrare in un'altra regione per abortire o colpevolizzarla, magari proponendo l'obbligo per legge di sepoltura dei feti. Ma violenza è anche insegnare alle nostre figlie a comportarsi da signorine e far credere loro che la normalità risieda in questo modello comportamentale.
Abbiamo bisogno che una donna che denuncia, che trova il coraggio e la forza di denunciare, non venga lasciata sola, proprio in quel terrore di aver denunciato. Non c'è incubo peggiore, per una donna che ha subito violenza, denunciare e poi trovarsi da sola, sapendo che il suo aguzzino la sta cercando.
C'è da chiederci: se le leggi ci sono, perché da sole non bastano? Non bastano perché la violenza maschile sulle donne è anche e soprattutto un problema culturale che affonda le sue radici nella logica del possesso, in una cultura patriarcale retrograda, sessista e misogina.
Bisogna poi intervenire anche su chi fa del male, perché talvolta chi crea il problema non ha la consapevolezza di essere il problema.
Quante volte abbiamo sentito la domanda: “Perché, se subiscono violenza, non vanno via da casa?”. Perché per andare via da casa bisogna avere un'alternativa, perché non esiste solo la violenza fisica e le botte che si vedono: ci sono anche la violenza psicologica, le umiliazioni, le vessazioni continue, c'è la violenza assistita, davanti ai bambini, e c'è la violenza economica, come dice la Convenzione di Istanbul. Se non c'è un'alternativa, se non c'è un'indipendenza economica, si torna da chi ti fa del male, se non puoi permetterti di aiutare e dare da mangiare ai tuoi bambini.
Quando una donna denuncia, non chiede vendetta, ma chiede di essere tutelata, ascoltata, creduta, non colpevolizzata, non giudicata, ma soprattutto chiede un'alternativa alla violenza.
Bisogna smetterla di derubricare la violenza a mera conflittualità, perché in questo modo allontaniamo il cambiamento culturale che auspichiamo. Questa è una narrazione figlia della cultura dello stupro, che normalizza la violenza di genere e deresponsabilizza, anzi giustifica il carnefice.
La violenza maschile sulle donne va affrontata non più come un'emergenza, ma come un fenomeno criminale strutturale, radicato nella nostra società.
Si auspica - o almeno chi vi parla auspica - da un lato che le donne denuncino, perché questo avviene ancora troppo poco. Infatti molte donne, nel loro silenzio e nella loro sofferenza, sopportano, a volte giustificando comportamenti che devono, invece, essere sempre condannati senza se e senza ma. Dall'altro lato, serve anche una consapevolezza dell'uomo, inteso come sesso maschile, che dovrebbe capire e comprendere che amare non è sinonimo di gelosia e di ossessione, ma amare è libertà, è fiducia, è conoscenza, è comprensione reciproca, è apprezzare le differenze.
Credo che ancora si debba fare molto sulla prevenzione, ma soprattutto sull'educazione sia delle donne che degli uomini. Per evitare, infatti, che il problema della violenza sulle donne rimanga ai margini della società, per mettere in gioco il modo di stare al mondo degli uomini, per cambiare le rappresentazioni che i maschi hanno di loro stessi e delle donne è necessario prevenire ed educare.
Le donne devono avere più coraggio, perché alle prime avvisaglie, anche lievi, di violenze o di atteggiamenti ossessivi di gelosia devono far accendere una luce e avere il coraggio di allontanarsi definitivamente dalla persona. Non ci sono perdoni o seconde e terze possibilità, perché in molti casi questo porta a implementare quei dati terrificanti che vi ho dato sopra.
Dobbiamo implementare le risorse e snellire le procedure, per far sì che vengano erogate tutte le attività, le prestazioni e i servizi necessari alla diagnosi e al trattamento delle affezioni, di carattere fisico e psichico, che sono conseguenti ad atti di violenza fisica. Questo è fondamentale: la violenza ha effetti negativi, a breve e a lungo termine, sulla salute fisica, su quella mentale, su quella sessuale e su quella riproduttiva della vittima. Le conseguenze possono determinare, per le donne, isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di procurarsi cura di sé stesse e dei propri figli.
Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner o amici. Un tipo particolare di violenza sessuale si sta diffondendo nella rete, con forme di adescamento che sfuggono al controllo dei genitori e rendono difficoltosi gli interventi della Polizia postale, a causa dell'uso incontrollato di Internet dove, purtroppo, ragazzine adolescenti o para-adolescenti postano sui social network le loro immagini, per un malinteso senso di libertà sessuale.
C'è un altro dato fondamentale: la violenza economica. Troppe donne non denunciano perché non hanno l'autonomia finanziaria per poterlo fare, per poter immaginare una vita autonoma.
La solitudine, il silenzio dei molti, l'omertà sono le armi principali che ha in mano chi agisce violenza contro le donne.
La violenza contro le donne ha rappresentato un tabù nella nostra società per troppo tempo, ma bisogna riconoscere che il velo si è squarciato e che questo tabù pian piano si è trasformato in una coscienza collettiva e in un'assunzione di responsabilità.
Il raggiungimento della parità di genere passa per la sconfitta della sottocultura della violenza degli uomini contro le donne, ma anche per l'eliminazione di barriere e ostacoli che rendono la donna più debole per un'inferiorità salariale o una dipendenza economica o per una reiterata discriminazione che danneggia e ostacola la crescita lavorativa, sociale e professionale della donna.
È la cultura della legalità e dell'uguaglianza effettiva la strada per contrastare realmente e definitivamente la violenza dell'uomo sulla donna.
In una situazione di estrema vulnerabilità delle vittime di violenza di genere, bisogna offrire prospettive di tutela e di opportunità per consentire alle donne di fuoriuscire dallo stato di soggezione. Se per ottenere giustizia occorre intraprendere un lungo e faticoso calvario, è inevitabile che molte donne non riescano ad emanciparsi.
Occorre però che le fattispecie penali siano formulate in modo da consentire, nei casi di più alto rischio di progressione violenta, l'intervento immediato del giudice, con strumenti in grado di vigilare costantemente sui comportamenti. Di chi sono state le responsabilità quando, nonostante le reiterate denunce, la violenza maschile si è abbattuta sulla donna, uccidendola, in una progressione mai da alcuno impedita? Allora, il Codice rosso non è sufficiente.
Dobbiamo ammettere che la violenza sulle donne è un tema attuale, un problema strutturale della società. Ce lo impongono i dati.
È necessario promuovere iniziative, fin dalle scuole primarie, per educare al rispetto e alla parità di genere, superando gli stereotipi di genere che sono il seme in cui si insidia la discriminazione e la violenza.
Questa problematica, insita nel nostro modello sociale, può avere un'inversione di tendenza soltanto se ci affidiamo alle nuove generazioni, se lì estirpiamo le radici dell'aggressività, la presunzione di superiorità maschile che si trasforma, in alcuni casi, in possesso a tutti i costi.
Quella della parità è una precondizione per poter sradicare alla radice la violenza sulle donne.
Naturalmente, la violenza fisica è solo una delle forme di violenza, quella che viene percepita come più brutale, perché lo è, ma c'è quella più difficile da combattere, che è quella psicologica, perché è latente, perché, a volte, non appare all'esterno, è invisibile. Ce n'è poi un'altra, grave, ugualmente grave, diffusissima e terribilmente latente, che è quella economica. Noi possiamo invitare tutte le donne che vogliamo a denunciare continuamente, ma se non si hanno forme di autonomia economica o prospettive post denuncia, è chiaro che una donna può avere remore o la paura di denunciare.
Sullo sfondo c'è la grande battaglia culturale, soprattutto con riferimento all'educazione e alla sensibilizzazione delle giovani generazioni. Per educarle alla non violenza, per coltivare il valore della non violenza, occorre lavorare fin dall'infanzia per creare relazioni positive, educazione alla parità, al rispetto, alla sensibilità.
Fisica, verbale, psicologica, economica e sessuale: la violenza contro le donne ha molteplici forme radicate nella storia, ma viene addirittura negata o relegata a una sfera privata, anziché affrontata come un dramma sociale. Occorre un cambiamento culturale, che coinvolga tutta la società, uomini e donne insieme, perché si inneschi un meccanismo virtuoso di consapevolezza su questo dramma.
Gli interventi legislativi non sono in sé sufficienti. La strada da seguire è inevitabilmente quella culturale, che deve mirare al contrasto di quei radicati stereotipi relativi a ruoli e responsabilità di donne e uomini nella famiglia e nella società. È dunque necessario continuare a lavorare sul piano culturale, incoraggiando i giovani a uscire da un modello stereotipato e intollerante per promuovere una cultura libera da pregiudizi.
I numeri della violenza contro le donne continuano a raccontare un'Italia, nella quale è necessario fare molto in termini di informazione e sensibilizzazione, una questione culturale che non può essere, anche questa, a carico delle sole donne, ma che coinvolge attivamente gli uomini.
Lentamente compresi come nulla fosse più importante del porre fine alla violenza nei confronti delle donne, che in verità la dissacrazione delle donne rivelava il fallimento degli esseri umani nell'onorare e proteggere la vita; e questo fallimento, se non l'avessimo rettificato, avrebbe significato la fine di tutti noi. Non penso di essere estremista. Quando si violentano, picchiano, storpiano, mutilano, bruciano, seppelliscono, terrorizzano le donne, si distrugge l'energia essenziale della vita su questo pianeta. Si forza quanto è nato per essere aperto, fiducioso, caloroso, creativo e vivo a essere piegato, sterile e domato.
Parlare della violenza sulle donne perché la storia delle donne è la storia della vita stessa. Parlandone non si può evitare di parlare di razzismo e supremazia, povertà e patriarcato, costruzione di imperi, guerra, sessualità, desiderio, immaginazione. Il meccanismo della violenza è ciò che distrugge le donne, le controlla, le sminuisce e le tiene al loro cosiddetto posto. Parlare della violenza, raccontare le storie, perché nel raccontare legittimiamo l'esperienza femminile. Riveliamo ciò che accade nell'oscurità, nel sottoscala, lontano dagli sguardi. Nel raccontare, le donne si riappropriano del loro potere. Della loro voce. Dei loro ricordi. Del loro futuro.
Parlare. Parlare della violenza sulle donne non perché sia l'unico problema, ma perché è un problema centrale nel mondo e tuttavia si continua a non parlarne, a non vederlo, a non dargli peso o importanza. Affinché le parole rompano il torpore e la negazione, la dissociazione e la distanza, l'inganno. Parlare affinché si crei una comunità, una coscienza, un interesse.
Se l'apice del fenomeno che il femminicidio ci sbatte in faccia è una donna uccisa ogni tre giorni, abbiamo però, se l'Istat non si sbaglia, un sommerso di violenza endemica che è dieci volte maggiore di quello che emerge.
Viviamo in un Paese in cui le donne che lavorano sono meno del 50 per cento e quando lavorano guadagnano la metà dei propri compagni, fratelli, padri, anche se magari hanno studiato di più; e se decidono di avere un figlio, quel lavoro lo perdono o ottengono un part time che renderà più povere loro e le loro famiglie, ne comprometterà la carriera e regalerà loro una pensione da povere. In un Paese in cui queste palesi discriminazioni sono all'ordine del giorno o sono accettate dovremmo, dunque, stupirci della violenza sulle donne?
Ogni volta che, mestamente, con la sconfitta nel cuore, partecipiamo alle fiaccolate per Giulia, Carla, Eleonora, uccise da chi avevano amato solo perché avevano scelto di terminare una storia e di essere libere, ci diciamo che c'è un problema culturale. È esattamente così.
Il problema della violenza maschile contro le donne diventa un problema delle donne, ma nasce come problema degli uomini, incapaci di vedersi e riconoscersi maltrattanti e di accettare che le relazioni affettive possano anche finire.
La violenza sulle donne esiste anche quando i riflettori si spengono e se ne parla meno. Le cronache sono costellate quotidianamente da episodi di violenza di uomini nei confronti di donne.
Mentre nel nostro Paese gli omicidi diminuiscono, i femminicidi sono in costante e preoccupante aumento. Le rilevazioni evidenziano, peraltro, come gran parte degli episodi di violenza rimangano sommersi.
Per quanto riguarda la vittimizzazione secondaria, occorre ricordare che la donna che, con fatica, esce dalla violenza e avvia un percorso di libertà ha davanti a sé un percorso a ostacoli. I soggetti istituzionali che dovrebbero creare una rete di sostegno e protezione, spesso si rivelano antagonisti e respingenti, per questo le donne non denunciano.
Dobbiamo partire dalle esperienze dirette delle operatrici dei centri antiviolenza, che sono testimoni privilegiate del racconto che le donne fanno degli ostacoli che incontrano sui percorsi di uscita dalla violenza e intervenire.
La legge sull'affidamento condiviso deve essere modificata per evitare che i minori, vittime collaterali, vengano costretti a frequentare il padre violento.
Dobbiamo ribaltare l'azione di contrasto, per fare in modo che sia il violento ad essere allontanato. La donna deve poter scegliere liberamente di andare via o restare nel contesto in cui è vissuta e viverci al sicuro.
Certamente, i costumi si sono modificati in fretta, ma è rimasto lo sguardo mentale fisso sulla donna oggetto e sulla donna immagine. La violenza di genere è una delle espressioni che confermano il permanere della vitalità, benché si organizzi ogni volta socialmente e culturalmente, di un ordine simbolico, un sistema di potere che plasma i corpi, le identità e le relazioni e che si chiama patriarcato; un ordine simbolico che ancora oggi, attraverso la sua industria culturale, i suoi media, cerca di influenzare quello che le bambine guardano, comprano, leggono, vengono indotte a sognare, cercando di confinare i loro orizzonti.
I tempi cambiano e gli uomini si ribellano: le donne escono, escono di casa, da una relazione tossica, da un matrimonio scandito dalle botte e gli uomini rispondono con più violenza. Le donne parlano, parlano pubblicamente, acquisiscono potere e gli uomini le minacciano.
Siamo di fronte a un'irrimediabile questione maschile, che va compresa e affrontata. Il dato comune che precede la violenza è quella miseria relazionale, quelle gravi lacune nella nostra educazione sentimentale di cui ho già parlato e che interrogano tutti noi, la nostra cultura. Il silenzio degli uomini sulla propria sessualità, sulle proprie paure, sulla propria fragilità va spezzato.
Assistiamo a una torsione della realtà per cui diminuiscono gli omicidi e i reati violenti, ma non accennano a diminuire i reati di violenza contro le donne, in modo particolare i femminicidi, quasi sempre epiloghi drammatici di storie di violenze e abusi che avvengono quando la donna decide sulla sua autonomia e sulla sua libertà.
Qualcuno un giorno disse: “Il mostro dorme accanto a te”, purtroppo i dati ci dicono che a volte è vero.
Se una donna non è indipendente economicamente avrà difficoltà a denunciare, poiché si preoccuperà di quella che potrebbe essere la sua vita dal giorno dopo la denuncia.
Emerge [...] non solo la grave difficoltà che le donne vittime di violenza incontrano nel cercare aiuto, ma anche l'evidente ritardo delle istituzioni a provvedere e a investire sulla costruzione di contesti che favoriscano la ricerca di aiuto e di sostegno da parte di queste donne.
Gli operatori di ogni ambito, in particolare quello sanitario e quello sociale, dovrebbero poter contare su un'organizzazione efficiente, tale da prendere in carico la vittima di violenza con modalità uniformi nell'intero territorio nazionale. Si deve sentire come obbligatorio recuperare la situazione quando ancora è possibile, quando ancora non si è raggiunto il punto di non ritorno, che è il femminicidio.
È necessario che siano già tratteggiate, per le donne abusate, anche le vie di uscita dal tunnel della violenza, dando speranza e realtà alternative, presa di coscienza della propria autonomia, come persone e, quando occorre, anche economica. Fare squadra, infatti, significa prevedere un percorso successivo, per consentire alle donne afflitte dalle violenze subite di reinserirsi nella società in piena sicurezza e autonomia, attraverso un processo articolato di formazione che consenta loro di entrare nel mondo del lavoro, di sviluppare le proprie capacità, di rendersi indipendenti in un'ottica di crescita personale.
Sarebbe poco lungimirante e proficuo affrontare il tema della violenza di genere esclusivamente dal punto di vista normativo e giudiziario. C'è, infatti, chi afferma - credo a ragione - che il percorso che sfocia in gravi violenze e nel femminicidio sia già presente nel periodo adolescenziale, nei primi rapporti di coppia fra i giovanissimi, in cui già è possibile, in diversi casi, riconoscere alle stesse dinamiche, con le adolescenti che accettano o ritengono normali atteggiamenti possessivi, aggressivi e prevaricatori del giovane partner e credono nelle cosiddette scuse riparatrici.
Serve partire presto per contrastare la violenza di genere e bisogna passare inevitabilmente per l'educazione, l'educazione anche all'affettività. La prevenzione - l'ho già affermato - è la strada maestra fin dalle prime relazioni affettive, dove ciò che è giusto e normale che accada nelle relazioni non è ancora chiaro.
La giornata che oggi celebriamo, la giornata del 25 novembre, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, per noi non è solo una celebrazione. Questa è una giornata che per noi ha un volto, anzi, questa è una giornata che rappresenta molti volti. Ha il volto della bambina morta per infezione dopo la terribile pratica dell'infibulazione; ha il volto della ragazza che ha il viso sfregiato dall'acido dopo una discussione accesa di gelosia con il fidanzato; ha il volto di quelle donne che incontriamo per strada, che nascondono spesso i lividi dietro gli occhiali e che ti dicono che sono cadute per le scale, poi nei giorni successivi magari non le incroci più; ha il volto di quella madre che è scappata da casa per salvare se stessa e i figli dalla violenza del marito e, ahimè, ha il volto degli occhi terrorizzati dei bambini che hanno visto il proprio padre uccidere la propria madre.
Se a Torino - e questa è notizia di qualche giorno fa - è stato aperto il primo orfanotrofio per i figli delle vittime di violenze, chiaro è che c'è un fallimento da qualche parte. C'è un fallimento sicuramente della società, ma ancora più grande è il fallimento della politica.
Arrivare a denunciare presuppone un percorso psicologico molto duro, fatto di dolore, perché si tratta spesso di affetti, di violenza domestica, ma anche di paura. Non possiamo permetterci che, oltre alla paura e al dolore, ci sia anche l'incombenza del pensare alla contingenza, del pensare al momento, perché la domanda che immediatamente si pone una donna è: “Ma subito dopo che ho denunciato cosa mi succederà? Chi darà da mangiare ai miei figli? La troverò una casa? Troverò un lavoro? Come posso fare?”.
È da piccoli che dobbiamo insegnare il rispetto, perché i figli delle vittime saranno - e questo lo dicono le percentuali e gli studi - molto probabilmente uomini violenti, perché le figlie delle vittime di violenza potrebbero essere donne che accettano da grandi la violenza, perché non hanno visto nessun'altra forma di amore, perché conoscono solo quello. Invece, occorre far capire alle nostre ragazze che uno schiaffo non è una forma d'amore, che il controllo ossessivo non è una forma di affetto e che, dopo uno schiaffo, ce ne sarà un altro e un altro ancora.
Si deve fare una riflessione sulla formazione dei giudici; personalmente, crediamo che dovrebbero avere delle specializzazioni nella violenza contro le donne, perché troppo spesso abbiamo visto analisi blande della pericolosità sociale di un uomo e, lasciatemelo dire, sentenze incomprensibili, come quella che poco tempo fa affermò che lasciare la porta aperta di un bagno poteva essere in qualche modo un invito a un atto sessuale.
In tutte le denunce che vengono depositate dalle donne il ricatto della violenza economica, in qualche modo, è evidenziato. Dobbiamo liberare la donna da quella frase tremenda, insopportabile, che spesso pronunciano i carnefici: se non ci sono io, tu dove vai?
Abbandoniamo la prassi culturale per cui si debba continuare sempre e solo a nascondere la vittima, come fosse un pentito di mafia; ad essere nascosti da tutti, possibilmente in un carcere, devono essere i carnefici e, quindi, certezza della pena.
Il presupposto malato di un diritto al possesso sul corpo della donna non nasce - come spesso leggiamo, in un'inaccettabile narrazione mediatica che assume il punto di vista del carnefice - da un raptus, da folle gelosia o da un amore disperato, ma dal patriarcato. È un dato incontrovertibile: la violenza sulle donne nella società patriarcale non è episodica, ma strutturale.
Bisogna prendere molto sul serio le segnalazioni di violenze e molestie, anche prima che prendano la forma di una denuncia alle Forze dell'ordine, dal momento che otto donne su dieci non denunciano perché temono di non essere credute. Forse perché, attraverso la vittimizzazione secondaria, ci si permette di misurare la credibilità di una denuncia in base al tempo che ci ha messo la vittima a denunciare, come se non fosse una questione spesso di dislivello di potere o di paura, o forse perché si minimizzano costantemente gli episodi di cat calling, che non è una simpatica tecnica di approccio, ma una forma di molestia, in Francia punita con una norma apposita.
La violenza patriarcale non colpisce solo le donne, colpisce anche le persone LGBTQI+, che sono persone con diritti e non certo un abominio [Riferendosi alle dichiarazioni di Lucio Malan].
Altro tassello fondamentale - lo sappiamo - nel contrasto alla violenza di genere è l'emancipazione economica delle donne: solo così si potranno liberare anche da quel ricatto.
Alle donne che fuoriescono dalla violenza bisogna garantire la casa - bene il “reddito di libertà”, ma servono più risorse perché quelle attuali ancora non bastano - e poi un lavoro dignitoso, non povero o precario; bisogna anche chiudere i divari salariali e occupazionali di genere e investire nelle infrastrutture sociali ed educative per liberare le donne dal carico di cura che grava sproporzionatamente sulle loro spalle e le frena nel lavoro.
Gli uomini che commettono violenza sulle donne sono mostri e come tali devono essere trattati, limitati e arginati, annoverando la violenza di genere tra i reati comunitari. Questo permetterebbe di equipararla a crimini come il terrorismo, la tratta degli esseri umani, la criminalità informatica, lo sfruttamento sessuale.
La violenza sulle donne è una violenza meschina, vigliacca, subdola e silenziosa, è un pugno in faccia quando non te lo aspetti, senza preavviso, è una tirata di capelli repentina. È una spallata, uno spintone, uno schiaffo, uno sputo, un'offesa verbale ripetuta ad oltranza a colpire la propria autostima. È un “no” ripetuto, ripetuto e ripetuto, che diventa, invece, violenza sessuale. È una gonna troppo corta, un tacco troppo alto, un rossetto troppo rosso, un bicchiere di vino in più, che diventano squallida legittimazione a usare violenza. È una mano che ti ferisce a morte, è la mano di un uomo che uccide una donna, è la testa malata di un uomo che uccide una donna, di un compagno, di un marito, di un amico, di un fratello, di un padre.
Non bastano, però, una data, scarpette rosse, post buonisti a beneficio dei social: la violenza sulle donne va ricordata e combattuta tutti i giorni, in famiglia, nel lavoro, nella vita quotidiana, attraverso azioni concrete. Equilibrio e parità di genere sono la via necessaria ad estirpare le cause della violenza in tutti gli ambiti. Bisogna agire a più livelli, in primis, sulla capacità di azioni tempestive.